Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Alla fine degli anni Settanta del Novecento la procreazione medicalmente assistita è diventata una pratica clinica efficace per il trattamento di varie forme di sterilità. A monte dei successi e degli sviluppi tecnici più recenti c’è una tradizione di ricerche e sperimentazioni che ha consentito a coppie con difficoltà a riprodursi naturalmente di mettere al mondo dei bambini, a coppie affette da malattie genetiche di avere figli sani e sostanzialmente di separare la sessualità dalla riproduzione.
Verso una definizione
La procreazione medicalmente assistita (o fecondazione artificiale) si basa su un insieme di tecniche che permettono di ovviare a quelle condizioni patologiche che ostacolano la fertilità di una persona (sterilità femminile e maschile), o che consentono di evitare la trasmissione di malattie ereditarie. Le coppie a cui è stata diagnosticata una causa di sterilità dopo almeno due anni di tentativi sono circa 6,1 percento (ogni anno in Italia sono 60-70 mila le nuove coppie che non concepiscono entro i due anni di vita in comune, e al 42 percento viene diagnosticata una causa di sterilità).
Le prime inseminazioni artificiali vengono in realtà realizzate alla fine del XVIII secolo, anche grazie alla dimostrazione da parte di Spallanzani che l’orgasmo femminile non è essenziale per la fecondità del rapporto sessuale, ovvero che il rapporto sessuale non è necessario alla fecondazione. Così negli anni Settanta del Settecento, a Londra, un uomo con ipospadia (malformazione dell’uretra) raccoglie, su consiglio del medico Hunter, il seme in una siringa riscaldata e lo inietta nella vagina della moglie, mentre nel 1884 William Pancoast, professore di medicina all’università di Philadelphia, realizza la prima inseminazione da donatore.
Già alla fine dell’Ottocento la fecondazione artificiale è un capitolo specifico nei trattati di chirurgia ginecologica sulla sterilità ed è considerata a livello medico una tecnica inoffensiva, benché eccezionale, anche perché le nuove strategie di sanità pubblica si interessano ai problemi di sterilità e riproduzione umana. Secondo la mentalità del tempo la fecondazione artificiale deve, se non mimare l’atto naturale, almeno effettuarsi nelle condizioni più simili all’incontro amoroso. La fecondazione assistita appare comunque come un ausilio prezioso per affermare il bene della famiglia, permettere alla donna di esercitare il suo ruolo sociale e realizzare il suo desiderio di essere madre.
Tuttavia il fatto che una terza persona, il medico, si intrometta nell’intimità sessuale di un uomo e di una donna resta da alcuni giudicato scandaloso o immorale. Così nel 1880 il tribunale di Bordeaux processa un medico che pratica la fecondazione artificiale (affaire Lajâtre) e la Chiesa cattolica condanna l’inseminazione artificiale nel 1897. La dimostrata possibilità di ricorrere allo sperma di un donatore spinge verso una clandestinazione della pratica, per evitare la riprovazione morale. L’assistenza alla procreazione si istituzionalizza grazie al progresso tecnico che consente ai medici di rispondere direttamente alle obiezioni morali e di dimostrare la natura terapeutica della tecnica. Per fare ciò è stata utile la disponibilità di mezzi tecnici per attenuare l’avvicinamento tra pratica medica e condotte sessuali disapprovate (la cosiddetta fecondazione eterologa). La crioconservazione applicata allo sperma, ottenuta nel 1953, ha consentito la separazione nel tempo e nello spazio dell’intervento del donatore e della donna da inseminare. Inoltre, sono state discusse e stabilite regole per discriminare le domande socialmente accettabili da quelle ritenute potenzialmente destabilizzatrici della vita sociale e dell’equilibrio psichico degli individui (per esempio la possibilità che una coppia omosessuale ricorra alla fecondazione eterologa). Solo la Chiesa cattolica persiste nella condanna di tutte le pratiche di assistenza alla procreazione.
