Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel Seicento la natura morta, affermatasi già all’inizio del secolo come genere artistico autonomo nei Paesi Bassi e in Italia, conosce un rapido e originale sviluppo in gran parte d’Europa. Vi si dedicano artisti specializzati, ma anche grandi maestri quali Caravaggio, Rembrandt, Zurbarán. Per la quantità e la qualità delle opere prodotte da ciascuna scuola regionale o nazionale, il Seicento può considerarsi il secolo d’oro della natura morta.
Stilleven, bodegones, natura morta
L’alterna fortuna incontrata presso le diverse civiltà figurative europee dalla pittura di cose inanimate si riflette ancor oggi nei vari nomi con cui viene definita. In Olanda e in Fiandra, dove essa conobbe una particolare e precoce fioritura, si incontra dalla metà del Seicento il termine stilleven (cioè “natura silenziosa”, da cui l’inglese still life). Per quanto definizioni analoghe prendessero piede anche in Italia (“oggetti di ferma”, “oggetti inanimati”) e in Spagna si affermasse la dizione del tutto originale di bodegones (letteralmente: “interni di osterie”), nella letteratura artistica dei paesi di lingua latina prevale infine l’espressione “natura morta” (in opposizione alla “natura viva”, la pittura di figura) coniato in senso riduttivo negli ambienti dell’Accademia di Francia.
Antefatti cinquecenteschi fra pittura di genere e illustrazione scientifica
Il gusto per l’inserzione naturalistica (fiori, frutta, libri, oggetti d’uso) nella pittura o nella miniatura europea si era affermato a partire dal tardo Trecento, per divenire poi nel corso del Quattrocento fenomeno distintivo soprattutto dell’arte fiamminga. In Italia la rappresentazione di oggetti inanimati aveva costituito uno dei temi figurativi specifici della tarsia prospettica rinascimentale. Nonostante questi precedenti, l’affermazione della natura morta come genere artistico autonomo, e non più soltanto come contorno descrittivo o corollario simbolico del soggetto principale del quadro (i libri raffigurati sullo scrittoio di san Girolamo, il vaso di fiori che alludono alla purezza della Vergine), ha le premesse più immediate, nel Cinquecento, negli sviluppi della grottesca, nella pittura di genere, nell’illustrazione scientifica. L’inserzione di brani naturalistici nella pittura decorativa si afferma a partire da Giovanni da Udine nella bottega romana di Raffaello (1516-1520). Nelle grottesche, nei pergolati illusivi divenuti, sull’esempio della Galleria di Psiche alla Farnesina, motivo ricorrente della decorazione di interni, ma anche nei partiti decorativi degli arazzi tessuti a Bruxelles per tutto il secolo su modelli italiani (Raffaello) o italianizzanti, i soggetti che saranno propri della natura morta (trofei di caccia, mazzi di fiori e frutti) trovano una loro prima autonomia figurativa e diffusione europea.
Un impulso ancor più determinante alla nascita della natura morta è dato, nella seconda metà del Cinquecento e nel clima del manierismo internazionale, dal rinnovamento iconografico della pittura devozionale, e dalla parallela fortuna incontrata, negli ambienti della Controriforma, da rappresentazioni simboliche o allegoriche allusive alle stagioni, agli elementi, ai sensi o al tema moralistico della vanitas vanitatum
Emblematiche, e giustamente considerate fra gli incunaboli della natura morta, sono le composizioni dei fiamminghi Pieter Aertsen e Joachim Beuckelaer, nelle quali le scene evangeliche vengono relegate in secondo piano per lasciare spazio a sempre più autonome descrizioni di mercati o di interni di cucina. Simili motivi trovano risonanza immediata in Italia nell’opera del lombardo Vincenzo Campi e dell’emiliano Bartolomeo Passerotti, le cui imponenti parate di verdure, frutta e animali, ormai svincolate dal tema sacro o narrativo, si prestano tuttavia a essere interpretate come allegorie degli elementi (la terra, l’aria, l’acqua) o delle stagioni. Nel frattempo anche la letteratura scientifica tardorinascimentale impegnata, a seguito delle nuove scoperte geografiche, in una classificazione sistematica della natura, scopre il valore conoscitivo delle immagini. La collaborazione fra il naturalista e l’artista, in grado di realizzare traduzioni grafiche degli oggetti di studio, diviene in tutta Europa il tratto distintivo della nuova scienza moderna. Nascono le grandi enciclopedie naturalistiche illustrate di Konrad Gesner e di Ulisse Aldrovandi.
