Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La caduta di Costantinopoli nelle mani di Maometto II lascia vacante il titolo imperiale di Costantino. Questa eredità verrà rivendicata da esuli greci, da monarchi occidentali, e soprattutto dal principato di Mosca, giovane Stato ortodosso destinato a un’ascesa irresistibile. Un importante innesto dinastico e una raffinata ideologia imperiale di chiara derivazione bizantina contribuiscono all’identificazione di Mosca con la Terza Roma.
Gli epigoni greci e occidentali
Dopo il fallimento del piano di “salvataggio occidentale” di Bisanzio, che mira a salvare dalla conquista turca di Costantinopoli almeno il titolo imperiale romano trasferitovi da Costantino il Grande (285 ca. - 337) più di mille anni prima, e a ricongiungere la Prima e la Seconda Roma in un’unica entità di diritto, costituendo in Morea un rifondato Stato bizantino in cui cattolicesimo e ortodossia coesistano mediante la piattaforma confessionale mista allestita da Bessarione (1403-1472) nel 1439 al concilio di Firenze, riconfermata a Costantinopoli poco prima della sua caduta, la rivendicazione dell’eredità romana da parte del conquistatore Maometto II (1430-1481) viene contestata e contesa tra diversi e per più versi legittimi ancorché deboli pretendenti.
In primo luogo, rimangono gli ultimi epigoni delle grandi dinastie: Teodora Comnena (XV sec.; meglio nota come Despina Chatun), nipote di David II di Trebisonda (1408-1463) e moglie del capo turcomanno Uzun Hasan (1423-1478), dominatore della Persia, dalla corte di Tabriz continua per lunghi anni a stimolare il marito ad intraprendere azioni di disturbo e una vera e propria guerra contro Maometto II, intrecciando al contempo una fitta rete di relazioni con le potenze occidentali, soprattutto Venezia, in funzione antiottomana. I suoi tentativi, tuttavia, si rivelano tutto sommato fallimentari.
Identico destino spetta a Tommaso Paleologo (1409-1465), ultimo despota di Morea, che muore a Roma nel 1465 ed i cui due figli, che pure erano stati affidati alle cure del “cardinale orientale” Bessarione, si rivelano presto irrequieti e insofferenti delle stesse istituzioni cattoliche che pure contribuiscono a mantenerli. Più tardi, Manuele (1455-1512) tornerà in Oriente ed accetterà un appannaggio dal sultano. Il primogenito Andrea (1453-1502), invece, rimane in Occidente, conducendo una vita da circulator (in greco agyrtes) e tentando più volte di ottenere finanziamenti in cambio della cessione dei suoi diritti ereditari una prima volta al re di Francia e la seconda, poco prima di morire (1502), a Ferdinando (1452-1516) e Isabella (1451-1504) di Spagna. Proprio in quegli anni non manca il tentativo di Massimiliano d’Asburgo (1459-1519), imperatore germanico, di rivendicare i propri diritti sull’Impero di Costantinopoli; e quando in Carlo V (1500-1558), nipote di Massimiliano e di Ferdinando, tali rivendicazioni si uniscono ai diritti ceduti da Andrea Paleologo, non mancano alcuni esuli greci in Occidente che salutano Carlo come “nuovo basileus” di Roma e di Costantinopoli.
Il mondo slavo e il principato di Mosca
L’Occidente tuttavia, per quanto permeato dalla riscoperta cultura ellenica e da sempre attratto dalla possibilità di recupero dell’eredità giuridico-istituzionale bizantina, si fa sempre più insensibile al lascito politico e ideologico del naufragato impero greco. Un lascito che invece sarà molto più vitale in area slava, dove ancora prima della caduta di Costantinopoli, per contrasto a una basileia sempre più tentata dall’unione con Roma, si va ipotizzando una sorta di translatio imperii sotto il segno della fede ortodossa. È stato per esempio notato come già lo zar bulgaro Ivan Alessandro (1331-1371) si atteggiasse a sovrano universale, successore se non sostituto di quello bizantino, e in particolare come, nella visione ufficiale, la modesta capitale di Tărnovo fosse concepita come una sorta di “Nuova Costantinopoli”: questa sorta di autarchia ideologica pare per certi versi prefigurare proprio la teoria della “Terza Roma”.
È comunque nell’ultima grande potenza ortodossa rimasta, il Principato di Mosca, che viene concepita e codificata la missione di ereditare e perpetuare il ruolo dell’impero cristiano fondato da Costantino. Il granduca Basilio I (1371-1425), già quando nel 1394-1397 l’accerchiamento turco sembra prospettare un’imminente caduta di Costantinopoli, proibisce di far menzione dell’imperatore bizantino nelle chiese del suo Stato e pronuncia la celebre frase: “Abbiamo una Chiesa, ma non un imperatore”. È notevole che la protesta a tale affermazione sia giunta dalla Chiesa stessa: il patriarca di Costantinopoli, Antonio, scrive infatti al granduca per ricordargli come Chiesa e Impero non possano essere separati, al punto che lo stesso Pietro nella prima epistola (2.17) afferma: “Temete Dio, onorate l’imperatore”.
