La vecchia Grecia in un nuovo mondo
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le vecchie glorie di Sparta e Atene, le due grandi Leghe, l’etolica e l’achea, il regno macedone di Antigono Gonata e poi del giovane Filippo V sono i cinque protagonisti di una storia politica, quella della Grecia del III secolo a.C., irrimediabilmente segnata da un’aura di decadenza e dalla nostalgia per il tempo che fu. Del passato, rimane l’abitudine a misurarsi in conflitti senza fine, a volte senza vincitori: di lì a poco, Roma sfrutterà abilmente le secolari divisioni del mondo greco per imporre il proprio dominio.
Il decreto ateniese del 267 a.C. che approva l’alleanza con Sparta in vista di una guerra contro il regno macedone fa cenno alle “molte e belle battaglie contro coloro che volevano asservire la Grecia” combattute insieme dalle due città nel passato: il riferimento non può che essere alle guerre persiane di oltre 200 anni prima. I re spartani Agide IV e, soprattutto, Cleomene III, nella seconda metà del III secolo a.C., prendono esplicita ispirazione dal mitico legislatore Licurgo, intendendo la rivoluzione che hanno progettato – e che Cleomene, almeno in parte, realizza con successo – come un ritorno al passato, alla Sparta di una volta. Ancora: quando Arato di Sicione, stratego della Lega achea, decide di allearsi con il re macedone Antigono Dosone, per fermare l’avanzata di Cleomene, che pare irresistibile, compie un’azione forse inevitabile, certo utile a proteggere le classi proprietarie del Peloponneso dal pericolo sovversivo del re spartano.
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Ma opinione chi pensa che egli abbia compiuto “un’azione non utile ad alcun greco, a lui sconvenientissima, e del tutto incoerente rispetto alla sua precedente linea politica e militare […] e rese sé suddito del diadema, della porpora, dei comandi dei Macedoni...” (Plutarco, Vita di Arato, 37). Questo perché i re macedoni sono visti come i naturali nemici dei Greci, evidentemente rifacendosi alla Macedonia di Filippo II, di ben oltre un secolo prima, privilegiando cioè la storia passata rispetto alle contingenze presenti. Si potrebbero fare molti esempi.
La grandezza del passato è percepita anche da quanti vivono in quest’epoca difficile, contrassegnata da una crisi economica e sociale diffusa.
Chi si accinga a studiare il III secolo a.C. non deve comunque tenere lo sguardo rivolto esclusivamente al passato: le vicende delle leghe etolica e achea sono un ottimo esempio delle nuove idee e delle tensioni innovative che percorrono questi anni.
Il figlio di Demetrio Poliorcete, Antigono I Gonata, conquista il trono di Macedonia nel 276 a.C., un po’ per caso.
La sua vittoria a Lisimachia, l’anno precedente, contro i Celti che hanno invaso la Grecia è decisiva, in una situazione nella quale nessuno dei contendenti è particolarmente agguerrito.
La dinastia degli Antigonidi, la più solida delle dinastie ellenistiche (solo cinque sovrani si succederanno fino alla conquista romana), l’unica a non indulgere al culto del sovrano, si trova a dominare su territori che non conoscono il dualismo, foriero di tensioni, tra greco-macedoni e indigeni. Nonostante ciò, rimane priva di personaggi in grado di invertire la marcia di una decadenza che a noi appare inevitabile, ma che, evidentemente, tale non appariva ai contemporanei.
Per tutto il periodo che stiamo considerando il principale problema che devono affrontare gli Antigonidi è il rapporto con la galassia dei potentati greci: le poleis come Atene e Sparta e le due grandi leghe in primo luogo.
Le alleanze cambiano e si susseguono in una serie quasi ininterrotta di conflitti; costante invece l’inimicizia che contraddistingue il rapporto con i Tolemei, i quali non perdono occasione per danneggiare gli Antigonidi favorendo ora uno ora l’altro dei nemici della dinastia.
Dopo il lunghissimo regno di Antigono Gonata (sovrano dal 276 al 239 a.C.), re forse romanticamente sopravvalutato, soprattutto nel passato, quando si tendeva a esaltare il suo amore per la cultura, avendo egli frequentato le lezioni di Zenone, fondatore della Stoà, ad Atene, ma in realtà fautore di una politica conservatrice e poco coraggiosa, il regno passa nelle mani del figlio Demetrio II (sovrano dal 239 al 229 a.C.) e poi in quelle di Antigono III Dosone (sovrano dal 229 al 221 a.C.), figlio di un fratello di Gonata e fedele reggente in attesa del raggiungimento della maggiore età del futuro Filippo V. In questo cinquantennio, fra alti e bassi, i Macedoni mantengono il controllo almeno di parte della Grecia, facendo leva sulle guarnigioni stanziate a Demetriade in Tessaglia, a Calcide in Eubea e, soprattutto, a Corinto. Sempre in questi anni i sovrani macedoni riescono a ottenere il pieno controllo di Atene, fra il 261 e il 229 a.C.
