La figura di Costantino il Grande negli storici bizantini fra VII e XV secolo
La storiografia bizantina, invero, non colloca al centro delle proprie considerazioni Costantino. Essa si serve della figura di questo imperatore più per stabilire un confronto con gli imperatori del tempo presente che per un interesse vero e proprio nei confronti di un passato avvertito come ormai remoto. La stessa questione delle relazioni fra Impero e Chiesa non è affrontata riferendosi a Costantino quale modello di imperatore pio (εὐσεβής) e vittorioso (νικητής). E tuttavia l’ampiezza dell’arco cronologico qui considerato suggerisce di limitare l’indagine soltanto a quei passi, numerosi del resto, in cui la storiografia bizantina fa espressa menzione del sovrano.
Costantino costituisce un riferimento obbligato per le cosiddette ‘cronache bizantine’. Le opere proprie di questo genere letterario attestano una concezione cristiana della storia quale continuum che tende alla parusia o seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi. In genere esse si presentano, già nella loro stessa narrazione, come cronache universali, sia che diano avvio al proprio racconto con gli eventi connessi con la Creazione, sia che intendano espressamente costituire il prosieguo di altre cronache, per arrivare a riferire eventi contemporanei. La prospettiva muta, invece, negli scritti storiografici bizantini che si propongono di affrontare un solo periodo o taluni eventi storici circoscritti (distinzione delineata da Eustazio di Tessalonica, Ad Iliadem 1,791,27). In questo caso, il riferimento a Costantino è sempre legato a circostanze specifiche, con le quali l’autore istituisce un collegamento diretto. Una valutazione articolata di questo variegato genere letterario, che tenesse cioè conto sia delle diverse sfumature di significato delle singole opere sia del contesto intellettuale, politico e ideologico delle epoche in cui videro la luce e conobbero la fama, sarebbe certo di grande interesse, ma esulerebbe inevitabilmente dalle possibilità e dagli intenti di questo approccio al tema. In questa sede, infatti, nient’altro s’intende presentare che un breve censimento sincronico delle menzioni di Costantino nella storiografia bizantina, atto in quanto tale a fornire un’informazione limitata e provvisoria sulla trasmissione, la ricezione e la funzione storiografica di questo imperatore a Bisanzio1.
Il Chronicon Paschale2 copre il periodo che va da Adamo sino all’anno 628 d.C. Composto sotto l’imperatore Eraclio (610-641) probabilmente da un membro della cerchia del patriarca di Costantinopoli Sergio I, è la prima opera a utilizzare il 21 marzo 5509 a.C. come data della Creazione3. Nella prospettiva della presente indagine, questo scritto va considerato esemplare, in quanto presenta i principali caratteri del genere cronachistico, anche se non necessariamente il racconto dei fatti che offre è veritiero o equilibrato sotto il profilo storico.
Dapprima Costantino è menzionato nella sezione preliminare dell’opera, in quanto imperatore che convoca i vescovi al concilio di Nicea, e proprio in questa circostanza riceve sviluppo il metodo per calcolare la data della Pasqua. Di qui anche il titolo della cronaca.
La grazia divina [ἠ θεία χάρις] abbatté i nemici della Chiesa ed elevò alla dignità di re il veramente grande [τὁν μέγαν ὡς ἀληθῶς] e senza pari credente [πιστότατον] Costantino, che aveva portato al più alto grado la gloria [φαιδρότητα] e la reputazione [δόξαν] del cristianesimo, per i suoi numerosi e immensi atti di pietà [θεαρέστων] compiuti a nome della Chiesa. Poiché aveva trovato tra le sante Chiese di Dio un grande disaccordo e contro di esse l’empio Ario e i suoi seguaci, i quali operavano con tutte le loro forze per distruggere la fede retta e irreprensibile [τὴν ὀρθὴν καὶ ἀμώμητον πίστιν] e creavano grande disturbo nelle Chiese di Dio, mosso da uno zelo divino per la pace [εἰρήνην], la concordia [ὁμόνοιαν] e la correttezza dei dogmi della religione [τὴν τῶν δογμάτων τῆς εὐσεβείας ὀρθότητα], riunì a Nicea il grande e santo sinodo ecumenico dei 318 santi padri4.
Il nesso di causalità è posto in modo molto chiaro: è perché Costantino si è fatto in generale campione del cristianesimo e ha in particolare convocato il primo concilio ecumenico, che Dio gli ha affidato il compito di reggere l’Impero.
Poi Costantino ricompare nella sezione dell’opera dedicata, secondo il disegno del suo anonimo autore, al suo regno: ben sedici pagine dell’edizione ancora corrente5. Nelle prime due menzioni, si indica l’imperatore o semplicemente come il figlio che Costanzo ha avuto da Elena (516,19: παῖς ἀπὸ ‘Eλένης), o – mediante l’impiego del termine tecnico νόθος, «figlio illegittimo» – come il figlio illegittimo avuto da Elena (517,7: ὁ νόθος ἐξ ‘Eλένης), rimarcando quindi il fatto che Costantino non discende dall’imperatrice Teodora. All’inizio si trova un riassunto:
Una volta che fu imperatore unico [μονοκράτωρ], Costantino fondò Bisanzio [τὸ Βυζάντιον] – dopo che un oracolo [χρησμόν] aveva predetto che la sovranità di Roma sarebbe stata distrutta – e divenne cristiano. Il suo regno durò trentuno anni e dieci mesi. Ebbe come figli Costanzo, Costante e Costantino6.
La sezione sviluppa due temi principali. Il primo è la conversione al cristianesimo. Nel racconto della guerra di successione, che vede Costantino eliminare i suoi avversari uno dopo l’altro, un posto speciale è riservato alla vittoria di ponte Milvio. Gli epiteti che lo qualificano in questa circostanza spingono a istituire un collegamento fra regalità terrena e scelta della fede cristiana, che rimanda poi, come in un gioco di specchi, al regno celeste di Dio:
Costantino, re dei re, pio [εὐσεβοῦς] ed eccezionalmente saggio [σωφρονεστάτου], figlio di Costanzo, si convertì alla fede di Dio, il Sovrano universale, e del suo unico Figlio, il nostro Signore Gesù Cristo, e si precipitò contro i malvagi tiranni Galerio, Massimiano e Massenzio7 […]. Costantino, vincitore [νικητής], venerabile [σεβαστός], Augusto [Αὔγουστος], primo tra i maestri di Roma a preoccuparsi per la salvezza dei cristiani, prese il Dio celeste come alleato, dopo averlo invocato nelle sue preghiere, e si mosse avanti con tutto il suo esercito8.
La linea direttrice del regno di Costantino è interpretata come la lotta contro il paganesimo e l’esaltazione del cristianesimo: «Lo stesso anno, Costantino, unico sovrano dell’Impero dei romani, abbatté tutti gli idoli dappertutto e confiscò tutti i loro soldi e tutti i loro beni, mentre onorava tutte le chiese di Cristo e tutti i cristiani»9.
