Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La Riforma lascia un segno profondo nella vita musicale tedesca, non solo per quanto riguarda i cambiamenti in ambito liturgico e più genericamente religioso, ma anche per l’impulso dato alla cultura e al costume musicale di base e per il fertile condizionamento imposto alla produzione musicale d’arte.
L’influsso della Riforma protestante sulla vita musicale tedesca non si riduce alla creazione di un nuovo repertorio poetico e musicale sacro che vada progressivamente a sostituire quello cattolico, latino e gregoriano, all’interno di un nuovo schema liturgico. È la funzione stessa della musica all’interno del rito (ma anche nella pratica devozionale privata) che viene modificata: per il cristiano che deve potersi rivolgere direttamente a Dio senza l’intermediazione ecclesiastica, la musica religiosa non può più essere un apparato rituale esterno da fruire, o subire, passivamente; essa deve costituire un tramite diretto e attivo. È proprio per questo stesso motivo che, nella concezione di Lutero, i testi religiosi che la musica veicola, così come l’intera liturgia, devono essere comprensibili a tutti.
Da questi presupposti maturano gli esiti più caratteristici della Riforma in campo musicale: l’affermazione nell’ambito della liturgia del canto corale comunitario, che va a sostituire o ad affiancare l’esecuzione affidata al celebrante o al coro (quest’ultimo è eventualmente costituito da cantorie non professionali la cui istituzione va di pari passo al forte impulso dato alla diffusione della cultura musicale nelle scuole); la creazione di un repertorio poetico e musicale liturgico, tedesco e monodico, destinato al canto dei fedeli, denominato Kirchenlied e, in riferimento al suo aspetto propriamente musicale, “corale luterano”.
Insieme al sermone, la pratica del canto comunitario e il Kirchenlied, che ne è il contenuto, costituiscono il pilastro della nuova liturgia riformata, sono potenti strumenti di evangelizzazione e di edificazione morale, di coesione della comunità, di contatto naturale e immediato tra il credente e Dio. Anche per la necessità di una sua rapida costituzione, il repertorio poetico e musicale del Kirchenlied attinge abbondantemente a tradizioni preesistenti, sottoposte al vaglio della revisione teologica. Le due principali sono quella del canto liturgico latino, tradotto in tedesco con eventuali adattamenti della melodia al nuovo testo (ad esempio l’inno A solis ortus cardine diviene Christum wir sollen loben schon) e quella del cospicuo repertorio del lieden spirituale tedesco preriformato (ad esempio Nun bitten wir den heiligen Geist) che costituisce un importante antesignano del Kirchenlied luterano.
Considerevole e spregiudicato è il ricorso al travestimento spirituale di canti popolari (come il celebre Vom Himmel hoch, da komm ich her, basato sul Rätsellied popolare Aus fremden Landen komm ich her) o di canti profani d’arte, anche di carattere amoroso.
È inoltre pratica comune l’utilizzo di una stessa melodia per testi diversi e viceversa. Non manca naturalmente la creazione ex novo di testi poetici e melodie, a partire da quelli prodotti dallo stesso Lutero. Tuttavia anche quando è di nuova composizione, la melodia corale affonda le sue radici in un repertorio di formule o modi propri del repertorio musicale tedesco comune, sia esso di ascendenza liturgica, profana, d’arte (Meistersänger) o folklorica.
Al di là di questo suo “sapore” familiare, le caratteristiche salienti del Kirchenlied sono: linguaggio semplice, metrica accentuativa, struttura poetica e musicale strofica, intonazione sillabica di semplice cantabilità, spiccata inclinazione tonale, chiare articolazioni e cesure melodiche strettamente legate al verso.
Le prime raccolte stampate di canti luterani appaiono nel 1524 (Norimberga, Erfurt, Wittenberg, Lipsia ecc.) e saranno oltre 200, le numerose riedizioni, a vedere la luce nel giro di mezzo secolo. Con gli anni esse diventano sempre più corpose, sistematiche e organizzate liturgicamente. Alla morte di Lutero (1546) si è già definito un corpus classico di circa 80 corali destinato a restare sostanzialmente invariato per i due secoli successivi, salvo aggiunte spesso legate a usi liturgici regionali. Cuore di questo repertorio sono naturalmente i Lieder di Lutero. Alcune raccolte escono a stampa con prefazione del riformatore tedesco che ne cura anche la scelta e l’organizzazione interna. L’ultima in tal senso è la celebre raccolta stampata a Lipsia da Valentin Babst nel 1545.
