Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Con la proclamazione della repubblica, il processo e l’esecuzione del re, la rivoluzione entra nella sua fase decisiva. Controllando il Comitato di salute pubblica, i giacobini impongono una politica del terrore che con la sua durezza ha tuttavia il merito di salvare la rivoluzione da nemici interni ed esterni. Il contrasto che si apre tra Danton e Robespierre sulle prospettive del processo rivoluzionario prepara l’esaurimento del giacobinismo.
La Repubblica
Il 19 agosto 1792 le truppe prussiane guidate da Federico Guglielmo II e comandate dal duca di Brunswick varcano la frontiera francese, seguite da una piccola truppa di emigrati. La capitolazione di Longwy, quattro giorni dopo, rende imminente l’assedio e la conseguente resa di Verdun, ultima difesa della capitale. A Parigi si teme che l’invasione sia il segnale di una vasta sollevazione aristocratica e clericale, e fa ritenere imminente l’occupazione di Parigi.
Mentre la Comune lancia un appello ai cittadini perché si formi un’armata di 60 mila uomini, si diffonde la voce che nelle prigioni di Parigi si complotta una ribellione; infiammata dai discorsi del leader del club dei cordiglieri Jean-Paul Marat (1743-1793) contro i traditori della rivoluzione, la folla della capitale invade le carceri e gruppi di sanculotti uccidono oltre un migliaio di prigionieri.
“L’usurpazione e il potere della nuova municipalità” di Parigi denunciati dai girondini trova nei massacri di settembre, dopo l’insurrezione del 10 agosto, la sua consacrazione. Da questo momento tra la Comune, con le sue sezioni, da un lato, e l’Assemblea rappresentativa, dall’altro, si instaura un rapporto di poteri concorrenti: la Comune, mobilitando le masse della capitale, condiziona costantemente i comportamenti dell’Assemblea, che cerca di sottrarsi all’ingombrante tutela, riuscendovi solo alla caduta di Robespierre. La vittoria del generale Dumouriez nella battaglia di Valmy non saluta solo – secondo la celebre espressione di Goethe – “l’inizio di una nuova era nella storia del mondo”, ma, allentando l’incubo dell’invasione, consente di aprire – in un clima meno drammatico – i lavori della Convenzione nazionale.
Immediatamente, il 21 settembre 1792, la nuova Assemblea proclama la Repubblica “una e indivisibile”; non tarda tuttavia a rendersi visibile il contrasto tra i girondini, tesi a ridimensionare l’eccessivo potere della municipalità parigina, e i montagnardi, il gruppo in cui confluiscono i settori più intransigenti del giacobinismo, che nella mobilitazione delle masse della capitale vede la garanzia contro i continui pericoli di involuzione nel processo rivoluzionario.
Il processo a Luigi XVI
Il 20 gennaio 1793 si apre davanti alla Convenzione il processo al re, un momento tra i più densamente simbolici della rivoluzione, che obbliga i protagonisti a misurarsi con il principio della sacralità monarchica. A chi ancora esita a definire il principio su cui fondare la condanna del re, il giacobino Saint-Just replica perentoriamente: “non si può regnare virtuosamente. Tutti i re sono dei ribelli e degli usurpatori”. Contro gli antichi princípi si leva, dunque, l’idea della sovranità del popolo basata sull’eguaglianza di coloro che hanno dato vita all’originario patto sociale. Ghigliottinando il re, la repubblica adotta questo nuovo fondamento di legittimità e taglia ogni ponte con il passato.
L’esecuzione di Luigi XVI provoca, dunque, un allargamento del fronte delle potenze europee ostili alla rivoluzione che si organizzano nella prima coalizione antifrancese. La dichiarazione di guerra a Inghilterra, Spagna e Olanda è però seguita da gravi insuccessi militari, che compromettono ciò che le armate rivoluzionarie hanno saputo realizzare nell’autunno del 1792, giungendo alla conquista del Belgio e della Savoia. In seguito alla sconfitta di Neerwinden, Dumouriez, in conflitto con la Convenzione, si rifugia proprio presso gli Austriaci, dopo aver tentato di condurre la sua armata su Parigi per restaurare la monarchia. Questo tradimento acuisce il contrasto tra giacobini e girondini, che hanno costantemente appoggiato l’operato del generale. A questi ultimi si rimprovera sempre più aspramente l’incapacità nel far fronte alla guerra e a quelle rivolte interne che le incerte sorti militari inevitabilmente alimentano. Dal marzo del 1793 intere regioni dell’ovest e a sud della Loira (Vandea) insorgono al grido di “Viva il re, viva i nostri buoni preti!”, dando avvio a una violentissima guerra civile che nella sua fase più acuta si prolunga per oltre un anno.
