La seconda rivoluzione scientifica: matematica e logica. La teoria degli insiemi
La teoria degli insiemi
La teoria degli insiemi è universalmente considerata, nella sua concezione e impostazione alla fine dell'Ottocento, opera di una sola persona, Georg Cantor (1845-1918), ma la sua accettazione da parte della comunità matematica non è stata immediata. Nel 1900 è pubblicata la prima esposizione sistematica generale della teoria, un rapporto commissionato dalla società matematica tedesca ad Arthur Schönflies (1853-1928). Precedentemente erano apparse alcune esposizioni parziali e Cantor nel 1897 aveva pubblicato la seconda parte della sua sintesi, i Beiträge zur Begründung der transfiniten Mengenlehre (Contributi per la fondazione della teoria degli insiemi transfiniti).
Schönflies spiega come la motivazione iniziale della teoria sia da ricercare nel tentativo di chiarificazione dei due concetti di argomento, o variabile indipendente, e di funzione. Il primo era storicamente legato al concetto intuitivo del continuo geometrico, mentre nella matematica moderna l'argomento può variare su insiemi di valori o di punti qualunque. Per quel che riguarda il concetto di funzione, Schönflies traccia a grandi linee la sua evoluzione ottocentesca, partendo da Jean-Baptiste-Joseph Fourier (1768-1830) e dalla sua affermazione che una funzione arbitraria può essere rappresentabile da una serie trigonometrica, passando poi alla definizione di Gustav Peter Lejeune Dirichlet (1805-1859), secondo cui, detto in breve, il concetto generale di funzione è equivalente a quello di una Tabelle arbitraria. Schönflies ricorda quindi l'esempio fornito da Georg Friedrich Bernhard Riemann (1826-1866) di una funzione rappresentabile analiticamente ma discontinua in ogni punto razionale e continua in ogni punto irrazionale e come tale esempio abbia messo i matematici di fronte a possibilità per fondare le quali le rappresentazioni disponibili non erano sufficienti. Schönflies indica così uno dei motivi di interesse dell'insiemistica, quello di fornire un linguaggio adeguato alla maggior generalità della matematica contemporanea.
Lo studio delle funzioni richiedeva quindi di indagare la struttura di insiemi infiniti di punti e le loro proprietà, per dominare le quali erano necessari nuovi concetti; formulandoli Cantor portò gli insiemi infiniti sotto il dominio delle formule e delle leggi matematiche. Il secondo motivo di importanza della teoria degli insiemi è lo studio degli insiemi di punti, con ramificazioni nella topologia.
Prima di Cantor l'infinito era usato soltanto nel modo potenziale, per i limiti, o allusivo; sviluppando sistematicamente il concetto di potenza, sia pure intravisto da altri, come Jakob Steiner (1796-1863), Cantor rese la teoria degli insiemi una vera e propria disciplina.
Nello stesso 1900, al Congresso internazionale dei matematici di Parigi, David Hilbert (1862-1943) apriva la sua famosa lista di problemi con "il problema di Cantor del numero cardinale del continuo: ogni sistema di infiniti numeri reali [...] è o equivalente all'insieme dei numeri interi o equivalente all'insieme di tutti i numeri reali, e perciò al continuo [...]; rispetto alla equivalenza, ci sono perciò solo due insiemi di numeri, il numerabile e il continuo". Il problema di Hilbert evidenzia il terzo motivo di interesse della teoria, intesa come particolare teoria matematica dedicata allo studio dei cardinali infiniti.
La fecondità del nuovo campo di studi è testimoniata dall'interesse degli analisti e dal loro contributo al suo sviluppo. Due anni prima del rapporto di Schönflies era stato pubblicato il libro di Émile Borel (1871-1956), Leçons sur la théorie des fonctions. L'intenzione di Borel era quella di esporre la teoria delle funzioni ma, per non limitarsi alla parte classica, era necessario presentare "in modo elementare, certe ricerche che, benché relativamente recenti, assumono ogni giorno che passa un'importanza più considerevole", quelle della teoria degli insiemi.
Nel libro di Borel sono trattati innanzitutto gli insiemi numerabili e si dimostra che l'unione di una infinità numerabile di insiemi numerabili è numerabile, che un sottoinsieme infinito di un insieme numerabile è numerabile e che togliendo a un insieme infinito un insieme numerabile si ottiene un insieme della stessa potenza di quello di partenza. Sono tutti risultati dovuti a Cantor, come pure la proprietà che l'insieme dei numeri reali non è numerabile. Per gli insiemi che hanno la potenza del continuo vale che l'unione di un'infinità numerabile di tali insiemi ha ancora la potenza del continuo, e lo stesso vale addirittura per l'unione di una infinità che abbia la potenza del continuo.
Sempre a Cantor è dovuto il risultato, collegato, che il quadrato ha la stessa potenza del lato, una tappa miliare nello sviluppo della teoria della dimensione. Pure di Cantor sono le nozioni topologiche che Borel tratta nella seconda parte, insiemi densi, perfetti, ovunque non densi.
L'esposizione di Schönflies è sostanzialmente la stessa di Borel per quanto riguarda la teoria generale, un po' più estesa nella parte di topologia. Inoltre Schönflies tratta anche l'argomento degli insiemi ordinati, e dei tipi d'ordine e di buon ordine, cioè la teoria degli ordinali, che Cantor aveva appena presentato nell'esposizione del 1895-1897. La teoria degli insiemi ordinati come teoria di interesse autonomo fa così il suo ingresso nella matematica.
La seconda classe di ordinali è la classe dei buoni ordini degli insiemi numerabili (la prima è quella degli insiemi finiti); la cardinalità di questa classe è più che numerabile, anzi la prima non numerabile, e si indica con il simbolo ℵ1 (aleph uno). Lo studio della successione transfinita degli ℵ, al momento in cui Schönflies scrive, è ancora poco sistematico, per mancanza di esempi di insiemi bene ordinati di qualsiasi cardinalità. Potrebbe soccorrere un'affermazione di Cantor, che egli riteneva una legge del pensiero, secondo cui "è sempre possibile mettere ogni insieme ben definito nella forma di un insieme bene ordinato"; tale affermazione però non è dimostrata e nei suoi confronti Schönflies manifesta i propri dubbi, per le grandi conseguenze che avrebbe.
Una conseguenza positiva sarebbe quella di legittimare la pretesa di Cantor di avere introdotto un concetto di numero infinito, per la quale è necessario che la relazione di grandezza relativa soddisfi quello che ci si aspetta dalla generalizzazione del caso finito. Tra i molti problemi aperti, uno era appena stato risolto, con la dimostrazione di Felix Bernstein (1878-1956) di quello che è oggi noto come teorema di Cantor-Schröder-Bernstein. Questo teorema afferma che l'ordinamento tra i cardinali è antiriflessivo. Un problema ancora aperto e ineludibile è quello della linearità, o totalità, di tale ordine, cioè della confrontabilità delle potenze di due insiemi qualunque. Il problema è noto come problema della tricotomia, perché ammette per due cardinali solo tre possibilità, che siano uguali o uno minore dell'altro. Cantor aveva lungamente cercato di dimostrare tale risultato ma ogni tentativo sembrava basarsi su un processo di assegnazione di elementi a elementi dei due insiemi dati, che fosse prima o poi esaustivo, e doveva quindi necessariamente proseguire all'infinito con successive scelte degli elementi da assegnare nella corrispondenza.
La confrontabilità di ogni insieme era equivalente all'affermazione che ogni cardinale fosse un ℵ, cioè ogni insieme equipotente a un insieme bene ordinato. Cantor per un certo periodo aveva pensato che questo fosse vero, nonché dimostrabile, successivamente aveva iniziato a dubitarne.