Non a caso nel periodo iniziale della Riforma, Wittenberg, luogo di attività di Lutero, afferma la propria egemonia come centro di produzione e irradiazione del Kirchenlied su altri centri tedeschi come Norimberga o Königsberg.
Al di fuori dell’ambito propriamente luterano l’innodia riformata si manifesta nelle produzioni in buona misura autonome dei Fratelli boemi a est (il cui repertorio in volgare ceco in effetti precede, ispira e alimenta quello luterano) e della chiesa calvinista a sud. Questa al di là delle città svizzere di Zurigo e Ginevra, ha importanti centri di influenza a Strasburgo e Costanza. Coerentemente con la predicazione di Calvino che vieta il canto di testi non biblici, tale produzione si riduce in sostanza al Salterio, trasposizione metrica in rima del Libro dei Salmi che nella liturgia in lingua francese conosce grande diffusione nelle traduzioni di Clément Marot e Théodore de Bèze, su melodie originali o adattate di Loys Bourgeois.
Nella seconda metà del secolo prevale in Germania una certa tendenza alla codificazione del repertorio esistente con la pubblicazione di raccolte di corali per l’intero anno liturgico. La produzione di nuovi corali tende a ridursi. Tra gli autori principali si segnalano Nicolaus Herman von Joachimsthal (Boemia), Ludwig Helmbold e Philipp Nicolai responsabili in molti casi anche delle melodie, oltre che dei testi poetici.
La posizione di Lutero, più liberale nonché più profonda e complessa nei confronti della musica di quella di riformatori come Calvino e Zwingli, lascia aperta la strada allo sviluppo fecondo di un’arte musicale che non si inaridisce nelle angustie del radicalismo e di un moralismo restrittivo o perfino repressivo.
L’effetto della Riforma luterana sulla musica d’arte risulta però graduale, tanto che i suoi frutti matureranno in tempi piuttosto lunghi. L’adozione dei testi poetici riformati per l’intonazione musicale e l’utilizzo del repertorio del corale come materiale musicale di base per l’elaborazione polifonica, fondamento della musica sacra luterana per i due secoli a venire, non esauriscono per ora le scelte creative dei musicisti che pure aderiscono integralmente alla Riforma.
L’intenzione di Lutero di non abolire radicalmente il latino dalla liturgia, procede parallelamente alla conservazione del canto gregoriano e della polifonia cattolica nel repertorio liturgico musicale di cattedrali e collegiate delle maggiori città, dove da tempo operano cappelle musicali, e dei centri universitari dove il latino è lingua studentesca e internazionale, quindi di alto valore pedagogico. Peraltro in questa prima fase la conservazione del repertorio tradizionale è resa opportuna, nella sensibilità pragmatica di Lutero, dalla mancanza di un repertorio riformato sufficientemente sviluppato. Le prescrizioni non vincolanti contenute nella Formula missa e nella Deutsche Messe conducono per tutto il secolo allo sviluppo di numerose liturgie locali, che vedono elementi latini e tedeschi affiancarsi in modi e misure diversi. Non stupisce dunque che le raccolte musicali di compositori luterani, a partire da quella esemplare di Johann Walter, accolgano di buon grado mottetti latini, in qualche caso usciti dalla penna di musicisti cattolici.
Di fatto per tutto il Cinquecento il confine tra i due mondi, cattolico e protestante, resta assai permeabile ed è frequente anche il caso di compositori più o meno dichiaratamente cattolici (per esempio Lasso) che mettono in musica Lieder protestanti. Il contatto tra i compositori tedeschi e le principali innovazioni musicali in atto nel mondo cattolico, e in particolare in Italia è garantito in maniera significativa anche dal regime di libertà religiosa vigente nella Repubblica veneziana, luogo di formazione professionale per molti compositori tedeschi a partire dal tardo Cinquecento.
