Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso del XX secolo le scienze fisiche hanno compiuto notevoli progressi ricchi di applicazioni che hanno inciso profondamente sulla visione che l’uomo ha del mondo, nonché sulle tecnologie da cui dipende il suo stesso stile di vita. Nello studio della natura i fisici hanno indagato, spesso inaugurandoli, i campi più diversi, che spaziano dalle particelle ultime costitutive della materia alla descrizione della struttura dell’universo, dalle proprietà della materia condensata allo sfruttamento dell’energia nucleare. È evidente quanto sia arduo ricapitolare in una rassegna di poche pagine questi risultati, ma d’altra parte è proprio per la loro importanza che una panoramica – per quanto inevitabilmente sommaria – riveste sicuro interesse.
Preludio al nuovo secolo
La periodizzazione scandita dal succedersi dei secoli, pur nella sua arbitrarietà, riflette nel caso della fisica profondi cambiamenti riscontrabili a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Sul finire dell’Ottocento, infatti, vasti settori considerati in precedenza ben distinti hanno trovato efficace sintesi in particolare nella teoria elettromagnetica della luce, che unifica fenomeni di ottica ed elettrodinamica, e nella teoria cinetica e statistica dei gas. Il successo ottenuto dalla fisica (come dalla chimica) negli anni intorno al 1900 non deve però indurre a credere che la scienza di fine Ottocento sia immune da tormenti interni: gran parte dei suoi cultori auspica la riduzione di tutti i fenomeni fisici ai principi della meccanica, altri sostengono la necessità di superare il materialismo scientifico sostituendo al concetto di materia quello di energia, altri ancora contrappongono al riduzionismo meccanicistico la proposta di ridurre la meccanica all’elettromagnetismo. Alcuni fondamentali risultati sperimentali però trasformeranno rapidamente il panorama scientifico di riferimento.
Nel 1895 Wilhelm Conrand Röntgen osserva che dalla zona di fluorescenza del tubo a raggi catodici si propagano altri raggi, detti “X”, che penetrano attraverso oggetti opachi alla luce e non appaiono classificabili né come materia né come radiazione: essi non sono curvati da campi elettrici o magnetici, ma non risultano nemmeno soggetti a riflessione o rifrazione; trascorreranno quasi due decenni prima che, grazie a Max von Laue, William Henry Bragg (1862-1942) e suo figlio William Lawrence, si dimostri la natura ondulatoria dei raggi X. Nel 1897 Joseph John Thomson assume che i raggi catodici siano costituiti di “corpuscoli” che trasportano la stessa unità di carica degli ioni elettrolitici e deduce che siano circa mille volte più leggeri degli ioni di idrogeno. Agli elettroni – che però Thomson continuerà a chiamare corpuscoli – sono attribuiti i ruoli fondamentali di componenti della struttura atomica e responsabili dell’interazione tra radiazione e materia.
Le ricerche sugli elettroni si intrecciano con quelle sulla radioattività. Nel 1896 Henri Becquerel scopre che i sali di uranio impressionano lastre fotografiche. Un apporto decisivo proviene da Maria Sklodowska e il marito Pierre Curie (1859-1906), che con totale abnegazione si dedicano allo studio degli elementi radioattivi, scoprendo il polonio e il radio. I raggi emessi dalle sostanze radioattive sono di diversi tipi: Ernest Rutherford dimostra che ve ne sono di meno penetranti, denominati alfa, e di più penetranti, detti beta. Questi ultimi sono deviati facilmente da campi magnetici, hanno carica negativa e il rapporto tra la loro carica e la massa coincide con quello dei corpuscoli di Thomson; si stabilisce perciò che i raggi beta consistano in un flusso di elettroni. Meno immediato sarà identificare i raggi alfa con nuclei di elio. Paul Villard (1860-1934) scopre infine nei raggi provenienti dal radio una componente gamma, che consiste in una nuova forma di radiazione elettromagnetica, simile ai raggi X.
