Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Tra gli obiettivi principali del programma spirituale e amministrativo del concilio di Trento vi erano stati la difesa dell’ortodossia romana contro le eresie protestanti e il potenziamento dell’intervento concreto della Chiesa sulla globalità delle realtà sociali. Quest’ultimo fine viene raggiunto soprattutto grazie all’opera del più potente degli ordini religiosi, quello dei gesuiti, che si dimostrano non solo missionari eroici e inflessibili, consiglieri cauti e avveduti, pedagoghi dottissimi e rigorosi: a loro si deve anche la costruzione di una retorica della eloquenza sacra.
La predicazione barocca
Nel Seicento, tutti i generi letterari sono illuminati dal fulgore della poetica barocca. In un secolo in cui imperavano il fasto, le metamorfosi e lo sfarzo, anche la liturgia e, in generale, tutte le manifestazioni esteriori del sentimento religioso divengono spettacolo meraviglioso e altamente suggestivo.
Strumento indispensabile per esortare, risvegliare, umiliare o, in una parola, sensibilizzare la coscienza del credente è, senza dubbio, la predica, che nella Spagna, nell’Italia e soprattutto nella Francia del Seicento raggiunge vette di originalità, eloquenza e virtuosismo retorico e poetico.
Il predicatore barocco (tanto più se gesuita) appare così una figura che sta fra l’oratore, l’attore e l’educatore. Egli si prefigge come meta fondamentale quella di coinvolgere emotivamente il suo uditorio, potentemente stimolato con le figure della retorica più efficaci e suggestive. L’immedesimazione da parte del pubblico è suscitata dal predicatore stesso, che diviene l’attore di ciò che dice e amplifica il contenuto con il gesto e l’azione scenica.
La predicazione in Italia
Maestro scaltrito dall’eloquio travolgente ed immaginoso è il gesuita Emanuele Orchi che, nelle sue prediche, riversa una fantasia inesauribile, nutrita di grande erudizione scritturistico-patristica. Questa figura di “mago delle parole” presenta non pochi punti in comune con il massimo predicatore secentesco di lingua tedesca, Abraham a Sancta Clara. In uno stile ardito, sorprendente e ricchissimo, il grande oratore tedesco dipinge un doloroso affresco della vita e della condizione umana, prendendo spesso spunto dagli eventi della storia contemporanea: la tremenda peste del 1679 e il pericolo dell’invasione turca.
Nel contesto della predicazione italiana, comunque, la personalità di certo più interessante è Paolo Segneri, coltissimo e appassionato gesuita da molti considerato il restauratore dell’oratoria sacra italiana, dopo gli eccessi di un’eloquenza concettistica, fondata sui cosiddetti “concetti predicabili”.
Nelle prediche di Segneri si registra una varietà di toni davvero ampia: da quello concitato e commosso della profezia di ispirazione biblico-apocalittica a quello didattico e piano dell’allegoria mitologica o evangelica; da quello aggressivo e sarcastico dell’invettiva a quello dotto e preciso della citazione latina.
Segneri è consapevole di dover costantemente confrontarsi con un uditorio che, in buona parte scettico o indifferente a problematiche di ordine teologico e morale, era più meravigliato (magari con il vigore sconcertante di immagini grandiose o violente) che convinto con sottili dimostrazioni razionali.
Le pagine del gesuita romano posseggono, in verità, alti valori patetici e drammatici; Segneri, cui sono ben noti i ritmi e le tipologie delle reazioni psicologiche dei suoi ascoltatori, non si limita tuttavia a sbalordirli con perorazioni di sapore savonaroliano, ma adotta altresì tecniche assai più raffinate.
Segneri, per esempio, può sorprendere, al termine di una narrazione, il fedele, ormai convinto che l’episodio ricordato non lo riguardi direttamente, con un finale del tutto diverso da quello che, secondo il comune buon senso, avrebbe potuto attendersi; l’ascoltatore viene così toccato a sorpresa sul vivo della sua coscienza di peccatore.
Nei grandiosi affreschi del Segneri, ancora, si stagliano sublimi individualità eroiche, mirabili per stoica fermezza e sincera pietà; bisogna aggiungere, tuttavia, che non di rado il gesuita ci sembra decisamente troppo severo, freddo e astratto nel giudicare spinosi casi umani che, con molte probabilità, sono troppo lontani dal suo inflessibile rigore di pugnace soldato cristiano.
La predicazione in Francia
La Francia del secolo classico ha molte illustri figure di predicatori, alcune delle quali (per esempio, Louis Bourdaloue, Jacques-Bénigne Bossuet e François de Salignac de la Mothe Fénelon) rappresentano ancor oggi la grande eloquenza di un secolo oratorio.
Quel che più spesso manca all’eloquenza sacra del XVII secolo è una forma semplice, essenziale e vigorosa, adeguata cioè alle profonde verità del Cristianesimo.
Prevalgono troppo spesso l’ardua complessità teologica di molte prediche (che le rendeva ostiche, o addirittura inaccessibili a un pubblico non preparato) e la buffoneria di un’oratoria incline a una teatralità bassa di toni satirici e burleschi, quasi nello stile di una commedia o di un melodramma giocoso.
Alieni da tanto clamorosi eccessi sono peraltro figure di primo piano quali François de Sales, gli oratoriani, Bérulle, Condren e Bourgoing, il gesuita Caussin e, soprattutto, Vincenzo de’Paoli. Solo quest’ultimo, tuttavia, porta una vera e propria rivoluzione nel genere letterario della predica, liberandolo dalle regole meramente estetiche e rendendolo accessibile anche agli umili, che intende conquistare o confermare nella fede soltanto con l’ausilio del Vangelo e del cuore.
Nelle sue opere giovanili Jacques-Bénigne Bossuet, il gigante dell’oratoria sacra del secolo, si dimostra non solo stilisticamente pomposo, ma altresì condizionato dalla tendenza, allora molto diffusa, a riempire le argomentazioni di erudizione classico-patristica e di astruse argomentazioni teologiche.
Negli scritti della maturità, per contro, lo stile di Bossuet diviene più essenziale (in certi casi volutamente spoglio e asciutto) e le sottigliezze dottrinali, almeno in gran parte, scompaiono. Tale mutamento radicale è dovuto principalmente alla sua meditazione della lezione del carismatico Vincenzo de’ Paoli, dal quale apprende, fra l’altro, che il predicatore deve limitarsi a comunicare le sole parole del Cristo, esponendole con ingenua semplicità.
Passionale, colto e dotato della vivida immaginazione di un poeta, massimo oratore di corte del Seicento, Bossuet, tenta di conciliare il gusto della regalità e del grandioso con le forme e i modi austeri del cristianesimo delle origini. Nelle sue orazioni più intense, si esprime nello stile che gli è più congeniale: esso ci appare di una solennità sontuosa e ricca ma, nello stesso tempo, regolata e composta. Elegante, maestoso, sempre evocativo, Bossuet deve essere considerato uno dei classici del secolo di Luigi XIV.