La prima raccolta a stampa di composizioni polifoniche su corali luterani appare contemporaneamente a quelle dei Kirchenlieder monodici. Il 1524 è infatti anche la data di pubblicazione del Geistliches Gesang buchlein di Johann Walter, a cura e con prefazione dello stesso Lutero. Questa raccolta conosce una indubbia fortuna: la sesta edizione è del 1551 e contiene il triplo delle composizioni iniziali. Tuttavia è solo negli anni Quaranta che prende corpo una vera tradizione editoriale del Kirchenlied evangelico. Di grande importanza, a testimonianza del fervore con cui diversi musicisti aderiscono al nuovo genere e della varietà degli orientamenti stilistici intrapresi, è l’antologia dei Newe deudsche geistliche Gesenge a 4 e 5 voci, pubblicata nel 1544 a Wittenberg da Georg Rhau (Rhaw), musicista e principale editore musicale della Riforma. La raccolta include 123 composizioni di 19 autori (inclusa una minoranza di cattolici) tra i quali Balthasar Resinarius, Arnold von Bruck, Ludwig Senfl, Benedictus Ducis, Lupus Hellink, Sixtus Dietrich e, probabilmente, lo stesso Rhau.
Come altre raccolte di questo periodo, essa si presenta con un’esplicita finalità didattica, indirizzandosi agli allievi delle gemeine Schulen. In questo come in altri casi il suo utilizzo ecclesiastico è tuttavia sicuro poiché quegli scolari sono gli stessi che vengono arruolati nelle cantorie delle chiese. Negli stessi anni vedono la luce numerose raccolte di bicinia e tricinia composti in buona parte sulle melodie dei corali per l’addestramento al canto nonché opuscoli destinati all’insegnamento elementare della musica e del canto. Sembra così adempiersi la concezione luterana di una diffusione della pratica della musica polifonica pedagogicamente intesa per favorire lo sviluppo della cultura e dell’abilità musicale di tutti i cristiani.
La maggior parte delle composizioni polifoniche della prima generazione della Riforma è, da un punto di vista stilistico, intimamente legata all’anziana tradizione tedesca del Tenorlied, rinverdita dall’utilizzo delle melodie corali come cantus firmus. Quest’ultimo è affidato di norma al tenore, in note lunghe, mentre le altre voci svolgono un libero contrappunto, occasionalmente caratterizzato da procedimenti imitativi. Questa tradizione “tardogotica”, si prolunga, attraverso l’opera di musicisti quali Balthasar Resinarius, Matthaeus Le Maistre, Joachim Burck, fino alla seconda metà del secolo, giungendo a un’evoluzione significativa solo attraverso l’esempio di un autore fiammingo e cattolico come Orlando di Lasso e all’opera dei suoi discepoli tedeschi, Leonhard Lechner (ugualmente cattolico) e Johannes Eccard.
Nelle loro composizioni viene meno la rigida distinzione funzionale tra il cantus firmus e le altre voci, la melodia corale viene ripresa in imitazione da tutte le parti o è addirittura sostituita da materiale melodico originale. La tessitura polifonica e l’organico vocale sono articolati e variati con grande libertà. In definitiva il genere del Kirchenlied viene ad assimilare le risorse espressive della tradizione polifonica vocale fiammingo-italiana.
Accanto a questo stile propriamente polifonico e mottettistico, si manifesta, già a partire dalla raccolta di Johann Walter, un approccio differente all’intonazione del testo poetico, probabilmente influenzato dalle teorie umanistiche del tempo. La melodia corale è sempre assegnata al tenore ma conserva la sua struttura ritmica originale cui si adegua l’andamento sostanzialmente omoritmico, non imitativo e poco melismatico delle altre voci, ottenendo così una declamazione del testo poetico più chiara, incisiva e naturale.
