La particolare tenuità del fatto
Da oltre un anno è in vigore l’istituto della particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.), che come è noto esclude la punibilità in presenza di fatti di reato connotati in concreto da una ridotta offensività. Le questioni interpretative evidenziate dai primi commentatori ed emerse nella casistica giurisprudenziale si sono in effetti rivelate le più controverse, tanto che alcune di esse sono state ben presto sottoposte alle Sezioni Unite, che con due sentenze hanno risolto alcuni dei problemi più spinosi. Questo contributo si propone di esaminare le più rilevanti questioni, tanto dal punto di vista teorico, quanto da quello pratico, affrontate dalla giurisprudenza, ormai più volte chiamata a pronunciarsi sulla disciplina di cui all’art. 131 bis c.p.
SOMMARIO 1. La ricognizione 2. La focalizzazione 2.1 Inquadramento sistematico 2.2 Diritto intertemporale 2.3 Soglie di punibilità 2.4 Presupposti applicativi: particolare tenuità dell’offesa 2.5 (segue). Non abitualità del comportamento 3. I profili problematici
Già nel Libro dell’anno del Diritto 2016 avevamo dedicato un contributo alla novità rappresentata dal nuovo art. 131 bis c.p., introdotto con d.l. 16.3.2015, n. 28, che prevede come è noto una causa di esclusione della punibilità di portata generale, il cui ambito di applicazione è individuato sulla base dell’entità della pena prevista in astratto: vi rientrano i reati puniti con una pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni o con la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena detentiva, caratterizzati dalla particolare tenuità dell’offesa e dalla non abitualità del comportamento. In quella sede avevamo svolto una prima lettura della nuova disposizione, analizzandone sistematicamente tutti i requisiti.
A poco più di un anno di distanza dalla novella, appare utile compiere una prima ricognizione della giurisprudenza più significativa intervenuta nel frattempo su questo istituto.
Le problematiche interpretative sorte in relazione all’istituto in esame – per profili tanto sostanziali quanto processuali – sono state oggetto, in effetti, di un ampio dibattito dottrinale e di numerose pronunce della giurisprudenza, di merito e di legittimità.
Nelle pagine che seguono ci soffermeremo sulle sole questioni di diritto sostanziale e, in particolare:
a) sull’inquadramento sistematico;
b) sulle questioni di diritto intertemporale;
c) sull’ambito di applicazione e la compatibilità con le soglie di punibilità;
d) sui problematici presupposti della particolare tenuità dell’offesa e della non abitualità del comportamento.
È oggi pacifico che l’istituto, data la sua natura sostanziale di causa di non punibilità1, presuppone la realizzazione di un fatto di reato – e quindi di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole – integrato in tutti i suoi elementi, oggettivi e soggettivi, compresa l’offesa: la particolare tenuità deve dunque essere tenuta distinta dal concetto di inoffensività2, che attiene, invece, ad un fatto che non integra un reato. Tale distinzione è stata più volte ribadita dalla giurisprudenza di legittimità3, anche a Sezioni Unite4. L’istituto quindi non opera sul piano astratto della selezione dei fatti penalmente rilevanti, ma si fonda sull’idea della graduabilità in concreto del reato, tramite la valutazione del giudice.
