Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Gli umanisti cercano una conciliazione, almeno teorica, tra la verità delle sacre scritture e la sapienza classica, dando vita a soluzioni sincretistiche spesso ardite. La loro religione è qualcosa di molto personale e intimo, condivisa con una ristretta cerchia di amici. Essi rifiutano a volte i culti della religione ufficiale, scontando l’accusa di “paganesimo”. Sul finire del secolo si assiste al trionfo di una poesia latina cristiana per merito di Battista Spagnoli Mantovano, ribattezzato “Virgilio cristiano”.
Avventure religiose nel segno della parola
Leon Battista Alberti
Consigliando Lepido
Religio
Libripeta: E tu negherai forse, Lepido, che gli uomini sono la causa di tutte le loro sciagure? Sali su questo fico, appenditi a questo ramo e poi supplica gli dèi che ti diano una mano! Se non fossi stato tu a farti venire un esaurimento, leggendo e studiando di notte per molto tempo, Lepido, non saresti ora pallido e dispeptico. Gli uomini sono responsabili delle disgrazie che li colpiscono. Credimi: ai marinai non sarebbe mai venuto in mente che gli dèi possano placare le tempeste se non si fossero azzardati a mettersi in mare. Ma hanno preso questa abitudine: quando, per loro follia, vengono colpiti da gravi sciagure, subito si rivolgono agli dèi. Quando fanno così, vorrebbero che gli dèi tenessero lontano un male che loro stessi si sono andati a cercare. Questo non mi sembra pregare, ma discutere e litigare. Se saprai evitare le cause delle sciagure, non avrai bisogno di dèi che ti tolgano le castagne dal fuoco. Se credi invece che l’uomo sia un pericolo per il proprio simile, non serve supplicare gli dèi che ci proteggano, ma è meglio cercare di ammansire gli uomini stessi. Ammettiamo pure che gli dèi siano la causa delle sventure umane: sappi che non cambieranno certo modo di comportarsi per effetto delle tue preghiere. Gli uomini soffrono: è una vecchia storia. Ma chiunque sia il responsabile delle nostre opere, il fato, la fortuna o il mutare del tempo, costui stesso non eseguirà certo il suo compito senza autorizzazione divina e non terrà in nessun conto, o bigotti, le vostre pratiche senza senso.
L. B. Alberti, Intercenales, a cura di F. Bacchelli e L. D’Ascia, Bologna, Pendragon, 2003
William Shakespeare
Schernendo Battista Spagnoli
Pene d’amor perdute
Oloferne: Fauste, precor gelida quando pecus omne sub umbra Ruminat… e così di seguito. Oh, buon vecchio Mantovano! Potrei parlare di te come il viaggiatore parla di Venezia:
Vinegia, Vinegia,
Chi non ti vede non ti pregia.
Vecchio Mantovano, vecchio Mantovano! Chi non ti comprende, non ti ama!
W. Shakespeare, Tutte le opere, a cura di M. Praz, trad. di A. Zanco, Firenze, Sansoni, 1964
Michele Marullo
Madre Terra
Inno alla Terra
[…]
Per questo [comportamento immorale] si è sovvertito il lecito e l’illecito e scellerate guerre
hanno fatto irruzione, ci tiene il furore esiziale di avere
e il lusso, né, agitati dalla speranza di vano potere,
cessiamo di turbare la quiete della placida gente,
immemori che presto dovremo giacere tutti nella stessa
terra, abituata a confondere i poveri coi dominati
e a scaldare tutti i nati con pari affetto,
nel materno grembo accolti per secoli lunghi.
Ma tu, grande madre, poiché ci è tolta ogni speranza
di quiete altrimenti, ormai infine assistici, e anche noi ai sepolti
aggiungi, commiserando, genitrice, tante dure pene.
M. Marullo, Inni naturali, introduz., trad. it. e commento di D. Coppini, Firenze, Le Lettere, 1995
Gli umanisti manifestano una certa predilezione per una religione incentrata assai più sui comportamenti etici che sulle pratiche devote e sulle cerimonie. Il loro è un credo interiore, elitario, di natura filosofica più che teologica.
