La nascita e l'espansione dei Comuni
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Tra XI e XIII secolo in molte aree europee si affermano nuovi regimi politici di autogoverno urbano. Nell’Italia centro-settentrionale i Comuni cittadini sviluppano un’ampia autonomia, anche attraverso il conflitto con gli imperatori, e si rivelano capaci di costituire dei contadi. Nelle altre regioni europee i Comuni ottengono invece gradi inferiori, benché significativi, di autonomia fiscale, giudiziaria e amministrativa dai re e dai principi territoriali ai quali continuano a essere soggetti.
Federico Barbarossa
Le rivendicazioni imperiali e i diritti dei comuni (a)
Costituzione sulle regalìe
[Io Federico imperatore dichiaro che] le regalìe sono da considerarsi quelle qui di seguito elencate: le arimannie [tasse dovute al signore], le vie pubbliche, i fiumi navigabili e quelli dai quali derivano canali navigabili, i porti, i tributi che si percepiscono sulle rive dei fiumi, le esazioni che comunemente si chiamano telonei, le monete, i compendi delle multe e delle pene, i beni vacanti e quelli che per legge vengono tolti agli indegni, eccetto quelli che sono conferiti a qualcuno con speciale provvedimento e i beni di coloro che contraggono nozze incestuose nonché i beni dei proscritti e dei condannati, secondo quanto dispongono le recenti costituzioni, le prestazioni di angarie e parangarie, di carri e di navi e le imposizioni straordinarie a favore della maestà regia, la potestà di creare magistrature per amministrare la giustizia, le zecche e i pubblici palazzi nelle città in cui esistono per tradizione, i redditi della pesca e delle saline, i beni dei rei di lesa maestà e la metà dei tesori trovati in luogo sacro o in terre di pertinenza dell’imperatore se questi non avrà collaborato al loro ritrovamento; se avrà collaborato, tutto spetta a lui.
Costituzione sulle regalìe [1158].
Federico Barbarossa
Concessione alla città
Costituzione sulla pace
[…] Noi, Federico imperatore dei Romani e il figlio nostro Enrico, re dei Romani, concediamo a voi, città, terre e persone della Lega i diritti regali e i vostri statuti tanto nell’ambito della città quanto nel contado, che nelle città abbiate ogni cosa come avete avuto sin qui ed avete ancora e al di fuori esercitiate tutte le consuetudini senza nostra opposizione, come le avete esercitate fino ad ora. Nel contado possiate esercitare tutti i diritti consuetudinari che avete esercitati ab antiquo; come fodro, usi sui boschi, pascoli, ponti, acque, mulini, diritto di raccogliere eserciti e far difese delle città, per quanto riguarda la giurisdizione, l’abbiate tanto nelle cause criminali che nelle civili, in città e nel contado; e tutti gli altri diritti che toccano la vita economica delle città […].
In quelle città in cui il vescovo è conte per privilegio dell’Imperatore o del Re, se i Consoli sogliono ricevere l’ufficio loro dallo stesso vescovo, continuino a riceverlo, come sono stati soliti sin qui; altrimenti ricevano il consolato da Noi. Per conseguenza, a mano a mano che nelle singole città si costituiranno i Consoli, essi ricevano l’investitura dal nostro legato che si trovi nella città o nella diocesi, e ciò per un quinquennio. Trascorso il quinquennio, ogni città mandi un legato alla nostra presenza per ricevere l’investitura e così in seguito […].
I consoli dei Comuni, prima di entrare in carica, prestino giuramento di fedeltà a Noi […].
Potranno le città conservare la Lega che ora hanno e revocarla quando loro piaccia.
Costituzione sulla pace [1158].
Federico Barbarossa
Penalizzazioni dei patti
Concessione della pace
[…] Proibiamo in via assoluta ogni adunanza ed ogni patto giurato nelle città e fuori delle città, anche se fondati sulla base della parentela, e quelli tra città e città e tra persona e persona o tra una città e una persona, e cassiamo tutti quanti i patti che siano stati stipulati per il passato, perseguendo i singoli che abbiano prestato tali giuramenti con la penalità d’una libbra d’oro.
Concessione della pace [1183].
Lo sviluppo demografico, economico e sociale che le città europee conoscono tra XI e XIII secolo si traduce in forme di governo orientate all’autonomia. Tale assetto istituzionale è in genere indicato col termine “Comune”, per la “messa in comune” di diritti e privilegi da parte delle collettività urbane. Il fenomeno interessa molte aree, con gradi diversi di autonomia e sfasature cronologiche.