Come già accennato, la Lega achea e la Lega etolica costituiscono la maggiore novità nel panorama politico greco, intelligente soluzione all’esigenza di mantenere viva l’autonomia almeno formale delle poleis e a quella di contrapporre ai grandi regni ellenistici forze più coese e di maggiori dimensioni.
La Lega etolica, gravitante intorno all’antico santuario di Apollo a Thermos, si sviluppa dai primi decenni del III secolo a.C., giungendo a controllare gran parte della Grecia centrale, compreso il santuario di Delfi. Gli Etoli praticano su vasta scala la pirateria e scelgono un’organizzazione leggera, di tendenze – entro certi limiti – democratiche, che prevede uno stratego coadiuvato da pochi collaboratori, un consiglio molto vasto, nel quale le comunità sono rappresentate in ragione delle loro dimensioni e, infine, un’assemblea federale che si riunisce solo due volte all’anno. Almeno a partire dalla morte di Antigono Gonata, gli Etoli, in politica estera, sono sempre schierati contro il regno di Macedonia: una scelta che manterranno anche quando saranno i Romani a diventare una pedina fondamentale nei rapporti di forza del mondo greco.
La Lega achea, ricostituita a partire dal 281 a.C., conosce il suo momento di maggiore gloria tra il 251 e il 214 a.C., quando per ben 17 volte (il massimo possibile: è infatti consentito essere rieletti a tale carica solo dopo un intervallo di un anno) ne è stratego Arato di Sicione. Questa singolare figura di eccellente politico (non sempre di buon militare, a quanto pare) consegue un’eccezionale espansione della Lega: nel 243 a.C. ne entra a far parte anche Corinto, negli anni successivi Argo, Epidauro e la maggior parte delle poleis del Peloponneso. La politica della Lega achea, di impostazione decisamente conservatrice, volta a difendere i proprietari terrieri abbienti delle varie poleis, dopo aver mantenuto un atteggiamento decisamente antimacedone, cambia radicalmente con l’alleanza tra Arato e Antigono Dosone nel 225 a.C. contro la Sparta di Cleomene: una decisione che sorprende molto i contemporanei ed è soggetta a numerose critiche ma che, sul piano pratico, non è poi così eclatante, se si pensa alle mire chiaramente eversive del re spartano, le cui idee di abolizione dei debiti e redistribuzione delle terre cominciano a farsi strada anche nelle poleis saldamente controllate dalla Lega. La struttura della Lega achea non è poi molto diversa da quella della Lega etolica. Anche qui troviamo lo stratego, dotato di vasti poteri, e alcune magistrature che lo coadiuvano; un consiglio, i cui delegati sono i veri ispiratori della politica federale, e l’assemblea generale, che sembra venga convocata solo raramente, in occasioni di particolare importanza.
Atene entra fra i protagonisti, in realtà, solo in virtù del suo passato: avviata, come viene spesso detto, al ruolo nobile di “città universitaria”, sede delle principali scuole filosofiche e meta obbligata del percorso educativo dei giovani esponenti delle classi dirigenti del mondo ellenistico e poi romano, dal punto di vista politico conosce, nel corso del III secolo a.C., una definitiva eclissi.
Tra il 261 a.C., in seguito all’esito infausto della cosiddetta guerra cremonidea (267-262 a.C.), e il 229 a.C., anno nel quale recupera una parvenza di indipendenza grazie, più che altro, a un’enorme somma di denaro messa a disposizione, in larga misura, da Arato, Atene è occupata da una guarnigione macedone stanziata al Pireo, conosce per la prima volta nella sua storia l’onta di non poter battere moneta e mantiene solo formalmente una parvenza di istituzioni democratiche.
Più vivaci e interessanti sono invece le vicende di Sparta. Cento anni dopo Leuttra e la perdita, due anni dopo, del controllo della Messenia (369 a.C.), la gloriosa città sulle rive dell’Eurota sembra conti solamente 700 spartiati di pieno diritto; un piccolo numero di essi ha concentrato nelle proprie mani gran parte della proprietà terriera, mentre gli antichi costumi, l’agoghè, i pasti in comune e gli altri rituali sono ormai caduti in disuso.
Ben tre re, nell’arco di meno di 50 anni, nel corso della seconda metà del III secolo a.C., cercano di risollevare le sorti della città. Il primo è Agide IV (sovrano dal 244 al 241 a.C.), che fallisce miseramente con la sua morte e il ritorno alla situazione precedente. In un curioso intreccio familiare, riprende il suo programma Cleomene III (sovrano dal 235 al 222 a.C.), figlio di Leonida, il più intransigente avversario di Agide e di qualsiasi innovazione, e marito di Agiatide, figlia del defunto Agide, che, ci informa Plutarco, “aveva carattere dolce ed eccezionale grazia e bellezza tra le donne greche”. Convinto, a quanto pare, dalla moglie, Cleomene riprende in grande stile il programma di Agide, vagheggiando una Sparta nella quale vengano restaurati i valori del passato, attraverso la redistribuzione delle terre e il ripristino degli antichi costumi.