Tuttavia c'era anche chi era di avviso contrario, addirittura fermamente convinto dell'opposto, per esempio nel caso dell'insieme dei numeri reali, probabilmente per una sorta di ripugnanza a deformare in modo così totale l'ordine naturale dei reali.
Il problema del buon ordinamento introduce un altro aspetto della teoria degli insiemi, vista come un laboratorio di pensiero, alla ricerca delle leggi valide per la trattazione dell'infinito. La questione porterà alla formulazione assiomatica della teoria, ma inizialmente le discussioni si concentrarono sul buon ordinamento e sulle contraddizioni che emergevano in alcune sue parti della teoria.
Al Congresso di Heidelberg del 1904, Julius König (1849-1913), basandosi su una formula di aritmetica cardinale appena dimostrata da Bernstein, dedusse una contraddizione dall'ipotesi che la cardinalità del continuo sia un ℵ. Nel corso dello stesso congresso, ci si accorse che la formula utilizzata da Bernstein non aveva la validità generale che König le attribuiva. La dimostrazione portava tuttavia a un risultato ancora oggi interessante, uno dei pochi che si riescono a dimostrare sulla cofinalità della cardinalità del continuo. König pubblicò una diversa confutazione della buona ordinabilità del continuo, che era basata sulla nozione di definibilità: l'insieme, necessariamente numerabile, dei reali definibili possiede un complemento non vuoto e, qualora il continuo fosse bene ordinabile, allora il primo elemento non definibile sarebbe perfettamente individuato come primo elemento di questo insieme e si presenterebbe dunque come qualcosa di contraddittorio.
Nello stesso 1904 Ernst Zermelo (1871-1953) propose la sua dimostrazione che ogni insieme può essere bene ordinato, facendo appello a un principio, che enuncia nel modo seguente: per ogni famiglia non vuota T di insiemi non vuoti esiste una funzione definita su T tale che f(A)∈A per ogni A. Tali funzioni, oggi dette funzioni di scelta, sono chiamate ricoprimenti. Secondo Zermelo, è stato Erhard Schmidt (1876-1959), in conversazioni private, a suggerirgli che, assumendo l'esistenza di tali ricoprimenti, si poteva prendere un arbitrario ricoprimento come base per il buon ordine. La dimostrazione consiste in una fusione dei vari possibili buoni ordini parziali, collegati da un ricoprimento dato. Dal teorema Zermelo deduce che ogni cardinale è un ℵ, e quindi facilmente la tricotomia e la legge principale sul prodotto, cioè che il prodotto di due cardinali infiniti è il massimo tra essi, prima dimostrazione corretta e soprattutto esplicita di questo fatto fondamentale.
A proposito del principio usato, che successivamente diventerà noto come 'assioma di scelta', Zermelo afferma che questo principio logico non può essere ridotto a uno ancora più semplice, ciononostante esso è utilizzato ovunque senza alcuna esitazione nelle deduzioni matematiche. L'assioma di scelta ha infatti una preistoria, che riguarda il suo uso inconsapevole e i primi barlumi di consapevolezza che esso fosse un nuovo principio di ragionamento. In alcuni argomenti sugli insiemi numerabili, elaborati dallo stesso Cantor, si dà per scontato che tali insiemi siano in corrispondenza biunivoca con i naturali; tuttavia nell'impostazione del problema la corrispondenza non è esplicita e di frequente non è esplicitabile.
In realtà Cantor non provava neanche a dimostrare queste affermazioni, che presentava come lemmi ovvi. In seguito, quando fornirà le dimostrazioni, egli si baserà sulle leggi dell'aritmetica cardinale, come ℵ0ℵ0=ℵ0, dove il riferimento alle corrispondenze viene mascherato dalle formule algebriche. Anche per dimostrare che ℵ1, inteso come insieme degli ordinali numerabili, ha potenza maggiore del numerabile, si usa nelle dimostrazioni più naturali il principio della scelta, e soltanto Friedrich Hartogs (1874-1943) nel 1915 ne fornirà una senza scelta.
Il principio di scelta non interviene solamente nei lavori classificati tecnicamente come lavori di teoria degli insiemi. Nel lavoro algebrico di Richard Dedekind (1831-1916) si trovano esempi notevoli del fenomeno per cui, lavorando su domini che sono di fatto bene ordinati, si introducono nozioni e si ottengono conclusioni che possono prescindere dall'assioma di scelta, ma che lo richiedono in domini che non siano bene ordinabili.
Un altro uso implicito delle infinite scelte è dovuto a Cantor e a Heinrich Eduard Heine (1821-1881), nella dimostrazione dell'equivalenza delle diverse nozioni di continuità, quella usuale e quella sequenziale. Un caso notevole e rilevante di uso inconsapevole dell'assioma di scelta è nascosto nel lavoro di Dedekind del 1888 sulla definizione della struttura dei numeri naturali, con la quale si viene a disporre di due definizioni di infinito. In quella usuale, acritica, 'infinito' è definito per negazione come 'non finito', mentre 'finito', a sua volta, viene prioritariamente definito come induttivo, o in corrispondenza con un numero naturale; secondo Dedekind 'infinito' è definito direttamente come riflessivo, e secondariamente il 'finito' come non riflessivo. L'equivalenza delle due definizioni richiede l'assioma di scelta. Il primo ad accorgersene fu Rodolfo Bettazzi (1861-1941), della scuola di Giuseppe Peano (1858-1932). Peano stesso, nel 1890, era stato uno dei primi a rifiutare esplicitamente il principio, scoprendo che, nella sua dimostrazione del teorema di esistenza di soluzioni per equazioni differenziali, la definizione di una successione sembrava richiedere l'assioma di scelta. Egli aveva modificato, in modo non semplice, la dimostrazione, allo scopo di evitare l'impiego di un principio di infinite scelte che non avrebbe permesso di formalizzarla, volendo, in una figura finita.
Sull'equivalenza delle definizioni di infinito intervenne anche Cesare Burali-Forti (1861-1931), che mostrò come fornirne una esplicitando la seguente assunzione: se S è una famiglia di insiemi non vuoti, S è equipotente a una sottoclasse dell'unione. Si tratta della prima formulazione di quello che sarà detto principio di partizione. Bettazzi accettò su questa base la definizione di Dedekind, senza accorgersi, così come Burali-Forti, che la formulazione è inaccettabile se non si aggiunge la condizione che gli insiemi della famiglia siano a due a due disgiunti; se ne accorgerà in seguito soltanto Bertrand Russell (1872-1970), con il controesempio di {1,2}, e {{1}, {2}, {1,2}}.
La dimostrazione di Zermelo del 1904 suscitò forti reazioni, che si possono raggruppare in tre categorie: quelle rivolte all'assioma di scelta in sé, quelle rivolte alla possibile presenza dell'antinomia di Burali-Forti nella dimostrazione e altre connesse con la definibilità. Nel 1908 Zermelo proporrà un'altra dimostrazione del teorema del buon ordinamento e risponderà alle obiezioni che gli erano state mosse nel frattempo.
L'antinomia di Burali-Forti consiste nell'osservazione che l'insieme W di tutti gli ordinali è bene ordinato e, quindi, esso stesso un ordinale che, come tale, dovrebbe essere prolungabile. Le critiche a Zermelo sono basate più che altro sul timore che il suo ragionamento possa assomigliare a quello con cui si cerca di legittimare la definizione di W, ma Zermelo ha buon gioco a confutarle. Di W si parla molto in quegli anni e lo si usa anche nelle dimostrazioni; si sa che è contraddittorio, ma questo non vuol dire che non lo si menzioni, per quanto non sia chiaro come modificarne la definizione. Philip Jourdain (1879-1919), per esempio, aveva proposto una sua dimostrazione che ogni cardinale è un ℵ, derivando una contraddizione tipo Burali-Forti dall'ipotesi che un dato cardinale sia più grande di tutti gli ℵ.
