Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel Settecento si sviluppa il processo formativo che conduce alla nascita della geologia come scienza. Le teorie della Terra sono meno condizionate dalla storia biblica anche se continuano i tentativi da parte di osservatori ispirati dalla tradizione cristiana di trovare sulla superficie del globo prove della narrazione biblica della creazione, e in particolare del Diluvio universale. Lo studio della superficie terrestre si articola in un numero crescente di ricerche sul campo e nel susseguirsi di teorie e storie della Terra che suscitano aspre controversie e l’interesse del pubblico colto. I geologi settecenteschi si occupano di rocce, minerali, vulcani, monti e strati, ai quali solo più tardi verranno stabilmente associati i fossili in qualità di indicatori stratigrafici.
Le teorie della Terra
Per tutta la prima metà del Settecento le teorie della Terra costituiscono, come alla fine del secolo precedente, sistemi intesi a fornire un’interpretazione complessiva storica e fisica della struttura interna e dell’aspetto esteriore del globo terracqueo.
Tuttavia, una considerazione più critica del ruolo del Diluvio universale (il principale “evento geologico” nelle cosmologie inglesi seicentesche di Thomas Burnet, John Woodward e William Whiston), conduce a una riformulazione delle teorie della Terra in senso meno “diluvialista” rispetto al Seicento.
Le Sacre Scritture, il libro della Genesi in particolare, vengono interpretate con maggiore libertà e, parallelamente, aumenta l’interesse per l’esame dei fatti naturali attraverso ricerche sul campo. Non si tratta di un mutamento improvviso, ma di un processo complesso e graduale: ancora nel primo trentennio del Settecento studiosi come Johann Jakob Scheuchzer (in Piscium querelae et vindiciae, Museum diluvianum e Physica sacra) e Louis Bourguet nelle Lettres philosophiques) fanno esplicito riferimento allo schema teorico proposto da Woodward nell’ Essay toward a Natural History of the Earth e ampiamente diffuso in Europa grazie a successive traduzioni in latino, francese e italiano.
Le teorie di ispirazione woodwardiana si incentrano sull’azione delle acque diluviane, fuoriuscite da un grande abisso sotterraneo, che dissolvono completamente la superficie originaria del pianeta e danno inizio alla ricostruzione dell’attuale crosta terrestre attraverso processi sedimentari. Le teorie della Terra “diluvialiste” riescono così a spiegare, con il ricorso a un’unica catastrofica inondazione, la presenza dei fossili sulle montagne.
Verso la fine degli anni Quaranta del Settecento nuove teorie della Terra, meno legate al dogma del Diluvio universale, ampliano i termini della questione. Nella Protogaea Leibniz ipotizza lo stato originario della Terra come un globo di materia incandescente. Secondo Leibniz, dopo il raffreddamento la superficie del pianeta era stata ricoperta uniformemente da un grande oceano formatosi a causa della condensazione dei vapori presenti nell’atmosfera. Nell’oceano primigenio si erano prodotti i primi processi di formazione delle rocce. Anche la teoria della Terra presentata nel primo volume della monumentale Storia naturale di Georges-Louis Buffon (1749) riprende l’idea di un grande oceano primordiale che aveva coperto l’intera superficie del pianeta dopo il raffreddamento della sua massa incandescente. Secondo Buffon le correnti dell’antico mare avevano determinato il modellamento di quella che, una volta emersa, sarebbe stata la superficie della Terra, con le sue valli e i suoi rilievi montuosi. La teoria della Terra di Buffon, ulteriormente sviluppata nelle Epoche della natura (1778), non presenta più una storia breve del pianeta in rigida conformità con le tappe della cronologia biblica (limitata a 6.000 anni) e basata sull’evento straordinario rappresentato da un Diluvio universale di 40 giorni.
Georges-Louis Buffon
Storia e teoria della Terra
Storia naturale
Non parlo di quelle cause remote che non tanto si prevedono quanto si indovinano, di quelle scosse della natura, il cui minimo effetto costituirebbe una catastrofe per il mondo, cioè la caduta o l’avvicinarsi di una cometa, un eclissi di luna, l’apparizione di un nuovo pianeta, eccetera; si tratta di supposizioni in base alle quali è facile dar libero gioco alla propria immaginazione; simili cause riescono a produrre tutto quello che uno vuole e da una sola di queste ipotesi si possono intrecciare mille romanzi di fisica, romanzi intitolati dai loro autori Teoria della Terra. (...)