Il secondo tema associato a Costantino riguarda la città di cui è eponimo, Costantinopoli, cui l’opera dedica un lungo passo10, con precisa indicazione della data di fondazione della città (lunedì 11 maggio 330), del suo nome (Costantinopoli) e del suo titolo (Seconda Roma), nonché breve descrizione delle cerimonie e delle feste che accompagnarono la fondazione.
Costantino il piissimo [ὁ εὐσεβέστατος] [...] fondò una grande città, brillante e prospera, che onorò collocandovi il Senato [συγκλήτῳ], e la chiamò Costantinopoli [Κωνσταντινούπολιν], cinque giorni prima delle idi di maggio, il secondo giorno della settimana, nella terza indizione. Mentre prima si chiamava Bisanzio [Βυζάντιον], ordinò che assumesse il titolo di Seconda Roma [῾Ρώμην δευτέραν]. Egli organizzò la prima corsa equestre e portò ai vincitori un diadema di perle e altre pietre preziose. E organizzò una grande festa11.
Il fatto che Costantino stabilisca in questa città la sua residenza e le conceda privilegi di natura territoriale, onorifica e fiscale, equivale a consacrarla capitale dell’Impero.
Lo stesso divinissimo [θειότατος] re Costantino stabilì la sua residenza e il suo governo a Costantinopoli, che aveva separata dall’eparchia dell’Europa, vale a dire dalla sua metropoli Eraclea, e dotata di un prefetto del pretorio [ἔπαρχον πραιτωρίων] e di un prefetto della città [ἔπαρχον πόλεως] e di tutti gli altri importanti dirigenti12.
La coscienza che è Costantino il fondatore di Costantinopoli emerge sin dalla fondazione della città e perdura sino alla conquista turca del 1453, costituendo dunque qualcosa di immediatamente ovvio ed evidente per chiunque viva nella capitale, e ciò in ogni stagione della storia bizantina13.
Non diversamente dall’autore del Chronicon Paschale, il poeta Giorgio di Pisidia (morto tra il 631 e il 634) fa parte dell’entourage di Eraclio14 e del patriarca Sergio I. Come diacono, assume le funzioni di referendario (repherendarios), schevofilace (skeuophylax) e cartofilace (chartophylax) di Santa Sofia, a Costantinopoli. Di lui si conservano all’incirca cinquemila versi, ripartiti fra otto poemi, e un testo in prosa15. Nella prospettiva qui assunta, egli occupa un posto speciale, in quanto è il primo a prendere Costantino il Grande come modello di imperatore.
Giorgio dedica un lungo poema alla campagna vittoriosa di Eraclio contro i persiani (624-628), della quale fu forse testimone oculare. L’imperatore romano si fa campione della cristianità contro i maghi zoroastriani16, in una spedizione militare che culmina nella riconquista della cosiddetta vera croce17, reliquia portata dai persiani a Ctesifonte dopo il sacco di Gerusalemme (614)18. La parte del poema che si occupa di questo argomento si intitola: Versi improvvisati in occasione della lettura dell’ordinanza emanata per il ricollocamento dei venerati legni della Croce (Αὐτοσχέδιοι πρὸς τὴν γενομένην ἀνάγνωσιν τῶν κελεύσεων χάριν τῆς ἀποκαταστάσεως τῶν τιμίων ξύλων)19. Il poema è un’opera di circostanza, composta senza dubbio in occasione del ritorno della croce a Gerusalemme (631) e forse declamata alla presenza di Eraclio. Si apre con un riferimento al Golgota, per proseguire con un elogio dell’imperatore. Raggiunge il suo culmine proprio con la menzione di Costantino il Grande:
Sia Costantino il Grande a glorificarti nella tua magnificenza: nessun altro sarebbe in grado di celebrare le tue lodi. O Costantino, mostrati un’altra volta alla città di Roma! Reca il tuo plauso al figlio tuo per come ha saputo ripristinare i tuoi domini, ch’egli aveva ricevuti in uno stato di grande confusione. Conviene che tu ora lasci la città celeste per unirti alle nostre danze di gioia nella città terrena. Triste e afflitto era il tuo spirito, fino a quando non sapesti che la croce aveva fatto nuovamente ritorno, vittoriosa: la croce, che tu per la prima volta ritrovasti celata nel suo sito originario e il figlio tuo ricondusse nei luoghi primigeni non solo dopo che era stata nascosta, ma dopo che era giunta alle fornaci ardenti dei persiani. La provvidenza di Dio ti ha dato un figlio, come se fosse apparso un nuovo Costantino fortificato dal Legno che dà la vita20.
Giorgio costruisce la figura di Eraclio come ‘nuovo Costantino’ in forza di un fatto specifico, vale a dire la riscoperta della vera croce. L’idea, evocata in filigrana, della seconda venuta di Cristo è espressa qui in relazione a Costantino il Grande sotto la forma ora di una invocazione (v. 49: φάνηθι, Κωνσταντῖνε, τῇ ‛Ρώμῃ πάλιν), ora della croce (v. 55: παλινδρομοῦντα τὸν σταυρόν). Culmina con l’assimilazione a Costantino il Grande ritornato sulla terra (v. 61: Κωνσταντῖνος εὑρεθῇ πάλιν) di Eraclio, presentato come figlio spirituale e successore dinastico di Costantino (v. 50: κρότει τὸ τέκνον; v. 58: τὸ σὸν δὲ τέκνον; v. 60: ἔχεις δὲ τέκνον) inviato dalla provvidenza divina (v. 61: ἐκ Θεοῦ προμηθίας). Costantino è il fondatore dell’Impero romano cristiano, il vincitore grazie al segno della croce e il primo ad avere trovato la vera croce (v. 57: τὸ πρῶτον εὗρες); una seconda volta, Eraclio è il vincitore grazie alla croce (vv. 55-56: νικηφόρον / τὸν σταυρός) contro i persiani, salvando così l’Impero (v. 51: τὴν σὴν οὐσίαν σεσωσμένην).
La lettura politica di questo ritorno è importante21. Giorgio presenta Eraclio che non solo assume l’eredità di Costantino, ma fa ancora meglio del suo grande predecessore. La croce, simbolo dell’Impero cristiano, non era soltanto nascosta, come durante la sua prima inventio (qui attribuita al solo Costantino e non alla madre Elena), ma, di più, era in pericolo di essere consumata dal fuoco persiano. Accade invece il contrario: la potenza della croce riduce in cenere i nemici empi.
La croce in te riposta apparve ai nemici come una nuova Arca, anzi più possente dell’Arca: quella scagliò le sue sferzate contro i barbari, limitandosi a infliggere duri colpi; invece la croce, distendendo tutta la sua potenza, lanciò contro i barbari colpi vivificanti: i parti distruggono col fuoco i persiani22.