Zermelo aveva ben presenti le varie antinomie, compresa quella di Russell, che egli aveva scoperto indipendentemente, comunicandola a Hilbert, prima di Russell. è noto però che anche Cantor le aveva individuate, e aveva parlato di totalità inconsistenti, come quella di tutti i cardinali e di tutti gli ordinali. In una lettera a Hilbert del 1897, Cantor fa risalire al 1883 la consapevolezza di queste totalità intrattabili; per questo aveva distinto il transfinito dall'infinito assoluto e aveva poi proposto la definizione di Menge, come termine tecnico, per l'unificazione (Zusammenfassung) di una totalità in un oggetto del pensiero, operazione impossibile per l'assoluto.
La risposta di Zermelo a chi rifiuta il suo principio è quella di segnalare la sua presenza diffusa nei ragionamenti matematici. "Tale uso estensivo può essere spiegato solo con la sua auto-evidenza, che naturalmente non deve essere confusa con la dimostrabilità". A Peano soprattutto obietta che anch'egli aveva trovato i suoi assiomi analizzando i modi di ragionamento che nel corso della storia sono stati riconosciuti validi.
Tra coloro che rifiutano l'assioma, oltre a Peano si segnalano gli analisti francesi, contrari al principio in nome della definibilità, perché nell'assioma di scelta si afferma l'esistenza di un insieme che non si può definire. Le loro posizioni, che presentano sfumature anche rilevanti, diventano note con la pubblicazione di uno scambio di cinque lettere tra Borel, René-Louis Baire (1874-1932), Jacques-Salomon Hadamard (1865-1963), Henri-Léon Lebesgue (1875-1941).
Per Cantor, un insieme è 'dato' quando è intrinsecamente determinata l'appartenenza o meno di ogni oggetto all'insieme; con 'intrinsecamente' si allude a proprietà della definizione assolute e non dipendenti dai mezzi di cui si dispone al momento. Schönflies e Zermelo si appellano esplicitamente alla logica. Secondo Borel invece "noi diremo che un insieme è dato quando, con mezzi qualunque, se ne sa determinare gli elementi, l'uno dopo l'altro". Gli elementi devono essere calcolati esplicitamente, magari con una legge di ricorrenza. Tale condizione di calcolabilità viene meno con gli insiemi più che numerabili. Un insieme di potenza superiore al continuo, come l'insieme delle funzioni reali, "è logicamente definito; ma io mi domando se ne abbiamo una qualche concezione".
Sia Borel sia Lebesgue hanno sempre accettato senza discussione i lemmi di Cantor che richiedono l'assioma di scelta, almeno numerabile. Baire è più radicale e chiede l'esclusione dell'infinito attuale dalla matematica. Lebesgue si pone il problema se sia possibile dimostrare che un insieme è non vuoto senza nominare un suo elemento e fa vedere come le funzioni di scelta per sottoinsiemi della retta non possano essere sempre definibili. Lebesgue diventerà sempre più radicale, come Baire, fino a non accettare neppure l'assioma numerabile, anche dopo che era stato chiarito come fosse essenziale per la sua teoria della misura; senza l'assioma, non si può dimostrare che questa è numerabilmente additiva, e che estende quella di Borel.
La definibilità in quegli anni emerse tuttavia da altri contesti, quasi come una reazione ai discorsi troppo generali sugli insiemi arbitrari; dopo König, è venuta l'antinomia di Jules Richard (1862-1956), quella di G. Berry (1867-1928) e altre. L'antinomia di Richard consiste nel diagonalizzare l'insieme, numerabile, dei numeri definibili, ottenendo una definizione apparentemente legittima di un numero che non è nell'enumerazione di quelli definibili. Bernstein in seguito aveva dato una traccia per una dimostrazione dell'ipotesi del continuo basata sulla definibilità, ma Zermelo, osservando gli esiti contraddittori di tale nozione, la rifiutò.
I discorsi sulla definibilità ebbero una risonanza fondazionale ampia, provocando tra gli altri l'intervento di Jules-Henri Poincaré (1854-1912), che in alcuni scritti del 1905-1906 interpretò l'antinomia di Richard come una refutazione delle definizioni impredicative. Poincaré accetta l'assioma di scelta per le stesse ragioni di Zermelo ma, nella dimostrazione di quest'ultimo, rileva una tipica argomentazione impredicativa: nella definizione del buon ordine dell'insieme si fa riferimento alla totalità dei sottoinsiemi bene ordinati, che comprende quelli dell'insieme stesso. A Zermelo si deve la prima risposta classica all'obiezione: la precisazione e determinazione rigorosa della definizione non deve esser confusa con la creazione da parte della stessa di un oggetto necessariamente nuovo.
Nello stesso 1908, e come seguito naturale di queste discussioni, Zermelo riterrà necessario mettere ordine nei ragionamenti della teoria degli insiemi, come altri già avevano sollecitato (tra cui Burali-Forti; anche Cantor, in modo informale, in lettere degli anni Novanta, aveva in un certo senso discusso il problema, partendo dall'esistenza delle totalità inconsistenti).
La preoccupazione di evitare le antinomie è un aspetto predominante nel lavoro di Zermelo, ma egli menziona esplicitamente soltanto quelle allora dette ultrafinite: l'insieme di tutti gli insiemi, il massimo ordinale, il massimo cardinale, mentre le antinomie della definibilità non sono prese in considerazione, essendo ritenute non matematiche.
Nel manifesto di Zermelo, "la teoria degli insiemi è quella branca della matematica il cui compito è di indagare matematicamente le nozioni fondamentali di 'numero', 'ordine' e 'funzione', assumendole nella loro forma pristina, semplice, e sviluppando di lì i fondamenti logici di tutta l'aritmetica e l'analisi". I suoi assiomi sono proposti non in base a un'analisi logica o filosofica, ma partendo dalla teoria come è storicamente data, e facendo emergere i principî richiesti per stabilire i fondamenti di questa disciplina.
L'assiomatizzazione di Zermelo si presenta nella forma tipica di quella fase del metodo assiomatico; è svolta in un linguaggio intuitivo in cui si dice che i domini della teoria sono chiusi rispetto a condizioni espresse dagli assiomi. "La teoria degli insiemi riguarda un dominio di individui, che chiamiamo semplicemente oggetti, e tra cui ci sono gli insiemi"; la relazione fondamentale è quella di appartenenza e soltanto oggetti che hanno almeno un elemento si chiamano insiemi, con la sola eccezione dell'insieme vuoto. Definita la nozione di sottoinsieme, si passa agli assiomi: l'assioma di estensionalità per insiemi, quello degli insiemi elementari, il vuoto, l'insieme unitario o singoletto, la coppia. L'assioma cruciale è quello di separazione (Aussonderung): "Una questione o asserzione è detta definita se le relazioni fondamentali del dominio, per mezzo degli assiomi e delle leggi universalmente valide della logica, determinano senza arbitrarietà se vale o no". Analogamente una funzione proposizionale (Klassenaussage) è definita se lo è per ogni singolo individuo della classe su cui varia la sua variabile.
L'assioma di separazione afferma che, se una funzione proposizionale è definita per tutti gli elementi di un insieme M, allora esiste il sottoinsieme degli elementi di M per cui vale la funzione proposizionale. Zermelo fa rilevare come questo assioma eviti i paradossi ultrafiniti, perché non permette mai di definire un insieme in modo indipendente ma solo di separarlo da un insieme già dato; esclude i paradossi di tipo linguistico grazie alla richiesta della definitezza della funzione proposizionale.