Su questo come su altri versanti Lorenzo Valla si mostra spregiudicato: nel dialogo De voluptate (poi De vero falsoque bono) tenta infatti un’ardita conciliazione tra il piacere epicureo e la prospettiva ultraterrena cristiana. Dopo aver dimostrato, nei primi due libri del trattato, che non sono le virtù degli stoici a muovere gli uomini, ma la ricerca dell’utile, nel terzo libro egli adatta il principio di piacere in senso trascendente, prefigurando al vero cristiano le gioie del paradiso. La filosofia epicurea di Lucrezio avvince profondamente anche il poeta e soldato di ventura Michele Marullo Tarcaniota, che muore, secondo la leggenda, attraversando il fiume Cecina con il De rerum natura nella bisaccia: i suoi Hymni naturales sono intrisi al contempo di naturalismo lucreziano e spiritualità neoplatonica.
Il prevalente atteggiamento di fiducia antropologica tende ad avvicinare alla dimensione umana principi prima astratti, ingenerando contraddizioni di pensiero più o meno manifeste. Leon Battista Alberti, nei suoi Libri della Famiglia, equipara a più riprese Dio alla Natura, perché sente la presenza della seconda più tangibile e meglio identificabile. In un suo celebre dialoghetto latino intitolato Religio, invece, uno dei due interlocutori, Libripeta, sostiene l’insensatezza delle preghiere rivolte agli dei, all’interno di una laica visione del mondo dove solo l’uomo è artefice dei suoi successi o dei suoi scacchi.
Sospetti di irreligiosità, confermati da costumi paganeggianti e scarsa devozione verso la religione cristiana, costano molto cari agli esponenti dell’Accademia Romana. Fondata da Giulio Pomponio Leto, allievo di Valla, nel corso degli anni Sessanta, essa vanta nomi di illustri umanisti quali Filippo Buonaccorsi, noto col nome di Callimaco Esperiente, e Bartolomeo Sacchi, detto il Platina: accusati di cospirare contro il Vaticano per l’instaurazione di una repubblica, col presunto appoggio del sovrano musulmano Maometto II, nel 1468 sono imprigionati da Paolo II e per diversi mesi devono continuare nel carcere di Castel Sant’Angelo le loro discussioni letterarie e la difesa della loro passione per la sapienza antica.
Per alcuni di costoro quello per le lettere diventa un vero e proprio culto parallelo, come testimonia la frase del filologo e patrizio veneto Ermolao Barbaro: “Conosco due signori: Cristo e le lettere”.
Per Lorenzo Valla invece, per cui la lingua latina è un “sacramento”, il corpo a corpo con la parola della Bibbia è l’unica via per vivere un’autentica esperienza religiosa: egli ritraduce così dal greco al latino il Nuovo Testamento, correggendo gli errori che da secoli inficiavano il sacro testo nella Vulgata di San Girolamo.
Il manoscritto contenente le sue “Annotazioni” verrà ritrovato da Erasmo da Rotterdam all’inizio del Cinquecento in un’abbazia fiamminga e, una volta stampato, farà da apripista alla moderna filologia testamentaria, la disciplina che studia la tradizione e l’interpretazione dei libri della Bibbia.
Alla ricerca di una possibile conciliazione tra le verità
Nel 1458 sale al soglio pontificio l’umanista Enea Silvio Piccolomini, che sceglie come nome quello di Pio, omaggio all’eroe del poema virgiliano, “pio” per antonomasia: Enea. In pieno Quattrocento l’elezione di Pio II, dopo quella di Tommaso Parentucelli (1397-1455, papa dal 1447), cultore degli studi umanistici, eletto papa col nome di Niccolò V, rappresenta l’apice del movimento umanistico. La principale preoccupazione degli umanisti è infatti sempre stata quella di conciliare la sapienza degli antichi poeti e filosofi con le verità cristiane.
Tra virtù pagane, valori terreni e dogmi cristiani si sviluppa un dibattito che investe fortemente la dimensione etica degli intellettuali, in un insieme comunque alieno dal conflitto e incline piuttosto al sincretismo di posizioni anche apparentemente inconciliabili.
Già Coluccio Salutati, sulla scia di Giovanni Boccaccio, aveva difeso le “fabule” poetiche, rivelandone la capacità di trasmettere, sotto la corteccia metaforica, verità non dissimili da quelle comunicate dalla filosofia e dalla sacra scrittura stessa.
