La ricezione di Costantino nelle monarchie dell’Europa moderna
La storia delle monarchie europee moderne presenta numerose testimonianze di prese di posizione positive nei riguardi di Costantino, non limitandosi dunque alla sola discussione critica sul primo imperatore cristiano, cominciata durante la prima Età moderna e rafforzatasi a opera degli illuministi del XVIII secolo. Il vittorioso Costantino, che trionfa con e per la Chiesa, può fungere da modello per i sovrani successivi, ad esempio quando si tratta di difendere l’Europa dai turchi. Per legittimare il potere, si può poi anche rimandare alla protezione che un monarca concede alla Chiesa cristiana e utilizza per i propri fini presentandosi come un successore di Costantino. Inoltre, il primo imperatore cristiano può servire da modello per un sovrano secolare che detiene la più alta autorità nelle faccende ecclesiastiche. Una ricezione positiva di Costantino si può infine rintracciare in tutte le dinastie monarchiche dell’Europa moderna: essa, tuttavia, non va ricondotta più di tanto all’azione diretta dei sovrani stessi e dei politici, ma semmai è l’esito dell’influsso esercitato dalla cultura artistica del tempo, attraverso dipinti, sculture e edifici. La serie dei monarchi qui proposti va dagli Asburgo d’Austria ai Borboni di Francia e agli Hohenzollern di Prussia, e tra questi Guglielmo II rappresenta certo un interessante esempio di ricezione costantiniana.
In occasione dell’incoronazione di Leopoldo I (1658) a imperatore germanico, nel febbraio 1659 viene rappresentato a Vienna il dramma Pietas victrix sive Constantinus Magnus, de Maxentio tyranno victor1. Il dramma è il frutto della penna del professore di teologia e rettore del collegio gesuitico Nicola Avancini, che, in stile panegiristico, innalza Costantino ad antenato degli Asburgo. L’opera teatrale è un esempio dei ludi Caesarei, che, a partire dall’inizio del XVII secolo, vengono composti in gran numero per celebrare gli Asburgo. Lo stesso Avancini è autore di più di due dozzine di lavori teatrali, la maggioranza dei quali è da ascrivere al genere dei ludi Caesarei. La rappresentazione del Constantinus Magnus avviene nel teatro del Collegium Academicum, fondato nel 1654. Grazie alle donazioni di Ferdinando IV, esso è fornito di costumi, decorazioni e macchinari di scena che ne rendono possibile l’allestimento, fastoso e ricco di cambi di scena2. Lo spettacolo suscita dunque un grande interesse anche grazie allo splendido allestimento. Come raccontano gli annali della Compagnia di Gesù, non solo tra i membri della corte asburgica, ma anche tra le casate nobiliari straniere:
Il Costantinus Magnus, composto in onore dell’imperatore appena eletto e rappresentato in due giornate, ha raccolto il plauso del pubblico. Erano presenti lo stesso imperatore, l’imperatrice vedova [Eleonora] e le altezze serenissime, i granduchi Leopoldo Guglielmo e Sigismondo. Al loro seguito si trovò presto un così alto numero di nobili che l’intero vicinato si riempì di carrozze, e bastò appena un’ora e mezzo per il viaggio di ritorno. Difatti, attratti dalla fama dell’allestimento, arrivarono a Vienna i familiari delle più alte schiatte nobiliari, non solo dall’Austria, ma anche dall’estero3.
Nel presentare Costantino come colui che sotto la guida di Dio libera i cristiani perseguitati da Massenzio, agli spettatori di Vienna viene esposto con chiarezza che il fondamento e il compito del potere secolare consiste nella promozione della fede. Avancini mostra Costantino come un comandante trionfante, come il vincitore di Massenzio, come un imperatore, che, entrato in Roma, fa professione di fede cristiana. Avancini, in modo anacronistico, scrive una parte anche per i figli maggiori di Costantino, Crispo e Costantino II, quest’ultimo all’epoca del dramma, il 312, non è ancora nato; in esso, invece, entrambi prendono parte alla conquista di Roma. Mentre Crispo entra marciando a Roma già in qualità di coreggente di suo padre, Costantino II viene proclamato Cesare dopo la vittoria su Massenzio. La datazione anticipata della promozione al rango imperiale dei figli di Costantino, che avviene in realtà solo nel 317, ha un preciso senso nella prospettiva dinastica della casa regnante d’Austria, nella misura in cui adatta perfettamente il materiale della battaglia di ponte Milvio alle vicende degli Asburgo, che nel 1658-1659, dopo la prematura morte di Ferdinando IV, festeggiano, con l’incoronazione di Leopoldo I, il conferimento della dignità imperiale al secondo figlio di Ferdinando III. Dopo avere drammaticamente dato forma alla sconfitta di Massenzio e all’entrata in Roma di Costantino, la successione dinastica viene di nuovo affrontata alla fine dell’opera e tratteggiata in un grande affresco: Avancini fa entrare in scena Elena, la madre di Costantino, che implora Dio di proteggere il figlio; subito dopo, la santa Vergine appare in un carro di nuvole, annunciando a Elena il futuro dell’Impero, che «andrà ai tedeschi e rimarrà poi per lungo tempo nelle mani degli austriaci». Elena apprende anche che Costantino diventerà il primo imperatore romano di fede cristiana4. Successivamente appare una personificazione dell’Austria: un angelo ne spiega a Elena l’importanza per la storia del mondo, in quanto vincitrice dei turchi, prima che la madre di Costantino sia informata della successione dinastica degli Asburgo da Rodolfo I, passando per Alberto V, Massimiliano I, Carlo V, Ferdinando I, Massimiliano II, fino a Ferdinando III e i suoi figli Ferdinando IV e Leopoldo I5.