Dopo altre definizioni necessarie, come quella di intersezione, Zermelo dimostra, con un ragionamento ispirato al teorema di Cantor, che per ogni insieme M c'è sempre almeno un sottoinsieme che non è elemento di M e prova così che il dominio stesso non è un insieme, eliminando l'antinomia di Russell.
Ulteriori assiomi sono quelli dell'insieme potenza e dell'unione; con l'assioma di scelta Zermelo dimostra che il prodotto in generale non è vuoto. Infine l'assioma dell'infinito è dato nella forma induttiva, postulando un insieme non vuoto, che contiene l'insieme vuoto e che per ogni suo elemento contiene anche il singoletto di quell'elemento. Negli anni successivi l'assiomatizzazione di Zermelo sarà sottoposta a diverse critiche e miglioramenti. Schönflies, per esempio, perfeziona l'enunciato dell'estensionalità e osserva l'opportunità di escludere cicli, che saranno evitati con l'assioma di fondazione. Gerhard Hessenberg (1873-1925) lamenta che nella teoria di Zermelo non sia trattato come primitivo il concetto di corrispondenza, o funzione.
Dal punto di vista matematico, nel secondo decennio del secolo non ci sono molti progressi; è arricchita, ma non di molto, l'aritmetica cardinale, che soltanto al termine di questo periodo, con le ricerche sistematiche della scuola polacca, arriverà a completamento. Progressi importanti si hanno per quel che riguarda la teoria degli ordinali, o meglio la teoria delle funzioni normali (crescenti e continue) e dei loro punti fissi, a opera di Oswald Veblen (1880-1960) e Paul Mahlo. L'eccitazione intorno alla teoria è un po' scemata, come ammettono osservatori attendibili, anche di fronte alle numerose altre novità in tutte le discipline matematiche. I ragionamenti di tipo insiemistico peraltro sono sempre più diffusi; per esempio, intorno al 1910 la teoria dei campi di Ernst Steinitz (1871-1928) vede un definitivo affermarsi dell'assioma di scelta in algebra.
Nel campo fondazionale e filosofico, si sviluppa la discussione del predicativismo, alimentata da Poincaré e dalla trattazione dei Principia mathematica (1910-1913) di Alfred North Whitehead (1861-1947) e Russell, in cui la teoria logica dei tipi assume la forma dei tipi ramificati, con l'assioma di riducibilità. L'opera di Russell, benché non influenzi direttamente i matematici, ha l'effetto di avvicinare la teoria degli insiemi al lavoro dei logici i quali usano la nozione di classe come nozione logica, e di accostare, fino a confondere, gli obiettivi della teoria con quelli dei sistemi logici fondazionali generali.
Nasce in questo modo un nuovo ruolo per la teoria degli insiemi: non più solo teoria del numero, funzione e ordine, come ancora precisava Zermelo, ma teoria in grado di unificare tutta la matematica e di presentarla in modo uniforme; la teoria degli insiemi come fondazione della matematica, attraverso il riduzionismo generalizzato. Anche un matematico come Hermann Weyl (1885-1955), sensibile alle posizioni dell'intuizionismo di Luitzen Egbertus Jan Brouwer (1881-1966), arriva a dichiarare che "in ultima analisi si è ricondotti alla teoria degli insiemi, che dal punto di vista logico appare come la fondazione appropriata per la scienza matematica".
Weyl è il primo, nel 1910, a precisare un linguaggio formale logico per le definizioni matematiche, nella forma di iterazione di schemi di giudizio che, partendo dall'uguaglianza e appartenenza, applicano ripetutamente i connettivi e i quantificatori. Nel 1918 Weyl presenterà con il suo libro Das Kontinuum una fondazione predicativa dell'analisi, con una rinnovata esplicita precisazione del linguaggio. Non si può non ipotizzare una sua influenza su Thoralf Skolem (1887-1963), che nel 1913 diligentemente recensì il suo articolo sulle definizioni.
Nel 1922 Skolem, reduce dal suo decisivo contributo a quello che è attualmente noto come teorema di Löwenheim-Skolem, interviene al V Congresso dei matematici scandinavi con un lavoro di grandi conseguenze, forse il primo non legato allo spirito ottocentesco, bensì proiettato nel Novecento. Innanzi tutto Skolem corregge il difetto zermeliano della vaghezza della nozione di 'definitezza' proponendo le formule di un linguaggio del primo ordine per gli assiomi che la coinvolgono. Ne deduce il noto paradosso di Skolem, che esiste cioè un dominio numerabile per la teoria, in ragione del menzionato teorema, con conseguente relativizzazione di tutte le nozioni che si ritengono fondamentali come quelle di finito, infinito e cardinalità.
D'altra parte Skolem fa vedere che gli assiomi di Zermelo non bastano per ottenere tutte le cardinalità che si vorrebbero e che occorre un assioma aggiuntivo per garantire l'unione delle successive potenze di ω e, quindi, un ℵ maggiore di tutti gli ℵn: quello che in seguito si è chiamato assioma di rimpiazzamento.
Skolem si cimenta infine in indagini sui possibili modelli e propone un argomento per dimostrare che ne esistono di non isomorfi e che, quindi, la teoria non è categorica. Si chiede poi se non si possa definire un metodo per l'aggiunta, a modelli numerabili, di nuovi sottoinsiemi di naturali, con metodi analoghi a quelli delle estensioni algebriche, con lo scopo di dimostrare la relatività del continuo. Egli anticipa in questo modo l'impostazione delle successive dimostrazioni di indipendenza.
L'intervento di Skolem non viene compreso e negli anni Venti i pochi che lo citeranno saranno i logici come John von Neumann (1903-1957). Maggiore risonanza ha la riflessione di Abraham Fraenkel (1891-1965), in stile più tradizionale, legata ai problemi dell'assiomatica, dell'indipendenza degli assiomi e della categoricità. Interessato a costruire modelli della teoria, o di alcuni assiomi della teoria, per le dimostrazioni di indipendenza, Fraenkel interpreta il metodo assiomatico come la precisazione di una serie di operazioni rispetto alle quali un dominio deve essere chiuso perché possa essere considerato un modello della teoria. Si scontra così anch'egli con la vaghezza della nozione zermeliana di definitezza, che cerca di sostituire con l'iterazione di un numero finito di operazioni.
Anche Fraenkel segnala l'impossibilità di dimostrare l'esistenza dell'unione dell'iterazione delle potenze di ω e accenna a nuovi possibili assiomi, tra cui quello di rimpiazzamento, che formula così: "Se M è un insieme, e ogni elemento di M viene sostituito (ersetzt) da una 'cosa del dominio', allora M si trasforma così ancora in un insieme". Fraenkel lo considera un rafforzamento dell'assioma dell'infinito, con qualche riserva nel timore che sia troppo forte (e implichi la scelta); in verità è von Neumann che lo stimola nella sua riflessione e lo costringe a formulare l'assioma in un modo accettabile, oltre che generosamente ad attribuirglielo.
Von Neumann è il primo a rendersi conto nel 1925 che l'assioma di rimpiazzamento è essenziale per la teoria degli ordinali.
A Fraenkel sta maggiormente a cuore il problema della categoricità, che egli cerca di realizzare con un assioma specifico che dica che il dominio deve essere il più piccolo, tra quelli chiusi rispetto agli assiomi. Fraenkel cerca di esprimerlo indirettamente chiedendo che non esista un insieme che non si possa ottenere iterando un numero finito di volte gli assiomi. La questione del modello minimale è affrontata anche da von Neumann che, nel tentativo di evitare l'impredicatività, pensa di sostituire la nozione matematica di funzione, dipendente dagli assiomi, con una esplicita assiomatizzazione della stessa, come nozione primitiva. Nel suo sistema le funzioni sono prioritarie e tutto è funzione, anche gli argomenti delle funzioni sono a loro volta funzioni; gli insiemi, identificati con le loro funzioni caratteristiche, sono quelle funzioni che possono essere argomento di altre funzioni.