La natura sostanziale dell’istituto determina l’applicazione delle garanzie previste in tema di successione di leggi penali. La disciplina favorevole dettata dall’art. 131 bis c.p. si applica dunque anche ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore in virtù del principio di retroattività della legge penale favorevole, ai sensi dell’art. 2 c.p. Qualche dubbio5 era stato sollevato in merito a quale ipotesi, fra quelle previste da tale articolo, venisse in rilievo: quella dettata per i casi di abolitio criminis (art. 2, co. 2, c.p.), che travolge il giudicato, ovvero quella riguardante la successione di norme penali modificative (art. 2, co. 4, c.p.), in virtù della quale la retroattività invece incontra un limite nel giudicato. La soluzione dell’applicazione dell’art. 2, co. 4, c.p. parsa sin da subito preferibile da una parte della dottrina6 e già adottata in una pronuncia di merito7, è stata successivamente condivisa e più volte ribadita dalla giurisprudenza di legittimità8. Tale opzione interpretativa si fonda sulla natura dell’istituto che, da un lato, è subordinato, in quanto causa di non punibilità, all’esistenza un fatto di reato perfetto e, dall’altro, necessita di una valutazione concreta del giudice che non riguarda la rilevanza penale del fatto, bensì la sua tenuità. Pertanto l’istituto, operando sul piano concreto attinente alla tenuità di un fatto previsto dalla legge come reato, non determina un’abolitio criminis, che invece opera sul piano astratto della selezione dei fatti penalmente rilevanti. Di conseguenza, anche secondo la giurisprudenza di legittimità9, è preclusa la possibilità di ottenere ex art. 673 c.p.p. la revoca della sentenza di condanna passata in giudicato, pronunciata in relazione a fatti di particolare tenuità commessi prima dell’entrata in vigore dell’art. 131 bis c.p.
La questione dell’applicabilità dell’istituto di cui all’art. 131 bis c.p. alle fattispecie di reato che prevedono soglie di punibilità è stata sin da subito oggetto di dibattito dottrinale, in ragione non solo del suo indubbio interesse teorico, ma anche della sua rilevanza pratica derivante dal numero di casi che ogni giorno si presentano davanti ai giudici di merito: si pensi alla guida in stato di ebbrezza e ad alcuni reati tributari e ambientali.
Le opzioni interpretative prospettate in dottrina sono essenzialmente tre.
Da un lato vi è chi sostiene la tesi dell’incompatibilità astratta10, derivante dal fatto che le soglie individuano lo spartiacque al di sopra del quale il fatto è penalmente rilevante, in virtù di una scelta operata in astratto dal legislatore. Consentire l’applicazione dell’istituto ai fatti che superano la soglia determinerebbe un’indebita sostituzione del giudice al legislatore nelle scelte di politica criminale, di competenza esclusiva di quest’ultimo: infatti, il giudice, valutando l’offesa come particolarmente tenue, escluderebbe la punibilità di tali fatti, innalzando di fatto la soglia individuata dalla legge.
Sul fronte opposto vi è altra parte della dottrina che invece afferma la compatibilità in astratto delle soglie con la causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p., sulla base della considerazione per cui l’istituto ha portata generale, applicandosi a qualsiasi fattispecie che rientri nei limiti edittali previsti dalla norma: l’istituto sarebbe applicabile, in concreto, ai fatti che superano in misura ridotta la soglia11.
Nell’ambito di una posizione intermedia12, viene prospettata l’opportunità di distinguere a seconda della funzione assolta dalle soglie all’interno della fattispecie, ammettendo l’applicabilità dell’istituto quando la soglia integri una condizione obiettiva di punibilità o comunque «non afferisca direttamente all’offesa». Le criticità maggiori riguarderebbero, invece, la compatibilità con le «soglie espresse di offensività», anche se l’applicazione dell’art. 131 bis c.p. potrebbe ammettersi a condizione che nel giudizio di particolare tenuità il giudice prenda in considerazione elementi ulteriori rispetto al mero superamento della soglia.
La giurisprudenza di legittimità, fin dalla prima pronuncia in materia13, ha costantemente riconosciuto – implicitamente o espressamente – l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. ai reati che prevedono soglie di punibilità, in ipotesi di guida in stato di ebbrezza (art. 186, co. 1 e 2, c.d.s.)14 e in materia tributaria15, prevalentemente in relazione a casi di omesso versamento dell’IVA (art. 10 ter d.lgs. 10.3.2000, n. 74).