Un nuovo mondo
Il dibattito che si è sviluppato intorno al riduzionismo meccanicistico si trasferisce, in seguito alla scoperta dei raggi catodici, dei raggi X e della radioattività, alle nuove particelle che si ritiene compongano gli atomi. A sua volta, l’immagine elettromagnetica del mondo, secondo cui tutte le leggi della fisica vanno ricondotte a quelle dell’elettromagnetismo, è offuscata rapidamente dalla sua stessa complessità intrinseca, dal successo della teoria della relatività e dall’interesse per la teoria quantistica. La scienza del XX secolo diviene dunque essenzialmente corpuscolare.
Nel 1900, Max Planck introduce il concetto di quantum, la minima quantità di energia che la materia può scambiare con radiazione elettromagnetica di data frequenza. Nel 1905 Albert Einstein supera l’idea di Planck: egli stabilisce che a essere quantizzato è lo stesso campo elettromagnetico, piuttosto che i soli meccanismi che presiedono allo scambio di energia, e perviene così alla spiegazione dell’effetto fotoelettrico. La teoria dei quanti inoltre, nelle mani di Niels Bohr, alcuni anni più tardi assicura un contributo risolutivo a favore del modello nucleare di atomo, in cui agli elettroni sono associate, in contrasto con le leggi della fisica classica, orbite “stazionarie”.
Il 1905 è ricordato dagli storici come l’anno in cui Einstein, oltre ai risultati sull’effetto fotoelettrico che gli varranno il premio Nobel nel 1921, pubblica i lavori sul moto browniano e sulla relatività ristretta. La sua spiegazione del comportamento di particelle colloidali in sospensione osservato nel 1827 dal botanico Robert Brown è sottoposta ad attenta verifica sperimentale da Jean-Baptiste Perrin, che per questo otterrà il Nobel nel 1926. Più complesso è il contesto in cui lo scienziato di Ulm elabora la teoria della relatività. La teoria ondulatoria in voga nell’Ottocento prevede che la luce si propaghi attraverso l’etere, del quale tuttavia non si riesce a mettere sperimentalmente in evidenza l’esistenza. Nel 1892 Hendrik Antoon Lorentz perviene a nuove trasformazioni di coordinate, che per i fenomeni elettromagnetici sostituiscono quelle di Galileo, e nel 1895 introduce, come ipotesi puramente matematica, quella di un “tempo locale” per i sistemi in moto. L’immagine elettromagnetica del mondo, di cui Lorentz è sostenitore, prevede che la massa dell’elettrone debba originarsi dai campi elettrici e magnetici da esso stesso generati e dipendere dalla velocità stessa dell’elettrone, come è in effetti verificato sperimentalmente nel 1901 da Walter Kaufmann. La teoria di Lorentz non contempla l’esistenza dei quanti di luce, mentre la scelta di un determinato sistema di riferimento introduce asimmetrie nella descrizione classica di fenomeni quali l’induzione elettromagnetica. Da qui prende le mosse Einstein per generalizzare il principio galileiano di moto relativo: egli ne estende la validità tanto all’elettromagnetismo quanto alla meccanica, rinunciando a ridurre l’una delle discipline all’altra.
Gravitazione
Nel 1907, l’equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale offre a Einstein lo spunto per valutare se il principio di relatività sia valido anche per sistemi accelerati. Egli evidenzia l’esistenza di un conflitto tra l’azione istantanea, intrinseca alla legge di gravitazione universale, e il vincolo per cui non vi è nulla che possa viaggiare più velocemente della luce. Con l’aiuto dell’amico matematico Marcel Grossmann e servendosi dei risultati di geometria differenziale ottenuti da Gregorio Ricci-Curbastro e Tullio Levi-Civita , nel 1916 giunge alla formulazione completa della teoria della relatività generale, in cui la gravità non è più trattata come forza che si esercita tra corpi, ma come una proprietà dello spazio: così come la nozione di tempo è stata estesa oltre quella newtoniana dalla relatività ristretta, allo stesso modo la relatività generale amplia il concetto di spazio inteso come scenario fisso in cui avvengono gli eventi.