Il 14 settembre 629 la croce è oggetto di una cerimonia di esaltazione, che trova ancora posto nei calendari liturgici ortodossi e cattolici. Nel 630 Eraclio viene di persona a Gerusalemme – unico imperatore bizantino a compiere questo viaggio – per ricollocare la croce nel suo luogo originario23. Pochi anni dopo, di fronte all’avanzata preoccupante delle tribù arabe, fa portare a Costantinopoli la croce, per proteggerla. Il ritorno della croce e la sua esposizione devono essere considerati come un elemento fondamentale della politica di Eraclio per proteggere e perpetuare l’eredità dell’Impero cristiano di Costantino.
L’idea che Eraclio sia un ‘nuovo Costantino’ riveste un ruolo importante, sotto il profilo storico, nella costruzione dell’immagine dell’imperatore bizantino. Composto nella stessa epoca nella quale opera Giorgio di Pisidia, anche il Chronicon Paschale è un riflesso della medesima ideologia imperiale, definita nei suoi termini dagli eventi del settimo secolo. Il suo stesso titolo completo segnala, infatti, un’ampiezza cronologica che abbraccia il tempo che da Adamo conduce «sino al ventesimo anno di regno del piissimo (εὐσεβέστατος) Eraclio, al diciannovesimo anno del suo consolato e al diciottesimo anno di regno di Eraclio nuovo Costantino (νέος Κωνσταντῖνος), figlio di questo»24.
Dopo Costantino II – il figlio di Costantino il Grande – che regna solo pochi mesi nel 337, il primo imperatore ad associare il proprio nome a quello del fondatore dell’Impero romano cristiano è il successore di Giustino II, Tiberio I Costantino (578-582), che si fa chiamare Tiberio, nuovo Costantino (Τιβέριος νέος Κωνσταντῖνος). Il terzo imperatore a portare il nome di Costantino non è altri che il figlio maggiore di Eraclio, nato dal suo matrimonio con la prima moglie, Fabia Eudocia. Eraclio associa suo figlio al trono, incoronandolo al compimento del primo anno di vita (613), il terzo del proprio regno. Dopo la morte del padre (641), la scelta di divenire imperatore con il nome di Costantino III va nella direzione di rafforzare l’associazione tra la figura, ormai leggendaria, del primo Costantino e la dinastia di Eraclio, ancora infante.
Teofane il Confessore (ὁμολογητής), che i manoscritti designano anche come Teofane il Peccatore (ἁμαρτωλός) o Teofane il Monaco (μοναχός) e la Chiesa onora quale santo, visse tra il 760 circa e l’817. Nella sua Cronografia (Χρονογραφία)25, scritta probabilmente negli anni 810-814, tratta ampiamente di Costantino, cui assegna speciale importanza. Conforme all’uso degli storici bizantini già sopra ricordato, egli fa partire la propria narrazione là dove termina quella di un altro cronachista: nella fattispecie, il suo racconto si aggancia cronologicamente alla Cronaca di Giorgio Sincello26, che si conclude con gli eventi dell’anno 284. La Cronografia abbraccia dunque un arco di tempo che va dall’inizio del regno di Diocleziano (285) sino alla fine del regno di Michele I Rangabe (813). Il problema delle fonti di Teofane e del loro reimpiego in questa opera resta a tutt’oggi di difficile soluzione27.
La trattazione del regno di Costantino I si estende per una cinquantina di pagine della corrente edizione della Cronografia28, nella quale si contano del resto all’incirca sessanta occorrenze del nome dell’imperatore. Un carattere che spicca per la sua evidenza è la frequente designazione (pressappoco trenta casi) di Costantino con l’epiteto di ‘il Grande’ [μέγας]. Non mancano neppure, comunque, gli altri tre epiteti che il Chronicon Paschale impiega più spesso per connotare la figura di questo imperatore: «pio» (εὐσεβής o εὐσεβέστατος, 9 casi), «divino» (θεῖος o θειότατος, 7 casi) e, in quanto tale, «vincitore» (νικητής, 6 casi). Vanno pure segnalate, per il loro rilievo, talune ‘scelte lessicali’ che si rinvengono nell’opera. All’evoluzione stessa della lingua va ricondotto l’impiego di πανεύφημος (4 occorrenze), preferito al già omerico ἀοίδιμος del Chronicon Paschale, quando entrambi gli epiteti hanno, nel greco bizantino, significato simile («glorioso», «insigne»). Agli intenti storiografici dell’autore, invece, devono riferirsi scelte di natura per così dire ‘ideologica’. A differenza del Chronicon Paschale, per cui Costantino è «figlio illegittimo» (νόθος), Teofane il Confessore insiste sul fatto che Elena era legittimamente la prima moglie di Costanzo (11,1-2) e che il figlio Costantino era il suo primo nato (10,27). Nella ricostruzione storica di Teofane ciò implica inoltre che Costanzo, padre del futuro san Costantino il Grande, fosse già filocristiano (11,20: τοῦ χριστιανόφρονος Κωνσταντίου).
Il tema della vittoria portata dalla croce è sviluppato da Teofane (14,14: τὸν νικητὴν Κωνσταντῖνον σὺν τῷ νικοποιῷ σταυρῷ).
Quest’anno, Costantino, compartecipe dell’energia divina [θεοσυνέργητος], sovrano di Roma, ordinò prima di tutto che le reliquie dei santi martiri fossero raccolte e restituite a una santa sepoltura. I romani celebrarono una festa di vittoria, onorarono il Signore e la croce vivificatrice per sette giorni, magnificando [μεγαλύνοντες] Costantino il vincitore [νικητήν]29.
Teofane presenta Costantino come ‘il Grande’ (servendosi della figura etimologica che collega il verbo μεγαλύνω con l’aggettivo μέγας) per lo stesso popolo romano, e individua quindi in lui una duplice legittimità, insieme umana e divina. Per quanto riguarda l’epiteto «compartecipe dell’energia divina» (θεοσυνέργητος), che si rifà a formulazioni dottrinali proprie della riflessione teologica del tempo (più precisamente, rimanda alla teorizzazione bizantina della sovranità di diritto divino30), Teofane è il primo e l’unico storico a impiegare il termine, la cui prima occorrenza (14,24-25) si rinviene in occasione della vittoria su Massenzio, mentre la seconda in occasione di quella su Licinio:
Il clementissimo [πρᾳότατος] Costantino ordinò che (Licinio) fosse ucciso con la spada. Allontanò così definitivamente i problemi dello Stato dai cristiani, che ora si sentivano sereni, dato che i tiranni erano stati rimossi grazie al potere vivificatore della croce; e Costantino, compartecipe dell’energia di Dio [θεοσυνέργητος], governò da solo l’Impero dei romani31.