La questione della compatibilità dell’istituto con le soglie di punibilità è stata infine affrontata dalle Sezioni Unite16, chiamate a decidere dell’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. al reato di guida in stato di ebbrezza. Le Sezioni Unite non hanno condiviso gli argomenti prospettati dal Collegio rimettente, stabilendo, invece, la compatibilità dell’istituto con le soglie di punibilità sulla base di argomenti suscettibili di essere estesi anche ad altre fattispecie configurate mediante soglie. In particolare le Sezioni Unite hanno: a) riconosciuto che si tratta di un istituto di portata generale, applicabile a tutte le fattispecie che rientrano nei limiti di pena previsti dall’art. 131 bis; b) nettamente distinto il piano della selezione dei fatti penalmente rilevanti su cui opera il legislatore con la previsione delle soglie e quello concreto della valutazione giudiziale di particolare tenuità, riguardante il fatto così come realizzatosi nella realtà, in tutte le sue sfaccettature. La soluzione dell’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. solleva però una questione problematica, inerente alla previsione, per i fatti sotto soglia, di un illecito amministrativo. Si evidenziano, in particolare, i potenziali effetti irragionevoli che deriverebbero dall’applicazione dell’art. 131 bis c.p. a fatti che superano, sebbene di poco, la soglia della rilevanza penale, che andrebbero quindi esenti da sanzione, mentre ai fatti sotto la soglia – considerati quindi meno gravi –, verrebbero applicate le relative sanzioni. La questione, risolta non univocamente in dottrina17, è stata ritenuta dalle Sezioni Unite non ostativa all’applicabilità dell’istituto alla categoria di reati in esame.
Le Sezioni Unite si sono anche occupate degli effetti della pronuncia ex art. 131 bis c.p. sulle sanzioni amministrative accessorie. Sul punto, in giurisprudenza, si erano formati, sempre in relazione alla guida in stato di ebbrezza, due orientamenti contrapposti: la Suprema Corte, in una sentenza18, aveva ammesso l’applicazione delle sanzioni accessorie, con la sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto, mentre nell’ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni Unite aveva negato la possibilità di irrogare tali sanzioni. Le Sezioni Unite hanno fornito una soluzione intermedia, ammettendo l’applicabilità delle sanzioni accessorie, ma non da parte del giudice penale, bensì dall’autorità amministrativa competente.
Dalla sentenza delle Sezioni Unite e dalle altre pronunce emergono inoltre alcuni importanti principi in grado di guidare il giudice nella valutazione di particolare tenuità di un fatto che integra una fattispecie strutturata mediante soglie di punibilità. In primo luogo, solo un superamento minimo della soglia può giustificare l’esclusione della punibilità; in secondo luogo, è necessario che il giudice, nella valutazione di particolare tenuità, prenda in considerazione elementi ulteriori rispetto al semplice superamento della soglia19, servendosi di tutti i criteri indicati dall’art. 131 bis c.p., fra cui le modalità della condotta: in caso contrario la valutazione del giudice sarebbe sovrapponibile a quella effettuata in astratto dal legislatore e potrebbe esporsi alle critiche – mosse nell’ordinanza di rimessione e da una parte della dottrina – secondo cui con il giudizio ex art. 131 bis c.p. il giudice si sostituirebbe indebitamente al legislatore.
Il primo presupposto applicativo dell’istituto è la particolare tenuità dell’offesa desunta dalle modalità della condotta e dall’esiguità del danno o del pericolo, che devono essere valutati ai sensi dell’art. 133, co. 1, c.p.
Il richiamo al primo comma dell’art. 133 c.p. ha suscitato difficoltà interpretative fra i primi commentatori20 rispetto alla possibile rilevanza nel giudizio ex art. 131 bis c.p. del grado di colpevolezza. Le criticità interpretative derivano dall’apparente contrasto, da un lato, tra la volontà del legislatore delegato, esplicitata nella relazione allo schema di decreto21, di escludere la rilevanza di elementi di carattere soggettivo e, dall’altro, dal testo della disposizione che, richiamando l’intero co. 1 c.p., parrebbe lasciare spazio a valutazioni inerenti l’intensità del dolo e il grado della colpa (art. 133, co. 1, n. 3, c.p.). La prima giurisprudenza di merito22 ha fornito all’interrogativo risposta positiva, analogamente alle linee guida predisposte per l’applicazione del nuovo istituto da alcune procure della Repubblica23. Le valutazioni inerenti l’intensità del dolo e della colpa non avrebbero rilevanza autonoma, ma rileverebbero – anche secondo quanto evidenziato nella Relazione – nella misura in cui si riverberano sulle modalità della condotta, uno degli “indicirequisiti” sulla base dei quali il giudice deve valutare la particolare tenuità dell’offesa, facendo riferimento a – tutti – i criteri dell’art. 133, co. 1, c.p., compreso quello relativo all’intensità del dolo e del grado della colpa. Tale soluzione è stata condivisa dalle Sezioni Unite24.
