La Torre di Babele: Babilonia tra realta e mito
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La costruzione della Torre di Babele, insieme ai noti e suggestivi riferimenti biblici, ha affascinato l’umanità fin dall’Antichità, essendo divenuta il monumento per eccellenza della città di Babilonia ed espressione del culto del dio Marduk. Il mito della torre di Babele e della sua costruzione, così come è raccontato nel testo biblico, è il soggetto di molte rappresentazioni nel Medioevo, nel Rinascimento, in età moderna ed anche contemporanea e Babilonia e la sua torre sono state spesso considerate un simbolo del mondo antico babilonese.
Alla Bibbia si deve la costruzione e la tradizione del mito della Torre di Babele con il suo significato di atto di hybris da parte degli uomini, che hanno osato innalzare una costruzione che raggiunge il cielo. Molto prima dell’effettiva scoperta della vera torre di Babele, l’Etemenanki del dio Marduk, la discussione su di essa, con immaginifiche ricostruzioni della sua forma, interessa differenti epoche, dal Medioevo fino all’età contemporanea passando per il Rinascimento e l’età moderna. È indubbiamente uno dei temi che più ha affascinato gli esploratori dell’Oriente antico, scatenando una frenetica ricerca sul campo delle vestigia della famosa torre.
Gli scavi archeologici e le ricerche in Oriente nel XIX secolo a.C. hanno proprio lo scopo di verificare quanto la Bibbia racconta nei libri dell’Antico Testamento. Se Heinrich Schliemann intraprende la ricerca di Troia con l’Iliade di Omero alla mano, gli scopritori dell’Oriente fanno riferimento al testo biblico. Le prime scoperte in Assiria ad opera di archeologi britannici e francesi danno origine ad una disputa assai virulenta, che si acutizza nella conferenza tenuta dal tedesco Franz Delitzsch il 13 gennaio del 1902 con il titolo, accattivante e provocatorio allo stesso tempo, “Babele e la Bibbia”. Nei primi anni del XX secolo l’argomento è ancora di forte interesse e si confrontano differenti posizioni: da un lato vi sono coloro che mantengono il testo biblico come essenziale punto di riferimento per comprendere le recenti scoperte archeologiche e testuali ed inserirle in un preciso quadro storico, e si propongono di dimostrare in maniera scientifica che le notizie storiche sui popoli dell’Oriente antico riportate dalla Bibbia sono sempre attendibili; dall’altro, vi sono invece coloro che vedono nelle nuove scoperte delle civiltà dell’Oriente antico l’originale testimonianza di una tradizione storica più antica che è in seguito confluita nei racconti della Bibbia, con conseguenti trasformazioni e riadattamenti storici e teologici. Le vestigia archeologiche di città citate nella Bibbia e la decifrazione dei testi cuneiformi ritrovati in Assiria alimentano il dibattito sulla “verità” storica del testo biblico. Particolarmente rilevanti sono a questo proposito quei testi mesopotamici che tramandano il racconto del diluvio universale, della creazione del mondo, tutti argomenti trattati nel libro della Genesi.
La Torre di Babele si inserisce pienamente in questa accesa discussione e si cerca la prova archeologica della sua esistenza per poter affermare che la Bibbia ha ragione. Fin dalle prime esperienze di viaggiatori, ogni anomalia del terreno dell’antica Mesopotamia è vista come la vera testimonianza della Torre di Babele: dal momento che le ziqqurat caratterizzano il paesaggio degli antichi insediamenti della Mesopotamia fin dal III millennio a.C., la frequente scoperta di una torre è notizia che nel XIX secolo appare frequentemente anche perché i visitatori europei partono con il loro bagaglio di credenze, di certezze ed immagini che in Europa circolano oramai da secoli. L’italiano Pietro Della Valle visita Babilonia nel 1616 e ivi effettua il primo scavo archeologico in Oriente su quelle che egli considera essere le rovine della mitica torre. Nel 1818, il britannico Robert Ker Porter si reca a Borsippa e si sente sicuro di affermare che le rovine di Birs Nimrud sono “la vera torre di Babele”. Le relazioni di questi viaggiatori suscitano fantasie ed elucubrazioni. Si scatena, soprattutto nell’Ottocento, nel cosiddetto periodo dell’orientalismo, una rincorsa alla rappresentazione della mitica ziqqurat di Babilonia e in generale della forma delle città dell’Oriente antico. Si riflette allo stesso tempo sulle civiltà che le hanno fondate e popolate, con opinioni e valutazioni sulla condotta morale e civile dei despoti e sui costumi in uso che tendono a mettere in risalto i difetti e le perversioni di un Oriente che, non ancora conosciuto nella sua realtà, è rappresentato attraverso stereotipi. Le stesse pubblicazioni archeologiche riproducono i monumenti e i luoghi dei ritrovamenti con lo stesso linguaggio visuale dei quadri dei pittori orientalisti che illustrano fantasiosamente l’Oriente.
Ma la vera torre di Babele viene scoperta dagli archeologi tedeschi che, nel 1899, danno inizio all’esplorazione del sito di Babilonia. Rispetto al vicino tempio dell’Esagila del dio Marduk, la celeberrima torre Etemenanki è nota solo nelle tracce lasciate sul terreno, dal momento che i materiali sono stati depredati e riutilizzati per costruzioni di epoche successive.
Il testo cuneiforme, denominato Tavoletta dell’Esagila, ora conservato al Museo del Louvre di Parigi, dà le dimensioni e l’aspetto dell’edificio. L’argomento riguardante la ziqqurat di Babilonia occupa la maggior parte del testo: l’Etemenanki (casa che è fondamento del cielo e della terra) è descritta come una torre di sette piani, con un tempio costruito sulla sommità. Il testo indica le dimensioni dell’intera ziqqurat e del tempio al settimo piano e cita la presenza di un letto e di un trono, tra gli arredi cultuali, all’interno della stanza. Lo stesso Erodoto, nel libro primo delle sue Storie, menziona l’esistenza di un letto. La descrizione del testo cuneiforme, con l’indicazione della forma della torre composta di piani sovrapposti, corrisponde ad alcune rappresentazioni di torri così come appaiono su un sigillo cilindrico della seconda metà del II millennio a.C., ritrovato a Babilonia stessa durante gli scavi dell’archeologo tedesco Robert Koldewey. Il testo del Louvre e le raffigurazioni antiche di queste torri templari dimostrano come l’immaginazione dei viaggiatori e di quanti hanno tentato una raffigurazione della mitica torre di Babele non corrisponda al vero, e che tutte le ricostruzioni sono il frutto di congetture, basate su suggestioni desunte dall’architettura islamica, particolarmente inattendibili per quanto riguarda gli alzati, le coperture, le finestre, tutti aspetti poco noti dell’architettura dell’Oriente antico, ancora oggi oggetto di dibattito e discussione.
La creazione dell’immagine della mitica torre ancora affascina scrittori e artisti del Novecento con continue sovrapposizioni ideologiche e sentimenti che si stratificano nel tempo. La suggestione dell’antico è ancora riconoscibile negli anni Venti e Trenta del Novecento, quando si costruiscono le torri moderne, i grattacieli, che spesso, nelle forme e negli elementi decorativi, richiamano la torre di Babilonia, o almeno l’aspetto che gli archeologi pensano abbia avuto. Grazie al mito della Torre, la città di Babilonia sopravvive oltre il suo tempo.