L’immagine si sostituisce o si affianca all’oggetto anche nelle Wunderkammer (o Raritätenkammer) principesche. La ricerca di artisti specializzati nella virtuosistica riproduzione di fiori rari, animali, e di ogni altro aspetto della realtà naturale coinvolge, con gli scienziati, le più aggiornate corti d’Europa. Le miniature di Georg Hoefnagel, artista apprezzatissimo alle corti di Praga e di Vienna, oltre che veri e propri erbari figurati, vanno considerate fra le prime pitture autonome di fiori prodotte in ambiente fiammingo. Su questa strada si muovono dopo di lui anche Georg Flegel e Jacob Gheyn. In Italia, alla corte del granduca Francesco I de’ Medici, si segnala il caso di Jacopo Ligozzi impegnato per decenni come illustratore di atlanti scientifici del mondo animale e vegetale.
La natura morta arcaica e la sua diffusione europea
Immagine decorativa o trasposizione figurata della Wunderkammer rinascimentale, allegoria del cosmo, inventario scientifico delle differenti manifestazioni della natura. In queste diverse forme, spesso interagenti, la natura morta si sviluppa nelle città fiamminghe e olandesi all’inizio del Seicento, dando vita a diverse specializzazioni figurative: quadri di fiori e di frutta, tavole apparecchiate, curiosità storiche o biologiche. Simili specializzazioni coinvolgono intere dinastie di artisti (come i Bosschaert in Olanda) fino a differenziare la produzione di un centro artistico dall’altro.
Nelle Fiandre, ad Anversa, lavora Jan Bruegel, che si applica al genere della pittura di fiori con la competenza e l’esibizione scientifica di un botanico: celebre è la lettera del 1606 al cardinale Federico Borromeo, suo committente, nella quale egli dà notizia di un suo viaggio a Bruxelles “per copiare dal vero alcuni fiori che non si trovano qui ad Anversa”. In Olanda, a Utrecht e a L’Aia, operano all’inizio del secolo Ambrosius Bosschaert il Vecchio, Balthasar van der Ast, Roelant Savery, pittori di fiori e frutta. Il genere della “tavola apparecchiata” che discende dagli interni di cucina aertseniani, si sviluppa ad Anversa con Osias Beert e Clara Peeters e, parallelamente, nelle città olandesi di Haarlem e Amsterdam con Nicolaes Gillis e Florijs van Dijck.
Al di là dei generi specifici, caratteristiche comuni di questa prima fase della natura morta sono l’impianto artificioso delle composizioni improntate a criteri di simmetria, la descrizione minuziosa, quasi classificatoria, dei singoli oggetti giustapposti sul piano secondo semplici schemi paratattici e accumulativi (quasi si trattasse di occupare di volta in volta gli spazi liberi di una scacchiera). Nei quadri di fiori, talvolta vere e proprie immagini di hortus conclusus o sillogi dell’intero macrocosmo botanico assunto come metafora del creato, prevale la scelta di specie rare (il tulipano, da poco introdotto nei Paesi Bassi dalla Turchia). Tratto distintivo di queste nature morte è il loro simbolismo allegorico o moralistico: una clessidra fra gli oggetti disposti sulla tavola, un fiore reciso, un insetto o un bruco già pronto ad intaccare la forma perfetta di una corolla, l’immancabile presenza di una farfalla sono altrettanti richiami al tema della fragilità della bellezza, alla vanità e brevità della vita e delle gioie terrene.
Gli effetti delle guerre di religione nei Paesi Bassi (è del 1585 la presa di Anversa ad opera delle truppe spagnole), l’immediata fortuna collezionistica a livello europeo incontrata da simili dipinti contribuiscono alla diaspora degli artisti fiamminghi e alla diffusione della natura morta “arcaica” in Italia, Spagna, Francia e, prima della guerra dei Trent’anni, nelle città libere dell’impero (dove operano Georg Flegel, Daniel Soreau, Pieter Binoit) favorendo la nascita di tradizioni artistiche locali.
La natura morta caravaggesca
In Italia l’allineamento sui modelli fiamminghi è evidente nell’opera dei lombardi Ambrogio Figino, Panfilo Nuvolone e Fede Galizia. Non era però mancata in Emilia, alla fine del Cinquecento, ad opera di Annibale Carracci, una precoce riforma in senso naturalistico della pittura di genere manieristica, riforma che vale come precedente immediato per le nature morte del toscano Empoli.
Il contributo fondamentale per gli sviluppi della natura morta europea viene tuttavia da Roma e dalla rivoluzione caravaggesca. La nuova poetica del “naturale”, promossa da Caravaggio come sguardo lucido e implacabile sulla realtà conoscibile attraverso l’esperienza, affronta fin dalle prime battute i temi specifici della natura morta (come nel Bacchino malato o nel Ragazzo con canestro di frutta). Fedele a una sua celebre affermazione tramandataci dai biografi (“disse che tanta manifattura gli era a fare un quadro buono di fiori, come di figure”), il pittore dipinge il Canestro di frutta con la stessa serietà di ispirazione e secondo gli stessi principi che improntano la sua pittura di storia. Alle selezioni intellettualistiche dei fiamminghi, Caravaggio oppone l’immediatezza di una cesta di frutti autunnali; al loro horror vacui, alle loro ricomposizioni da laboratorio, la salda sintesi strutturale e l’oggettività della luce che svela precisi rapporti spaziali; alle loro allusioni simboliche, il semplice e verificabile “accidente” naturale di un frutto bacato.