Un ulteriore profilo controverso riguarda la possibilità per il giudice di tenere conto delle condotte risarcitorie o riparatorie – successive, quindi, alla consumazione del reato25. Tali comportamenti – riconducibili alla previsione dell’art. 133, co. 2, n. 3, c.p., che da rilievo alle “condotte susseguenti al reato” – sembrerebbero, a prima vista, esclusi dal novero dei criteri di valutazione della particolare tenuità dell’offesa. L’art 131 bis, co. 1, c.p. non richiama il secondo comma dell’art. 133 c.p. ai fini della valutazione degli indici criteri delle modalità della condotta e dell’entità del danno o del pericolo. Sul punto si è pronunciata la S.C., negando rilevanza alle condotte successive al reato, in quanto non previste dalla norma26. Deve comunque essere segnalato che nella giurisprudenza di merito si rinvengono sentenze che hanno valutato comportamenti susseguenti al reato, al fine della declaratoria di particolare tenuità27. Tra le pronunce più recenti merita di essere segnalata una sentenza del Tribunale di Milano28 in cui vengono precisate le condizioni a cui è possibile ammettere la rilevanza, nel giudizio di particolare tenuità dell’offesa, delle condotte successive alla consumazione del reato: queste ultime non rappresenterebbero un presupposto applicativo autonomo e necessario dell’istituto, ma un criterio facoltativo che può essere tenuto in considerazione dal giudice, qualora tali comportamenti siano presenti nel caso concreto. In particolare – si legge nella sentenza – le condotte successive possono venire in rilievo come elemento per la valutazione dell’entità del danno o come possibile indicatore dell’intensità dell’elemento soggettivo. Le condotte successive non rappresentano, secondo questa soluzione interpretativa, un criterio obbligatorio, né vincolante e – dato che non integrano un autonomo presupposto applicativo dell’istituto – la loro assenza nel caso concreto non può condurre ad escludere, in presenza di tutti gli altri requisiti necessari, la particolare tenuità.
Il presupposto della non abitualità del comportamento – definito solo in negativo dall’art. 131 bis, co. 3, c.p.– si è rivelato di difficile interpretazione, complice la scarsa chiarezza del dettato normativo.
Non vi è dubbio sulla diversità fra il concetto di non abitualità e quello di occasionalità: il primo è più ampio del secondo29. Il presupposto della non abitualità, data l’assenza di una definizione legislativa in positivo, deve essere riempito di contenuto, in via interpretativa, sulla base della definizione in negativo contenuta nell’art. 131 bis, co. 3, c.p., che individua le ipotesi – tassative30 – di abitualità.
Le ipotesi di abitualità fanno tutte riferimento, in diverso modo, alla commissione di altri reati. Si pone quindi il problema della possibile inclusione nei precedenti rilevanti per la valutazione di abitualità, dei reati oggetto di precedenti declaratorie di particolare tenuità – contenute anche in decreti di archiviazione –, che devono essere iscritti al casellario.
A fronte di possibili criticità evidenziate in dottrina31 e connesse alla presunzione di non colpevolezza, le Sezioni Unite hanno affermato la rilevanza – esclusivamente ai fini dell’applicazione dell’art. 131 bis c.p. – dell’accertamento contenuto in tali pronunce, evidenziando che la loro annotazione al casellario rappresenta «l’antidoto indispensabile contro l’abuso dell’istituto».
