La meccanica: origini tecniche e sviluppo teorico. Le enciclopedie meccaniche alessandrine
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel panorama delle discipline scientifiche sviluppatesi autonomamente durante l’età ellenistica la meccanica occupa un posto importante. Più che un punto di partenza, l’ambiente alessandrino con le sue istituzioni culturali è il luogo nel quale avviene un’operazione di riepilogo che vede confluire nella nuova meccanica gran parte delle esperienze della tecnica del costruire. Nei tre secoli che separano le opere di Ctesibio e Filone da Erone, il contenuto della meccanica andrà aggiornandosi continuamente; tuttavia, il paradigma della costruzione ragionata resta il principio unificatore alla base dell’operato di meccanici capaci di realizzare macchine complesse e di raccontarne i principi costruttivi.
Gli antichi considerano fondatore della disciplina Archita di Taranto, nei cui scritti doveva essere già stata affrontata la riduzione della meccanica alle cinque macchine semplici, leva, carrucola, argano, cuneo e vite. Diogene Laerzio (Vitae philosophorum, 8, 83) attribuisce ad Archita la soluzione di problemi della materia grazie a principi di matematica; negli Analitici secondi (78b, 37-39) Aristotele aveva già sottolineato come la meccanica fosse una disciplina il cui obiettivo consiste nel valutare gli oggetti fisici ricorrendo ai principi di geometria. La meccanica è dunque, per Aristotele, una disciplina autonoma e degna di entrare nella riflessione dei filosofi secondo cui risulta essere l’applicazione dello studio di matematica e geometria agli oggetti sensibili. Il trattato inaugurale della nostra tradizione di studi sulla meccanica è composto al principio del III secolo a.C. da Aristotele o, più probabilmente, da un suo allievo con il titolo di Questioni meccaniche. Il testo è redatto nella forma letteraria del problema attraverso il quale il lettore è invitato a scoprire le ragioni che determinano il funzionamento di apparati di uso comune in cui sia nascosto il principio della leva. L’autore mette subito in evidenza il problema centrale, ovvero capire perché grazie a strumenti come la leva si può, con un piccolo peso, sollevarne uno grande.
Il fatto che nei fenomeni meccanici il minore possa con poco sforzo vincere la resistenza del maggiore viene ricondotto alle proprietà che rendono unica la figura circolare: che essa sia generata dal movimento del raggio, del quale una estremità si muove mentre l’altra resta ferma al centro; che vi si trovino contemporaneamente la curva concava e quella convessa; che la linea che descrive il cerchio, cioè il raggio mobile, si muova avanti e indietro; e soprattutto che, sebbene sotto l’azione di una forza costante, i punti lungo la superficie del raggio si muovono a velocità diverse. È proprio quest’ultima proprietà a spiegare l’efficacia dei fenomeni meccanici che portano sulla Terra, attraverso la macchina, il meraviglioso moto circolare dei corpi celesti.
L’influenza che quest’opera avrà nella storia della cultura scientifica è enorme, soprattutto per quanto riguarda la discussione sulla meccanica tra Cinquecento e Seicento.
Se il termine mechané indica il portare a termine con successo un’azione complessa, il compito della meccanica è dunque il medesimo: spiegare i procedimenti in base ai quali il piccolo può vincere il grande, il debole prevalere sul forte. Ciò avviene attraverso la costruzione di dispositivi che permettono all’uomo di portare a compimento operazioni altrimenti impossibili.
Alla definizione delle leggi fondamentali dell’equilibrio di un corpo rigido sottoposto a carichi contribuisce anche Archimede, specie con il trattato Sull’equilibrio dei piani e con il successivo studio Sui corpi galleggianti. Si tratta di un tema che doveva avere già attirato l’attenzione dei maggiori studiosi, se è vero che anche Euclide aveva dedicato a questo argomento il perduto trattato Sull’equilibrio. Rispetto all’approccio delle Questioni meccaniche Archimede analizza la questione dell’equilibrio della leva nella proposizione VI dell’opera Sull’equilibrio dei piani: “Le grandezze commensurabili sono in equilibrio se sospese a distanze inversamente proporzionali ai pesi”.
L’approccio è quantitativo e la dimostrazione di Archimede verte sull’evidenziare come il baricentro del tutto si trovi nel fulcro della bilancia. La legge della leva è dunque valida quando si verificano certe ipotesi, purché gli oggetti fisici siano trattati come enti geometrici, così come geometrici sono i concetti chiave di equilibrio e baricentro.