Von Neumann abbandonerà il suo sistema per lavorare con quello più familiare di Zermelo-Fraenkel, in modo da far conoscere la sua teoria degli ordinali, ma esso sarà ripreso negli anni Trenta, dando origine alle teorie delle classi.
Tra gli insiemi da escludere in vista della categoricità c'erano i cicli e gli insiemi eccezionali di Dmitrij Mirimanov (1861-1945), che nel 1917 aveva studiato le catene discendenti e aveva introdotto gli insiemi ben fondati e transitivi, che ispireranno la definizione degli ordinali di von Neumann.
L'assioma di rimpiazzamento pareva a Fraenkel un assioma tipico per la teoria dei cardinali, più che per la teoria generale di base: necessario ma anche non definitivo, in previsione di probabili nuove estensioni. Fraenkel accenna ai cardinali inaccessibili, rinviando al lavoro del 1925 di Kazimierz Kuratowski (1896-1980), ma fin dal 1908 con Felix Hausdorff (1868-1942) questi cardinali sono ben noti, individuati come gli eventuali cardinali regolari con indice limite. Nel 1914 Hausdorff aveva osservato che "se anche esistono numeri iniziali regolari con indice limite (e finora non è stato possibile scoprire una contraddizione sotto questa assunzione), pure il più piccolo di essi è di una tale esorbitante grandezza che non verrà mai preso in considerazione per la trattazione degli usuali obiettivi della teoria degli insiemi". Tali numeri saranno dopo di lui detti esorbitanti e poi debolmente inaccessibili. Negli anni Venti la scuola polacca produrrà anche, con Alfred Tarski (1901-1982), la nozione di fortemente inaccessibile. Tarski in particolare sarà colui che farà ordine nella teoria dei cardinali indagando con completezza le leggi cardinali in presenza e assenza dell'assioma di scelta, rilevando tutte le equivalenze tra leggi cardinali e assioma di scelta, e le notevoli conseguenze semplificatrici sull'aritmetica cardinale dell'ipotesi generalizzata del continuo (l'ipotesi che 2 elevato ad ℵn sia uguale ad ℵn+1).
Reinhold Baer nel 1929 propone un importante argomento per dimostrare la consistenza della non esistenza di inaccessibili, mostrando che, se ce ne fosse uno, l'insieme di quelli minori formerebbe un sistema in cui non ce n'è nessuno; argomento suggerito da Zermelo e che rivela come già si cominciasse a guardare a questi cardinali dall'alto e dal basso, per così dire, dall'esterno e dall'interno di un modello.
Tutti questi argomenti confluiscono nel lavoro di Zermelo del 1930, Neue Untersuchungen über die Grundlagen der Mengenlehre (Nuove ricerche sui fondamenti della teoria degli insiemi), nel quale viene presentata la gerarchia cumulativa, oggi detta anche gerarchia di von Neumann. L'articolo espone la versione ufficiale della teoria di Zermelo-Fraenkel: rispetto al 1908 sono incorporati l'assioma di fondazione e quello di rimpiazzamento, mentre curiosamente l'assioma di scelta viene considerato un principio logico, probabilmente per influenza di Hilbert.
La nozione di definitezza è ancora presente, nella separazione e nel rimpiazzamento, nonostante le precisazioni di Skolem e Fraenkel. La teoria degli insiemi non è categorica, per Zermelo, e non appare tale se si ammette l'inesauribile prolungabilità verso l'alto della catena degli ordinali, perché la gerarchia che si ottiene iterando transfinitamente l'operazione di potenza rivela stadi riassuntivi, di raccolta, che sono quelli in cui si ottiene la chiusura dei livelli inferiori rispetto alle operazioni insiemistiche, quindi modelli della teoria. Sono gli stadi corrispondenti agli inaccessibili.
Dopo Zermelo, i livelli della gerarchia cumulativa non vengono molto studiati; solo negli anni Cinquanta John Shepherdson prima e poi Richard Montague e Robert Vaught torneranno sull'argomento, tra l'altro smentendo un luogo comune che si trascinava fin dal tempo di Hausdorff, che cioè i modelli della teoria di Zermelo-Fraenkel (ZF) che sono livelli della gerarchia cumulativa, e che si chiamano modelli naturali, siano ai livelli inaccessibili. Per il fenomeno di Löwenheim-Skolem, vi sono modelli naturali con ordinale singolare, cofinale con ω. Invece i modelli naturali delle teorie delle classi, anche predicative, sono ai livelli inaccessibili.
Una generalizzazione originale dell'idea di Zermelo degli stadi che sono modelli è dovuta a Tarski, con il cosiddetto assioma dell'universo, che tornerà utile a proposito della fondazione della teoria delle categorie.
Dopo il 1930, la teoria è ormai stabilizzata; non ci sono più discussioni sugli assiomi di Zermelo-Fraenkel; anche l'assioma di scelta non suscita più perplessità da quando ha assunto la forma dei principî di massimalità (a partire da Kuratowski nel 1922 per finire a Max Zorn nel 1935). Nella successiva evoluzione della teoria conviene distinguere un triplice aspetto, e interesse, e modo di essere coltivata: matematico, metamatematico e fondazionale.
Naturalmente questi diversi aspetti interagiscono, e spesso soltanto per ragioni di comodo si possono distinguere: tra gli argomenti prettamente matematici rientra, per esempio, il rilancio recente della topologia insiemistica, che ha tratto impulso dalle proprietà combinatorie dei costruibili e dal nuovo assioma di Martin, originati dalle dimostrazioni di consistenza; i grandi cardinali, maggiori degli inaccessibili, sono il settore nel quale risulta più evidente l'aspetto matematico delle ricerche, ma trovano la loro motivazione come ricerca di nuovi assiomi.
La parte più applicativa della teoria originaria, la topologia della retta, è stata sostituita, soprattutto per merito della scuola polacca, dalla topologia generale, in uno sviluppo che è del tutto coerente con l'impostazione insiemistica della matematica. La topologia generale è forse l'unica disciplina genuinamente e interamente insiemistica, nel modo in cui è studiata dai matematici.
La teoria degli insiemi per parte sua ha sviluppato in una misura imprevedibile alcune tematiche degli analisti francesi sugli insiemi definibili sopra il continuo: oltre ai boreliani, analitici e complementari di analitici, dove Lebesgue, Nicolas Lusin e Andrej Suslin si sono fermati, la teoria degli insiemi, utilizzando tecniche della teoria della ricorsività, è in grado di indagare la gerarchia infinita completa sopra di questi. La disciplina è nota come teoria descrittiva degli insiemi.
Per quel che riguarda l'aspetto fondazionale della teoria, intesa come contesto nel quale si possono, o si debbono, definire e ricondurre tutte le nozioni matematiche, un ruolo importante per la sua imposizione è stato giocato, forse involontariamente, da Bourbaki e dal successo del suo trattato. Il linguaggio insiemistico è certamente diventato il linguaggio di base della matematica: i preliminari di qualsiasi libro di matematica presentano il linguaggio e le nozioni elementari relative agli insiemi.