Cause il cui effetto sia raro, violento e improvviso, non devono sfiorarci, perché non appartengono al cammino consueto della natura; i fenomeni di tutti i giorni, i movimenti che si succedono e si rinnovano senza interruzione, le operazioni costanti e sempre ripetute, queste sono le cause e le ragioni che noi dobbiamo prendere in considerazione.
Buffon, Storia naturale, a cura di M. Renzoni, Torino, Boringhieri, 1959
Influenzato, per quanto riguarda lo stato originario del globo, dalle ipotesi cosmologiche esposte da Leibniz nella Protogaea e da Cartesio nei Principia philosophiae, Buffon introduce due elementi di grande importanza per lo sviluppo delle scienze della Terra del secondo Settecento: il ruolo fondamentale dell’erosione dovuta all’azione delle acque (marine, meteoriche, fluviali), attive nel passato come nel presente, e il concetto di una storia della Terra di lunga durata suddivisa in sei “epoche” successive.
Con Buffon l’età della Terra non viene più calcolata in poche migliaia, ma in decine di migliaia di anni. L’esame e l’interpretazione dei fatti naturali tuttora attivi sulla superficie del globo terracqueo divengono progressivamente elementi indispensabili per ricostruire in senso sempre meno “teorico” la storia geologica della Terra. Per molti filosofi e naturalisti, l’ipotesi di Buffon, per quanto ardita, era di gran lunga preferibile alle teorie ispirate all’atomismo classico e al De rerum natura di Lucrezio, secondo cui la Terra e il sistema solare erano solo istanti nella storia eterna delle combinazioni e ricombinazioni di una materia composta di atomi indistruttibili. Verso la fine del secolo, emerse con forza una nuova versione “eternalista” della storia della Terra. Nella sua Theory of the Earth, pubblicata tra 1788 e 1795, il geologo scozzese James Hutton, considera la Terra come modellata dall’azione costante di agenti naturali qualitativamente e quantitativamente costanti. Tale concezione sarà poi definita uniformismo, a indicare che i fenomeni naturali che possiamo oggi osservare (vulcani, terremoti, escursione termica, azione delle piogge e delle maree) sulla superficie del globo hanno agito con la stessa intensità per periodi di tempo indefiniti e indefinibili. La continua erosione delle acque fluviali e meteoriche, secondo Hutton, forma gli strati rocciosi, che sono poi sollevati dalla spinta del calore centrale della Terra. Si determina quindi un equilibrio costante tra erosione e sollevamento, cioè tra due processi che si verificano comunque con grande lentezza, a conferma dell’età antichissima della Terra, postulata ma non calcolata da Hutton. Per il geologo scozzese, la storia della Terra non fornisce indicazioni di un inizio, e non lascia intravedere una possibile fine.
Geologia e geognosia
Verso la fine del Settecento la geologia inizia a configurarsi come scienza autonoma e la stessa parola “geologia” entra a far parte della terminologia in uso tra gli scienziati. Questo processo di formazione ha radici profonde già presenti nella prima metà del Settecento. Una comunità eterogenea di studiosi della Terra, che si rivelerà sempre più attiva e produttiva nei decenni successivi, inizia ad acquisire una propria metodologia di ricerca sul terreno basata sull’indagine molto accurata di una o più aree geograficamente limitate. I risultati di queste ricerche, inizialmente isolate, come nel caso delle osservazioni di Antonio Vallisneri e Luigi Ferdinando Marsili sull’Appennino tosco-emiliano o di Johann Jakob Scheuchzer (1672-1733) sulle Alpi svizzere, costituiscono i primi elementi di un mosaico di informazioni destinato a raggiungere una consistenza e una diversificazione assai significative.
In ambito francese, figure eclettiche come Henri Gautier (1660-1737) con le sue ricerche in Linguadoca (Nouvelles conjectures) o Benedict de Maillet, osservatore di diversi litorali marini mediterranei (Telliamed, 1748), sviluppano teorie generali proprio dalla raccolta di osservazioni particolari. Tale metodo sarà adottato, in parte almeno, dallo stesso Buffon nella sezione illustrativa (Preuves) della sua Théorie de la Terre.
In Italia gli studi di Antonio Vallisneri (De’ corpi marini) e di Anton Lazzaro Moro (De’ crostacei e degli altri corpi marini) prendono spunto dalla controversa questione dei fossili (“corpi marini”) presenti sulle montagne per ricostruire la tipologia e la successione dei fenomeni geologici responsabili della formazione di rocce e montagne. Per Vallisneri sono le frequenti inondazioni del mare, le cui acque hanno ricoperto per lunghi periodi ampie regioni della Terra, ad aver contribuito a modellare la superficie terrestre formando nuovi rilievi montuosi e lasciandovi i resti di vari organismi marini un tempo viventi.