La fase sperimentale
Nel 1937 John Rock, massimo esperto di sterilità negli USA, anticipa la possibilità della fecondazione in vitro (IVF), facendo riferimento agli studi di Gregory Pincus (1903-1967), che nel 1934 rende pubblico un esperimento di IVF nei conigli: un oocita di una coniglia era stato fecondato in vitro e impiantato in un’altra femmina non gravida. Pincus sostiene nel 1939 che gli oociti umani rimossi dalle ovaie e posti in un mezzo appropriato manifestano dei cambiamenti nel nucleo, indicativi della loro maturità e dunque della ricettività per la fertilizzazione. Negli anni tra il 1938 e il 1944 Rock e Miriam Menkin rimuovono 800 oociti di donne volontarie sottoposte a chirurgia ginecologica e cercano di innescare la fertilizzazione in vitro, ma con risultati costantemente fallimentari. Nel 1944 Menkin ottiene una divisione allo stadio di due cellule, riportati su “Science”, e che genera una fitta corrispondenza da parte di donne infertili. Nel 1951 Min Chang, collaboratore di Pincus, afferma che lo sperma deve “capacitarsi” nelle tube di Falloppio prima di essere in grado di fertilizzare un uovo. Parte la ricerca del capacitante chimico. Nel 1960 Robert Edwards, un giovane fisiologo inglese che studia la maturazione degli oociti di topo in vitro, decide di estendere le ricerche agli oociti umani. Riprendendo i lavori di Pincus, scopre che gli oociti umani in vitro non maturano rapidamente come quelli di topo o di coniglio, ma che maturano dopo 24 ore, per cui la fecondazione non può avvenire prima delle 24 ore. Ostacolato epistemologicamente dalla teoria della capacitazione, Edwards va alla ricerca del fattore capacitante, ma non lo trova: bisogna solo ricercare il mezzo di coltura adatto. Barry Barister intanto dimostra che lo sperma di criceto, aggiunto a oociti in un terreno contenente zucchero, bicarbonato e proteine animali fertilizza rapidamente. Nel 1969 Edwards e Barister ottengono lo stesso risultato con oociti umani.
A metà degli anni Sessanta diventano chiari i meccanismi ormonali che controllano la fisiologia femminile della riproduzione. Gli ormoni coinvolti sono stati scoperti negli anni Venti del Novecento: i due sintetizzati dalla pituitaria, FSH (Follicle Stimulating Hormone) che stimola la maturazione del follicolo o dell’oocita, e LH (Luteinizing Hormone) che induce l’oocita a fuoriuscire dall’ovaio e a cominciare la sua discesa nella tuba di Falloppio, e i due secreti dalle ovaie, gli estrogeni, prodotti dal follicolo che matura, e il progesterone, prodotto da ciò che resta del follicolo (corpo luteo) dopo l’ovulazione. Negli anni Trenta del Novecento Dorothy Price stabilisce il modo in cui gli ormoni interagiscono, dimostrando che esiste un meccanismo di feedback negativo per cui gli ormoni secreti dall’ovaio influenzano la secrezione degli ormoni della pituitaria e viceversa. All’inizio del ciclo mestruale la pituitaria secerne FSH in grado di far maturare il follicolo che, a sua volta, inizia a produrre progressivamente estrogeni. Gli estrogeni retroagiscono per interrompere la secrezione di FSH dalla pituitaria, permettendo all’LH di innalzarsi e precipitare l’ovulazione. Il follicolo, svuotatosi, diventa corpo luteo che secerne progesterone, che prepara l’utero a ricevere l’uovo fertilizzato. Se il concepimento non ha luogo, il progesterone cala, avviene la mestruazione e, in assenza di feedback negativo dagli ormoni ovarici, i livelli di FSH della pituitaria riprendono a crescere.
Sulla base della comprensione delle basi biochimiche dell’ovulazione verranno progettati i farmaci contro la sterilità, così come la pillola anticoncezionale. I principi attivi alla base di farmaci contro la sterilità (come lo human menopausal gonadotropine, HMG) saranno estratti dall’urina delle donne in menopausa, la cui pituitaria secerne grandi quantità di ormoni in assenza di feedback da parte di estrogeni e progestinici.