Lo sviluppo metamatematico della teoria degli insiemi comprende diversi filoni: le assiomatizzazioni alternative, le dimostrazioni di consistenza relativa e d'indipendenza, prima dell'assioma di scelta e dell'ipotesi del continuo, e poi di altri problemi indecidibili, le ricerche su teorie diverse, o più deboli ‒ come potrebbe essere quella di Kripke-Platek per gli insiemi ammissibili ‒ oppure più forti ‒ come potrebbe essere la teoria impredicativa delle classi di Morse ‒ e, infine, la ricerca di nuovi assiomi da aggiungere a ZF, assiomi di puro rafforzamento, come quelli dell'infinito forte, o di alternativa, come quello di determinatezza per l'assioma di scelta, o quello di antifondazione.
Negli anni Trenta l'idea di von Neumann di assiomatizzare un concetto primitivo diverso da quello di insieme è ripresa con le teorie delle classi, a opera prima di Paul Bernays (1888-1977) e poi di Kurt Gödel (1906-1978), nella teoria GB. Le classi proprie sarebbero le totalità inconsistenti di Cantor; se ne può parlare a patto che non le si tratti come insiemi, senza affermare la loro appartenenza ad altre classi. Tra le classi, sono insiemi quelle che appartengono ad altre classi e a ogni formula insiemistica, con le variabili quantificate che variano sugli insiemi, corrisponde una classe. Queste sono le teorie predicative delle classi. Poiché c'è soltanto un numero finito di schemi logici di definizione, le teorie predicative risultano finitamente assiomatizzabili, ed estensioni conservative di ZF. Se invece si ammette che anche formule con i quantificatori che variano sulle classi definiscano classi, si hanno teorie impredicative, più forti.
Un posto a parte merita la teoria del 1937 di Willard van Orman Quine, indicata con NF dal titolo New foundations of mathematical logic dell'articolo in cui è stata presentata. In questa teoria si torna, in una impostazione logicista, all'assioma di comprensione che afferma l'esistenza di un insieme per ogni condizione. Per evitare il paradosso di Russell, la restrizione che si pone sul principio di comprensione è di usare formule stratificate: una formula è stratificata se è possibile assegnare numeri alle variabili che vi occorrono, stessi numeri alle diverse occorrenze delle stesse variabili, in modo che in ogni sottoformula del tipo x∈y il numero assegnato a y sia quello di x aumentato di uno.
Essa costituisce una teoria molto interessante e divergente rispetto a ZF; Ernst Specker ha dimostrato che in tale teoria è refutabile l'assioma di scelta, mentre è derivabile l'assioma dell'infinito. Ancora non è stato possibile trovare una dimostrazione di consistenza relativa rispetto a ZF, ossia costruire un modello di NF partendo da un modello di ZF.
Negli anni Trenta diventa importante una diversa gerarchia di insiemi, quella, concepita da Gödel, degli insiemi costruibili. Vi confluiscono alcune indicazioni precedenti come un abbozzo di dimostrazione dell'ipotesi del continuo formulata nel 1925 da Hilbert. Questi aveva provato a dimostrare l'ipotesi definendo una struttura costruttiva per il continuo, iterando transfinitamente definizioni costruttive per tutti gli ordinali della seconda classe, loro stessi definiti nel processo.
Secondo la testimonianza dello stesso Gödel, "c'è una remota analogia [...] la grande differenza è che Hilbert considera solo definizioni strettamente costruttive e, inoltre, itera transfinitamente le operazioni definitorie solo sugli ordinali costruibili, mentre io ammetto non solo quantificatori nelle definizioni, ma anche iterazioni delle operazioni definitorie per ogni numero ordinale, non importa come definito. Il termine 'insieme costruibile' nella mia dimostrazione è giustificato solo in un senso debole e, in particolare, solo nel senso di 'relativamente ai numeri ordinali', dove questi ultimi non sono soggetti ad alcuna condizione di costruttività".
A ogni stadio della gerarchia si aggiungono i sottoinsiemi dell'insieme precedente che sono definibili con formule qualunque; ogni insieme è definito solo in riferimento agli insiemi già ottenuti. Si ottiene una gerarchia di insiemi contenuta nella gerarchia di von Neumann per ZF e ogni risultato è relativo a ZF.
L'altro influsso evidente è la gerarchia dei tipi ramificati, prettamente predicativa. Quello che Gödel ottiene, attraverso una definizione ricorsiva interna a ZF, o teorie equivalenti, è la definizione di una classe che risulta un modello interno della teoria, nel senso che tutti gli assiomi di ZF relativizzati alla gerarchia risultano dimostrabili in ZF. S'impone così la tecnica dei modelli interni, che supera per la teoria degli insiemi la difficoltà di dover parlare dei 'domini'. La classe dei costruibili è indicata con L.
Sembra che già nel 1933 Gödel avesse concepito la definizione della gerarchia dei costruibili, e fosse convinto che tutti gli assiomi di ZF valevano relativizzati a essa, incluso quello di scelta; meno facile risultò la dimostrazione dell'ipotesi del continuo, che nei ricordi di Gödel risale, nella sua forma rigorosa, al 1938; pare però che sia anche precedente perché von Neumann, al quale Gödel l'aveva comunicata, ricorda invece il 1935-1937; non è escluso che lo stesso von Neumann fosse arrivato alla dimostrazione. Gödel in quegli anni più volte tenne lezioni sulla teoria degli insiemi, ma soltanto nel 1938 si decise a dare comunicazione del risultato; poi a Princeton in una serie di lezioni venne la presentazione che per molto tempo fu la sola largamente conosciuta, relativa non a ZF ma alla teoria GB.
La dimostrazione che l'ipotesi del continuo vale relativizzata a L richiede una utilizzazione interna alla costruzione di L del teorema di Löwenheim-Skolem, per controllare a che livelli sono inseriti, se inseriti, i sottoinsiemi di un insieme infinito dato.
Per l'assioma di scelta le cose sono più facili, una volta che ci si renda conto che la corrispondenza di ogni insieme con la sua definizione e lo stadio a cui è ottenuto inducono un buon ordine definibile dell'universo L.
Non soltanto vale l'assioma di scelta in L ma ogni insieme è, in linea di principio, bene ordinabile usando il buon ordine definibile dell'universo, che è dato da una formula esplicita della teoria; allora tutte le conseguenze dell'assioma di scelta si possono formulare già per insiemi che hanno lo stesso tipo di definibilità del buon ordine: è un progresso decisivo rispetto alle primitive osservazioni di Lebesgue. Così insiemi non Lebesgue misurabili, o senza la proprietà di Baire, si situano nella gerarchia proiettiva allo stesso secondo livello al quale si situa il buon ordine definibile del continuo. Queste osservazioni, avanzate già da Gödel, furono poi riprese e sviluppate dai polacchi, in particolare da Andrzej Mostowski (1913-1975); il suo lavoro si perse durante la guerra ma fu poi ripreso da John W. Addison.
Per qualche tempo, queste saranno le uniche applicazioni dei costruibili alla matematica, finché negli anni Sessanta Ronald Jensen non scoprirà i principî combinatori. Con principî combinatori si intendono affermazioni di cui la seguente, detta 'rombo', è il più semplice esempio: se k è un cardinale regolare più che numerabile, esiste una successione di insiemi {Sα:α∈k}, con α∈Sα, e tale che per ogni sottoinsieme X di k l'insieme {α∈X:Sα=α} è stazionario in k (stazionario significa che interseca tutti i chiusi illimitati).
Questi e analoghi principî, che valgono in L, sono serviti a dimostrare che nell'universo dei costruibili parecchie questioni matematiche sono decise in un senso interessante e in modo naturale. Inoltre hanno permesso di sostituire dimostrazioni di consistenza relativa con implicazioni dirette dal principio combinatorio all'enunciato che interessa.