Le più precoci e autonome sono le città italiane centro-settentrionali, dalla fine dell’XI secolo. Nelle città della Provenza e delle Fiandre le prime magistrature comunali (“consoli”, “scabini”) compaiono infatti solo nella prima metà del XII secolo, in quelle della Francia del Nord e della Germania, invece, tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo. Frequente è il conflitto locale con i vescovi. Tranne che in Italia, inoltre, le autonomie si sviluppano nella forma di concessioni di diplomi (carte di “comune” o di “franchigia”) da parte dei re e dei principi territoriali, che riconoscono prerogative e diritti parziali, imponendo quasi ovunque la presenza di propri ufficiali e dando pertanto luogo a forme di governo misto.
Alcune importanti differenze caratterizzano infatti il fenomeno urbano nell’Italia centro-settentrionale rispetto al Nord Europa. Mentre le città italiane sono quasi tutte di origine romana, quelle del Nord Europa si sono sviluppate di recente intorno a borghi, porti e mercati. Il termine borghesi, con il quale sono chiamati i loro abitanti, trae origine dal nome prevalente di questi centri (burg) e indica la comunità di mercanti e di artigiani che forma la cittadinanza, perché i borghesi godono di particolari privilegi giuridici ed economici concessi dai re, principi o vescovi da cui la città dipende.
Rispetto alle città nord europee, l’articolazione sociale delle città italiane è molto più varia, comprendendo anche proprietari fondiari, titolari di diritti signorili, giudici, notai ecc. In Italia, inoltre, le città mantengono sempre una funzione di centralità (ecclesiastica, amministrativa, economica) rispetto al territorio, mentre le città del nord sono quasi ovunque isole protette da privilegi economici, fiscali e amministrativi (ottenuti attraverso apposite “carte di franchigia”), separate dal territorio circostante. Le città italiane, infine, traducono la propria influenza sulla campagna in un dominio territoriale, costituendo dal XIII secolo dei veri e propri stati cittadini. In Italia il termine “città” (civitas) è riservato solo ai centri che sono sedi vescovili, così come in Germania la condizione di Städt (città) è riconosciuta solo a quelli che hanno ottenuto una carta dall’imperatore o dai principi territoriali.
Lo sviluppo di ampie autonomie politiche da parte dei Comuni italiani è la conseguenza di due condizioni principali. Da un lato, la forza economica, sociale e culturale delle città italiane; dall’altro, la debolezza, rispetto ad altre aree europee, dei sistemi politici entro cui esse sono inserite, in primo luogo nei confronti dell’impero e dei grandi signori territoriali.
Nella maggior parte delle città europee gli abitanti hanno un’origine sociale omogenea, di impronta mercantile e “borghese”, che non investe in proprietà fondiarie e che non ha legami feudali con i signori rurali. Nelle città italiane, invece, si inurbano anche i contadini più agiati, i piccoli e medi proprietari fondiari, alcuni esponenti di famiglie signorili, chierici e religiosi. La residenza stabile in città rende i suoi abitanti dei “cittadini” (cives), differenziati per condizione economica e status giuridico, dai lavoratori della terra e dall’aristocrazia signorile. In Italia, in particolare, la società urbana si articola intorno a tre componenti eminenti: un’aristocrazia militare, talora legata vassallaticamente al vescovo e spesso detentrice di diritti signorili e beni fondiari nel territorio; un’élite commerciale, fornita di ingenti ricchezze mobili e fondiarie; e un ceto di uomini di cultura, giudici e notai in grado di elaborare il sapere e di gestire le tecniche di governo della città. Ciascuno di questi gruppi fornisce un contributo determinante allo sviluppo comunale: rispettivamente, la potenza militare, la disponibilità economica e la competenza giuridica.
Lo sviluppo comunale ha origine nelle città che erano state sedi episcopali. In rapporto con l’autorità vescovile maturano le prime esperienze di autogoverno, che in alcune città avvengono in continuità con il potere del presule, senza conflitti. In altre è invece determinante l’indebolimento delle figure episcopali per l’azione riformatrice del papato che tende a sottrarre la nomina dei vescovi al controllo dei gruppi eminenti della società cittadina. La lotta per le “investiture” di cui essi sono oggetto nel più generale conflitto tra papato e impero, dà luogo a conflitti violenti tra i sostenitori delle due parti in molte città italiane negli ultimi decenni dell’XI secolo. Le iniziative di pacificazione portano a un nuovo ordine politico, quello comunale, che consiste inizialmente in assemblee (conciones o “arenghi”) di cittadini eminenti (cives) che eleggono come loro rappresentanti temporanei dei consoli (consules) per il governo politico, militare e giudiziario del Comune. Si ha così notizia di consoli (due o più) attivi a Pisa nel 1081, a Lucca (1085), ad Asti (1095), a Genova (1099) e altrove nei primi decenni del XII secolo.