Einstein calcola in prima approssimazione le tre “verifiche cruciali” della teoria, riguardanti la precessione dell’orbita di Mercurio, la deflessione della luce nel passare vicino a un corpo dotato di massa e lo spostamento verso il rosso degli spettri stellari. Per quanto concerne Mercurio, i calcoli colmano in buona misura la leggera discrepanza tra i dati sperimentali e le previsioni della meccanica classica; il valore della deflessione per effetto del campo gravitazionale del Sole ricavato da Einstein è esattamente il doppio di quello calcolato oltre un secolo prima da Henry Cavendish e, indipendentemente, da Johann Georg von Soldner nell’abito della teoria corpuscolare della luce e trova riscontro sperimentale nei risultati di Arthur Eddington; lo spostamento verso il rosso è effettivamente evidenziato nelle linee spettrali delle stelle. Questi due ultimi dati osservativi, tuttavia, non sono particolarmente accurati per i livelli di riferimento dell’epoca e il successo della relatività generale è decretato inizialmente più dalla coerenza logica interna che non dalle conferme sperimentali. La teoria di Einstein ha implicazioni di notevole portata per gli astronomi, che nell’ambito della cosmologia relativistica iniziano a elaborare alternativi modelli di universo, statici oppure dinamici.
La meccanica quantistica
I limiti di applicabilità dei concetti e degli strumenti della fisica classica emergono con vigore nella descrizione dei fenomeni microscopici. Inizialmente, atomi e molecole sono descritti nel quadro di una teoria ibrida che, senza rinunciare alle leggi classiche, vi impone alcune restrizioni ad hoc, formalizzate come “regole di quantizzazione di Bohr-Sommerfeld”. Intorno a metà degli anni Venti, la cosiddetta vecchia teoria dei quanti cede rapidamente il posto alla meccanica quantistica vera e propria, una teoria unitaria che sviluppa organicamente l’intuizione di Louis de Broglie per cui le particelle materiali esibiscono – in modo “speculare” rispetto alle proprietà corpuscolari assegnate alla radiazione elettromagnetica – proprietà ondulatorie. Espressioni come “funzione d’onda”, “interferenza”, “fase” divengono familiari per la fisica delle particelle.
A contribuire alla nuova meccanica sono fisici della statura di Erwin Schrödinger, Werner Heisenberg, Wolfgang Pauli, Paul Dirac, Max Born; grazie a Enrico Fermi, Satyendra Bose e allo stesso Einstein (che in seguito avverserà l’indirizzo assunto dalla meccanica quantistica) è chiarito il comportamento statistico di aggregati di molte particelle.
Attorno alla rappresentazione ondulatoria sorgono profondi dibattiti, che si risolvono con l’assegnazione di un significato probabilistico alla funzione d’onda e con la definitiva rinuncia al determinismo classico, elevata da Heisenberg a vero e proprio principio della filosofia naturale, appunto il principio di indeterminazione.
La formulazione di una teoria organica è in stretta relazione con valutazioni di natura filosofica, che risultano allo stesso tempo fonte di ispirazione e ambito di applicazione dei risultati della meccanica quantistica. A differenza della relatività, che riscuote vasto interesse tra filosofi e uomini di cultura, le implicazioni della meccanica quantistica sono discusse primariamente dagli stessi fisici, che spesso agiscono, talvolta in modo anche esplicito, da filosofi. L’aspetto che più condiziona il dibattito interno è la natura probabilistica della teoria, che implica la rinuncia al determinismo classico. Bohr, il principale ispiratore del dibattito filosofico sorto in seno alla comunità dei fisici intorno a questi temi, sostiene che l’osservazione non può essere condotta senza disturbare il sistema fisico: ciò rappresenta una delle implicazioni del principio di complementarità, principio che pur non discendendo direttamente dalle equazioni della meccanica quantistica né portando a previsioni quantitative è il cardine della cosiddetta interpretazione di Copenaghen (dal suo principale centro di influenza, che altro non è che la sede universitaria in cui opera Bohr).