Fra le ipotesi di abitualità le più controverse sono: a) commissione di più reati della stessa indole, anche se singolarmente considerati siano di particolare tenuità; b) commissione di reati che abbiano condotte plurime, abituali e reiterate. In prima approssimazione, sembrerebbero essere caratterizzate dalla una pluralità di condotte materiali penalmente rilevanti32. Tuttavia numerose sono le difficoltà nell’individuazione delle ipotesi effettivamente riconducibili alla previsione legislativa.
Quanto ai “reati della stessa indole” le Sezioni Unite hanno affermato che si tratta dell’ipotesi di almeno due illeciti della stessa indole diversi rispetto a quello della cui particolare tenuità si discute, siano essi precedenti o successivi, oggetto di condanne irrevocabili o del medesimo procedimento33.
Di ancor più difficile interpretazione è l’ipotesi di “reati che abbiano condotte plurime, abituali e reiterate”: se appare chiaro che vi rientrino i reati abituali34, si riscontrano incertezze nel ricondurvi il reato continuato, i reati permanenti, il concorso formale e i reati concretamente posti in essere con più condotte materiali, pur non essendo, tale pluralità, richiesta dalla fattispecie.
La questione relativa all’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. al reato continuato35 è stata oggetto di diverse pronunce della Suprema Corte36: tale ipotesi è stata ricondotta al concetto di abitualità, con la conseguente esclusione in astratto della possibilità di una declaratoria di particolare tenuità, ad eccezione di un caso37 in cui la Corte ha escluso in concreto l’applicazione dell’art. 131 bis per la gravità dell’offesa, senza precludere in astratto l’applicabilità dell’istituto al reato continuato. Di diverso avviso, tuttavia, la giurisprudenza di merito38, nelle cui pronunce si riscontrano soluzioni che aprono alla valutazione in concreto della particolare tenuità di ciascun reato riconducibile al medesimo disegno criminoso.
La questione dell’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. ai reati permanenti è stata più volte risolta dalla S.C., affermando che tale categoria di reati non è di per sé esclusa dall’ambito di applicazione dell’istituto, in quanto non rientra fra le ipotesi di «reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate»39. Tuttavia – secondo la stessa giurisprudenza – la permanenza del reato rappresenta un elemento suscettibile di essere valutato dal giudice in sede di giudizio di particolare tenuità dell’offesa: sarà tanto più difficile ritenere la particolare tenuità quanto più sarà durata la permanenza40,mentre deve escludersi la particolare tenuità dell’offesa in caso di permanenza non ancora cessata41.
Quanto alla compatibilità dell’istituto con il concorso formale di reati, la dottrina prevalente42 e la giurisprudenza di legittimità43 sono concordi nell’affermare
che tale ipotesi, in cui non è rinvenibile una pluralità di condotte materiali, non rientra nella definizione di abitualità di cui all’art. 131 bis, co. 3, c.p.: l’art. 131 bis c.p. è dunque applicabile al caso di più reati in concorso formale, sussistendone in concreto gli altri presupposti.
Deve essere da ultimo segnalato che all’ipotesi dei «reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate» sono stati ricondotti i casi di: a) un reato la cui fattispecie non richiede una pluralità di condotte, ma siano stati realizzati in concreto più atti tipici nello stesso contesto temporale con conseguente unicità del reato (es: più sottrazioni nel medesimo episodio di furto ai danni della stessa persona offesa)44; b) fattispecie che tipizzano condotte progressive (es. promessa e dazione), quando vengono realizzati più atti45.
In relazione alle ipotesi ricondotte alla previsione di «reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate», va evidenziato che pur rientrando fra i casi di abitualità del comportamento, da ciò non deriva un’automatica esclusione della particolare tenuità. Per queste ipotesi non è riportata la locuzione «anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità» – presente per i reati della stessa indole – che preclude la valutazione delle singole condotte: il giudice, in presenza di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate può, quindi, giungere ad una declaratoria ex art. 131 bis c.p., qualora le singole condotte siano di particolare tenuità46.
Sebbene molte questioni interpretative relative all’istituto in esame siano state più volte affrontate dalla giurisprudenza di legittimità, alcune di esse meritano ulteriori riflessioni.
