La filosofia ellenistica
L’innovazione attestata in ambito letterario è rispecchiata, nel contesto filosofico, dalla nascita di una serie di scuole che hanno una grande influenza nello sviluppo del pensiero successivo: basti pensare all’epicureismo e allo stoicismo, che godranno di notevole peso anche a Roma. Negli ultimi secoli dell’Impero riprende vigore il pensiero di Platone, che all’interno della scuola neoplatonica viene incontro al crescente bisogno di misticismo caratteristico dell’epoca.
Le scuole filosofiche fondate da Platone e Aristotele continuano a prosperare per molto tempo anche dopo l’età di Alessandro (la chiusura della scuola platonica di Atene, in particolare, ha luogo solo nel 529 sotto Giustiniano), affiancate però da tutta una serie di nuove tendenze. Spesso al centro dell’indagine viene posta l’etica, anche se non vengono trascurati neppure gli altri campi della trattazione filosofica.
Questo vale in particolare per lo stoicismo, il cui fondatore è Zenone di Cizio, di origine fenicia, che poco prima del 300 a.C. inizia ad insegnare presso il Portico dipinto (Stoà poikile) ad Atene. Delle sue molte opere rimangono solo alcuni frammenti, raccolti nel monumentale Stoicorum veterum fragmenta del Von Arnim. Il suo successore, Cleante di Asso, è caratterizzato da una profonda religiosità e arriva a concepire una vera e propria teologia stoica, testimoniata dall’Inno a Zeus in 39 esametri, dove il dio supremo è celebrato in uno stile molto elevato con concetti che, com’è stato notato, sono rispecchiati anche in Arato. Solo frammenti rimangono poi della sterminata produzione del successivo scolarca, Crisippo di Soli, peraltro biasimato già nell’antichità per lo stile sciatto e prolisso. Lo stoicismo è adottato dalle élite romane soprattutto per merito di Panezio di Rodi, la cui opera è andata perduta, ma che costituisce una fonte fondamentale per i primi due libri del De officiis di Cicerone. Risulta molto influente anche il suo allievo Posidonio di Apamea, dotato di molteplici interessi, ben inserito nel ceto dirigente romano e fondatore di una scuola di filosofia a Rodi, frequentata da Cicerone e visitata da Pompeo.
Quasi completamente naufragata risulta purtroppo l’ampia produzione di Epicuro, il fondatore della scuola epicurea che, al pari dello stoicismo, gode di grande fortuna a Roma. Nato a Samo da genitori ateniesi, inizialmente studia filosofia presso un maestro di tendenze platoniche e successivamente si perfeziona presso Nausifane, seguace di Democrito. Dopo aver insegnato a Mitilene e Lampsaco, si trasferisce definitivamente ad Atene nel 306 a.C., dove fonda una scuola che sarebbe rimasta nota come il Giardino, dal luogo (significativamente situato a metà strada tra la Stoà e l’Accademia) in cui si riunisce con i suoi discepoli. Di fronte al naufragio dei suoi scritti (solo parzialmente colmato da alcuni ritrovamenti tra i papiri di Ercolano) risalta l’importanza fondamentale che ha il De rerum natura di Lucrezio per recuperare la dottrina epicurea.
Pirrone di Elide, fondatore dello scetticismo, diffonde invece le sue idee corrosive per via esclusivamente orale; si incarica di metterle in forma scritta il suo discepolo Timone di Fliunte. La dottrina scettica, tuttavia, è nota soprattutto grazie all’opera di un tardo esponente, il medico Sesto Empirico, vissuto nel II secolo, di cui sopravvivono gli Schizzi pirroniani e il trattato Contro i matematici, dove si dedica alla confutazione dei sillogismi e di tutti i ragionamenti dogmatici: il sapiente deve “sospendere il giudizio” ed essere sempre pronto alla ricerca.
La figura più nota della scuola cinica (il cui nome deriva dal termine “cane”, visto come esempio di vita semplice, naturale e lontana da artificiosità e ipocrisia) è senz’altro Diogene di Sinope. Attivo ad Atene e soprattutto a Corinto, raccoglie intorno a sé una ricca messe di aneddoti: notissima la sua dimora all’interno di una botte e l’atteggiamento irriverente specie nei confronti dei potenti, come Alessandro Magno che si reca a conoscerlo; scrive varie opere, tra cui tragedie, andate però completamente perdute. Più tardi i cinici si specializzano nella composizione di diatribe, vivaci trattatelli dove problemi di varia natura, spesso etica, sono esposti mettendo causticamente alla berlina le convenzioni sociali. Tra gli esponenti del genere occorre citare Bione di Boristene, e soprattutto Menippo di Gadara, la cui produzione, caratterizzata da una sfrenata fantasia e dalla forma prosimetrica (prosa frammista a versi) ha grande influenza nella letteratura latina.
La fonte principale per tanti dati biografici tradizionali sui filosofi dell’antichità, ma anche per molte delle canoniche divisioni in “scuole”, è costituita dalla Raccolta delle vite e delle dottrine dei filosofi di Diogene Laerzio, databile tra la fine del II e l’inizio del III secolo. Nei suoi dieci libri l’autore cerca di fornire, più che un manuale di filosofia, una raccolta di biografie, illuminate da aneddoti e integrate da liste di opere e motti a carattere dossografico; particolare importanza è riconosciuta a Platone ed Epicuro, trattati ciascuno in un singolo libro.