A differenza di Einstein, che si rifiuta di speculare sulla rilevanza e sulle analogie della meccanica relativistica e quantistica in ambiti umanistici o sociali, Bohr ritiene che l’interpretazione della meccanica quantistica possa trovare applicazione anche, per esempio, in filosofia, psicologia, religione, biologia, antropologia. Al di là di questa diversa prospettiva, i due fisici rimangono coinvolti in un acceso dibattito sull’interpretazione più intima della meccanica quantistica, ma la loro disputa, pur prolungandosi per diversi anni, non porta ad alcun particolare chiarimento.
Tra le due guerre
Nel periodo compreso tra le due guerre mondiali si afferma la fisica delle basse temperature, disciplina le cui origini si possono far risalire al 1825, quando Michael Faraday riesce a liquefare molti dei gas allora noti; nel 1908 Heike Kamerling Onnes ottiene l’elio liquido, grazie al quale potrà osservare nel 1911 la superconduttività nel mercurio. Negli anni Trenta sono messe in luce importanti proprietà di superfluidità dell’elio e il fiorire di laboratori dedicati alla criogenia permette di scoprire numerosi superconduttori, di studiare i calori specifici e di indagare fenomeni quali le transizioni di fase e l’effetto Meissner.
Anche la fisica dello stato solido, passata quasi inosservata al cospetto delle ricerche di fisica fondamentale volte a comprendere le proprietà degli atomi, inizia in questi anni a essere considerata disciplina autonoma. I suoi fondamenti teorici risalgono agli anni Venti: tra le prime applicazioni della meccanica quantistica troviamo infatti lo studio della conduzione elettrica nei metalli e la teoria del paramagnetismo.
Gli anni Trenta vedono peraltro un tumultuoso sviluppo della fisica dei nuclei e delle particelle. Il neutrone, la cui esistenza è congetturata sin dalla scoperta del protone nel 1919, viene finalmente osservato nel 1932; nello stesso anno è scoperto l’antielettrone, che trova immediata collocazione nella teoria di Dirac che, coniugando la meccanica quantistica con le equazioni della relatività ristretta, ha portato a prevedere l’esistenza dell’antimateria. Le proprietà dei nuclei, a partire dalle forze che vi tengono legati neutroni e protoni, sono chiarite grazie soprattutto ai lavori pionieristici di Heisenberg, Ettore Majorana ed Eugene Wigner. Di cruciale importanza è la teoria del decadimento beta pubblicata da Fermi, che accoglie l’ipotesi del neutrino di Pauli e, introducendo un nuovo tipo di interazioni dette deboli, supera difficoltà interpretative tali che avevano indotto Bohr a mettere in discussione uno dei principi cardine della fisica, quello della conservazione dell’energia.
Di non minore importanza sono i risultati sperimentali. Nel 1934 Irène Curie, figlia di Marie e Pierre, insieme al marito Frédéric Joliot (1900-1958) annuncia di aver ottenuto in laboratorio la radioattività artificiale; alcuni mesi più tardi Fermi scopre un metodo molto efficiente di indurre la radioattività, che consiste nell’irradiare i vari elementi mediante neutroni precedentemente rallentati. È soltanto a cavallo tra il 1938 e il 1939, però, che si comprende che i neutroni sono in grado di provocare la rottura del nucleo di uranio: la strada verso l’utilizzazione dell’energia del nucleo è segnata.