Nel corso della gravidanza il concepito secerne a un certo punto, attraverso la placenta precoce (corion) la gonadotropina corionica umana (HCG), presente in grandi quantità nell’urina delle donne gravide. Questa sostanza, oltre a impedire le mestruazioni e a mantenere l’utero in grado di portare avanti la gravidanza nei primi mesi, ha anche l’effetto di stimolare l’ovulazione. Sulla base di queste nuove conoscenze, nel 1954 viene sperimentato il seguente trattamento per le donne infertili: all’inizio del ciclo mestruale viene somministrata HMG, che con la sua alta concentrazione di FSH incoraggia la maturazione del follicolo; poi, a metà del ciclo, una dose di HCG, che determina l’ovulazione. Questo trattamento viene comunemente introdotto a partire dal 1960 sebbene abbia l’inconveniente di indurre gravidanze multiple. Al contrario dell’IVF, tali trattamenti risultano di grande utilità pratica per aumentare il numero di oociti coltivati (rendendo la procedura più efficiente) e stimola lo studio delle interazioni tra gli ormoni, in particolare il ruolo del progesterone nel predisporre la parete dell’utero per ricevere l’uovo fecondato.
Nell’aprile del 1968 Robert Edwards inizia la collaborazione con Patrick Steptoe, che aveva introdotto la laparoscopia (tecnica endoscopica per l’esame dell’addome) in ginecologia. Dopo aver messo a punto i protocolli per trattare le pazienti e aver verificato che gli zigoti si sviluppano normalmente in vitro, nel dicembre 1971 trattano la prima paziente. Ma senza successo. E così per sei anni. Intanto il Medical Research Council giudica dubbiosi gli aspetti etici del programma di fecondazione in vitro , rilevando la mancanza di studi preliminari sui primati e giudicando discutibile l’uso della laparoscopia per scopi puramente sperimentali. Nel novembre 1973 vengono fatti otto tentativi senza successo. Pensando che manchi la somministrazione di progesterone per preparare l’utero, Edward decide di supportare la seconda parte del ciclo con progesterone (Primolut). Nell’estate del 1975 ottiene una gravidanza extrauterina: di fatto il Primolut non aiuta la gravidanza, trattandosi di un abortivo. Pensando che i protocolli di stimolazione ovarica siano all’origine degli insuccessi, Edward e Steptoe si adeguano al ciclo naturale, intervenendo al momento opportuno solo per prelevare l’oocita, che viene quindi fecondato in vitro e impiantato in utero. Nel luglio del 1978 nasce Louise Brown, la prima bambina nata da fecondazione in vitro ; un nuovo successo è ottenuto nel gennaio 1979 con la nascita di Alistair McDonald.
La fecondazione in vitro si afferma come pratica abituale e nel 1986, 767 cliniche fanno nascere 500 bambini con le tecniche di fecondazione assistita, che diventano 40 mila dopo due decenni. Nel 2005 i nati si calcolano in 2 milioni.
Le applicazioni cliniche
È del 1984 la prima inseminazione intrauterina con iperstimolazione ovarica controllata, ossia determinando l’ingrossamento delle ovaie che presentano uno sviluppo esagerato di follicoli attraverso la somministrazione di ormoni per via farmacologica. Nel 1985 viene introdotta la crioconservazione degli embrioni e lo stoccaggio per il successivo trasferimento. Nel 1986 si ha la prima gravidanza dopo crioconservazione di oociti maturi, ma i tassi di successo rimangono bassi e la tecnica della crioconservazione degli oociti rimane a livello sperimentale. Nello stesso anno viene ottenuta la prima gravidanza mediante la GIFT (Gamete Fallopian Transfer), che consiste nel trasferimento del gamete maschile a livello delle tube di Falloppio, e nello stesso anno anche la prima gravidanza usando la ZIFT (Zygote Intrafallopian Transfer), in cui a essere trasferito è lo zigote. Nel 1998 viene introdotta la tecnica di crioconservazione di tessuti ovarici, che consente a donne sottoposte ad asportazione delle ovaie di avere un figlio proprio. Nella seconda metà degli anni Ottanta si registrano anche i primi casi di maternità surrogata, in cui una donna affitta gratuitamente o a pagamento l’utero a una coppia per condurre una gravidanza il cui prodotto “appartiene” comunque alla coppia. Inizialmente, la pratica ha dato luogo, oltre che a condanne morali, a contenziosi legali. In alcuni casi, infatti, le donne che avevano portato in grembo il feto hanno chiesto di tenere il bambino.