Teofane giustifica l’eliminazione di Licinio, in quanto indispensabile per la salvezza dei cristiani. Sottolinea la «consueta/connaturata magnanimità» (20,4: τῇ συνήθει φιλανθρωπίᾳ) dell’imperatore, che, in un primo momento, si era limitato a esiliare Licinio, e soltanto in seguito aveva deciso di metterlo a morte, a motivo del suo tradimento. Paradossalmente, dunque, Costantino può ricevere la qualifica di «clementissimo» (20,7: πρᾳότατος) proprio nel momento in cui uccide il suo avversario. La ragione di ciò sta appunto nel fatto che alle proprie qualità umane viene ad aggiungersi l’energia divina (20,10: θεοσυνέργητος), che è dalla sua parte e gli garantisce di essere la persona che opera con Dio su questa terra.
Analogamente, Teofane presenta la città di Costantinopoli come esito dell’azione divina che ha ispirato Costantino stesso: «Mosso da un cenno divino (θείῳ νεύματι), Costantino il Pio (εὐσεβής) decise di fondare una città che portasse il suo nome [...]. Dio gli ordinò in sogno (κατ’ ὄναρ) di fondare a Bisanzio quella che ormai sarebbe stata Costantinopoli»32.
La differenza con il Chronicon Paschale è chiara: nel giro di due secoli, si passa da un punto di vista storico ‘remoto’, che non esita a ricollocare elementi di colore locale sulla scena del IV secolo – tale è l’oracolo che predice, alla maniera della tradizione greca, dove fondare la città –, a una interpretazione delle azioni dell’imperatore per la quale esse sono ispirate da Dio. Costantino non è più soltanto il fondatore umano di una qualsiasi città, ma l’agente di Dio, il cui volere consiste nel dare una nuova capitale ai romani.
Costantino, in forza dell’energia e della volontà divine dalle quali è mosso, diviene a sua volta capace di ispirare altre azioni nel mondo. Teofane mostra che è stato lui a mandare la madre Elena in Palestina alla ricerca della vera croce: «Lo stesso anno, il divino (θεῖος) Costantino inviò Elena la Beata (μακαρίαν) a Gerusalemme con una somma di denaro e una scorta armata a cercare la croce vivificatrice del Signore»33.
E dell’intera vicenda (ricerca e ritrovamento) dà una puntuale descrizione (25,28-27,4). La scoperta della vera croce assume una rinnovata importanza a motivo della sua traslazione nella città di Costantinopoli. Mentre il Chronicon Paschale non menziona affatto questo aspetto della leggenda costantiniana, qui la croce esercita un notevole influsso sulla costruzione della figura dell’imperatore bizantino, nella fattispecie Eraclio, come successore di Costantino. Tale rappresentazione diventa retrospettivamente indissociabile dall’aura di santità che circonda ora Costantino il Grande, considerato da Teofane modello di riferimento in senso assoluto per tutti gli imperatori che gli sono succeduti, in quanto lui solo direttamente ispirato da Dio.
È importante rilevare che Teofane accorda la qualità di santo a Costantino solo una volta morto. Nella Cronografia, la prima occorrenza dell’aggettivo «santo» (ἅγιος) applicato a Costantino si rinviene quando si fa menzione della sua morte: «in questo anno morì san Costantino il Grande» (34,16: τούτῳ τῷ ἔτει Κωνσταντίνου τοῦ μεγάλου καὶ ἁγίου ἀναπαυσαμένου). La seconda si trova là dove, nel quadro del racconto delle distruzioni che seguono il grande terremoto che sconvolge Costantinopoli al tempo di Giustiniano, si narra che cadde la lancia dalla celebre statua che si ergeva sopra la Colonna di Costantino e che era collocata «nel Foro di san Costantino» (222,28-29: εἰς τὸν φόρον τοῦ ἁγίου Κωνσταντίνου)34. Qui Teofane pare attestare che la canonizzazione di Costantino era già stata recepita dalla topografia di Costantinopoli dei secoli VIII-IX. Altrove lo storico parla anche «del pio insegnamento che viene da san Costantino il Grande e che è ancor oggi vivo» (405,12: τὴν εὐσεβῆ παίδευσιν τὴν ἀπὸ τοῦ ἐν ἁγίοις Κωνσταντίνου τοῦ μεγάλου καὶ μέχρι νῦν κρατήσασαν).
Appare quindi chiaramente rimarcata la differenza che corre tra il primo Costantino e gli imperatori a lui successivi, nessuno dei quali – con la sola eccezione di Marciano – è ben visto da Teofane. Egli valuta negativamente soprattutto gli imperatori del proprio tempo, l’imperatore ortodosso Niceforo I e gli imperatori iconoclasti, in particolare Leone V l’Armeno, che lo ha esiliato.
Se già in taluni casi, come quelli della Cronaca di età giustinianea composta da Giovanni Malalas35 o del già menzionato Chronicon Paschale del tempo di Eraclio, si riscontra la tendenza a servirsi delle narrazioni precedenti per farne epitomi dei tempi antichi, alle quali aggiungere in ogni caso più spazio per il racconto degli eventi contemporanei, è tuttavia in particolare tra IX e X secolo che fioriscono le cosiddette ‘cronache brevi’ (βραχέα χρονικά)36, non necessariamente universali, e opere affini classificate come ‘storie brevi’ o ‘compendi’, allo scopo di offrire riassunti o estratti di opere più lunghe, oppure anche soltanto semplici elenchi di sequenze di eventi. Occorre quindi procedere a una campionatura della presenza e dell’immagine di Costantino nell’ambito di questo filone storiografico.
Contemporaneo di Teofane il Confessore e membro dello stesso partito degli iconoduli moderati, Niceforo I, vissuto tra il 758 circa e l’82837, patriarca di Costantinopoli dall’806 all’815 prima di essere esiliato dall’imperatore iconoclasta Leone V, non assegna grande importanza a Costantino. La sua Storia breve (῾Ιστορία σύντομος o Breviarium), scritta probabilmente tra il 775 e il 787 e relativa alle vicende occorse tra gli anni 602 e 769, non fa alcun riferimento a quest’ultimo. Costantino è, invece, presente, sia pure in modo conciso, nel Compendio cronografico (Χρονογραφικὸν σύντομον o, nella sua traduzione latina, Chronographia brevis)38 di Niceforo I, opera che presenta un elenco dei regnanti a partire dalla creazione del mondo e sino all’829. Sia l’originale greco sia la versione latina di questo scritto si sono conservati, ed entrambe le redazioni designano l’imperatore secondo l’uso tradizionale, col nome di «Costantino il Grande» (Κωνσταντῖνος ὁ μέγας). Il «primo santo sinodo» (ἡ πρώτη ἁγία σύνοδος, cfr. 95c2) è l’unico evento menzionato e un breve riassunto riporta di Costantino solo la durata del regno e il nome dei successori.
