Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel Quattrocento il genere storiografico si caratterizza per una metodologia innovativa, riassumibile nella ricerca e nella selezione delle fonti, e per una versatilità nelle tipologie narrative, che adattano spesso i modelli ripresi dagli autori antichi con forme della tradizione volgare derivate dalla letteratura medievale. Flavio Biondo si distingue per l’acribia critica, Lorenzo Valla per la rivalutazione gnoseologica della storia. I cancellieri della Repubblica fiorentina, Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini, riprendono il modello liviano per narrare la storia del popolo fiorentino.
Tra innovazione e tradizione
Leonardo Bruni
Sul declino di Roma
Historiae Florentini populi
Declinationem autem romani imperii ab eo fere tempore ponendam reor quo, amissa libertate, imperatoribus servire Roma incepit. Etsi enim non nihil profuisse Augustus et Traianus, etsi qui fuerunt alii laude principes digni videantur, tamen, si quis excellentes viros primum a C. Iulio Caesare bello, deinde ab ipso Augusto triumviratu illo nefario crudelissime trucidatos; si postea Tiberii saevitiam, Caligulae furorem, Claudii dementiam, Neronis scelera et rabiem ferro igneque bacchantem; si postea Vitellios, Caracallas, Heliogabalos, Maximinos et alia huiusmodi monstra et orbis terrarum portenta reputare voluerit, negare non poterit tunc romanum imperium ruere caepisse, cum primo caesareum nomen, tanquam clades aliqua, civitati incubuit. Cessit enim libertas imperatorio nomini, et post libertatem virtus abivit.
Ma io credo che il declino dell’impero romano sia cominciato nel momento in cui Roma, persa la libertà, cominciò a servire gli imperatori. E sebbene Augusto e Traiano a qualcosa pur giovarono, e loro e alcuni altri sembrassero degni di fama, tuttavia, se si tien conto che i migliori uomini furono orribilmente trucidati prima in guerra da Giulio Cesare, poi da Augusto al tempo dello scellerato triumvirato; e se poi si considera le crudeltà di Tiberio, il furore di Caligola, la follia di Claudio, i delitti di Nerone e la sua rabbia che si sfogava nel ferro e nel fuoco; se, ancora, si pon mente ai Vitelli, ai Caracalli, agli Eliogabali, ai Massimini e agli altri mostri del genere e portenti della terra, non si potrà certo negare allora che la civiltà romana cominciò a declinare non appena il nome di Cesare, come una rovina, piombò su Roma. La libertà cedette infatti di fronte alla dignità imperiale, e dopo la libertà se ne andò anche la virtù.
in Il Quattrocento, trad. it. di A. Severi, a cura di G. Ponte, Bologna, Zanichelli, 1966
Vespasiano da Bisticci
Elogio a Messer Palla di Nofri Strozzi
Vita di Palla di Noferi Strozzi
Ritornando a messer Palla, egli fu modestissimo cittadino, e nel suo conversare nella città, e in quello ebbe a fare nel reggimento; e attese fuggire la invidia quanto egli potè sapiendo quanto ella era perniziosa in una città, e massime quanto seguitava gli uomini della qualità era messer Palla. Fuggiva assai l’andare in publico; in Piazza non andava mai, se non era mandato per lui, né in Marcato Nuovo. Nell’andare in Piazza, per fuggire la invidia, se ne veniva da Santa Trinita, e volgeva dal Borgo Santo Apostolo, e veniva in Piazza; e giunto, non vi si fermava, ma subito entrava in Palagio. Il tempo lo stimava assai; e non andava vagando su per le piazze, ma, subito giunto a casa, attendeva a studiare o in greco o in latino, e mai non perdeva tempo. Fu messer Palla adoperato in tutte le degnità della città, come è detto, e fuori della città e nella città. Sendo affezionatissimo alle lettere, sempre tenne iscrittori in casa e fuori di casa, de’ più begli che fussino in Firenze, così in latino, come in greco; e quanti libri poteva avere, tutti gli comperava in ogni facultà con intenzione di fare una degnissima libreria in Santa Trinita, e murarvi uno bellissimo sito; e voleva che ella fussi publica, che ognuno ne potessi avere comodità, e facevala in Santa Trinita, perché è nel mezzo di Firenze, luogo molto accomodato a ognuno; e in questa libreria sarebbono istati libri d’ogni facultà, così sacri come gentili, e non solo in latino, ma in greco. Vennono i casi sua, e non potè seguitare quello aveva disegnato.
in Prosatori volgari del Quattrocento, a cura di C. Varese , Milano-Napoli, Ricciardi, 1955
Il Quattrocento è un secolo di grandi innovazioni sul versante storiografico, tanto per la critica delle fonti quanto per lo sperimentalismo nelle modalità narrative. Da un lato la ricca “galassia” di generi storiografici desunti dai modelli classici (historiae, annali, commentarii, vite di personaggi illustri) si ibrida spesso con la novellistica, l’aneddotica, la facezia, generi di più vicina ascendenza medievale; dall’altro, nella selezione delle fonti e nel modo di trattarle, si assiste a una netta discontinuità col passato due-trecentesco.