Leopoldo I è particolarmente interessante per la storia della ricezione costantiniana, perché, oltre al riferimento letterario di Avancini, gli è dedicata anche una rappresentazione figurativa della storia di Costantino6. Si tratta di un prezioso armadio, realizzato a Roma intorno al 1655 come frutto della collaborazione di svariati artisti e poi donato a Leopoldo, qualche anno più tardi, dal cardinale e langravio Federico di Hessen-Darmstadt7. Sul lato esterno del lussuoso mobile sono rappresentate diverse scene della vita (o, per meglio dire, della leggenda) di Costantino, quali la visione della croce da parte del sovrano, la battaglia di ponte Milvio e il battesimo dell’imperatore per mano di papa Silvestro. Rolf Quednau mostra, in un saggio del 2008, che la confezione del prezioso dono va interpretata alla luce della concorrenza tra Leopoldo I e il re di Francia Luigi XIV, entrambi bramosi della dignità imperiale: Federico di Hessen-Darmstadt, che nella scelta dei motivi potrebbe essere ispirato dalle tappezzerie costantiniane pensate nel 1622 da Pieter Paul Rubens per Luigi XIII, intenderebbe sottolineare la prossimità di Leopoldo (il suo signore temporale, cui doveva la nomina a legato imperiale presso il Vaticano) a Costantino, e con ciò rintuzzare l’aspirazione dei re di Francia a essere i successori del primo imperatore cristiano8.
Leopoldo I, comunque, non è certamente l’unico sovrano della dinastia asburgica a vedere il proprio ufficio monarchico particolarmente magnificato e legittimato dai riferimenti a Costantino. Molti rimandi sono attestati anche nei suoi predecessori e nei suoi successori, a volte in forma solo indiretta, come nel caso della venerazione che Massimiliano I nutre per la reliquia della sacra tunica, presumibilmente trovata dalla madre di Costantino a Gerusalemme9 in occasione della sua visita a Treviri per partecipare alla dieta imperiale (1512). Massimiliano fa direttamente riferimento a Costantino anche qualche anno prima, quando richiede un proprio ritratto al pittore Berhard Strigel, con cui quest’ultimo orna una delle tavole di un altare poi inviato a Roma. Massimiliano è rappresentato come un compagno di viaggio di Costantino, che a sua volta porta sulle spalle la ritrovata croce di Cristo. Il legame figurativo con Costantino ha il senso di sottolineare la pretesa alla dignità imperiale di Massimiliano, considerata la sua intenzione di farsi incoronare a Roma10. Nel 1508, tuttavia, egli viene obbligato a ricevere la dignità imperiale a Trento, perché la Repubblica di Venezia impedisce il transito verso Roma del suo seguito.