Il regno di Costantino è invece trattato ampiamente nella Cronaca storica (Χρονικὴ ἱστορία o Chronicon), nota anche come Cronaca breve (Χρονικὸν σύντομον)39, di Giorgio Monaco (μοναχός), che i manoscritti designano anche come Amartolo, ossia il Peccatore (ἁμαρτωλός)40. Scritta durante il regno dell’imperatore Michele III detto l’Ubriacone (842-867), la cronaca prende avvio con Adamo e giunge fino all’anno 842. Un’intera sezione è dedicata a Costantino (Βιβλίον Θ – αʹ Περὶ Κωνσταντίνου τοῦ μεγάλου), ben 45 pagine dell’edizione corrente41. Giorgio offre una interpretazione impegnata delle ragioni che portarono all’affermazione storica del cristianesimo imperiale:
Dopo Massenzio regnò Costantino il Grande, che inviò immediatamente in tutto l’Impero decreti [διατάγματα], prescrivendo che i cristiani in esilio tornassero a casa con onore, che gli idoli venissero rimossi dai templi e che le chiese di Cristo fossero edificate. Quindi stabilì leggi universali [νόμους καθολικοὺς], in modo che i templi degli idoli fossero dati a coloro che adoravano Cristo, che i cristiani soli fossero in grado di comandare e di far parte dell’esercito, che tutti digiunassero il mercoledì e il sabato e onorassero il giorno feriale del Signore, quei giorni per la Passione e questo per la Risurrezione del Signore; che gli abitanti ebrei [dell’Impero] non facessero commercio o sacrifici in pubblico; che il tormento della croce fosse abolito dal rispetto per la croce di Cristo e che quella fosse per sempre impressa sulle sue monete oltre alle immagini [τοῖς δὲ νομίσμασιν αὐτοῦ καὶ εἰκόσι τὸν σταυρὸν συνεκτυποῦσθαι πάντοτε]42.
Dopo un lungo passo polemico nei riguardi degli ebrei, Giorgio tratta di Costantinopoli, rivolgendo speciale attenzione alle preziose reliquie contenute nella città (499,8-501,4). La scoperta della vera croce da parte di Elena è solo oggetto di un rapido accenno (501,15-18), mentre con maggiore ampiezza è affrontato il concilio di Nicea (503,9-533). Giorgio Monaco mostra di nutrire un interesse particolare per gli aspetti più strettamente teologico-dogmatici della politica religiosa costantiniana. Nel quadro dell’evoluzione storiografica del mito di Costantino difensore della cristianità, il contributo di Giorgio Monaco consiste soprattutto nell’aggiungere, all’immagine di trionfatore sull’idolatria pagana già conferitagli dalla tradizione, i vessilli del trionfo sul giudaismo da un lato, e sull’eresia ariana dall’altro. Nell’affrontare tali temi, questo autore si rivela interessante specialmente per la virulenza con cui critica l’iconoclastia contemporanea.
Il Chronicon (Χρονικόν)43 attribuito a Simeone Logoteta, che fiorì nella seconda metà del secolo X, alla corte di Costantino VII Porfirogenito e sotto i suoi successori44, va da Adamo fino all’anno 948. Sei pagine dell’edizione corrente45 sono dedicate a «San Costantino il Grande. Costantino il grande e primo cristianissimo imperatore» (84,16-18: Κωνσταντῖνος ὁ μέγας ὁ ἅγιος. Κωνσταντῖνος ὁ μέγας καὶ πρῶτος χριστιανικώτατος ἐν βασιλεῦσιν). È un compendio che riassume vita e regno di Costantino in tutta la loro durata (rispettivamente 65 e 33 anni) e che affronta la sua adesione al cristianesimo a Roma sotto l’influenza di papa Silvestro, la guerra contro gli sciti, il confronto con Licinio, la vittoria su quest’ultimo annunciata dalla visione del signum cruciforme nel cielo, le circostanze pretestuose che portarono alla guerra tra persiani e romani. Descrive, inoltre, il concilio di Nicea convocato per sconfessare l’eresia ariana, la fondazione di Costantinopoli e le ricchezze di cui fu dotata, il trasferimento di numerose reliquie nella nuova capitale dell’Impero, le fondazioni ecclesiastiche compiute da Costantino, le vicende connesse con il suo battesimo, la sua sepoltura nella chiesa dei Santi Apostoli a fianco della madre. Ogni tentativo di interpretazione sembra peraltro volutamente assente. In effetti, l’interesse di questa sezione non risiede tanto nel suo valore intrinseco, quanto piuttosto nel suo essere un condensato eterogeneo di cronache precedenti. In queste pagine Simeone Logoteta non solo offre quella che si potrebbe definire la doxa della storiografia costantiniana, ma in qualche modo insieme la fissa all’interno del suo scritto46.
Anche la Vita Basilii rientra nel filone bizantino delle ‘continuazioni’ o ‘storie continuate’. L’opera, com’è stato dimostrato, va attribuita a Costantino VII Porfirogenito (905-959, imperatore unico dopo il 945), noto per la sua cultura enciclopedica47. Essa costituisce il quinto libro della ‘Continuazione di Teofane’ o ‘Teofane Continuato’ (Οἱ μετὰ Θεοφάνην, Scriptores post Theophanem). Organizzata secondo i regni degli imperatori per il periodo 813-961, è in realtà una biografia di Basilio I, fondatore della dinastia dei macedoni, scritta dal nipote, appunto il Porfirogenito stesso48. Su tre menzioni di Costantino il Grande, due riguardano la vera o presunta genealogia di Basilio, della cui madre si afferma che discende dal primo imperatore cristiano per via sempre matrilineare (Vita Basilii 215,21 e 216,3). Lo scopo del Porfirogenito, nel postulare una parentela con Costantino il Grande, è evidentemente quello di conferire lustro, se non addirittura una remota ascendenza imperiale ereditaria, alla sua dinastia, giovane e discussa anzitutto per le disinvolte modalità di ascesa al potere.
All’interno dell’opera, ma anche della committenza enciclopedica di Costantino VII, Costantino I è d’altronde citato decine di volte nei brani degli storici protobizantini raccolti negli Excerpta Constantiniana. Il suo nome è accompagnato dai suoi due epiteti ormai tradizionali, «il Santo» (ἅγιος) e «il Grande» (μέγας). Una nota interessante si trova nel parimenti costantiniano Libro delle Cerimonie49, esso pure un repertorio, d’ispirazione ‘enciclopedica’, dei rituali e cerimoniali della corte bizantina. In un passo concernente la morte del figlio e successore di Costantino Porfirogenito, Romano II (959-963), quest’ultimo viene chiamato «figlio di Costantino il Grande e Porfirogenito, basileus dei romani, della dinastia macedone» (433,13-15: ‛Ρωμανοῦ βασιλέως τοῦ νέου, υἱοῦ Κωνσταντίνου τοῦ μεγάλου καὶ πορφυρογεννήτου βασιλέως ‛Ρωμαίων τοῦ Μακεδόνος). Nell’aggiunta dell’epiteto «il Grande», proprio del primo Costantino, al nome e al titolo del settimo Costantino si può forse leggere la perdurante adesione degli storici della corte di Romano II al disegno di legittimazione della dinastia macedone che il sovrano aveva già coltivato in vita50.