Se la figura di un unico imperatore ecumenico e cristiano è indispensabile per l’ortodossia, una volta che il trono di Costantinopoli sia stato occupato da un sovrano islamico il ruolo di basileus è destinato a rimanere vacante: il principato di Mosca è predestinato ad assumerlo. Con Ivan III (1440-1505) è rapidissima l’evoluzione istituzionale (successione per primogenitura), politica (vaste annessioni territoriali, in particolare quella di Novgorod) e ideologica (assunzione del titolo imperiale di czar, “cesare”) verso la formazione di un grande impero autocratico ortodosso che dovrà sostituirsi a Bisanzio una volta caduta. Già in quest’epoca, fra l’altro, il gran principe di Mosca si fregia del titolo di groznyj, “temibile”, un rimando alla sfera ideologica tipica dell’autocrazia bizantina, in cui il sovrano, vicario di Dio sulla terra, ne assume gli attributi giuridico-sacrali: il concetto occidentale più vicino a quello di groža è senz’altro quello di maiestas ed è questo il vero senso oltreché l’origine dell’appellativo con cui è noto Ivan IV (1530-1584), non certo un riferimento al temperamento sanguinario del sovrano, come in seguito la vulgata storiografica tenderà erroneamente a percepirlo.
Le nozze di Zoe Paleologina e Ivan III
Su questa base ha luogo un cruciale innesto dinastico. Con l’occulto patrocinio diplomatico e lo strenuo sostegno politico-finanziario di Bessarione, rimasto, dalla sua opportuna postazione romana, il vero e proprio esecutore testamentario dell’eredità di Bisanzio, nel 1472 a Mosca sono celebrate le nozze tra Ivan III e Zoe Paleologina (1455-1503), figlia del despota Tommaso, che è così designata a trasfondere il sangue e trasmettere il titolo imperiale degli ultimi imperatori di Costantinopoli a una nuova dinastia regnante.
Nonostante a volte si affermi il contrario, Zoe non è affatto giunta in Russia a mani vuote, ma può anzi fruire della cospicua dote che Bessarione le ha procurato, a garanzia del patto dinastico, letteralmente prosciugando i fondi destinati all’ormai tramontata “guerra santa contro i Turchi”. Una volta a Mosca, riabbraccia senza esitazioni la confessione ortodossa che formalmente nell’adolescenza romana è stata chiamata dal suo tutore Bessarione ad abbandonare, e secondo questo rito sono celebrate le nozze. Anche in seguito non mancheranno viaggiatori e diplomatici occidentali che la dipingeranno come una donna intelligente e astuta, che in più di un’occasione è stata in grado di influenzare il marito.
È in effetti dopo quel matrimonio che lo czar, oltre a adottare un fastoso cerimoniale di corte direttamente ricalcato su quello costantinopolitano, assume come proprio durevole simbolo l’aquila bicipite, antica insegna imperiale bizantina, e nel 1492 viene salutato dal metropolita Zosimo (?-1494) come “sovrano ed autocrate di tutta la Russia, il nuovo imperatore Costantino della nuova città di Costantino, Mosca”. Alla morte di Ivan III, nel 1505, è Zoe (o Sofija, come è stata ribattezzata a Mosca) ad imporsi nelle lotte dinastiche che seguono, ponendo sul trono il proprio figlio Vasilij (1479-1533) a scapito di Dimitrij (1483-1509), figlio di primo letto del defunto Gran Principe. Vasilij e i suoi discendenti, del resto, non mancheranno di adottare il nome di Paleologo nella propria titolatura ufficiale.
L’idea della Terza Roma
La teorizzazione vera e propria del passaggio dell’eredità dell’impero universale ortodosso da Bisanzio a Mosca si trova in due celebri lettere attribuite a Filofej di Pskov: l’epistola “con la confutazione delle predizioni astrologiche di Nikolaus Bülow e con l’esposizione dell’idea della Terza Roma” e quella “sulla terza Roma, sui doveri di chi la governa, sul rituale del segno della croce”.
A portare a maturazione definitiva quell’idea, in tutti i suoi aspetti teorici e pratici, sarà il nipote di Zoe (Sofia), Ivan IV Groznij, nelle ancora più note lettere al principe ribelle Andrej Kurbskij (1528-1583). Nella prima, scritta il 5 luglio del 7072 secondo il calendario bizantino (1564 secondo il calendario giuliano), Ivan manifesta “il volere di questa sovranità autocratica” rivendicando al proprio trono il diritto imperiale romano di Costantino, “primo imperatore nella pietà”, e “di tutti i sovrani ortodossi” di Bisanzio, che “simili ad aquile hanno percorso l’ecumene”. È stato per volontà di Dio che l’impero russo ha ereditato quest’unico “potere autocratico veramente ortodosso” dopo la caduta di Costantinopoli: una prima volta nel 1204, ad opera dei crociati, “ma poi Michele Paleologo scacciò i Latini e creò nuovamente un regno, insignificante per forze, che esistette fino allo zar Costantino soprannominato Dragazes. Ai tempi di costui apparve, per i nostri peccati, l’empio Maometto, che spense la potenza greca e […] non ne lasciò traccia alcuna.” Fu appunto allora che “la scintilla della retta fede giunse infine all’impero russo.” Si tratta di una lucida ripresa della dottrina bizantina dell’autocrazia di diritto divino, espressa già all’inizio del IV secolo nelle Laudes Constantini di Eusebio di Cesarea (265 ca. - 339) e poi ulteriormente ribadita nel VI, in piena età giustinianea, nei Capitoli parenetici di Agapeto (“Dio ha dato al sovrano lo scettro del potere in terra, a somiglianza del Suo potere nei cieli”). Scrivendo al riottoso Kurbskij, Ivan IV ha buon gioco a affermare che “chi si oppone a un potere come il nostro a maggior ragione si oppone a Dio”, poiché “il potere è dato da Dio”. È grazie a questa ripresa letterale della più antica ideologia statale di Bisanzio che Ivan IV, reprimendo le tentazioni “feudali” e le tendenze centrifughe rappresentate dal potere dei boiari, riorganizza l’amministrazione della Russia intorno alla corte di Mosca-Terza Roma, secondo i dettami dello statalismo centralista bizantino, e pone le basi per la nascita della Russia moderna.