Rolf Quednau porta, nel citato suo saggio del 2008, ulteriori prove della ricezione costantiniana da parte degli Asburgo. Quando nel 1549 è solennemente festeggiato l’arrivo di Filippo II nei Paesi Bassi, gli addobbi, composti da grandi arazzi, stabiliscono un legame tra l’Asburgo e Costantino, ad esempio presentando la vittoria di quest’ultimo su Massenzio come modello della futura lotta di Filippo contro i turchi11. «Inoltre – scrive Quednau – è dimostrato come il cattolico Costantino, ammaestrato nella fede cristiana da Silvestro ed Elena, rimuova gli idoli pagani e li sostituisca con la Santissima Croce»12. Anche per Ferdinando II e Ferdinando III Quednau porta delle prove che dimostrano un’intensa ricezione costantiniana, come la rappresentazione del dramma gesuitico Constantinus Magnus in occasione dell’intronizzazione di Ferdinando quale re di Boemia, nel 1617, oppure la pubblicazione, nel 1640, della Historia Austriaca seu Virtutes Augustissimae Gentis Austriacae di Nicolas de Vernultz, nella quale l’autore spiega che Dio stesso conferisce agli Asburgo, come già a Costantino, la potestà nel segno della croce. Sul frontespizio di una nuova edizione, stampata nel 1645, delle Icones imperatorum Romanorum di Hubert Goltzius, che vanno da Cesare sino a Ferdinando III, accanto al condottiero romano compaiono, in una calcografia disegnata da Rubens, sia Costantino, che tiene in mano il labaro con il cristogramma, sia Rodolfo I, il primo imperatore romano-germanico della dinastia asburgica13. A questo proposito, Quednau richiama qui l’attenzione su una leggenda, nella quale la visione di Costantino prima della battaglia di ponte Milvio viene attribuita anche a Rodolfo: durante la sua cerimonia d’incoronazione ad Aquisgrana, sembra fare la sua comparsa nel cielo una nuvola a forma di croce, prima bianca e poi illuminata color rosso sangue. In seguito, per l’occasione dell’omaggio, non essendo a portata di mano uno scettro, Rodolfo afferra un crocifisso. Agli occhi di Johann Ludwig Schönleben, ecclesiastico cragnolino e storico asburgico, questi avvenimenti rendono Rodolfo, nel 1680, un Habsburgicus Constantinus14.
Come gli Asburgo, anche i Borboni usano Costantino come paradigma di legittimazione. Il legame con il primo imperatore cristiano è stretto, per esempio, in occasione delle entrate solenni dei re francesi appena intronizzati, mettendo in scena delle cosiddette ‘immagini viventi’, nelle quali sono presentate le gesta di Costantino. È noto, ad esempio, come, in occasione del ricevimento di Carlo VIII a Rouen, Costantino sia mostrato nelle vesti di giovane imperatore, che, ornato dello stemma francese, combatte contro Massenzio che è raffigurato da saraceno. Come già Leopoldo II e Filippo V d’Asburgo, anche Carlo VIII, in qualità di difensore dell’Occidente cristiano, è inserito nella linea dei successori di Costantino15. Anche nel monumento funebre per Luigi XII, fatto costruire dal suo successore Francesco I per il transetto nord della chiesa abbaziale di Saint Denis e terminato nel 1531, è presente un riferimento a Costantino. Le dodici figure di apostoli, che circondano il monumento, rimandano alla forma del monumento funebre di Costantino nella chiesa dei Santi Apostoli di Costantinopoli, così com’è descritta nella Vita Constantini eusebiana16. Più frequenti, anche se meno specifici nel messaggio, sono i riferimenti a Costantino, quando egli appare insieme con altri sovrani dell’antichità e del Medioevo. Quednau cita a questo proposito la candidatura di Francesco I, quando vorrebbe essere eletto imperatore dai principi elettori riunitisi a Francoforte nel 1519. Egli si richiama alle virtù di sette imperatori cui intende ispirarsi. La serie va da Augusto, attraverso Costantino, fino a Carlo Magno17.
Più scottante è la ricezione francese della figura costantiniana, nella misura in cui essa è inserita nel contesto delle guerre di religione che travagliano la nazione tra XVI e XVII secolo, con lo scontro, a volte estremamente sanguinoso, tra cattolici e ugonotti. Dalla notte di San Bartolomeo del 1572 e fino alla revoca dell’editto di Nantes del 1685 da parte di Luigi XIV, Costantino può essere impiegato con funzioni diverse, in realtà tra loro contrastanti, come modello per il re in quel momento in carica. Nel contesto della Chiesa di Stato gallicana, al monarca è attribuito il controllo sulla religione e sulla Chiesa. Durante gli scontri tra cattolici e ugonotti tale concezione del ruolo del re può portare, richiamandosi al primo imperatore cristiano, a spingere il re di Francia a una politica religiosa tollerante nei confronti dei sudditi protestanti. Oppure può accadere il contrario, e allora si chiede al re un intervento deciso in favore della Chiesa cattolica. Dopo il 1685, il ruolo del re nella politica ecclesiastica può essere messo radicalmente in discussione dalla prospettiva ugonotta. La seguente breve lista di esempi, prevalentemente di natura letteraria, mostra l’alternanza tra gli argomenti addotti18.