L’eredità caravaggesca viene raccolta, negli anni Venti e Trenta del secolo, da Tommaso Salini e Pietro Paolo Bonzi a Roma, e in Toscana dal lucchese del Simone del Tintore. Accanto a questi specialisti, altri artisti dell’immediato seguito caravaggesco si dedicano saltuariamente alla natura morta (il Pensionante del Saraceni, Cecco del Caravaggio). A Napoli, dove il caravaggismo avrà un larghissimo seguito, i presupposti di verità e di concretezza propri di quell’esperienza sopravviveranno all’ondata barocca rimanendo tratto distintivo fino alla fine del secolo di quella che, per ricchezza e continuità di artisti, può considerarsi la sola vera scuola di natura morta italiana (Luca Forte, Paolo Porpora, Giuseppe e Giovan Battista Ruoppolo, Giuseppe e Giovan Battista Recco).
La natura morta in Spagna e in Francia
La presenza in Spagna di artisti fiamminghi, l’evidente dipendenza dei primi bodegones da prototipi italiani (Campi, Passerotti), e infine l’influenza caravaggesca non pregiudicano l’originalità della locale pittura di natura morta sin dalle prove ancora cinquecentesche di Blas Ledesma. Quasi metafisiche sono le composizioni di Juan Sánchez Cotán giocate sul contrasto fra la presentazione di pochi umili oggetti, e il senso di mistero, di monumentalità inquietante che viene loro conferito mediante l’assoluto rigore dell’impaginazione prospettica e luministica. L’annullamento di ogni intento aneddotico o narrativo, la fissità irreale e assoluta della luce, la lezione caravaggesca filtrata attraverso le più intime esigenze della spiritualità e del rigorismo religioso spagnolo fanno, poco più tardi, della non numerosa produzione di nature morte di Zurbarán uno degli episodi più significativi del secolo.
Nel filone delle rappresentazioni di interni di cucina e di osteria si muovono invece Juan Estebán e Alejandro Loarte. Ma soprattutto è a partire dai temi plebei di questa pittura che matura la vocazione naturalistica di Velázquez nel suo primo tempo sivigliano e “caravaggesco”.
In Francia, in particolar modo a Parigi, dove è attiva una colonia di artisti provenienti dai Paesi Bassi, la natura morta ha ampia diffusione durante il regno di Luigi XIII. I legami con lo stile arcaico fiammingo sono particolarmente evidenti nelle opere di Jacques Linard, François Garnier, Louise Mollion e ancor più in quelle dell’alsaziano Sebastian Stosskopf, il cui soggiorno parigino sarà di grande importanza per il futuro del genere in Francia. Rispetto ai modelli fiamminghi, la natura morta francese si differenzia per la sua vocazione alla chiarezza compositiva, per l’adozione di schemi astratti e geometrici. Emblematiche in questo senso le opere (databili fra il 1620 e il 1640) del misterioso Baugin. Influenze caravaggesche e rinnovati scambi con l’area olandese caratterizzano il seguito della vicenda fin verso la metà del secolo (René Nourisson, Pierre Dupuis) prima dell’affermarsi anche in Francia della natura morta barocca.
Sviluppi in Olanda e in Fiandra
Superato il momento comune della natura morta “arcaica” le tradizioni artistiche olandesi e fiamminghe tendono a differenziarsi maggiormente. Nell’Olanda protestante i valori di sobrietà e di intimità borghese improntano, a partire dagli anni Venti, le tavole apparecchiate di cui sono specialisti i pittori di Haarlem: Pieter Claesz, Willem Claesz Heda, Jan Jansz Den Uyl.
In linea con la ritrattistica (Frans Hals) e con la pittura di paesaggio contemporanee (Esaias van de Velde, Jan Goyen), caratteristica delle nature morte di Haarlem è una nuova ricerca luministica. La tavolozza non ha più la ricchezza cromatica dell’età precedente ma soltanto le infinite variazioni tonali su pochi colori dominanti, atti a rendere, secondo l’incidenza della luce, la trasparenza dei bicchieri, la lucentezza dei peltri e del vasellame d’argento, le poche notazioni d’ambiente. Sono i cosiddetti “banchetti monocromi”, nei quali il virtuosistico realismo si accompagna al taglio semplificato delle composizioni, al loro stesso carattere familiare, da interno borghese. Analoga moralità e austerità caratterizza le raffigurazioni di vanitas frequenti nell’opera di David Bailly, Pieter e Harmen Steenwijck, ma anche di Jan Davidsz de Heem, Pieter Potter, Gerrit Dou tutti artisti che intrattennero legami con l’ambiente culturale di Leida, importante centro universitario e roccaforte calvinista. Curioso di ogni aspetto del reale e fedele alle proprie aspirazioni di pittore universale anche Rembrandt affronta talvolta il genere della natura morta, ma al di fuori delle iconografie tradizionali e dando libero corso alle sue ricerche sull’espressività del colore e sulla mobilità della luce.