Il diradarsi delle menzioni dirette di Costantino nella letteratura storiografica bizantina51 si conferma nell’XI secolo, l’età del cosiddetto ‘Governo dei Filosofi’ e comunque dell’affermazione dell’aristocrazia burocratica della capitale, a mano a mano che viene rafforzandosi con essa il genere della ‘storia contemporanea’, ossia della memorialistica – sia essa denominata storia o cronaca, poco importa – scritta in prima persona dai testimoni degli eventi politici. Il riferimento al nome di Costantino diviene qui più specifico e strettamente funzionale al contesto che lo provoca.
Michele Psello, nato nel 1018 e morto dopo il 1078, uno dei massimi intellettuali bizantini fu filosofo e letterato oltre che storico e memorialista, alto funzionario di corte e finanche primo ministro. Svolse la propria attività sotto sette imperatori, da Costantino IX (1042-1055) a Michele VII Ducas (1071-1078). Nella sua Cronografia (Χρονογραφία o Chronographia)52, una cronaca che inizia con l’avvento di Basilio II Bulgaroctono (976) e si conclude con l’elevazione al trono di Niceforo III Botaniate (1078), Costantino il Grande non è mai menzionato. La prospettiva assunta da questa opera è peculiare, forse addirittura unica, in quanto la narrazione storica si fonda più sullo studio dei caratteri che sulla sequenza degli eventi53. Il riferimento a Costantino non risulta funzionale alla rappresentazione fondamentalmente critica della personalità imperiale (Kaiserkritik) che domina la Cronografia pselliana. Tuttavia, nella sua Storia breve (‛Iστορία σύντομος o Historia brevis)54, da ricondurre al genere tradizionale e didascalico della cronaca breve o del compendio storico, non manca un paragrafo dedicato a Costantino (55,29-57). Il suo epiteto distintivo è illustrato due volte: «ricevette il nome di ‘Grande’ in virtù della sua devozione al divino e dei suoi numerosi traguardi» (48,37-38: ὃς μέγας ἐπωνομάσθη διά τε τὴν πρὸς τὸ θεῖον εὐσέβειαν καὶ τὰ μεγάλα καὶ πολλὰ κατορθώματα) e «Costantino ‘il Grande’ sia per la sua moderazione/virtù interiore sia per la grandezza dell’operato mondano» (55,29-30: Κωνσταντῖνος ὁ μέγας καὶ τῷ κατὰ πάθος κράτει καὶ τῷ τῶν ἀνδραγαθημάτων μεγέθει). Nel tracciare una breve sintesi del regno costantiniano, Michele Psello inserisce probabilmente un unico elemento di originalità. Lo si coglie specie per quel tono caratteristico dell’autore, che, nel voler mettere in luce una nota distintiva dell’indole di Costantino, conferisce alla storia la forma di un aneddoto:
Il divino [θεῖος] Costantino odiava tanto il tradimento [μισοπόνηρος] che diceva spesso, seduto sul trono imperiale, che il basileus non doveva risparmiare assolutamente nessuno, nemmeno i membri [μελῶν] della sua famiglia, quando si trattava di mantenere l’ordine. Tuttavia, per coloro che, avendo tradito, dimostravano pentimento, era solito dire con umanità [φιλανθρωπευόμενος] che «è necessario amputare al paziente [i.e. lo stato] l’arto [μέλος] malato, ma non quello che ha recuperato la salute»55.
Il passo costituisce un’allusione a un episodio noto, quantunque in altre epoche scarsamente ricordato dalle cronache, il cui scopo è di norma offrire un’immagine ideale di Costantino: quello della morte violenta e crudele inflitta alla moglie Fausta e al figlio Crispo (nato da Minervina, prima moglie dell’imperatore) in seguito al sospetto di tradimento che li coinvolse. Psello intende sottolineare l’umanità dell’imperatore cristiano che perdona, purché si sia pentiti. Al di là del topos letterario – la metafora del membro (della famiglia) affetto da malattia contagiosa, che bisogna saper sopprimere per preservare il resto dell’organismo (dello Stato) –, va rilevato il dato che sia la figura di Costantino sia la sua clemenza vengono adattate alle circostanze proprie del momento.
L’opera principale di Michele Attaliata, che nacque verso il 1028, fu alto funzionario presso le corti prima di Romano IV Diogene (1068-1071) e poi di Michele VII Ducas (1067-1078), infine morì dopo il 1085, è la sua Storia (‛Iστορία o Historia)56, che va dall’avvento di Michele IV Paflagone (1034) all’anno 1079/1080 del regno di Niceforo III Botaniata (1078-1081). Nell’opera, la menzione di Costantino, che occorre una sola volta e per una finalità tanto specifica quanto usuale, è a servizio della glorificazione dell’ascendenza del Botaniata, presentato fra l’altro come l’erede dei valori tradizionali, in particolare guerrieri, dell’alta aristocrazia57:
Se torniamo [ἀναδράμοι] alla cima delle novantadue generazioni (fino alla morte dell’illustre imperatore Niceforo Foca), troveremo che essi sono discendenti [κατηγμένους] del beatissimo [τρισμάκαρος] Costantino il Grande, superiore a tutti gli altri sovrani nei conflitti militari e per l’ardore della sua pietà, per cui è annoverato tra gli apostoli [ἰσαπόστολον] ed è la base [κρηπῖδα] e la lancia [πρόβολον] della fede perfetta dei cristiani58.
Michele Attaliata presenta Niceforo III Botaniata come discendente di due famiglie nobili, i Foca e i Fabii. Il riferimento a Costantino è paragonabile a quello fatto dagli autori della Continuazione di Teofane, dato che anche qui esso è soltanto funzionale a un disegno di legittimazione dell’imperatore contemporaneo che passa per l’affermazione di una continuità ‘ereditaria’ costantiniana. Le prospettive, tuttavia, differiscono nei dettagli: mentre il Porfirogenito sottolinea il principio dinastico e si rifà alla figura di Costantino in quanto primo imperatore cristiano, nel caso del Botaniata l’accento è posto sui successi bellici e sul ruolo militare del sovrano guerriero. La formulazione di Michele Attaliata riecheggia, inoltre, un epiteto fondamentale nell’evoluzione del mito di Costantino, considerato qui «uguale agli apostoli» (ἰσαπόστολος).