François de la Noue, coinvolto in prima persona nelle guerre ugonotte, con lo scritto Discours politiques et militaires, dedicato a Enrico di Navarra (il futuro Enrico IV) e uscito in più edizioni nel 1587, intende contribuire alla pace nel paese. Solo l’equilibrio interno, sostiene l’autore, le cui posizioni sono vicine a quelle dei politiques19, può proteggere la Francia dai suoi nemici esterni. Come modello per la Francia e il suo sovrano, egli rimanda alla politica tollerante praticata nel IV secolo dai ‘buoni imperatori’ Costantino e Teodosio, nei confronti tanto dei gruppi minoritari cristiani, quali sono gli ariani, quanto dei pagani e degli ebrei20.
Per altri autori, il paragone con Costantino serve a celebrare Enrico IV come un sovrano cattolico e assoluto. La sua conversione al cattolicesimo, avvenuta nel 1593, che ha il fine di procurargli in tutta la Francia il sostegno politico necessario21, e l’editto di Nantes, proclamato nel 1598, che concede agli ugonotti, seppure solo in luoghi ben definiti, la pratica del loro culto religioso, conducono a una pacificazione delle parti in lotta e rendono possibile lodare Enrico IV con l’appellativo di rex Christianissimus. È infatti con la sua conversione – come si legge anche nel commento a un’immagine del re, dipinta, dopo la morte di quest’ultimo, da Ludovico Buti – che Enrico IV si guadagna il titolo onorifico di re cristianissimo22. Come tale, lui pure si stilizza come successore di Costantino, intervenendo nelle trattative con il sultano Achmed I a protezione della Basilica del Santo Sepolcro e di altri luoghi santi23.
Una posizione contraria a quella di François de la Noue è sostenuta da Jean Morin nel trattato, pubblicato nel 1630, sulla Histoire de la délivrance de l’Église chrétienne par l’empereur Constantin et de la grandeur et souveraineté temporelle donnée à l’Église Romaine par les Roys de France. Questo scritto è dedicato a Luigi XIII, lodato per avere proceduto contro gli ugonotti. La presa della città di La Rochelle nel 1629 sembra porre fine alla «tyrannie des Hérétiques». Per avere liberato i cattolici dal pericolo ugonotto, Luigi deve essere paragonato all’imperatore, capace un tempo di porre fine alla persecuzione dei cristiani. Dal suo paragone storico, Morin trae la conclusione che «les actions du Fondateur de la paix des Chrétiens ne peuvent être plus religieusement consacrées qu’au Fondateur du repos de la France»24. Questa è anche la massima dei motivi figurativi visibili sui dodici arazzi costantiniani, disegnati da Rubens e confezionati per Luigi XIII a partire dal 1622. Ci si limita in questa sede a richiamare solo il fatto che Rubens, per rafforzare il riferimento a Luigi XIII, fa un parallelo tra il matrimonio di quest’ultimo con Anna d’Austria, inserito all’interno di una doppia cerimonia nuziale franco-spagnola, e Costantino, raffigurando su uno degli arazzi le nozze di Costantino con Fausta e allo stesso tempo quelle tra Licinio e Costanza, la sorellastra di Costantino, che però si svolge solo sei anni più tardi, nel 31225.
L’Histoire di Morin è, come rivela lo stesso titolo, un’esplicita presa di posizione in favore della Chiesa di Stato gallicana. L’autore ricorda la donazione di Pipino già sul frontespizio del libro. Nel libro viene esaurientemente mostrato che i papi non derivano il loro potere temporale dalla presunta donazione costantiniana seguita al battesimo di papa Silvestro, ma dall’azione dei re franchi Pipino III e Carlo Magno. Morin va oltre, spiegando che Costantino si converte al cristianesimo grazie ai vescovi della Gallia. Il libro scatena l’ira del Vaticano e specie di papa Urbano VIII, a tal punto che l’autore, in uno scambio epistolare con il cardinale Francesco Barberini, deve promettere di mitigare le sue tesi critiche in una futura nuova edizione, che però non uscirà mai26.
Sempre in contrapposizione a Morin, l’autore ugonotto Jacques Basnage de Beauval, fino al 1685 predicatore a Rouen ed emigrato in Olanda dopo la revoca dell’editto di Nantes, nella sua Histoire de l’Église depuis Jesus-Christ jusqu’à présent (1699) critica l’intervento di Costantino nelle faccende interne della Chiesa. A Costantino non spetta immischiarsi nelle controversie interne della Chiesa e quindi anche di mettere al bando Atanasio. La posizione di forza di Costantino nella Chiesa non si può giustificare né richiamandosi alla sua esemplare religiosità, poiché egli è vicino all’arianesimo, né senz’altro rifacendosi alla sua integrità personale, visto che egli fa giustiziare il figlio Crispo, nonostante la sua colpevolezza non sia provata27.