La crisi dei girondini
L’universo contadino della Vandea, dove la Chiesa da secoli è un riferimento per le famiglie sparse nell’ampio spazio del bocage, è particolarmente colpito dalle persecuzioni contro il clero refrattario. A ciò si deve aggiungere l’insofferenza alla coscrizione militare e soprattutto un disagio sociale reso più acuto dalla delusione per la vendita della proprietà ecclesiastica e feudale che favorisce solo la borghesia agiata. Questo spiega la particolare virulenza dell’insurrezione e la corrispettiva violenza della repressione con i massacri tristemente celebri di Charrier a Nantes e le “colonne infernali” di Turreau che provocano oltre 100 mila morti. Di fronte ai fatti della Vandea e alle sconfitte militari la Convenzione accoglie, allora, misure eccezionali. A partire dal marzo del 1793 vengono istituiti un Tribunale rivoluzionario destinato a giudicare con rapida procedura i sospetti di azioni contro il governo repubblicano, quindi un Comitato di salute pubblica con il compito di coordinare tutte le iniziative di difesa verso l’esterno e verso l’interno, che non tarda ad accentrare in sé il potere controllando l’attività dei ministri.
La compromissione del già fragile sistema di garanzie di libertà e democrazia causata da questa normativa eccezionale accelera la crisi del girondinismo. Vi contribuisce in modo decisivo l’accentuarsi del malessere sociale, avvertito particolarmente a Parigi, come conseguenza della continua ascesa dei prezzi. Il dibattito della Convenzione sull’adozione di un calmiere (legge sul Maximum) sul prezzo del grano mette in evidenza le differenze nella politica sociale dei girondini e dei giacobini. Non si tratta di differenze teoriche di fondo, poiché la comune origine borghese rende entrambi estranei a ogni idea di legge agraria e controllo della proprietà.
Divergono tuttavia le immediate strategie politiche, poiché l’urgenza di salvare la rivoluzione porta i giacobini a una stretta alleanza con il minuto ceto artigiano della capitale, mentre i girondini rimangono legati alla borghesia commerciante e professionale delle province. Il contrasto tra la capitale e il resto della Francia, tra la Convenzione e la Comune di Parigi si colora quindi di un non trascurabile tono sociale. Contro il tentativo operato dal governo girondino di ridimensionare il potere della Comune (maggio del 1793), la municipalità parigina riesce a mobilitare la popolazione, facendo leva anche sul malcontento causato dalla crisi alimentare e dalla disoccupazione. Sotto la pressione popolare la Convenzione, pur dopo molte esitazioni, il 2 giugno vota un decreto d’arresto contro i principali capi girondini, che verranno di lì a poco condannati e condotti alla ghigliottina. La mobilitazione popolare decreta il trionfo dei montagnardi.
Il 1793
Nell’estate del 1793 la repubblica giacobina deve affrontare come “una grande città assediata” l’invasione straniera, la rivolta della Vandea e l’insurrezione dei dipartimenti fedeli al governo girondino, che ha le sue roccaforti, oltre che a Bordeaux, a Lione, Tolone, Marsiglia. Il Terrore, “messo all’ordine del giorno” dalla Convenzione il 5 settembre, e la successiva legge sui sospetti – che permette di incarcerare senza processo chiunque sia segnalato come nemico della libertà – consentono al Comitato di salute pubblica, composto di soli fedeli di Robespierre, di dirigere con energia il governo rivoluzionario.
Grazie all’arruolamento in massa e alle capacità di giovani generali cresciuti con la rivoluzione, una ripresa di iniziativa militare porta alla riconquista di Dunkerque a scapito degli Inglesi (settembre del 1793), della Savoia e di Strasburgo, mentre prosegue con particolare durezza la repressione delle rivolte interne.
Tuttavia il successo della politica giacobina non si deve solo all’energia repressiva dei mesi del Terrore, ma anche alla capacità di aver saputo vincolare aspettative e timori del popolo francese alla causa della rivoluzione. Vi gioca quindi un ruolo importante la capacità di apertura e coesione sociale, come testimoniano il varo di un maximum generale su tutte le merci e l’approvazione di una Costituzione del 1793 (mai applicata) che accoglie il principio del suffragio universale. Tuttavia questa politica non oltrepassa mai la visione degli interessi di quei ceti produttivi e proprietari che sin dall’inizio rappresentano il nucleo del processo rivoluzionario. La conferma viene dall’antagonismo che in quegli stessi mesi oppone il governo giacobino ai cosiddetti arrabbiati, favorevoli a una decisa azione a vantaggio delle classi lavoratrici anche attraverso la discussione delle forme della proprietà privata. La repressione degli arrabbiati circoscrive così i limiti sociali entro i quali anche il giacobinismo più intransigente intende muoversi nella prospettiva di una rivoluzione vittoriosa.