In generale le principali criticità che richiedono approfondimento attengono alla non abitualità del comportamento, presupposto la cui assenza è in grado di precludere l’applicazione dell’istituto ad ipotesi che, dal punto di vista oggettivo, sono di particolare tenuità. Si tratta di aspetti di notevole rilevanza pratica, in ragione della loro frequente ricorrenza nella prassi, e di forte incidenza sull’effettiva idoneità dell’istituto allo svolgimento delle funzioni – di attuazione del principio di proporzione e di deflazione del sistema penale – ad esso attribuite dal legislatore. A titolo esemplificativo si pensi al reato continuato, istituto di favore nella prassi frequentemente ritenuto dai giudici, anche in relazione a fatti di lievissima entità, che, tuttavia, sulla base della consolidata giurisprudenza di legittimità osta all’applicazione dell’art. 131 bis c.p. Sintomatico della persistente problematicità di tale questione è il contrasto tra la giurisprudenza di legittimità ed alcune pronunce di merito, espressione, queste ultime, di stringenti esigenze legate al caso concreto.
Note
1 La natura sostanziale dell’istituto è ormai pacifica tanto in dottrina quanto in giurisprudenza. Cfr., fra gli altri, Marinucci, G.Dolcini, E., Manuale di diritto penale. Parte generale, V ed. aggiornata da E. Dolcini e G.L. Gatta, Milano, 2015, p. 409 – in cui l’istituto è annoverato tra le «cause oggettive di esclusione della punibilità» –, Padovani, T., Un intento deflattivo dal possibile effetto boomerang, in Guida dir., 2015, fasc, 15, p. 20; per la sua collocazione “a metà strada” fra le cause di non punibilità in senso stretto e i cd. limiti istituzionali della punibilità cfr. Rossi, G., Il nuovo istituto della “non punibilità per particolare tenuità del fatto”: profili dogmatici e scelte di politica criminale, in Dir. pen. e processo, 2016, fasc. 4, pp. 538 ss. Nella giurisprudenza di legittimità cfr. Cass. pen., 8.4.2015, n. 15449, in www.penalecontemporaneo.it, 22.4.2015, con nota di Gatta, G.L., Note a margine di una prima sentenza della Cassazione in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto, art. 131-bis c.p., e di recente Cass. pen., S.U., 25.2.2016, n. 13682, con nota di Andolfatto, E., Le Sezioni Unite sull’applicabilità del nuovo art. 131-bis c.p. alle contravvenzioni stradali (art. 186, commi II e VII, C.d.S.).
2 Cfr., fra gli altri, Dies, R., Questioni varie in tema di irrilevanza penale del fatto per particolare tenuità, in www.penalecontemporaneo.it, 13.9.2015, p. 7 e Bartoli, R., L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, in Dir. pen. e processo, 2015, fasc. 6, pp. 661 e 663.
3 Cfr. Cass. pen., 18.8.2015, n. 40152, (dep. 6.10.2015); Cass. pen., 8.10.2015, n. 47039, (dep. 27.11.2015); Cass. pen., 10.11.2015, n. 5254, (dep. 9.2.2016); Cass. pen., 2.7.2015, n. 5800, (dep. 11.2.2016); Cass. pen., 19.11.2015,
n. 18680, (dep. 5.5.2016). In ragione del fatto che l’applicazione dell’art. 131 bis c.p. presuppone la commissione di un reato e che la relativa sentenza contiene un accertamento della responsabilità, il Tribunale di Enna, con ord. 22.6.2016, ha disposto, mediante l’applicazione analogica dell’art. 673 c.p.p., la revoca, per sopravvenuta abolitio criminis, di una sentenza con cui era stato applicato l’art.131 bis c.p., (cfr. nota di Mostardini, C., Sulla possibilità di revocare per sopravvenuta abolitio criminis le sentenze di proscioglimento per particolare tenuità del fatto passate in giudicato, in www.penalecontemporaneo.it, 4.7.2016.
4 Cfr. Cass. pen. n. 13681/2016.
5 Cfr. Dies, R., Questioni varie, cit., pp. 12 ss. e, per i risvolti processuali, Russo, I., Ancora sulla tenuità del fatto: la novella della sfinge, in Arch. pen., 2015, pp. 3 ss.