Diverso è il clima culturale dei Paesi Bassi, specie dopo il ritorno ad Anversa (1608) di Pieter Paul Rubens, il padre del barocco in pittura nonché il primo grande interprete del cattolicesimo trionfante. Pur non praticando personalmente il genere della natura morta, Rubens troverà nel fedele collaboratore Frans Snyders colui che saprà tradurre in questo campo i principi fondamentali della sua pittura intesa come movimento, spettacolo cromatico, ricchezza, sensualità, altissima retorica.
Con Snyders, attivo fino al 1657, nasce nelle Fiandre la natura morta barocca. Le sue composizioni sono sontuose, ridondanti, animate dall’inserimento di personaggi o animali. Monumentali nel formato, esaltano gli aspetti più sensuali della natura, interpretandola in chiave eroica e decorativa. Meno scenografici, ma ugualmente improntati a un grande pittoricismo, sono i dipinti di Jan Fyt. Il suo rifiuto per l’esibizione retorica di Snyders, di cui pure fu allievo, presenta qualche affinità con le posizioni parallelamente assunte, nella pittura di storia, da Antonie van Dyck rispetto al proprio maestro Rubens. Ad Anversa operano anche Adrien van Utrecht e Daniel Seghers, al quale si deve il rinnovamento in chiave barocca della pittura di fiori bruegeliana.
La natura morta barocca in Europa
Il modello di natura morta proposto da Snyders e dai suoi seguaci ha immediata diffusione europea. Il tramite nei confronti dell’Olanda è rappresentato da Jan Davidsz de Heem che, grazie ai suoi lunghi soggiorni ad Anversa, ha modo di conciliare, specie nelle opere della maturità, la tradizionale oggettività olandese con l’impianto fastoso della scuola fiamminga.
Verso la metà del secolo sono soprattutto i grandi Abraham Hendricksz van Beyeren e Willem Kalf a riformare le varie tipologie della natura morta olandese (colazioni, pranzi serviti, fiori) contaminandoli all’interno di composizioni più ricche e complesse, di grande respiro spaziale, dove prevale la descrizione di oggetti sontuosi adatti a figurare nelle sale di rappresentanza delle case dei ricchi mercanti e banchieri di Amsterdam. Nei Paesi di area cattolica la stagione della natura morta barocca coincide con un nuovo momento di internazionalità del genere. Il gusto per il quadro da parata, decorativo e sontuoso si afferma nelle corti d’Europa. Il collezionismo e i frequenti viaggi degli artisti favoriscono i contatti fra le diverse tradizioni artistiche. Determinanti, in questo senso, sono i soggiorni in Italia di Snyders, Fyt (a Genova) e Seghers (a Roma), di Nicasius Bernaerts e dello stesso Fyt in Francia. A Roma, centro cosmopolita per eccellenza, a opera di Mario Nuzzi “dei Fiori”, e di artisti fiamminghi quali Abraham Bruegel (figlio di Jan) o Karel van Vogelaer, detto Carlo dei Fiori, prende piede verso la metà del secolo la moda del “lusso floreale”, che lungi dal circoscriversi ai soli dipinti da parata, impronta ormai ogni genere di arredo principesco (le specchiere dipinte da Mario Nuzzi nella Galleria di Palazzo Colonna). La pittura di fiori di matrice romana conoscerà sviluppi anche in Spagna con Juan de Arellano e in Francia con Jean-Baptiste Monnoyer.
La situazione italiana
In Italia, nella seconda metà del Seicento, il panorama della natura morta è assai variegato. Accanto alla divulgazione di modelli fiamminghi e olandesi (Andrea Benedetti, Pier Francesco Cittadini, Cristoforo Munari), la tradizione naturalistica caravaggesca si perpetua in Lombardia con Evaristo Baschenis e soprattutto a Napoli, con le botteghe familiari dei Ruoppolo e dei Recco. Alla natura morta barocca si collegano direttamente gli sviluppi settecenteschi del genere che, fatti salvi i pochi e notevoli casi in cui è rivalutato in chiave naturalistica, diventerà sempre più pittura d’arredamento, fornendo, specie in Francia, i repertori decorativi per la decorazione di sovraporte, paracamini e specchiere.