Questo secondo tipo stilistico conosce un’affermazione crescente nelle opere successive dello stesso Walter e nella produzione di Sixt Dietrich e Caspar Othmayr, fino a conseguire un esito decisivo negli anni Ottanta quando si fa strada nella discussione religiosa l’esigenza di un tipo di intonazione musicale più funzionale al principio riformista della partecipazione popolare al rito, e dunque compatibile con la compresenza del canto comunitario. E’ il cosiddetto stile “canzionale”, programmaticamente propugnato e realizzato da Lukas Osiander nei Fünfzig geistliche Lieder und Psalmen. Mit vier Stimmen... (Cinquanta Lieder sacri e salmi a quattro voci), messi in contrappunto per scuole e chiese della benemerita contea di Württemberg, in maniera che l’intera comunità cristiana possa partecipare al canto, (Norimberga,1586).
La chiesa calvinista ha influito su queste evoluzioni con la diffusione in Germania del salterio ugonotto messo in musica a quattro voci da Claude Goudimel (Les CL pseaumes... à quatre parties, Ginevra, 1565) in semplice stile accordale. L’opera di Goudimel, a sua volta ispirata ai salmi a 4 voci di Loys Bourgeois, è tuttavia destinata all’uso devozionale domestico piuttosto che liturgico, dato che la dottrina di Calvino bandisce la polifonia dalla chiesa. La raccolta viene pubblicata in traduzione tedesca a Lipsia nel 1573 a cura di Ambrosius Lobwasser, ma la sua diffusione è enorme anche in altre parti d’Europa.
L’introduzione del Cantionalsatz non ha solo la funzione di ridurre la musica d’arte alla misura del canto comunitario. Essa piuttosto consente alla comunità di prendere parte all’esecuzione della polifonia in interazione con il coro addestrato. Si crea così uno stile polifonico popolare che ha certe analogie col repertorio del falso bordone e con quello, profano, della villanella italiana: la melodia corale, patrimonio della collettività religiosa che attraverso di essa partecipa al rito religioso, è posta in evidenza dal soprano (con le voci maschili all’ottava inferiore) e viene armonizzata (se vogliamo “accompagnata”) con semplicità dalle altre voci, affidate a cantori addestrati, in un lineare andamento omoritmico, accordale, sillabico, con chiare cesure (pause) tra i versi.
Il genere conosce una grande fioritura soprattutto tra il 1590 e il 1630, vantando i capolavori di Hans Leo Hassler, Johannes Eccard, Hermann Schein e Michael Praetorius.
Con la diffusione del canzionale la tradizione editoriale dei corali monodici e polifonici tende a coincidere, in quanto i primi sono normalmente pubblicati come parte superiore nelle intonazioni polifoniche a quattro voci.
Verso la fine del secolo i testi dei Kirchenlieder e le loro intonazioni melodiche e polifoniche divengono progressivamente prerogativa rispettivamente di poeti e musicisti professionisti. In entrambi i casi il genere perde il suo carattere popolare e comunitario (Wir-Lied) per esprimere atteggiamenti devozionali più individualistici (Ich-Lied), attingendo gradualmente l’ispirazione musicale dal genere d’arte della nascente monodia accompagnata piuttosto che dalla musica popolare.
Nel corso del XVI secolo la musica strumentale ha nell’ambito della riforma protestante un ruolo nettamente subalterno.
Lutero parla molto poco dell’utilizzo dell’organo all’interno del rito, e comunque lo fa in termini restrittivi. Se è vero che esso non accompagna il canto collettivo è però probabile che partecipi alla celebrazione alternandosi al canto della comunità e della cantoria. Lo strumento non dispone di un repertorio proprio e ciò che esegue sono comunque forme di elaborazione del repertorio vocale.
Dall’inizio del XVII secolo, anche in virtù di influenze esterne, questa situazione cambierà radicalmente. Soprattutto con l’opera degli allievi tedeschi di Jan Pieterszoon Sweelinck (tra i quali è obbligatorio ricordare almeno Samuel Scheidt), prende il via una evoluzione che condurrà gli organisti della Germania del Nord a una posizione di assoluta preminenza che si manifesterà proprio nelle forme di elaborazione strumentale delle melodie del corale sacro.