La Fondazione Giorgio Cini e la «Storia di Venezia»
La Fondazione Giorgio Cini, nata cinquant’anni fa, trae origine da un duplice atto d’amore.
L’amore di un padre per il figlio tragicamente scomparso; ma nello stesso tempo quello di un cittadino per la sua città. Fu infatti il profondo sentimento che legava a Venezia il conte Vittorio Cini a suggerirgli l’idea di dar vita, per onorare la memoria del figlio, a un’istituzione da collocare nell’isola di S. Giorgio Maggiore e finalizzata alla promozione di studi e ricerche su Venezia e la sua civiltà.
Fin dai suoi esordi risultò chiaro che la nuova Fondazione avrebbe rispettato il mandato ricevuto, assumendo in proprio quel sentimento e quell’impegno del fondatore verso la città. La prima iniziativa, com’è noto, fu quella di riscattare l’isola dall’avvilente degrado a cui era stata abbandonata per secoli, ripristinando in breve tempo il mirabile complesso monumentale. Nella programmazione delle iniziative da avviare sul piano culturale e scientifico si avvertì subito l’esigenza di promuovere studi e ricerche sulla storia di Venezia. E così, su questo tema, tra il 1955 e il 1966 si tennero a S. Giorgio alcuni cicli di conferenze il cui materiale venne man mano pubblicato, per essere poi ripreso e nuovamente edito nel 1979, con qualche integrazione, nei tre volumi della Storia della civiltà veneziana.
È di qui che ha preso le mosse il grande progetto editoriale-storiografico messo in cantiere dalla Fondazione e che è stato definito in un accordo di collaborazione stipulato il 18 dicembre 1985 con l’Enciclopedia Italiana e la Regione Veneto.
Gli otto volumi sino a oggi usciti in attuazione di tale progetto (ai quali va accostata la pubblicazione di quelli sul Mare e sull’Arte veneziana) presentano la storia della città dagli albori alla fine della Serenissima. Vedono ora la luce i tre ultimi tomi programmati che illustrano le vicende successive al 1797, ossia quanto accaduto lungo l’Ottocento e il Novecento, sino alle soglie del nuovo Millennio.
Come risulta da questa narrazione, Venezia ha saputo dimostrare anche negli ultimi secoli, nonostante le ombre e le difficoltà che risultano evidenziate nelle stesse pagine, una singolare capacità di rinnovarsi, e quasi di rinascere, sotto lo stimolo delle mutevoli esigenze del tempo: in altre parole, una forza metabolica — evidentemente derivata da un’antica e lunga consuetudine della popolazione con i traffici mercantili e culturali — nella quale già Ortega y Gasset aveva ravvisato una connotazione peculiare della città.
Il mito della fenice sembra davvero ripetersi per Venezia. Se già in precedenza, grazie alla sua singolare «sapienza civile», essa aveva saputo prepararsi un primato nel campo culturale, dopo quello esercitato nell’ambito politico ed economico, un destino analogo si è profilato anche nei tempi più recenti. Sfasciatasi la classe dirigente consunta del maggior consiglio, svanita rapidamente quella effervescente dell’Illuminismo rivoluzionario, è venuta formandosi una borghesia illuminata e attiva. È questa borghesia che ha preso l’iniziativa nella Venezia ottocentesca già negli anni Quaranta (congresso delle scienze, piani urbanistici e ferrovie, rivoluzioni del ’48-’49), per poi imporsi con l’organizzazione della finanza, dei mulini, degli alberghi, della navigazione, della produzione elettrica; con la nuova urbanistica insulare del Lido, di S. Elena, di Sacca Fisola; con i primi progetti dei nuovi poli di sviluppo economico-industriale della Giudecca e di Marghera; con le geniali prospettive economiche di edilizia e di credito popolari di Luigi Luzzatti; e più tardi con il porto industriale e quindi con l’aeroporto internazionale. Così come, nello stesso periodo, la nuova Venezia si è espressa con il teatro borghese realista tutto goldoniano, con le insistenti riprese neo-palladiane nel nuovo e nel vecchio continente, con i diversi impressionismi, tutti colori ed evanescenze veneziane.