Così, per esempio, è stata data risposta negativa al problema di Suslin, che, dal 1920, chiedeva se ogni spazio topologico connesso e con la condizione della catena numerabile fosse isomorfo ai reali, e risposta positiva al problema di Whitehead, che chiedeva se ogni W-gruppo fosse libero, come inverso del teorema di Nielsen-Schreier.
Dopo il lavoro di Gödel, restava aperto il problema dell'indipendenza dell'assioma di scelta e dell'ipotesi del continuo. Per quel che riguarda l'assioma di scelta, hanno successo i tentativi di usare i modelli di Fraenkel, rielaborati da Mostowski, con individui che non sono insiemi, quindi rispetto a una teoria senza assioma di fondazione, e insiemi invarianti per automorfismi.
Nel 1963 Paul Cohen inventa la tecnica del forcing per ottenere nuovi modelli della teoria degli insiemi. I modelli interni non sono adeguati per le dimostrazioni di indipendenza: tutti i modelli interni, se transitivi, contengono L e l'affermazione che ogni insieme è costruibile, abbreviata in V=L, vale relativizzata a L, nel senso che se in L si ripete la costruzione dei costruibili si ottiene tutto L e quindi: V=L è consistente. Per falsificare le affermazioni a cui si è interessati, occorre partire da L ed estenderlo a un modello più grande. Siccome L è o potrebbe essere l'universo, estendere l'universo sembra un'impresa disperata. Bisognerà usare insiemi interni all'universo per rappresentare gli elementi dell'estensione, insiemi quindi diversi in generale da sé stessi, con una relazione di appartenenza non standard. In altri termini, si dovrà disegnare una classe con un'immersione propria dell'universo nella classe; in linea di principio non è impossibile, essendo l'universo infinito.
Definire la relazione di appartenenza significa affermare la verità o falsità di enunciati elementari e poi, per ottenere una classe chiusa rispetto agli assiomi, poter controllare la verità o falsità di tutte le affermazioni possibili, per definire gli insiemi in modo che siano verificati gli assiomi. Non si può usare tuttavia la nozione di verità rispetto a un modello che ancora non si ha, nel corso della costruzione, problema che già aveva bloccato Fraenkel e von Neumann. Tuttavia ora si sa che una definizione predicativa, come quella in gioco nei costruibili, può portare al successo. Si può immaginare di definire il nuovo universo come L, iterando le operazioni della costruibilità, ma utilizzando anche le approssimazioni finite dell'insieme che si vuole aggiungere. Ogni affermazione risulta vera nella misura in cui contiene una parte di informazione sul nuovo insieme sufficiente a delineare quella parte del futuro universo rispetto alla quale l'affermazione è predicativamente vera.
Ne risulta una definizione costruttiva di verità, non dissimile da quella intuizionista, che fa dipendere la verità di ogni affermazione da insiemi finiti di condizioni. L'insieme da aggiungere deve essere diverso da tutti quelli dell'universo originario, quindi deve risultare una sorta di diagonalizzazione degli insiemi finiti di condizioni, in modo che nessuna approssimazione finita lo forzi a essere uguale a uno di quelli originari. Per trovare un tale insieme, detto generico, Cohen parte da un modello numerabile transitivo M della teoria degli insiemi e di V=L. L'insieme a non appartiene a M, ma è contenuto in M (il problema di Skolem di aggiungere a un modello un insieme che non vi appartenga). La tecnica di definizione dell'estensione non cambia, l'estensione viene definita in M, iterando la costruibilità sugli ordinali di M, perché questi garantiscono proprietà sufficienti di chiusura, e in M sono possibili le definizioni insiemistiche che occorrono. Ottenuta in M la classe (rispetto a M) voluta, con una operazione di collasso permessa dal fatto che la relazione non standard soddisfa l'estensionalità, si ha una vera estensione di M, M[a] , con a∈M[a], e M[a] modello anche di V=L[a], i costruibili relativamente ad a.
Dopo la presentazione originaria del metodo, una diversa versione è stata data da Dana Scott e Robert Solovay per mezzo dei modelli booleani: con un'algebra di Boole completa si definisce una gerarchia analoga alla gerarchia di von Neumann, ma gli insiemi, proprio come nell'idea originaria di von Neumann, sono sostituiti o rappresentati da funzioni (caratteristiche) a valori non nella solita algebra a due valori, bensì nell'algebra di Boole completa. Anche tutte le affermazioni insiemistiche vengono ad assumere un valore in questa algebra; le leggi logiche e gli assiomi di ZF hanno sempre valore 1, in ogni algebra, non così le altre affermazioni. Con una scelta opportuna delle algebre, si ottiene l'indipendenza di vari enunciati. Un vero modello a due valori si ottiene con un opportuno quoziente, rispetto a un ultrafiltro generico.
Con la tecnica del forcing e dei modelli booleani, e con i suoi raffinamenti, inizia la grande stagione della teoria degli insiemi; tutte le questioni aperte vengono risolte, nel senso dell'indipendenza, insieme ad altre che emergono dal nuovo lavoro. Si vede in modo reale, costruendo modelli, che l'operazione della potenza è veramente incontrollabile, perché si può fare in modo che assuma qualunque valore, compatibile con la disuguaglianza di Zermelo-König, che si dimostra in ZF. Questo almeno per i cardinali regolari; il problema di sapere quale cardinalità si possa assegnare alla potenza di un cardinale singolare si è rivelato molto più arduo e ha dato origine a nuove ricerche.
Il proliferare di affermazioni indipendenti fa sostenere da parte di alcuni che non è più possibile parlare di una teoria degli insiemi unitaria ma, piuttosto, di diverse teorie alternative, in una situazione che è analoga a quella delle geometrie non euclidee.
Le dimostrazioni con il forcing, con la loro dipendenza dall'esistenza di filtri generici, suggeriscono di considerare l'effetto dell'assunzione come nuovo assioma dell'esistenza di un filtro generico, rispetto a un continuo di insiemi densi, per ogni algebra di Boole con la condizione della catena numerabile. Tale assioma, detto di Martin ‒ dal nome di Donald A. Martin ‒ si è rivelato fonte di interessanti e importanti conseguenze nella topologia insiemistica, vale a dire la branca della topologia che si appoggia alle proprietà metamatematiche dei modelli.
Tra i nuovi assiomi, quelli però che hanno dato origine a ricerche più affascinanti sono i cosiddetti assiomi forti dell'infinito, o assiomi dei grandi cardinali.
La problematica dei grandi cardinali viene ripresa dal punto di vista metamatematico dopo la proposta di Gödel, del 1946, di cercare proprio in questa direzione rafforzamenti naturali della teoria, al fine di decidere, possibilmente, tutte le questioni ancora aperte e indecidibili. Ogni nuovo grande cardinale fornisce, al suo livello della gerarchia di von Neumann, un modello per la teoria senza il nuovo assioma. Al momento dell'indicazione di Gödel erano già conosciuti diversi grandi cardinali.
Dopo gli esorbitanti di Hausdorff nel 1908, un'ulteriore spinta in avanti era stata data da Mahlo, con quelli che nella terminologia moderna vengono chiamati iperinaccessibili. Gli 0-(debolmente)-iperinaccessibili sono i debolmente inaccessibili e, per ogni α, gli (α+1)-(debolmente)-iperinaccessibili sono i regolari limiti di α-(debolmente)-iperinaccessibili; per λ limite, i λ-(debolmente)-iperinaccessibili sono quelli che lo sono per ogni a∈λ. Mahlo introdusse anche un nuovo procedimento, usando per la prima volta i concetti di sottoinsiemi chiusi e stazionari di un cardinale regolare: k si dice (debolmente)-Mahlo se l'insieme dei regolari minori di k è stazionario in k. Un cardinale k che sia (debolmente)-Mahlo è k-(debolmente)-iperinaccessibile.