Secondo Moro invece le montagne più antiche o “primarie” sono sollevamenti di porzioni del fondo dell’oceano primordiale dovute a fenomeni vulcanici causati dal fuoco interno alla Terra, mentre i monti “secondari” sono costituiti da deposizioni stratificate dei materiali eruttati dai monti “primari”.
Pur nella evidente diversità delle loro posizioni, Moro e Vallisneri, come altri studiosi coevi, criticano l’idea della staticità della natura presente nelle teorie della Terra seicentesche di provenienza britannica e vi oppongono l’idea dell’uniformità degli eventi naturali, costanti nel tempo e regolati da leggi stabili. Il Diluvio universale viene quindi accettato come un evento inesplicabile perché di origine divina, ma non più come principale responsabile della storia geologica del pianeta.
Tra la maggioranza degli studiosi del primo Settecento è ormai ampiamente accettato il fatto che la crosta terrestre presenti una struttura a strati, formatasi prevalentemente per deposizione di vari tipi di materia in un fluido (origine sedimentaria). Tuttavia, la complessità di molte caratteristiche geologiche osservate a livello locale non consente di limitarsi a un’unica interpretazione generalizzata. Di conseguenza, a partire dagli anni Cinquanta, aumentano le ricerche sui rilievi montuosi e sugli strati rocciosi che li compongono, analizzati sempre più in dettaglio nella loro forma e nel loro contenuto litologico. Compaiono così le prime “classificazioni” di montagne e di “ordini” o gruppi rocciosi, che trovano terreno fertile soprattutto tra i geologi e mineralogisti tedeschi e svedesi, ma anche fra scienziati italiani come Giovanni Targioni Tozzetti e Giovanni Arduino.
Un elemento comune a gran parte di questi studiosi è il loro legame più o meno stretto con l’attività mineraria, che influenza lo sviluppo dei primi studi stratigrafici nella seconda metà del Settecento, basati quasi essenzialmente sull’uso delle rocce e dei minerali. La crescita esponenziale delle attività estrattive caratterizza l’economia europea a partire dalla fine del XVII secolo, a ragione della crescente domanda di minerali per le nascenti industrie, gli eserciti e la marina. Verso la fine del Settecento, guerre, colonialismo, crescita demografica faranno aumentare la richiesta di combustibili e di minerali, costituendo la premessa della rivoluzione industriale. Non vi è dunque da stupirsi che molti illustri filosofi (Leibniz, ad esempio) o naturalisti (Buffon) si siano occupati attivamente di miniere e di minerali. La ricerca di nuove risorse e lo studio sistematico delle miniere contribuisce all’emergere di un atteggiamento di ricerca fortemente incentrato sull’indagine del terreno alla ricerca di indizi sulla costituzione del sottosuolo. Un risultato significativo di tali studi stratigrafici è l’affermazione di una cronologia relativa per le strutture rocciose individuate: le rocce “primitive”, poste alla base dei rilievi montuosi, sono considerate più vecchie delle “secondarie” a esse sovrapposte e così via. Inoltre, si giunge all’identificazione di cause diverse responsabili della formazione di rocce e strati (generalmente indicate con l’azione dell’“acqua” o del “fuoco”), grazie allo studio delle caratteristiche esterne e delle differenze chimico-fisiche. Di conseguenza, numerose ricerche dettagliate di geologia regionale, realizzate attraverso esplorazioni del sottosuolo e viaggi naturalistici, conducono all’individuazione dei processi geologici che avvengono alla superficie terrestre e al suo interno.
All’inizio degli anni Cinquanta, Targioni Tozzetti classifica i rilievi della Toscana in monti “primitivi” di roccia compatta a filoni e colline stratificate di formazione posteriore, mentre nel 1760 Arduino propone una raffinata classificazione litologica in quattro “ordini” cronologicamente successivi (che include montagne “primarie”, “secondarie” e “terziarie”), basandosi soprattutto su osservazioni svolte in Veneto e Toscana. Per i mineralogisti legati alla tradizione mineraria tedesca è importante riuscire ad associare l’ordine e l’organizzazione delle formazioni rocciose con le eventuali vene minerali in esse contenute ai fini di un riconoscimento e di uno sfruttamento più agevole ed efficace. Così, scienziati tedeschi come Johann Gottlob Lehmann (in Versuch einer Geschichte von Flötz-Gebürgen) e Peter Simon Pallas (in Observations sur la formation des montagnes) teorizzano una divisione dei monti in tre classi, ma anche Georg Christian Füchsel (Historia terrae et maris) e lo svedese Torbern Bergman (Physisk Beskrifning), oltre allo stesso Arduino, con le loro classificazioni lito-stratigrafiche preparano il terreno alla “geognosia” di Abraham Gottlob Werner, pubblicata nel 1786 (Kurze Klassifikation und Beschreibung).