Nel Novecento può dirsi che a Venezia si è dischiusa una nuova vocazione: quella di capitale delle anime, con la spiritualità attiva e rasserenante dei suoi patriarchi (tre dei quali in un solo secolo — fatto unico nella storia — sono divenuti guide supreme della Chiesa e del popolo cristiano); con la dolcezza cantata della poesia di Valeri e il vigore morale trasfigurante di quella di Noventa; con la musica tormentata e rasserenante di Malipiero e poi di Maderna e di Nono. E, ancora, con la scultura e la pittura pure e tragiche di Viani e di Vedova; con le architetture sublimemente artigianali di Carlo Scarpa; con la promozione del cinema ad arte e le invenzioni umanissime di Olmi; con gli originali contributi di pensiero di giuristi come Carnelutti e Benvenuti, di scienziati come Rubbia, di letterati come Branca, di scrittori come Andrea Zanzotto e Daniele Del Giudice, di storici come Cozzi e Berengo.
Umanesimo singolare, quello di Venezia, perché di matrice non soltanto culturale e letteraria, ma civile e politica nel senso più alto del termine, come è dimostrato in questa Storia. Umanesimo che nella realtà odierna ripropone la sfida del David dello spirito contro il Golia dell’economia e della monetizzazione di tutto e di tutti.
Nonostante talune forme di aggressione della vita moderna, nonostante i disastri delle mareggiate e delle inondazioni del ’66, malgrado la fuga dalla città di imprese o statali o tradizionali, Venezia regge la sfida. Ai tanti fattori negativi e ai gravi — o gravissimi — motivi di preoccupazione per il suo futuro possono far fronte risorse e prospettive nuove: la fioritura di una classe culturale di qualità, apprezzata anche all’estero; le potenzialità inesauribili di un patrimonio artistico e ambientale unico al mondo; la presenza di due Università che hanno saputo acquisire un ruolo autorevole nel mondo dell’architettura e dell’economia; gli ormai storici punti d’incontro e di confronto internazionale per le arti e la cultura, rappresentati dalla rafforzata e ampliata Biennale e dalle molteplici Fondazioni, attive come poche altre in Italia.
Con questi ultimi volumi, anche se resta aperta la possibilità di ulteriori ricerche tematiche, la Storia di Venezia può dirsi conclusa (fermo restando che alla consultabilità dell’opera necessiterà un volume di indici). Risulta così rispettato l’impegno della Fondazione Cini, assunto nel 1985 dall’allora presidente Bruno Visentini.
«Si monumentum requiris circumspice»: perentoria e splendida nella sua sobrietà l’epigrafe dedicata alla memoria di Vittorio Cini nel chiostro cinquecentesco. Ci piace richiamarla, per quanto impropriamente, nel momento in cui presentiamo questa Storia monumentale che auspichiamo possa incorporarsi nel patrimonio della città: se cerchi un monumento dedicato a Venezia, lo puoi trovare nella sua storia.
Scritta a molte mani, l’opera è frutto della convergenza di molteplici competenze e dell’applicazione di diversi metodi. Possiamo dire che si è trattato di una grande operazione di ricerca collettiva e interdisciplinare che sul tema di Venezia e della sua civiltà ha mobilitato una pluralità di risorse ed è riuscita — ci pare di poter dire — nell’intento di collocare in un’armonica architettura d’insieme i singoli contributi di studiosi di differente formazione, nazionalità ed età.
A conclusione dell’opera dobbiamo un vivo ringraziamento alla Regione Veneto che ha contribuito al suo finanziamento e all’Istituto della Enciclopedia Italiana che ne ha curato l’edizione (e particolarmente a Vincenzo Cappelletti, già suo vicepresidente scientifico, collaboratore impareggiabile nella direzione dell’opera). Più che un ringraziamento — che in questo caso sarebbe improprio e insufficiente — è doveroso e commosso il ricordo di Gaetano Cozzi, scomparso l’anno scorso, proprio alla vigilia del completamento dell’opera. Senza di lui, rinnovatore geniale e operoso della storiografia veneziana, questa Storia non avrebbe potuto vedere la luce.