Prendendo infatti le distanze dalla tradizione delle cronache medievali, basate su un’indistinta messe di fonti orali e scritte, che procedevano spesso per giustapposizione di fatti raccontati anno dopo anno, la storiografia umanistica, nei suoi esponenti più alti, si distingue per una ricerca di nuove fonti e per il loro attento vaglio critico, che trova i massimi ispiratori, oltre che negli storici latini, anche in quelli greci che si vanno scoprendo e traducendo (Senofonte, Tucidide, Erodoto). E proprio perché da questi era partita la fama eterna dei grandi condottieri del passato e dei loro popoli, i signori delle corti promuovono gli umanisti al rango di storiografi di corte, affidando loro il tramando storico del potere e dei suoi fasti e una giustificazione della loro condotta.
Un nuovo metodo: erudizione e antiquaria in Flavio Biondo
Incontrastato protagonista della rigorosa ricostruzione del passato su base documentaria è il forlivese Flavio Biondo, un “manovale della ricerca” che ci ha consegnato nelle sue opere erudite la più meticolosa ricostruzione della Roma antica e dell’Italia nel periodo medievale, oltre ad aprire vie nuove in svariate direzioni, dalla storiografia all’archeologia, dalla topografia alla toponomastica, dalla geografia storica all’antiquaria.
Nelle Historiarum ab inclinatione Romani imperii decades (1453), svincolandosi dalle strettoie della cronachistica medievale e assumendo il modello annalistico dello storico Tito Livio, Biondo ricostruisce in 32 libri la storia medievale partendo dalla sua età (1441) e procedendo a ritroso per più di 1000 anni, fino al 410, anno in cui i Goti di Alarico avevano invaso Roma dando inizio al “barbaro” Medioevo.
Contrariamente all’umanista Leonardo Bruni, per cui i “700 anni” di barbarie medievali sono da rimuovere, Biondo sente l’età moderna come la continuazione di un divenire storico di cui l’età di mezzo è parte costitutiva, e la cui conoscenza risulta dunque indispensabile per un’esatta comprensione dell’Antichità. Nella Roma instaurata (1446), dedicata a Eugenio IV, Biondo ricostruisce meticolosamente l’aspetto urbanistico e architettonico di Roma antica.
Nella Roma triumphans (1457-1459), invece, Biondo illustra le istituzioni sulle quali si è fondata la grande civiltà romana che, secondo un mito espresso anche da Lorenzo Valla nel proemio alle sue Elegantiae, è stata in grado di sviluppare con le popolazioni assoggettate rapporti positivi e non di pura dominazione. Ma il capolavoro del Biondo, su cui per secoli, anche in età moderna, si è ricostruita la storia della nostra penisola per i periodi più sconosciuti, è l’Italia illustrata (1448-1453), la prima geografia storica della penisola italiana: si tratta di un enorme manuale contenente, per ognuna delle 18 regioni, informazioni di ogni tipo (geografiche, naturali, storiche, letterarie), sempre ancorate all’autorità di fonti scritte, per sfrondare con spirito razionalistico le credenze popolari che si erano affermate lungo i secoli nelle singole città.
Storiografia e vita civile: Firenze e Venezia
Si distinguono per un innovativo spirito critico, ma risentono anche del peculiare clima civile di Firenze e del ruolo ivi ricoperto dai loro autori, le storie della città di Firenze scritte dai segretari della Repubblica. Prendendo da Giulio Cesare il modello storiografico in cui narrare i fatti della storia recente, Leonardo Bruni scrive le vicende dei suoi tempi nel Commentarius rerum suo tempore gestarum; come novello Tito Livio, invece, egli riprende il modello annalistico per raccontare, nelle sue Historiae florentini populi, i fatti accaduti dalla fine della Repubblica romana all’anno 1403. Tale opera gli permette di dare voce, questa volta in un lavoro di ampie proporzioni, al suo “credo” civile che vuole Firenze l’erede della libertas repubblicana dell’antica Roma.
L’intento ricostruttivo della verità storica si coniuga in quest’opera con le esigenze celebrative della città di Firenze che, da libera repubblica, nel 1434, diventa, sotto Cosimo de’ Medici, un “principato civile”. Il dono della prima parte della sua opera al nuovo signore, nel 1439, può intendersi anche come un monito di Bruni al dedicatario, affinché non pregiudichi col suo operato le peculiari tradizioni libertarie della città.