La perdita dell’innocenza
Con una celebre lettera Einstein, consigliato da Leo Szilard, nell’estate del 1939 mette il presidente Franklin Delano Roosevelt al corrente delle potenzialità dell’uranio come fonte di energia e delle sue possibili applicazioni belliche. Gli Stati Uniti d’America costituiscono un rifugio per gli scienziati in fuga dalle dittature nazifasciste e molti di costoro accettano di collaborare attivamente ai piani nucleari del governo. Il 2 dicembre 1942 entra in funzione a Chicago la prima “pila” atomica costruita dall’uomo, in grado di estrarre in modo controllato energia dai nuclei di uranio; il 16 luglio 1945 è sperimentato il primo ordigno nucleare, nel deserto del New Mexico. Coloro che hanno contribuito alla costruzione della bomba sono divisi tra chi è a favore dell’uso bellico diretto e chi preferirebbe limitarsi a far assistere osservatori internazionali a una esplosione dimostrativa; ma ormai gli eventi seguono un corso inesorabile: il 5 agosto è bombardata Hiroshima, il 9 Nagasaki e il 14 agosto il Giappone accetta la resa incondizionata.
Se durante la Grande Guerra i fisici hanno dato il loro apporto nell’artiglieria di precisione, nelle telecomunicazioni, nell’aviazione, nella costruzione di sottomarini e sonar, nel corso della seconda guerra mondiale contribuiscono in modo decisivo, oltre che allo sfruttamento dell’energia nucleare, alle tecnologie radar e alla missilistica. Il carattere mondiale del conflitto da una parte ostacola gli scambi scientifici internazionali, dall’altra assicura agli scienziati vasti sostegni governativi; anche a guerra conclusa, i fisici che hanno accantonato i loro impegni per contribuire ai progetti bellici sollecitano sostanziosi finanziamenti per le loro ricerche.
Dal dopoguerra a oggi
Nel dopoguerra, favorita dalla vastità delle applicazioni tecnologiche, la fisica dello stato solido, che insieme ad altri settori sarà raggruppata sotto il nome di “fisica della materia condensata”, si afferma con vigore. Per quanto riguarda la cosmologia, i modelli statici sono ormai stati abbandonati in favore di un universo in espansione, ma si discute se quest’ultima sia accompagnata da continua creazione di materia, come previsto dai modelli cosiddetti di stato stazionario, oppure proceda da un unico evento iniziale, per il quale Fred Hoyle nel 1950 conia (con accezione negativa, essendo sostenitore della soluzione stazionaria) l’espressione big bang. Si alimenta un dibattito di natura in buona parte filosofica, che arriva persino a coinvolgere argomenti di carattere politico e religioso. Per molti astronomi la definitiva rinuncia alla teoria dello stato stazionario giungerà nel 1965 con la scoperta della radiazione cosmica di fondo, interpretata come traccia “fossile” del big bang.
A partire dagli anni Cinquanta prospera anche il settore degli acceleratori, che permette di indagare le particelle già osservate nei raggi cosmici. Per alcuni decenni, in effetti, la fisica dei raggi cosmici si è identificata con la fisica delle particelle elementari e ha rappresentato l’unica fonte di informazione sulla costituzione intima della materia. Ora, grazie agli acceleratori, si arriva a produrre una pletora di nuove particelle, che superano in pochi anni il numero di cento e rendono impellente l’esigenza di una adeguata sintesi teorica, raggiunta grazie al cosiddetto modello standard: si tratta di una teoria coerente delle particelle elementari e delle loro interazioni, che comprende una teoria unificata delle interazioni elettromagnetiche e deboli e la cromodinamica quantistica. Quest’ultima descrive l’interazione tra i quark che compongono particelle come protoni, neutroni e muoni: così come le proprietà degli atomi derivano da quelle di elettroni e nuclei, il comportamento dei nuclei dipende dai quark e dalle loro interazioni.
Nell’ambito del modello standard, tuttavia, manca ancora un tassello fondamentale: la conferma sperimentale dell’esistenza del bosone di Higgs, in assenza del quale le altre particelle non potrebbero avere massa (uno scenario chiaramente insoddisfacente). Oltre a quella relativa al bosone di Higgs, una questione lasciata in eredità dalla fisica del Novecento riguarda l’interrogativo se la lista delle particelle a noi note sia sostanzialmente completa, oppure se a piccole scale ne esistano di non ancora osservate. Su scale ancora più piccole, i fisici aspirano a una teoria completa delle particelle, che tenga conto anche della gravità.