Molto più “militanti” si rivelano, alla fine dell’antichità, le Vite dei sofisti di Eunapio di Sardi, che si occupano dei filosofi neoplatonici: l’autore, di chiare tendenze pagane, non esita ad attribuire virtù soprannaturali e veri e propri miracoli ai suoi personaggi, probabilmente con l’intento di contrapporli agli eroi della contemporanea letteratura agiografica cristiana.
Fino a tutto il II secolo lo stoicismo, ormai dedito quasi esclusivamente all’etica, rimane diffusissimo nell’impero, abbracciato, come spesso si ricorda, tanto dagli schiavi quanto dagli stessi sovrani.
Alla prima delle due categorie appartiene Epitteto, che per un periodo della sua vita è schiavo di un liberto di Nerone. Riesce comunque a seguire lezioni di filosofia stoica e, una volta affrancato, apre una propria scuola a Nicopoli in Epiro. Lì è suo discepolo Arriano che, nel suo desiderio di uguagliare Senofonte, pensa bene di imitarne anche le opere socratiche, registrando le conversazioni del proprio maestro: nascono così le Diatribe e il loro sunto, il Manuale, dai quali emerge il tema della libertà interiore, elemento fondante nel pensiero di Epitteto.
All’opposta estremità della scala sociale si colloca la figura dell’imperatore Marco Aurelio, che è autore dell’A se stesso (tradotto in italiano anche come Pensieri o Ricordi), sorta di diario interiore in otto libri, suggestivo frutto delle riflessioni del sovrano nei rari momenti di quiete durante le continue campagne militari. Queste considerazioni penetranti e malinconiche, nelle quali la meditazione sulla morte e la transitorietà della condizione umana accompagna un sentimento di filantropia e devozione alla divinità, sono veicolate in un greco disadorno e scabro, una koiné ellittica e spesso ostica, che tuttavia riesce ad esprimere al massimo grado la tensione e la profondità della visione di Marco Aurelio.
Marco Aurelio
A se stesso, VII 1, 3
Ricordi
[…] puoi star sicuro, in su e in giù sempre troverai le medesime cose, quelle di cui sono piene le istorie d’antichi tempi, di tempi meno remoti, di tempi nostri più vicini; quelle di cui ai nostri giorni sono piene città e case. Nulla di nuovo: ogni cosa, sempre quella; e insieme ogni cosa rapidamente trapassa.
Vano desiderio di lustro e di pompa, drammi sulla scena; greggi, armenti, scaramucce; un po’ di ossi buttati al cagnolino, un bocconcino nei viali dei pesci; affanni e fatiche di formiche, scorribande di piccoli topi terrorizzati, fantocci di cui si muovono i fili: conviene assistere a questo tranquillamente senz’aggrottare eccessivamente le sopracciglia.
In ogni modo ti sia chiaro il pensiero che il valore di ciascuno è in rapporto molto stretto col valore delle cose alle quali ha dato importanza.
Marco Aurelio Antonino, Ricordi, trad. it. di E. Turolla, Milano, BUR, 1989
L’uso di una koiné priva di ogni ricercatezza e la mancanza di ogni orpello retorico si rilevano anche negli scritti del massimo pensatore della tarda antichità, Plotino, considerato il fondatore del neoplatonismo. Nato a Licopoli in Egitto, frequenta le scuole filosofiche di Alessandria e, interessato a conoscere la sapienza orientale, prende parte alla sfortunata spedizione persiana dell’imperatore Gordiano III. Più tardi si trasferisce a Roma, dove il suo insegnamento incontra il favore dell’imperatore Gallieno. La filosofia di Plotino è esposta in 54 trattati raccolti in sei Enneadi (“gruppi di nove”) dal suo discepolo Porfirio di Tiro, che scrive anche la biografia del maestro. La notevole produzione letteraria porfiriana, parzialmente sopravvissuta, testimonia tra l’altro un crescente interesse per le speculazioni religiose; un nuovo atteggiamento verso i sacrifici è testimoniato, inoltre, dal trattato Sull’astinenza, che predica l’astensione dal consumo di carne e dunque dai riti cruenti, secondo una pratica già attribuita alla figura di Pitagora, del quale Porfirio scrive una biografia. Pitagora è al centro degli interessi anche del siriano Giamblico di Calcide, a quanto si diceva discendente dai re-sacerdoti di Emesa, che apre definitivamente la porta a pratiche magiche e teurgiche di origine orientale; egli stesso, agli occhi dei suoi discepoli, costituiva una figura semidivina alla quale si attribuivano episodi di levitazione, trasfigurazioni e capacità sovrannaturali. L’ultimo esponente di rilievo del neoplatonismo è Proclo, a capo della scuola di Atene, autore (come peraltro molti dei suoi predecessori) di ampi commentari ad opere platoniche, ma anche alle Opere e i giorni di Esiodo, nonché di sette inni rivolti a varie divinità, verso le quali rimane sempre molto devoto. Secondo un aneddoto riportato dal suo discepolo Marino di Neapolis oggi Nablus, in Palestina, quando i cristiani rimuovono la statua di Atena dal Partenone, a Proclo appare in sogno una bellissima donna, la quale gli annuncia di preparare velocemente la sua casa, “perché la signora di Atene si sarebbe trasferita da lui”.