È del 1992 la fertilizzazione di oociti con un singolo spermatozoo iniettato per alleviare l’infertilità grave maschile (microiniezione intraovocitaria dello spermatozoo, ICSI), mentre la diagnosi genetica dei difetti prima dell’impianto viene sviluppata tra il 1989 e il 1990. Sono stati sollevati interrogativi circa l’impatto delle nuove tecniche, come l’ICSI, nelle performance riproduttive delle future generazioni. Nella preservazione e recupero della fertilità maschile dopo l’ICSI sono state messe a punto tecniche come la MESA (Microsurgical Epidymial Sperm Aspiration), ossia il prelievo microchirurgico di spermatozoi dall’epididimo, e la TESE (Testicular Sperm Extraction) il corrispondente prelievo dal testicolo, per cui dal 1994 gli uomini con azoospermia (ovvero mancanza di spermatozoi nel liquido seminale) possono diventare padri di bambini e addirittura si possono fecondare oociti con spermatici immaturi e spermatociti.
Attualmente, nonostante il miglioramento delle tecniche di fecondazione assistita (miglioramenti tecnici dei terreni di coltura, della selezione e screening degli embrioni e della qualità degli oociti), solo il 23 percento delle donne che si sottopone al trattamento diventa fertile; solo il 50 percento degli embrioni coltivati in vitro raggiunge lo stadio di blastocisti; meno del 15 percento degli embrioni trasferiti diventano bambini. Va anche aggiunto che la percentuale di successo varia in rapporto all’età della donna; intorno al 25-30 percento nelle donne tra i 20 e i 30 anni, per scendere a una percentuale dell’8-10 percento oltre i 35 anni.
La sperimentazione relativa alla clonazione di esseri viventi raggiunge un successo con la nascita della pecora Dolly, avvenuta nel 1996 e pubblicata nel 1997, che ha messo a disposizione, in prospettiva, una nuova tecnica per la riproduzione umana medicalmente assistita. Anche se la clonazione umana riproduttiva è stata universalmente condannata e proibita sul piano legale in numerosi Paesi, qualora l’efficienza e la sicurezza della tecnica raggiungessero livelli accettabili, sarà difficile impedirne l’utilizzazione in situazioni medicalmente pertinenti.
Le tecniche di fecondazione assistita hanno consentito alle coppie a rischio, grazie alla diagnosi genetica preimpianto, di non mettere al mondo bambini con gravi malattie genetiche selezionando gli embrioni e impiantando solo quelli sani. Con questo sistema è stata reso più sicuro anche il concepimento di bambini geneticamente idonei per donare le cellule staminali del cordone ombelicale o del midollo osseo a fratelli che rischiano di morire a causa di gravi patologie del sangue. Inoltre, poiché il trasferimento dell’embrione è un atto separato dalla fecondazione, le tecniche della riproduzione medicalmente assistita hanno reso disponibili gli embrioni umani per scopi diversi dalla procreazione. Le ricerche più recenti, infatti, sono orientate in particolare allo studio delle basi genetiche delle malattie ereditarie umane e per sviluppare nuove terapie utilizzando la plasticità differenziativa delle cellule staminali di cui sono costituiti gli embrioni ai primissimi stadi di sviluppo.