In seguito ad una sorta di colpo di stato attuato nel 227 a.C.: vengono assegnate terre ai perieci, gli spartati risalgono a 4000, gli efori vengono uccisi e la carica abolita (il pretesto addotto è che non sarebbero stati presenti nell’originaria costituzione di Licurgo), 80 ricchi proprietari esiliati, i sissizi ripristinati.
Cleomene non intende, a quanto pare, “esportare la rivoluzione”: le sue idee di profondo cambiamento (volgendo lo sguardo al passato, come è tipico dei Greci) si limitano sostanzialmente alla situazione spartana. La sua figura diviene però popolare in tutto il Peloponneso, fino a suscitare il terrore di Arato e l’alleanza di questi con Antigono Dosone. A Sellasia (222 a.C.) Cleomene viene duramente sconfitto: sopravvive alla disfatta (un comportamento non degno di un vero spartano!), e muore tre anni dopo, in circostanze oscure, nel suo esilio di Alessandria d’Egitto, dove si è rifugiato presso Tolemeo III, da sempre suo alleato.
In epoca successiva, a conclusione, in una certa misura, della stessa storia spartana, va segnalato anche il regno di Nabide (sovrano dal 207 al 192 a.C.), che, ancora una volta, associa all’espansionismo in politica estera un programma rivoluzionario ancora più radicale, che prevede tra i suoi punti anche la liberazione di iloti. Il re ottiene notevoli successi: saranno i Romani a farsi carico del suo ridimensionamento (195 a.C.). Dopo la morte di Nabide, nel 192 a.C., Sparta entra nella Lega achea e perde ogni specifica identità.
Non diversamente da altre zone del mondo ellenistico, durante il III secolo la Grecia è un territorio continuamente in guerra: nei 50 anni centrali del secolo i conflitti “ufficiali” coprono all’incirca due anni su tre, senza contare che l’inquietante stato della nostra documentazione lascia a volte affiorare scontri che non riusciamo neppure a collocare cronologicamente o battaglie “isolate” che non abbiamo la possibilità di inserire in un contesto sicuro. Analizziamo adesso, in breve, le quattro guerre che si succedono a partire dal 267 a.C. e che coinvolgono sempre le stesse fazioni considerate in precedenza.
La prima che incontriamo è la guerra cosiddetta cremonidea, dal nome di Cremonide, un altrimenti sconosciuto uomo politico ateniese promotore di un decreto (a noi pervenuto per via epigrafica) che promuove il conflitto di fronte all’assemblea della città. La guerra si svolge in effetti tra il 267 e il 262 a.C. e vede schierate da una parte Atene e Sparta, finanziate e supportate dai Tolemei, dall’altra il regno macedone di Antigono Gonata. Dello svolgimento delle operazioni non sappiamo praticamente nulla: conosciamo con chiarezza solo il risultato finale, ovvero il trionfo macedone, seguito dall’installazione di una guarnigione al Pireo. Atene perde così la sua indipendenza per oltre trent’anni, anche se, come pare, mantiene una parvenza di istituzioni democratiche, concesse, forse, ancora una volta, per una sorta di rispetto nei confronti del grande passato della città.
La seconda guerra, in ordine cronologico, è la guerra demetriaca, che prende il nome dal re antigonide Demetrio. Il conflitto viene a coincidere con gli anni di regno del figlio di Antigono Gonata (239-229 a.C.) e in cui è impegnato contro la Lega etolica e la Lega achea coalizzate. Gli scontri, ancora una volta assai poco noti, non sono decisivi e, alla morte di Demetrio, nel 229 a.C., in una battaglia contro tribù dardaniche che minacciano il regno a settentrione, la situazione è pressoché invariata.
Della guerra cleomenica abbiamo già in parte detto. Si svolge tra il 229 e il 222 a.C., ha come epicentro il Peloponneso ed è una conseguenza delle mire rivoluzionarie del re spartano Cleomene, che rischiano di interessare, come una metastasi, le poleis della regione. Sconfitto ben due volte sul campo, preoccupatissimo delle derive sociali che l’ascesa di Cleomene causa, Arato di Sicione promuove allora l’inedita alleanza della Lega achea con i Macedoni, nella persona di Antigono Dosone: sarà questa alleanza ad aver ragione di Cleomene nella battaglia di Sellasia, svoltasi nel 222 a.C. alle porte di Sparta.
Infine, la cosiddetta guerra sociale, ovvero degli alleati, vede di fronte, tra il 220 e il 217 a.C., la Lega etolica e la Lega achea, ancora una volta alleata dei Macedoni: questi ultimi sono guidati, per la prima volta, dal giovanissimo re Filippo V. Come abbiamo già visto per questi conflitti, le operazioni militari sono scarsamente conosciute e poco decisive: una certa importanza ha avuto, nella storiografia successiva, la pace che conclude la guerra, stipulata a Naupatto nel 217 a.C. Si tratta infatti, come più volte è stato sottolineato, dell’ultimo accordo stipulato tra soli Greci, senza l’intervento di potenze straniere: in particolare, ovviamente, senza l’intervento di Roma, che sta per irrompere nelle vicende della Grecia.