La fine del Terrore
La lotta degli arrabbiati è ripresa dal gruppo di Jacques-Réné Hébert, che può contare almeno in parte sul controllo della Comune di Parigi. In un primo tempo gli hebertisti spingono ad accelerare la politica di scristianizzazione, riprendendo motivi deisti o apertamente atei presenti nella tradizione dei Lumi: il calendario repubblicano, l’adozione di culti laici come quello di Marat (assassinato nel luglio del 1793), le feste in onore della dea Ragione sembrano assecondare sulle prime la loro posizione. L’immagine del “sanculotto Gesù” ha però in sé una potenzialità di radicalismo sociale che mette presto gli hebertisti in urto con il governo rivoluzionario. Ateismo e culti razionalistici vengono combattuti come elementi di un indirizzo estremo della rivoluzione, che né Robespierre né la maggioranza giacobina intendono seguire. Con la condanna a morte di Hébert e dei suoi seguaci (24 marzo 1794) può dirsi esaurita ogni prospettiva, seppur parziale e lontana, di oltrepassare gli orizzonti borghesi del processo rivoluzionario. Del resto a partire dai primi mesi del 1794 Camille Desmoulins, appoggiato da Danton, dà inizio sul suo giornale “Le vieux Cordelier” a un duro attacco contro gli eccessi della rivoluzione. Ciò che si intende mettere in discussione è l’accentramento del potere nelle mani dell’Incorruttibile – questo l’appellativo ora riservato a Robespierre – e la condotta esageratamente rigorosa del Comitato di salute pubblica. Questo attacco dà voce a un sentimento, diffuso anche nella capitale, che ritiene mature le condizioni per un ritorno alla normalità sia nella vita economica sia in quella politica. Facendo leva su episodi di corruzione, nei quali sono coinvolti Danton e i suoi amici, e agitando ancora il pericolo della controrivoluzione, Robespierre riesce a ottenere un processo che si conclude con l’esecuzione di Danton, Desmoulins e degli altri cosiddetti Indulgenti. Tuttavia, “le vittorie si accanivano contro Robespierre” e il problema di “finire la rivoluzione” cresce ormai nell’opinione pubblica. Le vittorie militari della primavera del 1794 (battaglia di Fleurus contro gli Austriaci) e il placarsi delle rivolte interne accentuano infatti, dopo la morte di Danton, l’insofferenza verso il rigore del governo rivoluzionario.
La legge del 22 Pratile (10 giugno 1793) del Grande Terrore con 1.376 condanne a morte pronunciate in 47 giorni, rappresenta una ripresa repressiva del tutto sproporzionata rispetto alla situazione politica. Molti cominciano a temere un disegno di potere personale da parte di Robespierre, che si riserva anche un ruolo particolare nella festa dell’Ente supremo, culto da lui voluto in risposta agli eccessi dell’ateismo rivoluzionario. I contrasti che dividono il club giacobino si riproducono tra il Comitato di salute pubblica e il Comitato di sicurezza generale e all’interno di essi, dove i fedelissimi di Robespierre (Saint-Just e Couthon) agiscono ormai autonomamente rispetto agli altri membri. Non misurando i rapporti di forza e tanto meno i mutamenti intervenuti nella pubblica opinione, Robespierre immagina di poter forzare la situazione di conflitto accelerando ulteriormente la politica del Terrore. Il suo discorso del 26 luglio 1794, in cui minaccia l’epurazione dei due Comitati, impaurisce la Convenzione e la spinge a decretare l’arresto di Robespierre e dei suoi seguaci.
Per un momento sembra che possa verificarsi nuovamente quanto accaduto tante altre volte: il prevalere, cioè, della Comune (Robespierre liberato si rifugia infatti all’Hôtel de Ville) sull’Assemblea rappresentativa. La scarsa mobilitazione della popolazione parigina rivela, però, il clima di stanchezza se non di delusione intervenuto tra gli attori della rivoluzione. Nuovamente arrestato dalle truppe della Convenzione, Robespierre con altre ventidue persone (e un centinaio seguirà nei giorni successivi) è condotto alla ghigliottina senza processo la sera del 10 Termidoro (28 luglio 1794).