6 Cfr. Gullo, A., Art. 131-bis, in Dolcini, E. e Gatta, G.L., diretto da, Codice penale commentato, IV ed., 2015, I,
p. 1959.
7 Cfr. Trib. Milano, sez. XI, decreto 3.11.2015, Giud. Corbetta, con nota di Gatta G.L., La particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis e il limite del giudicato, in www.penalecontemporaneo.it, 23.11.2015.
8 Cass. pen., 24.5.2015, n. 34932, (dep. 18.8.2015), Cass. pen. n. 40152/2015, Cass. pen. n. 5800/2015.
9 Cass. pen. n. 34932/2015.
10 Fra i primi commentatori, cfr. Padovani, T., Un intento, cit., p. 21 e Pacifici, L., Particolare tenuità dell’offesa: questioni di diritto penale sostanziale, in www.penalecontemporaneo.it, 14.7.2015.
11 Marinucci, G.Dolcini, E., Manuale di diritto penale, cit., p. 410 s., Gatta, G.L., Note a margine, cit.; Ramacci, L., Note in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto e reati ambientali, in www.lexambiente.it, 30.3.2015, pp. 4 ss.; Caprioli, F., Prime considerazioni sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto, in www.penalecontemporaneo.it, 8.7.2015, p. 10; Amarelli, G., La particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. si applica ai reati con soglie di punibilità, in Giur. it., 2016, p. 714.
12 Cfr. Dies, R., Questioni varie, cit., p. 23.
13 Cass. pen. n. 15449/2015.
14 Cass. pen., sez. IV, 9.9.2015, n. 44132, (dep. 2.11.2015); Cass. pen., 24.11.2015, n. 48843, (dep. 10.12.2015); Cass. pen., 9.9.2015, n. 50243, (dep. 22.12.2015).
15 Cass. pen., 5.5.2015, n. 40774, (dep. 12.10.2015); Cass. pen., 19.1.2016, n. 9936, (dep. 10.3.2016); Cass. pen., 20.11.2015, n. 13218, (dep. 1.4.2016); Cass. pen. n. 18680/2016.
16 La questione è stata sottoposta, in ragione di un potenziale contrasto interno alla quarta sezione, con ord. 3.12.2015, n. 49824 e decisa con sent. n. 13681/2016, cit., per la cui analisi sia consentito rinviare a Alberti, G., Guida in stato di ebbrezza e rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici: applicabile l’art. 131 bis c.p.? La parola alle Sezioni Unite, in www.penalecontemporaneo.it, 15.2.2016.
17 Si prospetta un’estensione delle sanzioni amministrative “verso l’alto” ai fatti di reato di particolare tenuità nelle Linee guida della Procura di Lanciano. Contrario a tale soluzione – in nome del rispetto del principio di legalità dell’illecito amministrativo – Dies, R., op.cit., p. 23. In una prospettiva de iure condendo, il legislatore potrebbe prevedere, in via generale, l’applicazione di sanzioni amministrative, in caso di declaratoria di particolare tenuità. Alternativamente in dottrina è stata suggerita l’introduzione di una disposizione volta a prevedere una causa di non punibilità fondata sulla particolare tenuità anche per gli illeciti amministrativi (cfr. Aprati, R., Le regole processuali della dichiarazione di “particolare tenuità”, in Cass. pen., 2015, pp. 1325 ss.). Prospetta una soluzione che combini le due ora indicate Amarelli, G., La particolare tenuità del fatto, cit., p. 715.
18 Cass. pen. n. 4412/2015.
19 Cass. pen. n. 50243/2015.
20 In senso critico rispetto alla rilevanza di considerazioni inerenti l’elemento soggettivo Caprioli, F., Prime considerazioni, cit., p. 6, Padovani, T., op. cit., p. 21.