L’ampiezza delle rivendicazioni di autonomia da parte dei Comuni si manifesta nello scontro con l’impero che inizia alla metà del XII secolo, quando in quasi tutte le città si sono formate le prime istituzioni comunali, benché non ancora riconosciute. I Comuni non disconoscono la sovranità imperiale, ma rivendicano il diritto all’autogoverno, a una libera politica di alleanze, all’estensione della loro autorità sui propri territori, rifiutando l’invio di funzionari imperiali e l’imposizione arbitraria di tributi. Si apre così un conflitto durissimo. Federico I Barbarossa convoca nel 1158 a Roncaglia, presso Piacenza, un’assemblea pubblica in cui riafferma (con la Constitutio de regalibus, che attinge al diritto romano) le prerogative (“regalìe”) dell’autorità regia: esercizio della giustizia, riscossione delle imposte, facoltà di battere moneta, diritto di arruolare eserciti, controllo di strade e fortezze. Proibisce inoltre le leghe fra città e le guerre fra privati, e impone all’aristocrazia l’omaggio feudale. La rivendicazione dei poteri regi da parte di Federico Barbarossa è formulata con il sostegno teorico dei giuristi che studiano il diritto romano nell’università di Bologna. Proprio qui si è tornati a studiare nella sua integrità il Corpus iuris civilis, proponendolo come diritto comune di tutta la cristianità, come cornice entro cui disciplinare i diritti particolari. Il secolo XII è caratterizzato infatti da una marcata ripresa degli studi giuridici, che fornisce un riordinamento teorico e funzionale dei diritti attivi nell’Occidente europeo. Allo stesso modo, nella seconda metà del secolo, molti Comuni italiani cominciano a mettere per iscritto in statuti i propri diritti locali.
Milano non si assoggetta ed è attaccata dall’esercito di Federico I, che ne distrugge le mura nel 1162 e vi insedia un funzionario imperiale. La crescita della pressione fiscale spinge molti Comuni alla formazione di “leghe” tra i Comuni veneti e lombardi, poi fusi nella Lega Lombarda, giurata a Pontida nel 1167, che, sostenuta da papa Alessandro III, si rivela capace di sconfiggere clamorosamente in battaglia l’esercito imperiale a Legnano nel 1176, e di costringere Federico I a trattare. In cambio del riconoscimento formale dell’autorità imperiale, Federico I garantisce ai Comuni, attraverso la pace di Costanza del 1183, il diritto di esercitare i poteri regi, di eleggere i propri consoli, di costituire leghe, di esercitare diritti sul territorio e di erigervi fortezze. Il rinnovato conflitto tra la Lega Lombarda e Federico II tra 1237 e 1250, si risolve con il definitivo tramonto di ogni pretesa di sottomettere i Comuni italiani all’autorità dell’impero. Dopo la vittoria di Cortenuova, presso Bergamo, nel 1237 contro l’esercito della Lega Lombarda, l’imperatore non riesce a fare seguire che un precario controllo di alcune città dell’Italia centrale. Dopo gravi sconfitte militari a Parma nel 1248 e a Fossalta nel 1249, dove i bolognesi catturano il figlio Enzo, re di Sardegna, Federico II muore nel 1250, lasciando incompiuto il progetto di unificare il potere imperiale dalla Germania alla Sicilia.
Va infine osservato come i Comuni non si affermino solo nelle città. A dare vita a forme di autogoverno sono infatti anche le comunità rurali. Il fenomeno è parte della più generale evoluzione della società rurale europea tra XII e XIII secolo verso una più marcata emancipazione dei contadini dalle dominazioni signorili. In una prima fase, i signori precisano i limiti del proprio potere, mediante concessioni di privilegi ai propri rustici, dette carte di “franchigia” o di “libertà”. In genere esse riconoscono ai contadini il diritto di trasferirsi altrove, riducono la fiscalità, e limitano l’attività degli agenti signorili nell’amministrazione e nella giustizia. Nel corso del Duecento, in alcune aree di espansione e di colonizzazione come la Spagna e l’est europeo, alcune comunità danno luogo a organismi dotati di ampie libertà. Nell’Italia comunale diverse comunità rurali si organizzano con istituzioni di tipo consolare analoghe a quelle urbane, per difendere i propri interessi e rivendicare nuove autonomie. A promuovere i Comuni rurali sono le élites emerse dalla trasformazione e dalla differenziazione della società rurale: i contadini più agiati sono pieni proprietari, concessionari di terre in “dominio utile”, e affittuari di altri fondi di proprietà di aristocratici ed enti ecclesiastici.