La Rus': Kiev, Novgorod, Vladimir
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel 988 il principe Vladimir I di Kiev si converte al cristianesimo e fa della confessione greco ortodossa la religione di stato; da questo momento tutta la cultura di Bisanzio esercita sulla Rus’ un’enorme influenza, le architetture in particolare risentono di stili e tipologie proprie della tradizione bizantina. Malgrado la disgregazione feudale e il declino del principato di Kiev alla fine del XII secolo, la sua grande tradizione culturale viene raccolta dagli architetti e artisti dei nuovi principati di Novgorod e Vladimir-Suzdal’, che rielaborano gli elementi acquisiti in opere nuove.
“Non sapevamo se eravamo in cielo o in terra. Giacché in terra non esiste splendore o bellezza simile, siamo incapaci di descriverla. Sappiamo solo che Dio abita qui tra gli uomini”. Questa l’impressione creata dagli splendori del rito bizantino in Santa Sofia riportata da una delegazione inviata a Costantinopoli nel 987 dal principe Vladimir I Svjatoslavic di Kiev, avente lo scopo di esaminarne la fede greca. In virtù dei legami istituiti con la casa imperiale bizantina, il principe russo nel 988 si converte al cristianesimo, facendo della confessione greco ortodossa la religione di Stato; da questo momento Bisanzio eserciterà sulla Rus’ un vasto influsso religioso, culturale e politico. Vladimir I fa confluire a Kiev, “madre di tutte le città russe”, maestranze costantinopolitane, architetti e pittori che trasmettono tecniche, tipologie, stili e formule decorative proprie della tradizione bizantina.
Nel 989, infatti, il principe ingaggia maestri greci per costruire e decorare la chiesa dedicata alla Vergine (crollata nel 1240) e nota come chiesa della Decima, poiché in essa doveva confluire la decima parte delle entrate dei granduchi. Nel 1037 durante il regno di Jaroslav il Saggio, figlio di Vladimir, viene eretta la cattedrale di Santa Sofia, sede del vescovo metropolita della Rus’, ispirata a un modello costantinopolitano a croce greca inscritta con cupole.
Entro il 1046, anno della sua prima consacrazione, Santa Sofia viene decorata con i mosaici del presbiterio, invocanti l’intera opera di salvezza di Cristo ed esemplificando al meglio lo spirito di evangelizzazione della Rus’; gli affreschi della navata centrale, del transetto e della galleria sono, invece, di evidente intento didascalico, con episodi evangelici e altri legati a Jaroslav, tra cui il ritratto della famiglia nella navata centrale. Vi lavorano maestranze bizantine affiancate da aiuti locali, che nell’uso di arcaismi fortemente marcati accostano i mosaici kieviani a quelli greci di Hosios Lukas di inizio XI secolo, mentre i loro affreschi trovano attinenze con quelli di Santa Sofia a Ochrida. Entro il 1061-1067, per la seconda consacrazione, maestri in maggioranza russi affrescano le navate laterali. Al tempo del principe Vladimir II Monomaco si decorano, infine, il battistero e la galleria esterna, mentre nelle due torri collegate alle tribune principesche scene cerimoniali e ludiche nell’Ippodromo di Costantinopoli si prestano abilmente alla glorificazione dell’autorità granducale russa. I mosaici della chiesa dell’Arcangelo Michele (1112 ca.), i cui resti sono attualmente nella vicina Santa Sofia, sono l’ultima documentazione di arte musiva in terra russa. La libera composizione dell’Eucarestia, a opera di maestranze costantinopolitane e locali, evoca con l’accentuato linearismo degli apostoli gli affreschi monumentali del XII secolo, ma al tempo stesso conserva il ricordo dell’esempio armonioso e proporzionato di Daphni di fine XI secolo.
Sebbene le forti pressioni esterne portano alla disgregazione feudale e al declino del principato di Kiev alla fine del XII secolo, la sua grande tradizione culturale viene raccolta da architetti e artisti dei nuovi principati di Novgorod e Vladimir-Suzdal’. La pittura monumentale di Novgorod della prima metà del XII secolo testimonia una grande varietà di correnti stilistiche: dagli affreschi del 1108 della cattedrale di Santa Sofia, costruita sul modello dell’omonima chiesa metropolitana di Kiev, che per monumentalità, austerità e robustezza richiamano proprio lo stile della corte kieviana, a quelli del 1125 della cattedrale della Natività nel monastero di Sant’Antonio, testimoni dei vivaci legami culturali che la cosiddetta “città nuova” tesse con l’Occidente e con l’arte romanica. Parallelamente una fiorente scuola pittorica locale, che si imporrà a partire dalla seconda metà del secolo e soprattutto nel XIII, una volta sciolti i legami con Bisanzio, è all’opera sia nella Deesis del 1144 in Santa Sofia, i cui volti tipicamente novgorodiani si distinguono per i lineamenti pesanti e un’energica maniera pittorica, sia pure negli affreschi del 1167 della chiesa di San Giorgio a Staraja Ladoga, nei quali austere tendenze bizantineggianti convivono con uno stile “nazionale” più realistico ed espressivo. Artisti novgorodiani quindi, abili nel rielaborare tutti gli elementi acquisiti da fonti esterne (bizantine, cristiano-orientali e romaniche), come avrebbe ulteriormente testimoniato la oramai perduta decorazione pittorica della chiesa del Salvatore sulla Neredica (1199), che nella severità, monumentalità ed espressività del Giudizio universale rifletteva la corrente più rigorosa del pensiero cristiano in terra russa.
Il ciclo pittorico della cattedrale palatina di San Demetrio, costruita nel 1194-1197 da Vsevolod Jurevic, detto il Grande Nido, granduca di Vladimir-Suzdal’, non solo testimonia la collaborazione artistica tra russi e greci, ma chiarisce in quale direzione ora le maestranze russe rielaborano l’eredità bizantina. Le pose naturali e disinvolte degli apostoli del Giudizio Universale, così manifestamente ellenizzanti, i panneggi fluidi, i volti profondamente espressivi e spirituali, a carattere quasi ritrattistico. Addolcendo i canoni bizantini, qui i pittori tendono a un’arte più terrena e libera dove nelle forme tradizionali iniziavano a imporsi a poco a poco caratteristiche prettamente “nazionali”, dove anche i volti degli angeli e le vesti delle donne si fanno tipicamente slavi perdendo l’esasperata finezza ed eleganza greche.
E proprio alla cultura del principato di Vladimir-Suzdal’, culla di una salda identità popolare provata dall’invasione tatara che dal 1223 piega le sconfinate terre russe (fatta eccezione per Novgorod) interrompendo i legami culturali con Bisanzio e i Balcani, i principi di Mosca guardano, nel XIV e XV secolo, a quei grandiosi monumenti del XII secolo nati in un’epoca di indipendenza e forza sotto l’autorità dei principi di Vladimir.