La “geognosia” werneriana si presenta come un concreto metodo d’indagine che studia la struttura e il contenuto del sottosuolo ad ampia scala. Descrivendo e classificando una successione di formazioni rocciose, anche in relazione ai minerali in esse contenuti, la “geognosia” permette di ricostruire l’antichità relativa dei diversi gruppi rocciosi (Gebirge) e le tappe della storia geologica della Terra.
Secondo Werner tutte le rocce, a parte quelle eruttate dai vulcani, hanno avuto origine sedimentaria e le rocce “primarie” si sono depositate entro l’oceano primordiale per via chimica. La “geognosia” werneriana sta alla base della scuola “nettunista”, che considera la crosta terrestre come il prodotto di una precipitazione avvenuta in un fluido acqueo. Alla fine del Settecento ai “nettunisti ” si oppongono i “plutonisti ” (che fanno riferimento soprattutto agli studi di James Hutton), secondo i quali tutti i tipi di roccia si sono formati e si formano costantemente a causa dell’azione del calore centrale della Terra.
Abraham Gottlob Werner
Breve classificazione e descrizione dei diversi tipi di montagne
Flötz
(...) Tutti i tipi di montagne, in base alla natura e origine delle rocce che le compongono, si possono dividere in quattro gruppi principali e cioè montagne primordiali, stratificate, vulcaniche e “di trasporto”. I tipi di montagne primordiali, stratificate e “di trasporto”, mutano gli uni negli altri: si hanno tipi di montagne primordiali che, quasi a buon diritto, possono essere chiamate stratificate e d’altro lato, montagne stratificate che potrebbero essere annoverate, se pur con qualche dubbio, tra quelle “di trasporto”. Alcune delle prime, cioè le primordiali, si trasformano a poco a poco nelle stratificate. Dato il modo di formazione di questi tipi di montagne che, nell’immenso spazio di tempo dell’esistenza della nostra terra, si sono mutate perlopiù impercettibilmente le une nelle altre, non è possibile che non siano avvenuti tali passaggi (...). Le montagne primordiali sono di più antica formazione e presentano tutte le caratteristiche di una formazione per via umida (...); le montagne primordiali sono caratterizzate dall’assenza di fossili (...). I tipi di montagne stratificate sono tutti di formazione più recente rispetto alle primordiali ed è assai probabile che queste ultime si siano lentamente trasformate nelle prime ricordate, cioè nelle stratificate. Caratteristica dei tipi di montagne stratificate è la presenza, quasi in tutte, di fossili che, in alcune di esse, sono eccezionalmente numerosi (...). Le montagne vulcaniche debbono al fuoco la loro esistenza o perlomeno il loro mutamento.
N. Morello, La macchina della Terra; teorie geologiche dal Seicento all’Ottocento, Torino, Loescher, 1979
Un orientamento “vulcanista” è tuttavia già presente fin dagli anni Cinquanta e Sessanta: alcuni studiosi, soprattutto francesi, ma anche italiani e inglesi (tra i quali si ricordano Jean-Étienne Guettard, Nicolas Desmarest, Giovanni Arduino, Alberto Fortis, John Strange –, teorizzano l’esistenza di vulcani estinti in diverse aree europee, aprendo un acceso dibattito sulla natura di alcune rocce come il basalto e il granito.
Questo dibattito costituisce uno degli elementi di punta della controversia tra “nettunisti ” e “plutonisti ”, ma non si esaurirà con la fine del secolo. Parallelamente si intensificano anche i viaggi scientifici su vulcani attivi come il Vesuvio e l’Etna, che divengono meta di un numero sempre maggiore di naturalisti europei tra i quali si segnalano Déodat Dolomieu e Lazzaro Spallanzani.
Anche la catena alpina diviene oggetto principale di studio da parte di scienziati-alpinisti come Horace Bénédict de Saussure.