Solo taluni rari riferimenti a Costantino sono presenti nella Sinossi storica (Σύνοψις ἱστοριῶν o Synopsis historiarum)59 che Giovanni Scilitze, vissuto nel tardo secolo XI, progettò come continuazione della Cronografia di Teofane. La sua opera, che va dalla morte di Niceforo I (811) fino all’abdicazione forzata di Michele VI Stratiotico (1057), è trasmessa da un noto manoscritto di Madrid (Bibl. Nac., Vitr. 26-2) nel quale sono incluse, allo stato attuale, 574 straordinarie e preziose miniature, che ne fanno l’unica opera storica bizantina illustrata60.
Se eccettuiamo i riferimenti al Foro di Costantino (Niceph. 2 20,7 e Mich. 5 1,57), rimangono solo due menzioni di Costantino in quanto tale. La prima riprende l’artificiosa ascendenza dinastica di cui parla la Vita Basilii e che il Porfirogenito inventa per dare lustro alla figura del fondatore della dinastia macedone e giustificarne la brusca e violenta ascesa al trono:
Una donna di nobile nascita, che si diceva appartenere al lignaggio di Costantino il Grande, lo prese [il padre di Basilio] come genero per la propria figlia, che era molto bella. Da questa nacque Basilio, che, prima ancora della sua nascita, presentava numerosi segni [σύμβολα] di regalità61.
Come si può notare, la vulgata storica di cui Giovanni Scilitze si fa espressione non solo assimila il mito del lignaggio costantiniano di Basilio I, ma ne propone una sua intensificazione: il carattere imperiale di Basilio sembra emergere ancor prima della sua nascita.
Tale vulgata si riferisce a Costantino e al concilio di Nicea anche in relazione alla traslazione, ad opera del bulgaro Samuele, delle reliquie di Sant’Achillio, vescovo di Larissa e partecipante al primo concilio (Bas. 2-Const. 8 11,50). Subito dopo si fa menzione del concilio riunito nell’antica Serdica da Costante, imperatore d’Occidente, e da Costanzo, imperatore d’Oriente, entrambi figli di Costantino (Bas. 2-Const. 8 12,12).
Il cosiddetto ‘Scilitze Continuato’, ossia la Cronaca breve62 che prosegue il racconto di Giovanni Scilitze dal 1057 fino a Niceforo III Botaniata (1079), contiene una sola menzione del nome Costantino, relativa non però alla sua persona ma alla sua statua, e tuttavia importante anche per la tradizione cui dà luogo, in quanto è proprio questo scritto a riferire per primo i danni causati alla Colonna di Costantino da un fulmine abbattutosi su di essa (185,10-14)63.
Il periodo comneno appare contrassegnato da una fusione e insieme, per così dire, da una sistematizzazione delle due tendenze già osservate nella storiografia precedente. Da un lato, nelle opere memorialistico-storiografiche, ideologicamente più orientate, il tema della legittimazione dinastica, inventato per la dinastia macedone, è ripreso e reimpiegato per glorificare la nuova dinastia comnena e/o le famiglie legate al suo clan; dall’altro, le opere riconducibili al genere della cronaca universale, caratterizzate da vocazione encomiastica meno immediata, si rifanno all’exemplum costantiniano nella polemica moralistica contro gli eccessi del tempo presente.
Niceforo Briennio (1062-1137), esponente di spicco del mondo politico bizantino, discendente da una importante famiglia aristocratica di tradizioni militari, fu consorte di Anna, figlia di Alessio I Comneno (1081-1118). Dietro suggerimento della suocera Irene Doucena, a partire dal 1118 riunisce i suoi Materiali di storia o Materiali storici (῾Ύλη στορἱας o ῾Ύλη ἱστοριῶν o anche Historiae)64, che considerano l’arco cronologico che va dall’avvento di Isacco I Comneno (1057) alla detronizzazione di Niceforo III Botaniata da parte di Alessio I (1081). L’opera storica sfuma spesso nella cronaca familiare e nella glorificazione delle grandi famiglie aristocratiche legate al clan dei Comneni. I Materiali di storia, che pure forniscono molte informazioni di prima mano o attinte direttamente dai testimoni viventi o desunte dagli archivi e dai testi dei principali storici precedenti, presentano nondimeno un unico riferimento diretto ed esplicito a Costantino:
Chi volesse ripercorrere all’indietro il corso [della storia], troverà che la famiglia Ducas trae origine dalla famiglia di Costantino il Grande, e che anche il primo Ducas era tra quelli che lasciarono l’Antica Roma con lui per andare a vivere nella Nuova e che divideva con lui la nobile casata anche per un legame di sangue. Era infatti imparentato con Costantino e aveva ricevuto da lui la dignità di duca di Costantinopoli, donde tutti i suoi discendenti sono chiamati Ducas65.
La spiegazione eziologica ed etimologica del nome Ducas, che collega la radice onomastica alla funzione (dux, comandante), è ingegnosa, ma anche abbastanza fantasiosa e, nello specifico, funzionale all’istanza encomiastica: nella fattispecie, la celebrazione della famiglia di Irene Ducena e dei suoi figli, l’imperatore Giovanni II Comneno, cognato di Briennio, e Anna Comnena, sorella del primo e moglie del secondo.
La porfirogenita Anna Comnena (1083-1153)66, figlia di Alessio I Comneno e Irene Ducena, nonché moglie di Niceforo Briennio, scrive i quindici libri della sua Alessiade (Alexias)67, prosecuzione della narrazione storiografica del marito, nel monastero costantinopolitano della Theotokos Kecharitomene, che approssimativamente si può rendere con «Madre di Dio Piena di Grazia», in cui visse regalmente relegata a partire dall’avvento al trono del fratello Giovanni II, contro cui aveva cospirato.
L’intento di legittimazione e celebrazione ‘epica’ del regno del padre è insito nella concezione stessa dell’opera: sembra anzi che la storia ne sia lo strumento. In realtà, nell’Alessiade emergono anche altri risvolti politici e ideologici, e l’analisi fornita dalla lunga, magnifica, puntuale e solidamente documentata narrazione di Anna è ben più complessa e sottile di quella di un’opera di propaganda. Ciò in verità non sorprende, considerata la sua eccelsa formazione intellettuale, la sua privilegiata condizione di testimone delle vicende che racconta – si tratta degli anni tra il 1081 e il 1118 –, e la possibilità sia di avvalersi delle testimonianze personali di taluni degli attori di dette vicende sia di attingere verosimilmente, come già il consorte Briennio, a documentazione d’archivio.