A questa storia improntata al modello oligarchico segue quella del celebre umanista Poggio Bracciolini, che ricopre l’incarico di cancelliere negli ultimi cinque anni della sua vita. Le sue Historiae florentini populi rappresentano un monumento alla politica del sovrano Cosimo de’ Medici: gli otto libri narrano infatti della secolare guerra politica e culturale, che, dalla metà del Trecento, oppose Firenze a Milano, concludendosi solo alla metà del Quattrocento con l’estinzione della dinastia milanese dei Visconti e l’instaurarsi della famiglia Sforza, favorita proprio da Cosimo. La firma della pace di Lodi (1454), sottoscritta da tutti i potentati italiani, apre un periodo di pace fortemente voluto dal signore di Firenze.
Per la tradizione volgare vanno almeno ricordate le Istorie fiorentine di Giovanni Cavalcanti, cariche di un pathos accentuato dalla carica espressionistica della lingua volgare. Suddivise in due libri (il primo scritto in gran parte nel carcere delle Stinche dove l’autore si trovava recluso per debiti), esse accolgono, caso non raro nella produzione umanistica, una doppia e antitetica prospettiva ideologica: nella prima parte, infatti, Cosimo è esaltato come salvatore della patria contro i perfidi nemici milanesi, mentre nella seconda il signore è visto come nemico della libertà e aspirante alla tirannide.
Anche l’altra grande repubblica, quella di Venezia, cerca in una storiografia ufficiale una fonte di legittimazione del proprio potere. Dopo il diniego di Valla a divenire “cantore” delle sue gesta, il senato veneziano trova in Marcantonio Coccio, detto il Sabellico, lo storiografo della Repubblica. Nel 1487 egli presenta i suoi Rerum Venetorum ab urbe condita libri XXXIII, fortemente impostati in senso retorico e moralistico e in linea col programma “civile” del potentato veneto.
Il primato umanistico della storia e l’esemplarità morale degli uomini illustri
In questo intreccio di istanze culturali e politiche, fra storiografia, pubblicistica e retorica encomiastica, c’è spazio anche per alcune pagine ad alta densità programmatica, capaci di imprimere una svolta allo statuto e alla dignità dello scrivere di storia. La storiografia, considerata infatti da sempre un genere inferiore alla filosofia e alla poesia per l’ incapacità di cogliere i concetti universali, viene rivalutata da Lorenzo Valla, allora storiografo di corte di Alfonso il Magnanimo. Nel proemio dei suoi Gesta Ferdinandi regis (1445) l’umanista romano ribalta la gerarchia aristotelica dei saperi assegnando un primato conoscitivo alla storia; essa è considerata come la sola disciplina che, attraverso lo studio dei fatti e delle persone concrete, può portare a considerare i messaggi concettuali e universali di cui gli uomini insigni si sono fatti interpreti.
Filippo Buonaccorsi, detto Callimaco Esperiente, esporta il modello umanistico delle Historiae alla corte del re polacco: dopo essersi formato in ambiente romano, diventa il più illustre umanista alla corte di Varsavia, componendo, fra le tante opere, una Historia de rege Vladislao, in cui narra le imprese del suo signore.
In ambiente curiale spicca per originalità e freschezza espositiva l’interpretazione che Enea Silvio Piccolomini, assurto al soglio pontificio col nome di Pio II, dà del genere Commentarius. I suoi Commentarii rerum memorabilium quae temporibus suis contigerunt, iniziati per narrare le vicende ufficiali del suo pontificato, risultano alla fine un avvincente diario dove ci si può imbattere nella cronaca, condotta con piglio realistico, di feste, gite, viaggi, incontri, ritratti introspettivi di personaggi storici. La storia minuta e quotidiana narrata da un protagonista della grande Storia, insomma, che non manca di tetri spaccati sulle logiche di potere.
Fra queste brillanti riproposizioni di generi storiografici consegnati dall’Antichità si deve inserire anche quello delle biografie di personaggi illustri, sul modello di Plutarco e Svetonio (69 ca. - 140 ca.). In ambito curiale il primo prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, Bartolomeo Sacchi detto il Platina, compone, su stimolo di Sisto IV, il Liber de vita Christi ac omnium pontificum (1472-1475), rifacimento umanistico di un’anonima raccolta di biografie papali, il Liber pontificalis, revisionato sia per quanto riguarda l’uso di alcune fonti, sia per una più raffinata elaborazione stilistico-retorica. Sempre a Firenze, invece, il cartolaio Vespasiano da Bisticci, terminata nel 1482, con l’avvento della stampa, la sua attività di infaticabile artigiano di codici manoscritti allestiti per una clientela internazionale, comincia a scrivere, in un umile volgare, le Vite (103 in totale) dei protagonisti del Quattrocento, con molti dei quali aveva avuto stretti contatti e poteva dunque considerarsi egli stesso una fonte diretta foriera di saporiti aneddoti.