La filosofia
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nelle regioni della Ionia che hanno conosciuto il fiorire della poesia epica nasce con Talete, alla fine del VII secolo a.C., la riflessione sull’uomo e sulla natura. Nel secolo seguente, con Senofane e Parmenide il centro delle speculazioni filosofiche (sempre espresse in forma poetica) si sposta in Magna Grecia.
I primi pensatori greci che decidono di mettere per iscritto i risultati delle loro speculazioni filosofiche, i cosiddetti “presocratici”, hanno a disposizione due strumenti espressivi: la prosa e la poesia. Se il primo dei tre “fisiologi” (studiosi della natura) originari di Mileto, Talete, non scrive niente e sceglie di esporre oralmente le sue dottrine, gli altri due, Anassimandro e Anassimene, si servono della prosa. Dal punto di vista della struttura formale, la prosa appare non soggetta alle regole metriche, ma per quel che riguarda il linguaggio le differenze sono meno nette – ed è per questo che Teofrasto afferma che Anassimandro esprime le sue riflessioni utilizzando termini alquanto poetici (poietikoterois … onomasin). Si tratta comunque una scelta motivata: dietro alla decisione di non comporre versi c’è la volontà di distinguersi in modo netto dai tradizionali maestri di sapienza, i poeti epici come Omero ed Esiodo.
Senofane, nato a Colofone intorno al 570 a.C., fa una scelta diversa: pur essendo contrario alle posizioni espresse nei poemi omerici ed esiodei, preferisce utilizzare il medesimo strumento espressivo degli autori che critica. Oltre che elegie, Senofane compone i Silli, una raccolta di componimenti a carattere satirico in cui gli esametri sono intercalati ai giambi, e un poema in esametri intitolato Peri physeos (Sulla natura). Dai frammenti provenienti da queste opere conosciamo le posizioni filosofiche e teologiche di Senofane: egli accusa Omero ed Esiodo di aver attribuito agli dei i comportamenti più vergognosi come rubare, commettere adulterio e ingannarsi a vicenda; sostiene che se gli animali avessero le mani per disegnare raffigurerebbero gli dei a loro immagine e somiglianza e che per questo motivo gli Etiopi adorano divinità con la pelle nera e il naso camuso; afferma che esiste un dio unico, l’essere più grande tra gli dei e gli uomini, diverso dai mortali nella figura e nel pensiero, un dio immobile che rimane sempre nello stesso posto, che non viene mai mosso e non si muta mai in nessun’altra cosa.
Quando la sua città viene conquistata dai Persiani, Senofane si sposta a Elea, in Magna Grecia. Qui conosce il giovane Parmenide, che, secondo la tradizione, diviene suo discepolo. Anche Parmenide scrive un poema Peri physeos, forse per seguire il suo maestro, o per rivolgersi a un pubblico più ampio rispetto a quello dei “fisiologi” prosatori, o per rivendicare al suo pensiero originale la stessa autorità di cui godevano Omero ed Esiodo, o, più probabilmente, per tutte queste ragioni insieme. Del poema ci restano un centinaio di versi. Degno di nota è il proemio, tramandato da Sesto Empirico, nel quale Parmenide descrive il suo viaggio verso il regno della Verità su un carro trainato da cavalle sapienti, accompagnato dalle giovani figlie del Sole; superata la porta che divide la notte dal giorno grazie all’aiuto di Dike, la severa dea della giustizia, viene accolto da un’altra divinità femminile che lo introduce nel mondo della verità, illustrandogli la natura dell’essere (uno e unico, non nato e non destinato a morire, indivisibile, immobile, uniforme, immutabile) e svelandogli le false opinioni dei mortali.
Il terzo pensatore che scrive un poema “sulla natura” è Empedocle, vissuto nella generazione successiva. Nato ad Agrigento intorno al 490 a.C., profondo conoscitore sia delle dottrine non scritte degli orfici e dei pitagorici che del poema parmenideo, è un personaggio poliedrico, sapiente e mago, medico e taumaturgo, una figura a metà strada tra scienza e religione, come dimostrano le leggende fiorite dopo la sua scomparsa (si dice che sia morto precipitando in un cratere dell’Etna). Nel poema, Empedocle racconta la nascita del mondo a partire dai quattro elementi costitutivi (terra, aria, fuoco, acqua) mescolati in continuazione dalle forze contrapposte di neîkos (odio) e philia (amore), con uno stile diverso da quello rigoroso e piano di Parmenide; le continue tensioni drammatiche che riscattano l’impianto dottrinale attraverso una serie di vivide immagini fantastiche sono lodate qualche secolo dopo da Lucrezio. Empedocle scrive anche un altro poema, le Purificazioni, che racconta la storia dell’anima secondo le teorie orfico-pitagoriche della metempsicosi.