Negli anni Venti, Wacław Sierpiński (1882-1969) e Tarski introdussero la nozione di cardinale fortemente inaccessibile, vale a dire un cardinale regolare più che numerabile e fortemente limite, quindi punto fisso regolare della funzione che enumera i cardinali ottenuti con l'operazione potenza. Si ha un'analoga nozione di iperinaccessibile forte e di Mahlo forte.
Nel 1930 Stanisław Ulam (1909-1984) aveva posto il problema della misura, se esista cioè un insieme con una funzione di misura definita su tutti i suoi sottoinsiemi, che valga 0 sui singoletti, 1 sull'insieme totale, e sia numerabilmente additiva (condizione invero equivalente, per il minimo eventuale di tale insieme, di cardinalità k, alla k-additività). Se la misura sui sottoinsiemi di k non ha atomi, si ottengono quelli che oggi sono detti i cardinali real-misurabili, debolmente inaccessibili, e minori del continuo; se la misura ha un atomo, i cosiddetti cardinali misurabili.
Nello stesso periodo Tarski aveva iniziato a indagare problemi di conteggio, per esempio quante diverse famiglie di sottoinsiemi con intersezione piccola, cioè di cardinalità fissata, ci fossero sui vari cardinali. Di qui passò a studiare campi di insiemi e ideali, e a elaborare nozioni che poi lo portarono a definire i concetti di cardinali debolmente e fortemente compatti, da un punto di vista algebrico. Un cardinale k si dice fortemente compatto se per ogni insieme I, ogni filtro k-completo su I può essere esteso a un ultrafiltro k-completo su I. Un fortemente compatto è misurabile. Esistono, però, anche caratterizzazioni logiche, relative alla compattezza dei linguaggi infinitari Lkk, iniziate da William P. Hanf: k è fortemente compatto se e solo se per ogni insieme S di enunciati di questo linguaggio, se tutti i suoi sottoinsieme di cardinalità minore di k sono soddisfacibili, allora anche S è soddisfacibile. Se si chiede che S abbia al massimo k simboli non logici, si ottiene la definizione di debolmente compatto.
Tutte queste definizioni cercano di isolare una proprietà rilevante di ω e di postulare un cardinale più che numerabile con la stessa proprietà.
Quando Gödel propose la sua idea che gli assiomi forti dell'infinito potessero servire a decidere le questioni aperte, la proposta si scontrò con il fatto che tutti quelli noti e piccoli ‒ come ora sono detti ‒ si relativizzavano a L: se, per esempio, k è di Mahlo, allora è di Mahlo in L, se debolmente compatto, è debolmente compatto in L. La prima breccia in questo blocco si aprì nel 1961 con il risultato di Scott: se esiste un cardinale k misurabile, allora V≠L. Si diffondeva la consapevolezza dell'importanza della costruzione dell'ultraprodotto, e Scott in effetti eseguì un'ultrapotenza dell'universo con una misura k-additiva; ne risultò un'immersione elementare dell'universo dentro l'ultraprodotto, in cui k è il primo ordinale mosso. Viceversa, data un'immersione del genere, si può definire una misura. Iniziava così anche lo studio delle possibili immersioni elementari dell'universo in sé, che doveva portare a supercompatti ed estendibili.
In seguito, sulla scia del risultato di Scott, fu dimostrato che, se esiste un fortemente compatto, allora l'universo non solo non è uguale a L, ma neanche costituito dai costruibili a partire da un qualunque insieme. Invece, anche se L non è un modello in cui ci possa essere un misurabile, la classe L[μ] dei costruibili a partire da una misura μ su k è un modello anche dell'esistenza di misurabili.
La generalizzazione della tecnica delle ultrapotenze, alle ultrapotenze iterate, si è rivelata essenziale per studiare i modelli interni della misurabilità.
Altre definizioni che sono state sperimentate riguardano le proprietà di indescrivibilità: l'idea è che, se l'universo soddisfa una certa proprietà, allora deve già esistere un insieme che la soddisfa; relativizzata a un cardinale e a una classe di proprietà, ovvero di formule, l'idea porta a definire un cardinale come indescrivibile mediante quel tipo di formule se, ogni qual volta ne soddisfa una, c'è già un cardinale minore che la soddisfa.
Un'ulteriore fonte di assiomi di grandi cardinali è rappresentata dalle proprietà di partizione; il punto di partenza è un teorema di Frank P. Ramsey (1903-1930), che afferma che per un insieme numerabile X, se si ripartiscono in m classi le n-uple di elementi di X, allora esiste un sottoinsieme infinito Y di X omogeneo, cioè tale che tutte le n-uple formate da elementi di Y vanno in una stessa classe.
Generalizzazioni di questa proprietà hanno portato ai cardinali di Ramsey, cardinali k tali che per ogni partizione delle coppie di elementi di k in due classi, esiste un sottoinsieme omogeneo di cardinalità k, e altre generalizzazioni simili, che formano quella che si chiama combinatoria infinita.
Forse ancora più importante, lo studio degli indiscernibili in una struttura, che dipende dal teorema di Ramsey, ha portato a importanti applicazioni della teoria dei modelli in teoria degli insiemi; dati cardinali con proprietà di partizioni sufficientemente potenti, si vede che esistono classi di indiscernibili per L, che contengono tutti i cardinali e che individuano sottostrutture elementari di L. L'insieme di enunciati che descrive questa situazione, insieme degli enunciati veri negli indiscernibili, ha un ruolo essenziale nelle ricerche più avanzate.
Una delle direzioni attuali consiste nello studiare per i grandi cardinali la stessa situazione che per i piccoli grandi cardinali e per i misurabili è ben definita, quella cioè di trovare i modelli interni di tali grandi cardinali.
Un diverso tipo di assioma, non rafforzativo ma alternativo all'assioma di scelta, l'assioma di determinatezza, è stato proposto nel 1962 da Jan Mycielski e Hugo Steinhaus, e si riferisce a giochi infiniti così definiti: due giocatori scelgono alternativamente un numero naturale e il primo giocatore vince se, all'infinito, la successione così determinata appartiene a un insieme prima stabilito, altrimenti vince il secondo giocatore. L'assioma di determinatezza afferma che ogni gioco ha una strategia vincente per almeno uno dei due giocatori. è facile vedere che certi giochi sono determinati, per esempio i giochi (in cui gli insiemi sono) chiusi. Con l'assioma di scelta si dimostra che esiste almeno un gioco non determinato, quindi l'assioma di determinatezza contraddice l'assioma di scelta e anche il teorema dell'ideale primo, mentre è compatibile con le scelte dipendenti.
Si tratta di un'affermazione molto interessante per le sue conseguenze, innanzi tutto relative alla topologia della retta: essa implica infatti che ogni sottoinsieme della retta è Lebesgue misurabile. Inoltre l'assioma ha importanti conseguenze anche sui grandi cardinali. L'assioma di determinatezza, anche in forme deboli, cioè affermato non per tutti i giochi, ma solo per quelli della gerarchia proiettiva, o anche dei suoi primi livelli, implica che esiste un modello con un insieme misurabile. In effetti, in congiunzione con l'assioma delle scelte dipendenti (Solovay) implica addirittura che ω1 è misurabile: l'insieme dei sottoinsiemi chiusi illimitati è un ultrafiltro ω1-completo.
Questo significa naturalmente che viceversa la consistenza della determinatezza, anche per i primi livelli della gerarchia proiettiva, richiede l'assunzione di forti assiomi dell'infinito. Le ipotesi minime necessarie per tale dimostrazione sono uno degli argomenti attuali di ricerca nello sviluppo della teoria degli insiemi.