Nel corso del III secolo a.C. e nell’ambiente delle istituzioni di cultura alessandrine va però trovando sistemazione una nuova meccanica, che poco ha in comune sia con l’opera pseudoaristotelica che con quella di Archimede.
Occorre rifarsi a Stratone di Lampsaco, giunto nella città egizia da Atene come educatore di Tolemeo Filadelfo. Autore di scritti in buona parte andati perduti, Stratone si occupa della natura dell’aria: la sua posizione ci è nota attraverso testimonianze indirette e frammenti dai quali appare evidente che sposa una posizione diversa da quella della scuola aristotelica soprattutto per quanto concerne la questione della possibilità dell’esistenza del vuoto continuo. Sebbene convinto che in natura non esista, Stratone dimostra che un vuoto artificiale può essere creato in virtù della costruzione di una serie di apparati. Si ritiene che proprio le ricerche sul vuoto condotte da Stratone abbiano giocato un ruolo determinante nell’influenzare e indirizzare gli studi di meccanica dei suoi successori verso la parte pratica della disciplina. In effetti, il contenuto della nuova meccanica alessandrina, a noi noto attraverso le figure di Ctesibio e Filone di Bisanzio, attivi nel corso del III secolo a.C., ed Erone, subisce una profonda trasformazione di cui resta testimonianza nelle opere di questi autori.
Al fondatore della scuola di meccanica di Alessandria, Ctesibio, la tradizione attribuisce un’opera composta nei primi anni del III secolo a.C. Di essa, perduta, sopravvive una eco attraverso gli autori che ne hanno citato il contenuto. È possibile che Ctesibio avesse strutturato l’opera in capitoli, dedicati a nuovi campi di ricerca come la pneumatica, in cui era presa in esame la costruzione di dispositivi il cui funzionamento dipendeva dal moto di aria, acqua e vapore forzati all’interno di condutture; non è da escludere che proprio in quest’opera Ctesibio abbia descritto il funzionamento dell’orologio ad acqua e dell’organo idraulico, nonché il meccanismo della pompa con pistone, cilindro e valvole.
Secondo Erone, al quale dobbiamo una vera e propria storia dell’evoluzione delle armi da lancio, Ctesibio è anche ideatore di catapulte a torsione che utilizzano molle di bronzo e aria compressa. Si tratta di dispositivi che però non vengono effettivamente impiegati, esattamente come resta un prototipo la catapulta a ripetizione ideata da un certo Dyonisos di Alessandria, munita di un ingegnoso dispositivo che alimenta automaticamente il vano per il lancio dei proiettili.
L’opera di Ctesibio ha certamente influenzato Filone di Bisanzio, attivo ad Alessandria verso la metà del III secolo a.C. Di lui sappiamo solo che soggiorna a Rodi prima di trasferirsi ad Alessandria, dove è autore di un testo intitolato Suntaxis mechaniké, opera costituita da un insieme di capitoli dei quali sopravvivono l’introduzione e le parti dedicate alla pneumatica, alla costruzione di automi e macchine belliche, ai porti e alle fortificazioni, agli stratagemmi.
È interessante osservare che nell’organizzazione della disciplina secondo lo schema di Filone, un capitolo, intitolato Mochlikà e cui si fa riferimento nell’introduzione, è dedicato alla sola teoria della leva. Se ne deduce un mutamento di prospettiva importante, dal momento che la teoria della leva, sempre fondamentale, non è tuttavia sufficiente ad abbracciare e spiegare gli esiti di una disciplina che adesso deve cimentarsi sia con la parte pratica che con quella teorica: il buon meccanico, lo confermeranno in seguito sia Erone che Pappo, deve padroneggiare entrambi questi aspetti, capace di conoscere sia le ragioni che determinano il funzionamento di apparati e macchine che i loro principi costruttivi. Particolarmente vivo è il settore che tratta della costruzione e del funzionamento delle macchine belliche da lancio; ritenute una componente essenziale dell’arte della guerra e un segno assai efficace della potenza del sovrano che le commissiona, le catapulte vanno assumendo un ruolo centrale nella discussione sulla meccanica. Presentarsi sotto le mura nemiche con catapulte capaci di scagliare dardi e pietre modifica il modo di organizzare la guerra, richiedendo una serie di conoscenze specifiche del settore: stratega ed esperto in macchine procedono adesso a braccetto. Se Demetrio Poliorcete è divenuto nell’immaginario collettivo il sovrano che meglio di altri ha saputo trarre profitto dagli indirizzi vecchi e nuovi della poliorcetica, la centralità della costruzione di artiglierie concorre nel creare le condizioni di lavoro ideali per un numero di specialisti del settore.