Nel 1728 il teatino Bernard de Varenne dedica la sua Histoire de Constantin le Grand a Luigi XV. L’autore motiva l’interesse storico per Costantino con il paragone con Luigi XV: entrambi i sovrani, come si legge nella epistola dedicatoria, sembrano riconoscere i principi più importanti del loro potere nell’adorazione della religione cristiana e nell’amore per i sudditi28. Secondo il giudizio di Varenne, Costantino, ossia il primo imperatore cristiano, che all’epoca assume una posizione che si può dire ‘fra trono e altare’, serve da esempio per la Chiesa di Stato gallicana29.
Anche per la casa regnante protestante degli Hohenzollern, Costantino serve quale modello di legittimazione del periodo dell’età imperiale cristiana. Jan Werquet constata che, al più tardi dal XVII secolo «la figura idealizzata dell’imperatore […] era presente, attraverso il programma scultoreo nella Sala d’alabastro della reggia di Berlino, come personificazione esemplare dell’Impero cristiano e occidentale. Accanto a Cesare e a Carlo Magno, Costantino rappresentava la continuità dell’idea imperiale, che era d’importanza fondamentale per l’autoconcezione degli Hohenzollern quali principi elettori del Brandeburgo»30.
La ricezione costantiniana prosegue in Prussia, sebbene con un’intenzione differente, anche dopo la fine del Sacro Romano Impero: Costantino, modello della sovranità cristiana, è messo al fianco dei re prussiani in carica. Ne è una prova il dipinto Triumphbogen di Karl Friedrich Schinkel del 1817, nel quale compaiono le statue equestri del grande principe elettore e di Federico II sotto un archivolto decorato con dei medaglioni raffiguranti i ritratti di Costantino, Pericle e altri.
Costantino è fatto segno di un’attenzione particolare nel contesto della politica religiosa, che, sotto Federico Guglielmo IV e Guglielmo II, viene perseguita attraverso l’intensa attività edilizia. Entrambi gli Hohenzollern mirano certamente a raggiungere scopi differenti con il loro programma di edilizia ecclesiastica: Federico Guglielmo IV spera in una pacificazione delle diverse confessioni e correnti del cristianesimo nel senso di una riviviscenza della Chiesa apostolica originaria, mentre Guglielmo II vede nel rafforzamento della fede cristiana una risposta ai problemi sociali che emergono in misura sempre maggiore nelle grandi città. In entrambi i programmi edilizi, tuttavia, si rispecchia anche il desiderio di seguire l’esempio del primo imperatore cristiano e primo imperatore costruttore di chiese.
Accanto alla costruzione degli edifici di culto che sorgono a Berlino per iniziativa di Federico Guglielmo IV, il re prussiano si impegna a far riprendere i lavori del duomo di Colonia e a trasformare la basilica di Treviri in uno luogo di culto che possa essere utilizzato dalla comunità evangelica31. L’architetto e storico dell’architettura Carl Wilhelm Schmidt prepara un abbozzo per le tribune dell’organo della basilica di Treviri, nel quale le raffigurazioni di Costantino e Federico Guglielmo IV, in grandezza naturale, dovrebbero essere in piedi l’una di fronte all’altra32. Questo progetto, comunque, non viene tradotto in pratica, così come quello, concepito da Sulpiz Boisserée, di erigere presso la facciata occidentale del duomo di Colonia un gruppo di statue raffiguranti i protettori della Chiesa, con Federico Guglielmo IV accanto a Costantino. Il re prussiano, cui va assegnato il merito di avere ricomposto il conflitto, scoppiato nel 1837, con l’arcivescovo di Colonia Clemens August Droste zu Vischering (i cosiddetti disordini di Colonia); al tempo sembra sensato raffigurarlo presso il duomo come protettore della Chiesa, ma negli anni successivi ciò è ritenuto un’inopportuna ingerenza nei problemi contemporanei di politica religiosa. Così, una volta che lo scultore Peter Fuchs completa il ciclo di statue da collocare presso il duomo, la statua del re di Prussia viene sostituita da quella del re Stefano d’Ungheria33.