La cartografia geologica si sviluppa nell’ultimo trentennio del secolo, mentre prospetti e sezioni di aree geograficamente delimitate prendono gradualmente il posto delle rappresentazioni del globo terracqueo di ispirazione seicentesca.
Nonostante il “nettunismo” werneriano fosse destinato a un progressivo declino nei primi decenni dell’Ottocento, gli oppositori della teoria huttoniana e delle interpretazioni geologiche “plutoniste” si rinforzano per un certo periodo, soprattutto negli anni successivi alla Rivoluzione francese. Dopo il 1789 infatti il “nettunismo”, riproposto negli ultimi anni del secolo da scienziati come Jean André de Luc e Richard Kirwan, si schiera contro tutte le idee geologiche contrarie alle Sacre Scritture e quindi considerate socialmente sovversive.
Lo studio dei fossili
All’inizio del Settecento l’idea dell’origine organica dei fossili è progressivamente adottata dalla maggior parte degli scienziati. Per i sostenitori della teoria della Terra woodwardiana, come Johann Jakob Scheuchzer, i fossili sono la prova del Diluvio universale, mentre per altri scienziati i “corpi marini” provano l’esistenza di un oceano primordiale (Moro, Buffon e altri) o di ripetute inondazioni marine (Vallisneri).
Nel corso della seconda metà del secolo, insieme alle descrizioni stratigrafiche, si moltiplicano gli studi descrittivi della fauna fossile di aree geograficamente delimitate. Progressivamente si riconosce che la distribuzione dei fossili sulla superficie terrestre non è casuale. Poiché gli strati diventano probabilmente l’oggetto di studio più importante delle scienze della Terra tardosettecentesche, anche i fossili in essi contenuti vengono osservati con una certa attenzione, comunque subordinata rispetto alla concentrazione su rocce e minerali. Se a fine secolo le teorie geologiche di Werner e di Hutton si dimostrano ancora prive di riferimenti alla documentazione paleontologica, in realtà già nelle precedenti classificazioni litostratigrafiche i fossili rappresentano un elemento di distinzione generale tra le montagne “primarie” (composte di rocce cristalline non fossilifere come il granito) e i monti “secondari” (composti di strati di rocce calcaree e cretacee, ricche di fossili).
La consapevolezza di una correlazione esistente tra fossili e strati rocciosi inizierà a svilupparsi solo nei primi anni dell’Ottocento, in particolare con gli studi di William Smith, secondo il quale gli strati sono identificabili e misurabili nelle loro età relative sulla base del tipo e della complessità dei fossili organizzati in essi contenuti. L’interessante lavoro di stratigrafia regionale fondata sullo studio dei fossili e dei loro rapporti con forme di vita analoghe esistente oggi nella stessa regione, pubblicato da Jean-Louis Giraud-Soulavie (1751-1813), l’Histoire naturelle de la France méridionale (7 voll., 1780-1784), non sembra aver suscitato l’interesse dei contemporanei.
Mineralogia
Gli studi sui minerali nel corso del Settecento sono spesso collegati all’opera di studiosi impegnati in ambito minerario. Negli Stati tedeschi, in Svezia e in Ungheria, dove esiste una forte tradizione mineraria, vengono istituite le prime cattedre di mineralogia e metallurgia nelle università e nelle accademie minerarie, fondate a partire dalla metà degli anni Sessanta. Non è un caso che i lavori d’insieme e i manuali più significativi, che influenzano la mineralogia settecentesca, siano opera di scienziati svedesi e tedeschi.
La necessità di classificazioni più ampie e rigorose dei minerali si sviluppa per le esigenze dello sfruttamento minerario, ma anche per collegarsi più adeguatamente con la ricerca geologica in continua espansione attraverso le numerose indagini sul campo.
Tra le classificazioni basate sulle proprietà chimiche dei minerali sono particolarmente significative quelle proposte da Johan Gottschalk Wallerius nel 1747 e Axel Fredrik Cronstedt nel 1758: entrambe sono tradotte in più lingue e ampiamente adottate in Europa. Nel suo primo scritto del 1774 (Von der äusserlichen Kennzeichen der Fossilien) Werner assegna invece uguale importanza allo studio della composizione chimica e delle caratteristiche esteriori dei minerali per una loro corretta classificazione.
Inoltre, come Torbern Bergman (nella Sciagraphia regni mineralis), Werner considera la storia e l’evoluzione dei minerali una fondamentale chiave interpretativa della natura.