Il mutamento di prospettiva, che segna l’ingresso della balistica nella meccanica e rende obsoleti i combattimenti tra opliti, è ben fotografato da Plutarco (Detti di re e comandanti, 191e; Detti degli Spartani, 219a) che riporta un episodio che avviene a Sparta, protagonista Archidamo, nell’anno 367 a.C.: “Archidamo, figlio di Agesilao, vedendo il proiettile di una catapulta per la prima volta portato dalla Sicilia, gridò: per Eracle, è la fine del coraggio e della virtù dei combattenti”.
Per costruire una catapulta occorre una specifica preparazione; problema complesso, vi lavorano assiduamente i meccanici attivi ad Alessandria i quali sembrano aver trovato, all’interno della pratica costruttiva di macchine e dispositivi, il principio unificante che garantisce la funzionalità e la stabilità di ogni apparato, anche nel passare dalla progettazione teorica alla pratica. Nell’opera di Filone è chiaramente enunciata, a più riprese, la necessità di ricondurre tutta la parte pratica al modulo, una misura interna all’oggetto da costruire e in base alla quale, procedendo per ingrandimenti e rimpicciolimenti proporzionali, effettuare le necessarie variazioni di scala. Considerata universale, questa prassi è ritenuta valida per catapulte e macchine edili, per templi e statue, colossi e imbarcazioni. Non a caso, questa sicurezza costruttiva si traduce in un evento di eccezionale importanza per i saperi tecnici, vale a dire la comparsa di scritti specificamente dedicati a questo tema.
Razionalmente ricondotta a un principio ordinatore unico, la tecnica costruttiva diventa oggetto di trattazione scritta, andando così a conferire maggiore autorità a un sapere nei confronti del quale era forte l’accusa di non intellettualità operata dai filosofi. Tra l’altro, nel redigere questi trattati gli autori fanno ricorso anche a un repertorio di immagini che, andato perduto, sottolinea la convinzione dell’utilità di ricorrere al linguaggio figurato per meglio comunicare i contenuti della disciplina. Dopo aver teorizzato la costruzione modulare della macchina da lancio, Filone di Bisanzio nel Trattato sulle fortificazioni elenca il personale specializzato che non deve mancare nella preparazione di un assedio: cuochi, medici esperti in ferite da colpi di artiglieria, esperti nella costruzione di macchine e tecnici capaci di far funzionare le catapulte. Secondo Filone non solo nelle fortificazioni, ma ogni quartiere di città dovrebbe essere equipaggiato con questi tecnici (Fortificazioni, 2, 5, 49).
In una posizione intermedia si pone Erone di Alessandria, la cui opera è assai importante anche perché molti dei suoi testi sono giunti fino a noi. L’epoca in cui vive è stata individuata datando all’anno 62 d.C. un’eclissi di Luna da lui osservata. Insegnante di meccanica e altre materie tecniche nel Museo di Alessandria ormai da circa un secolo sottoposto al controllo di Roma, Erone sicuramente conosce i testi di Ctesibio e Filone, ai cui contenuti si attiene nel redigere alcuni dei suoi trattati. Riferimenti presenti nei suoi scritti evidenziano che ha letto e studiato anche le opere di Euclide e Archimede, l’influenza dei quali è evidente in alcuni passi del suo Trattato di meccanica.
Autore di numerosi testi, Erone afferma con vigore la necessità di una preparazione completa, fatta di teoria e pratica. Nelle opere di matematica e geometria (Definitiones, Geometria, Geodaesia, Stereometrica, Mensurae, Metrica), Erone propone brillanti sistemi per risolvere problemi di misurazione, illustra l’invenzione di un metodo per approssimare le radici quadrate e cubiche di numeri che non sono quadrati o cubi perfetti e individua, inoltre, la formula (nota appunto come formula di Erone) per determinare l’area di un triangolo in funzione dei suoi lati.