21 Cfr. Relazione che accompagna lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 1° dicembre 2014, par. 3.
22 Cfr. Trib. Milano, 29.4.2015, n. 4195, in www.penalecontemporaneo.it, 21.5.2015, Trib. Milano, 2.4.2015, n. 3805, in Arch. pen., con nota di Loschi, F., I reati ambientali all’incrocio con l’incontenibile vis espansiva della nuova causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.; Trib. Torino, 9.4.2015, in www.archiviopenale.it.
23 Cfr. linee guida delle Procure di Lanciano, in Dir. pen. cont., 3.4.2015, p. 11, di Trento, in Dir. pen. cont., 18.6.2015, p. 5 e di Palermo, in www.penalecontemporaneo.it, 2.7.2015, p. 8.
24 Cass. pen. n. 13681/2016.
25 Sugli spazi di rilevanza dei comportamenti riparatori successivi cfr. Dies., R., op. cit., p. 23 s., nota 51.
26 Cass. pen., 24.9.2015, n. 38961; Cass. pen., 30.9.2015, n. 41742, (dep. 16.10.2015).
27 Trib. Foggia, 10.4.2015, n. 1670, inedita e Trib. Genova, 21.5.2015, inedita.
28 Trib. Milano, 24.3.2016, n. 3738, inedita.
29 Cfr. Relazione, cit.; in dottrina, fra gli altri, Bartoli, R., L’esclusione della punibilità, cit., p. 667; in giurisprudenza Cass. pen., 26.2.2016, n. 7905, in cui si evidenzia che la presenza di un precedente non vale, di per sé, a rendere il comportamento abituale.
30 In senso contrario Cass. pen. n. 5800/2016.
31 Contrario all’iscrizione dei provvedimenti di archiviazione nel casellario Dies, R., op. cit., pp. 25 ss.; sulle questioni relative ai profili di possibile contrasto con la presunzione di innocenza Biondi, L., Non punibilità per particolare tenuità del fatto e presunzione di innocenza, in www.penalecontemporaneo.it, 14.10.2015.
32 Rossi, G., Il nuovo istituto, cit., pp. 542 ss.
33 Ritiene che la disposizione sia riferita esclusivamente all’ipotesi in cui più reati siano oggetto del procedimento in corso Bartoli, R., L’esclusione della punibilità, cit., p. 668.
34 Cfr. tra gli altri Bartoli, R., op. loc. ultt. citt. e Rossi, G., op. cit., p. 543.
35 In dottrina, critico rispetto ad un’esclusione indiscriminata del reato continuato dall’ambito di applicazione dell’istituto Padovani, T., op. cit., p. 22.
36 Cass. pen., 13.7.2015, n. 29897; Cass. pen., 1.7.2015, n. 43816, (dep. 30.10.2015); Cass. pen., 15.5.2015, n. 45190, (dep. 11.11.2015).
37 Cass. pen., 20.8.2015, n. 35671, (dep. 26.8.2015).
38 Trib. Milano, 16.4.2015, n. 4195 e Trib. Grosseto, 6.7.2015, n. 650, entrambe in www.penalecontemporaneo.it, 5.10.2015.
39 Cfr., recentemente, Cass. pen., 31.3.2016, n. 17679, (dep. 28.4.2016).
40 Cass. pen. n. 47039/2015.
41 Cass. pen., 8.10.2015, n. 50215, (dep. 22.12.2015); di diverso avviso, in dottrina, Rossi, G., op. cit., p. 543, il quale evidenzia la riconducibilità dei reati permanenti alle condotte “reiterate”, soprattutto nei casi in cui il protrarsi dell’offesa al bene giuridico deriva dalla realizzazione di più condotte materiali all’interno di un determinato ambito temporale.
42 In dottrina cfr. sul punto Bartoli, R., op. cit., p. 669; Rossi, G., op. cit., p. 544.
43 Cfr. Cass. pen. n. 47039/2015.
44 Bartoli, R., op. cit., p. 668 s.; Rossi, G., op. cit., p. 543.
45 Bartoli, R., op. loc. ultt. citt.
46 Cfr. in questo senso Trib. Milano, 9.4.2015, n. 3936, in www.penalecontemporaneo.it, 21.5.2015.