L’imperatore tedesco Guglielmo II considera il suo ufficio di imperatore e re di Prussia istituito da Dio. Come provano diverse testimonianze autobiografiche, il re concepisce la sua corona come un «dono di Dio». Guglielmo, al tempo stesso, si considera chiamato a provvedere alla diffusione e al rafforzamento della fede cristiana, che egli vede minacciata soprattutto dalle correnti politiche di sinistra. Insieme con la moglie Augusta Vittoria, egli porta avanti, dal 1890 in poi, un intenso programma di edilizia ecclesiastica, grazie al quale deve essere offerto un nuovo sostegno spirituale ai lavoratori «sradicati». Alcune delle chiese che sorgono nel contesto di questo programma di edilizia ecclesiastica testimoniano una imitatio Constantini dell’imperatore tedesco: così, nella chiesa del Salvatore a Bad Homburg vor der Höhe viene eretto un crocefisso, che riprende il candelabro a forma di croce della sala d’ingresso della basilica di S. Marco a Venezia. Esso rappresenta la visione di Costantino prima della battaglia di ponte Milvio, così come essa è raccontata da Eusebio nella Vita Constantini34.
Guglielmo II segue il modello costantiniano anche in Terrasanta, facendo costruire, come Costantino, delle chiese nei più importanti luoghi cristiani della memoria: la chiesa luterana a Betlemme, la chiesa del Salvatore accanto al Santo Sepolcro a Gerusalemme e la chiesa dell’Ascensione sul monte degli Ulivi.
L’intensità con cui l’imperatore tedesco si confronta con Costantino può essere compresa considerando quanto egli si occupi del labaro, il segno della croce legato allo stendardo. Guglielmo, che si interessa sempre molto di questioni di archeologia e che inoltre è un disegnatore dotato e appassionato, si dedica alla storia del simbolo della croce e traduce le sue riflessioni in disegni. Un foglio del 1919, che ancora si conserva, mostra, tra le diverse forme della croce, anche il labaro di Costantino35. Da un’annotazione di Paul Seidel36 risulterebbe attestata l’esistenza di disegni simili preparati da Guglielmo anche negli anni precedenti.
Inoltre, il monarca traduce in pratica il suo lavoro sull’insegna militare di Costantino. Pensando al sedicesimo centenario della battaglia di ponte Milvio, egli incarica l’esperto di archeologia cristiana Joseph Wilpert di scrivere un parere sulla forma del labaro e dà poi l’incarico di ricostruirne due copie ai monaci di Maria Laach e alle benedettine dell’abbazia di Santa Ildegarda a Bingen37. Uno dei due esemplari, regalato nel 1913 a papa Pio X, si conserva tuttora, dopo essere stato esposto quello stesso anno nella chiesa di Santa Croce al Flaminio, fondata dallo stesso papa nel 1912 in ricordo della vittoria di Costantino su Massenzio38. In contraccambio Pio X per l’occasione dona a Guglielmo due esemplari della medaglia commemorativa coniata appositamente per il giubileo dell’editto di Milano e disegnata da Camillo Serafini (1864-1952)39.
1 Nicolaus Avancini, Pietas victrix – Der Sieg der Pietas, hrsg. von L. Mundt, U. Seelbach, Tübingen 2002. Cfr. R. Wimmer, Constantinus redivivus. Habsburg im Jesuitendrama des 17. Jahrhunderts, in Die österreichische Literatur. Ihr Profil von den Anfängen im Mittelalter bis ins 18. Jahrhundert (1050-1750), hrsg. von F.P. Knapp, H. Zeman, II, Graz 1986, pp. 1110-1116; R. Quednau, Ein römischer Kabinettschrank mit Szenen Konstantins des Großen für Kaiser Leopold I. in Wien. Zum Nachleben Konstantins d. Gr. im Bild, in Konstantin der Grosse. Das Bild des Kaisers im Wandel der Zeiten, hrsg. von A. Goltz, H. Schlange-Schöningen, Köln 2008, pp. 193-194.
2 Nicolaus Avancini, Pietas victrix – Der Sieg der Pietas, cit., p. xxix.
3 Ivi, p. xvi.
4 Ivi, pp. 268-271.
5 Ivi, pp. 274-279. Cfr. M. Goloubeva, The Glorification of Emperor Leopold I in Image, Spectacle and Text, Mainz 2000, p. 32. Sul contenuto dell’opera cfr. H. Schlange-Schöningen,“Der Bösewicht im Räuberstaat” – Grundzüge der neuzeitlichen Wirkungsgeschichte Konstantins des Großen, in Konstantin der Grosse, cit., pp. 216-218.
6 Su ulteriori paragoni letterari tra Leopoldo e Costantino cfr. M. Goloubeva, The Glorification, cit., pp. 133, 182.
7 R. Quednau, Ein römischer Kabinettschrank, cit., pp. 161-210 (con immagini). Un’immagine anche in Id., Konstantin als Vorbild weltlicher Herrschaft, in Konstantin der Grosse. Ausstellungskatalog, hrsg. von A. Demandt, J. Engemann, Trier 2007, p. 463 e in F. Polleroß, “Pro decore Majestatis“, Zur Repräsentation Kaiser Leopolds I. in Architektur, Bildender und Angewandter Kunst, in Jahrbuch des Kunsthistorischen Museums Wien, 4/5 (2002-2003), pp. 190-295, in partic. 203.