Di particolare spessore sono anche le ricerche di ottica, giunteci attraverso una versione latina della Catottrica, in cui definisce correttamente le leggi della riflessione. Nel Trattato sulla diottra Erone propone l’impiego di una specie di teodolite, da lui inventato. Come trattati autonomi e non più contenuti all’interno di una enciclopedia meccanica Erone scrive altri testi: Sulla pneumatica, Sugli automi e Sulla costruzione di macchine da guerra. La Pneumatica si apre con un’introduzione teorica seguita dalla descrizione di numerosi dispositivi azionati dalla pressione dell’acqua, del vapore, dell’aria compressa. È in quest’opera che Erone descrive, tra l’altro, l’eolipila, il dispositivo attraverso il quale mostra come il calore, opportunamente imprigionato, possa essere trasformato in energia meccanica sfruttando la pressione derivante dal riscaldamento di acqua all’interno di una sfera metallica.
Certo Erone non avrebbe immaginato che proprio attorno alla precisa descrizione della costruzione e del funzionamento di questo dispositivo si sarebbe svolto gran parte del dibattito storiografico novecentesco sulle ragioni, presunte, del mancato sviluppo del macchinismo presso gli antichi. Con il Trattato sulla costruzione delle macchine da lancio Erone ripercorre, probabilmente rifacendosi in parte al perduto testo di Ctesibio sul medesimo argomento, l’evoluzione cronologica delle catapulte, da quelle più semplici a quelle costruite sulla base dello schema della calibrazione. Nell’opera Sugli automi illustra una serie di teatrini automatici, molto popolari all’epoca, dotati di movimento autonomo, rettilineo e circolare in grado di funzionare per tutta la durata dello spettacolo. Di Erone sopravvivono, inoltre, frammenti dei contributi dedicati a singoli temi specifici come Gli orologi ad acqua e i Commentari sugli Elementi di Euclide.
Di notevole importanza la segnalazione, dal commento di Eutocio di Ascalona al trattato Sulla sfera e sul cilindro di Archimede, dell’esistenza di una perduta opera Sulle volte scritta da Erone e commentata a distanza di secoli da Isidoro di Mileto il quale descrive anche uno strumento di sua invenzione per disegnare parabole, onde sottolineare una relazione, ancora da scoprire, tra l’opera del meccanico alessandrino e la costruzione di volte e cupole.
Come detto, con l’opera di Erone la meccanica muta nuovamente il suo contenuto. A essa lo studioso alessandrino dedica un trattato a parte, della cui stesura originale sopravvivono solo alcuni frammenti. La nostra conoscenza della Meccanica di Erone deriva quindi da un numero di manoscritti medievali, il principale dei quali, in arabo, è conservato alla Biblioteca Universitaria di Leida in Olanda. In questo testo lo scienziato alessandrino porta a sistemazione definitiva l’aspetto teorico e pratico della meccanica, riconducendola alle cinque macchine semplici, il funzionamento delle quali dipende dal principio della leva. Emerge in quest’opera un costante legame tra teoria e pratica. I problemi di geometria affrontati nel primo libro spiegano le applicazioni pratiche che ne derivano: aumentare e diminuire figure di geometria piana e solida in un dato rapporto, trovare due medie proporzionali consecutive tra due rette date. Nel secondo libro (II, 1-6) viene data la teoria del funzionamento di ciascuna delle macchine semplici e si indica il modo in cui vanno adoperate (II, 7-19). I procedimenti che ne determinano il funzionamento sono ricondotti al principio del cerchio secondo tradizione: infatti, scomponendo ogni macchina nei suoi elementi semplici, Erone riporta la questione del funzionamento al principio dei cerchi concentrici, una sistemazione che Pappo di Alessandria in seguito attribuirà anche a Filone ed Archimede.
È interessante osservare che nell’opera di Erone viene affrontato anche il problema, fondamentale per la corretta progettazione delle macchine, dei rallentamenti di velocità causati dall’attrito. Erone è conscio che per vincerne la resistenza occorre aumentare la forza traente, che deve essere un po’ maggiore rispetto a quella sufficiente a muovere il peso (II, 20).
L’esatta quantificazione del rapporto tra forza agente e peso da sollevare compare nella parte della Meccanica in cui Erone descrive il barulkós, “il sollevatore di pesi”, un congegno attraverso il quale egli calcola esattamente il rapporto tra forza agente e resistente: la macchina è infatti pensata per consentire a un uomo solo, che eserciti una forza di 5 talenti, di sollevarne facilmente 1000. Per quanto Erone nella sua Meccanica abbia sviluppato una teoria antica, che probabilmente risaliva a Filone e Archita, resta il fatto che la sua opera rappresenta il primo tentativo a noi noto di classificare e concettualizzare le macchine, oggetto per eccellenza della meccanica.