Cristoforo Landino, negli ultimi due libri delle Disputationes camaldulenses (1472-1473), scopre, da filosofo, i sensi allegorici riposti nell’Eneide, letta come viaggio dell’anima. La sua interpretazione asseconda un interesse idealistico allora dominante a Firenze, grazie soprattutto all’amico Marsilio Ficino: nella sua opera più celebre, la Theologia platonica de immortalitate animorum (1482), questi tentava una sintesi filosofica tra il pensiero platonico, la filosofia di san Tommaso e la religione cristiana.
Gli umanisti non sviluppano una teologia alternativa a quella della Chiesa, ma vanno orgogliosi di una certa autonomia di pensiero, anche in materia di fede, rispetto ai valori proposti dal clero. Particolare scandalo destano le 900 tesi filosofico-religiose che il giovane Pico della Mirandola propone di discutere a Roma nel 1487, alla presenza di Innocenzo VIII e di tutto il concistoro dei cardinali: attraverso di esse Pico tenta una grandiosa sintesi delle principali opzioni sapienziali elaborate nel tempo dalle diverse civiltà, dagli antichi sacerdoti egiziani ai pitagorici, dalla cabala ebraica al pensiero del filosofo arabo medievale Averroè, fino ai pensatori cristiani. La sua ricerca approdava all’ammissione di una pluralità delle vie per raggiungere una verità comune. Alcune delle sue tesi furono però dichiarate eretiche e il loro autore fu costretto a rifugiarsi in Francia.
Esperimenti e trionfo di una poesia cristiana
Alcuni umanisti particolarmente devoti alla religione “ufficiale” tentano di riversare nelle forme della poesia classica i contenuti cristiani. Il lodigiano Maffeo Vegio, monaco agostiniano, abituato a cantare in versi latini gli eroi omerici e virgiliani, negli ultimi anni della sua vita compone un poemetto epico di agiografia cristiana: l’Antonias (1437), che narra con tecnica e lingua virgiliana la vita di sant’Antonio, è il primo esempio di un genere poi largamente praticato.
Il fiorentino Ugolino Verino adatta invece la materia sacra a un genere breve e considerato minore: i suoi sette libri di Epigrammi sono prevalentemente di argomento religioso. Fervente sostenitore della causa di Girolamo Savonarola, il domenicano che governò Firenze dal 1494 al 1498, Verino dedica al frate una poesia “sulla religione cristiana e la felicità della vita monastica” (Carmen de christiana religione ac vitae monasticae felicitate), che è una difesa, al contempo, della sua fede nella religione e nella poesia.
Ma colui al quale spetta un indiscusso primato in questo settore umanistico è il frate carmelitano e poeta Battista Spagnoli detto il Mantovano, capace di riadattare in vesti cristiane molte forme poetiche dell’antichità. Nella sua vastissima produzione un particolare rilievo si deve dare alle dieci ecloghe raccolte nell’Adolescentia (1498): mostrando, nello svolgersi dei componimenti, un itinerario spirituale esemplare, il Mantovano fa di uno dei generi paradigmatici della classicità un originale strumento di edificazione cristiana. Sull’onda dell’entusiastico giudizio di Erasmo da Rotterdam, che definì il Mantovano “Virgilio cristiano”, quest’operetta diventerà presto un best seller, adottato come classico nelle scuole di mezza Europa. Della sua funzione propedeutica allo studio del latino sappiamo anche grazie ai ricordi di Martin Lutero: “Prima lessi il Mantovano, poi mi imbattei in Ovidio e Virgilio”. Ancora William Shakespeare, alla fine del Cinquecento, lo menziona in una sua commedia, quale autore di un vero e proprio tormentone per gli studenti. Il Mantovano realizza così l’utopia di un umanesimo cristiano, che influenzerà i grandi autori del Rinascimento europeo più ancora che i rappresentanti italiani dell’umanesimo cristiano del primo Cinquecento: Iacopo Sannazaro (1455-1530), che compone il poema De partu Virginis (1526), e Marco Girolamo Vida, autore di una versificazione della vita di Cristo (Christias, 1527).