8 R. Quednau, Ein römischer Kabinettschrank, cit., p. 190.
9 Cfr. W. Seibrich, Die Heilig-Rock-Ausstellungen und Heilig-Rock-Wallfahrten von 1512 bis 1765, in Der Heilige Rock zu Trier. Studien zur Geschichte und Verehrung der Tunika Christi, hrsg. von E. Aretz, M. Embach, M. Persch, F. Ronig, Trier 1995, pp. 175-217, in partic. 181-183; M. Embach, Die Rolle Kaiser Maximilians I. (1459-1519) im Rahmen der Trierer Heilig-Rock-Wallfahrt von 1512, in Jahrbuch für westdeutsche Landesgeschichte, 21 (1995), pp. 409-438; Id., Kaiser Maximilian I. betet den Heiligen Rock in Trier an, in 1495 - Kaiser, Reich, Reformen. Der Reichstag zu Worms. Ausstellung des Landeshauptarchivs Koblenz in Verbindung mit der Stadt Worms zum 500jährigen Jubiläum des Wormser Reichstages von 1495, Worms 1995, pp. 197-199; T. Schauerte, Die Erhebung des Trierer Rockes durch Kaiser Maximilian als “symbolische Argumentation“, in Der Trierer Reichstag von 1512 in seinem historischen Kontext, hrsg. von M. Embach, E. Dühr, Trier 2012, pp. 55-67.
10 Cfr. J. Pešina, Alt-Deutsche Meister. Von Hans von Tübingen bis Dürer und Cranach, Hanau 1962, figg. 31-34; G. Otto, Bernhard Strigel, Berlin 1964; H.A. Pohlsander, Vier Altartafeln von Bernhard Strigel. Einige historische und philologische Perspektiven, in Memminger Geschichtsblätter (1997-2000), pp. 7-42; R. Quednau, Ein römischer Kabinettschrank, cit., p. 191.
11 Ivi, pp. 191-192; cfr. anche J. Jacquot, Panorama des fêtes et cérémonies du règne. Évolution des thèmes et des styles, in Les Fêtes de la Renaissance, II, Fêtes et cérémonies au temps de Charles Quint, IIe Congrès de l’Association Internationale des Historiens de la Renaissance (Bruxelles, Anvers, Gand, Liège 2-7 septembre 1957), éd. par J. Jacquot, Paris 1960, pp. 452-453, 484; R. Quednau, Konstantin als Vorbild, cit., pp. 461-462.
12 R. Quednau, Ein römischer Kabinettschrank, cit., p. 192; cfr. ancora J. Jacquot, Panorama, cit., pp. 421 (apparato solenne per Carlo V a Bologna nel 1529), 431 (Carlo V sotto l’Arco di Costantino a Roma nel 1536).
13 R. Quednau, Ein römischer Kabinettschrank, cit., pp. 192-193. Un’immagine in Id., Konstantin als Vorbild, cit., p. 462.
14 R. Quednau, Ein römischer Kabinettschrank, cit., p. 193.
15 Id., Konstantin als Vorbild, cit., p. 459.
16 J. Blunk, Das Taktieren mit den Toten. Die französischen Königsgrabmäler in der Frühen Neuzeit, Köln 2011, pp. 75-76, fig. 24.
17 R. Quednau, Konstantin als Vorbild, cit., p. 459.
18 Cfr. H. Schlange-Schöningen, Das Bild Konstantins in der Neuzeit, in Konstantin der Grosse. Geschichte – Archäologie – Rezeption, cit., pp. 289-290.
19 Cfr. I. Mieck, Europäische Geschichte der frühen Neuzeit, Stuttgart 19894, p. 135.
20 François de la Noue, Discours politiques et militaires, Lyon 1595, p. 51: «Du temps des bons Empereurs Constantin et Theodose […] voyoit-on pas en l’Empire romain les païens, les juifs et les arrians, que les vrais chrétiens etoient contraints de laisser vivre selon leurs disciplines et consciences, sans que les guerres fussent enflammées, et les persecutions violentes dressées pour telles diversitez?».
21 Cfr. R. Quednau, Konstantin als Vorbild, cit., p. 460, sulla colonna commemorativa eretta a Roma, nel 1595, in ricordo della conversione di Enrico grazie all’abate francese degli antoniani, Charles Anisson.
22 M. Bietti, Les toiles du cycle en l’honneur du «Cristianissimo re de Francia e di Navarra», in «Paris vaut bien une messe!» 1610: Hommage des Médicis à Henri IV, roi de France et de Navarre. Musée national du château de Pau 1er avril-30 juin 2010 (catal.), a cura di M. Bietti, F. Fiorelli Malesci, P. Mironneau, Paris 2010, pp. 88-105, 138-139 (con immagini).
23 Cfr. M. Bietti, Notice 27, in «Paris vaut bien une messe!», cit., p. 174. Sul paragone tra Costantino ed Enrico IV, proposto dai gesuiti di La Flèche dopo l’assassinio del secondo nel 1610 cfr. R. Mousnier, L’assassinat d’Henri IV, Paris 1964, pp. 234-235.
24 Jean Morin, Histoire de la délivrance de l’Église chrétienne par l’empereur Constantin et de la grandeur et souveraineté temporelle donnée à l’Église Romaine par les Roys de France, Paris 1630, Epître au Roy, pp. II-IV.
25 Si veda il contriburo di R. Quednau in questa stessa opera. Cfr. inoltre Th. Kirchner, Der epische Held. Historienmalerei und Kunstpolitik im Frankreich des 17. Jahrhunderts, München 2001, pp. 105-107, 158-162 (sullo schizzo di Nicolas Poussin del 1638 per la pitturazione della Grande Galerie del Louvre, per la quale l’artista ricorse a motivi dell’Arco di Costantino); R. Quednau, Konstantin als Vorbild, cit., p. 460. Cfr. in modo dettagliato Id., Zum Wandel des Konstantin-Bildes in der Kunst: Raphael und Rubens / Pietro da Cortona, in Konstantin der Grosse. Geschichte – Archäologie – Rezeption, cit., pp. 277-280.
26 R. Quednau, Ein römischer Kabinettschrank, cit., pp. 175-176, 180-181. Cfr. A.-G. Martimort, Le Gallicanisme de Bossuet, Paris 1953, p. 170; G.M. Vian, La donazione di Costantino, Bologna 2004, p. 172; si vedano anche i contributi di L. Biasiori e F. Meloni in questo stesso volume.
27 Jacques Basnage de Beauval, Histoire de l’Église depuis Jesus-Christ jusqu’à présent, Rotterdam 1699, pp. 88-89.
28 Bernard de Varenne, Histoire de Constantin le Grand, premier empereur chrétien, Paris 1728, épître au Roi.
29 Bernard de Varenne, Histoire de Constantin le Grand, cit., p. I: «Ainsi pour mettre Constantin en son vrai jour, il faut […] le placer entre le Trône et l’Autel».
30 J. Werquet, Konstantin in der Tradition der Hohenzollern, in Konstantin der Grosse. Ausstellungskatalog, cit., p. 467.
31 Cfr. E. Zahn, Die Basilika in Trier, Trier 1990, pp. 19-24, 36-45.
32 J. Werquet, Konstantin in der Tradition, cit., p. 468, fig. 3.
33 Cfr. J. Becker, Das Plastikprogramm des Kölner Doms 1845-57, in Kölner Domblatt, 32-32 (1970), pp. 15-28, in partic. 18-19; ma anche R. Lauer, Die Skulptur des 19. Jahrhunderts am Kölner Dom, in Kunst des 19. Jahrhunderts im Rheinland, IV, Plastik, hrsg. von E. Trier, W. Weyres, Düsseldorf 1980, pp. 26-29.
34 Cfr. H. Schlange-Schöningen, Das Bild Konstantins in der Neuzeit, cit., p. 285.
35 Cfr. J. Krüger, Wilhelms II. Sakralitätsverständnis im Spiegel seiner Kirchenbauten, in Wilhelm II. und die Religion. Facetten einer Persönlichkeit und ihres Umfelds, hrsg. von S. Samerski, Berlin 2001, p. 259, fig. 12; J. Werquet, Konstantin in der Tradition, cit., p. 469, fig. 4.
36 Cfr. Führer durch das Hohenzollernmuseum, hrsg. von P. Seidel, Berlin 1904.
37 Cfr. J. Krüger, Wilhelms II Sakralitätverständnis, cit., p. 258, fig. 11.
38 Cfr. H. Schlange-Schöningen, Das Bild Konstantins in der Neuzeit, cit., p. 296; J. Werquet, Konstantin in der Tradition, cit., p. 469, fig. 5.
39 Cfr. R. Quednau, Konstantin als Vorbild, cit., p. 464.