Per venire al ricordo di Costantino nell’Alessiade, oltre a due isolati riferimenti topografici nel corso di narrazioni guerresche (6,10,10,6: quando l’imperatore intrattiene il suo ospite Abdul Kasim, offrendogli uno spettacolo equestre nel «teatro un tempo costruito da Costantino il Grande»; e 6,13,2,11: a proposito di una imboscata dall’arcisatrapo Elkhane [᾽Ελχάνης] contro l’esercito bizantino intorno a un ponte «gettato sul fiume nel luogo in cui in tempi antichi sant’Elena aveva costruito un santuario dedicato a Costantino, donde il nome del ponte, mantenutosi fino ai giorni nostri»), Anna fa una sola menzione dell’imperatore «uguale agli apostoli», che tuttavia, benché isolata, assume particolare rilievo:
Egli soltanto [Alessio] univa le armi alle parole: con le armi sconfisse i barbari, con le parole soggiogò i nemici di Dio. Di queste si armò contro i manichei, intraprendendo una lotta non militare ma apostolica [ἀποστολικὴν ἀγωνίαν]. E per parte mia vorrei dare a lui il nome di tredicesimo apostolo [τρισκαιδέκατον ἀπόστολον], anche se alcuni attribuiscono questo onore a Costantino il Grande; a mio parere, però, o Alessio deve essere messo sullo stesso piano dell’imperatore [αὐτοκράτορι] Costantino oppure, se ci si oppone a questo, che almeno egli venga annoverato subito dopo Costantino sia come re sia come apostolo [ἀπόστολος ἅμα καὶ βασιλεύς]68.
Questo brano costruisce un metodico parallelo tra i due imperatori, che eccellono entrambi sia nell’ambito militare sia in quello della lotta contro le eresie, sino al riavvicinamento finale, in cui tanto nella figura di Alessio quanto in quella di Costantino il Grande umano e divino quasi si confondono.
Differente è, invece, il punto di vista di Giovanni Zonara, nato verso il 1100 e morto dopo il 1159, storico, teologo, canonista e possibile autore di un lessico69. La sua opera principale, che si inserisce nel filone della cronaca universale e giunge fino alla conclusione del regno di Alessio I (1118), viene modestamente chiamata Compendio storico (‛Eπιτομὴ ἱστοριῶν o Epitome Historiarum)70, benché si sviluppi in diciotto libri.
Costantino emerge come una delle figure più importanti di questa opera (gli sono dedicate ben ventisette pagine dell’edizione corrente71) sin dall’inizio del libro XIII. Il suo regno, infatti, segna il punto di transizione tra la parte I (libri I-XII, dedicati alla storia romana) e la parte II (libri XIII-XVIII, consacrati allo sviluppo dell’impero bizantino). Il criterio storico di Giovanni Zonara si dispiega fin dal primo paragrafo del libro XIII:
Così, come si racconta, Costantino il Grande, celebrato [ἀοίδιμος] tra i sovrani e il più insigne [ἐπισημότατος] di quelli che hanno la vera fede [ἐν ὀρθοδόξοις], succedette [διάδοχος] all’impero del padre. Era nato a suo padre dalla beata [μακαρίας] Elena. Gli storici sono in disaccordo tra di loro a proposito di Elena e nei loro testi non si trova un accordo sulla sua vita72.
Lo storico bizantino prosegue discutendo la legittimità dell’unione tra Costanzo ed Elena e le sue conseguenze per la persona di Costantino. Egli racconta l’episodio di Crispo sedotto dalla matrigna Fausta ispirandosi ai modelli assai noti di Ippolito e Fedra o di Giuseppe e della moglie di Putifarre. Giovanni Zonara, anche in virtù del suo interesse teologico e canonistico, mostra attenzione per la visione della vera croce, e la sua descrizione del signum è abbastanza dettagliata:
Il segno [τύπος] della Croce apparve a lui nel sole in cielo durante la battaglia a mezzogiorno. Era scritto in caratteri latini [‛Ρωμαϊκοῖς στοιχείοις] tra le stelle che formavano la frase «con questo segno vinci» [ἐν τούτῳ νίκα]. Avendo disegnato una croce d’oro secondo la forma apparsa, ordinò di portarla davanti all’esercito73.
La menzione specifica del latino in hoc signo vinces è rara. Zonara, inoltre, presta grande attenzione al concilio di Nicea, le cui discussioni teologiche sono esaminate nel dettaglio (13,21,9-24,3). Egli si riferisce come segue al symbolum fidei niceno:
Il santo sinodo definì la dottrina della consustanzialità [ὁμοούσιον] e della coeternità [συναΐδιον] per quel che riguarda il figlio e pubblicò il divino simbolo della fede [πίστεως σύμβολον] a proposito del padre e del figlio. Il sinodo definì teologicamente [θεολογήσασα] questo passo fino al termine della formula «il cui regno non avrà fine», che costituì la conclusione di quel simbolo di fede74.
Appunto dalla convocazione del primo concilio Costantino trae la definizione di tredicesimo apostolo (23,7: ὁ δ’ἰσαπόστολος αὐτοκράτωρ, «imperatore uguale agli apostoli»), ben radicata nel XII secolo, ma – a differenza di Anna Comnena, che se ne serve per assimilare a Costantino suo padre – motivata e declinata da Giovanni Zonara alla luce del dato storico e con rigore teologico.
A contrapporre Giovanni Zonara ad Anna Comnena pare esservi, inoltre, una sottile ostilità dello storico nei confronti di Alessio Comneno, che si percepisce nella narrazione di un evento cui si è già accennato, databile all’anno 1106 e relativo alla statua di Costantino collocata nel foro omonimo, a Costantinopoli75:
Molti abbellimenti adornarono [Costantinopoli] e soprattutto una colonna [κίων] circolare di porfido, che la storia dice venuta da Roma e portata nel foro. La colonna era ricoperta da un rivestimento di lastre di marmo [λιθίναις πλαξίν], da cui il suo nome (colonna) ‘rivestita’ [Πλακωτὸν]. Al suo culmine fece erigere una statua [ἄγαλμα] in bronzo, meraviglia a vedersi per la tecnica e la grandezza. Questa era incredibile [πελώριον] e quella dimostrava la precisione, come ispirata [ἔμπνοα], di una mano antica che la forgiò con cura. Si dice che la statua fosse di Apollo e venisse dalla città frigia di Ilio76. Questo divinissimo imperatore [ὁ θειότατος αὐτοκράτωρ] donò alla statua il suo proprio nome e adattò sulla sua testa alcuni dei chiodi [ἥλων] che avevano fissato il corpo del nostro Salvatore sulla Croce salvifica [σωτηρίῳ σταυρῷ]. Essa [la statua] era esistita fino ad oggi, in piedi sulla colonna. Ma durante il regno di Alessio Comneno cadde a causa di una forte raffica di vento. Si ruppe e schiacciò molti passanti che erano lì77.
Sembra di poter cogliere nella prosa di Giovanni Zonara un contrasto tra l’eccellenza di Costantino, che adorna la sua nuova capitale con gli splendori del glorioso passato di Troia e di Roma e trasforma Apollo in Cristo, segnando così la continuità dell’Impero, e il funesto presagio che si verifica durante il regno del primo Comneno, quando pare che questa eredità si sia persa. La lettura dei contemporanei indica ancora la centralità della figura di Costantino nell’immaginario collettivo, anche se le menzioni specifiche non sono numerose. Basti pensare al caso di Michele Glica, nato verso il 1130 e morto dopo il 1164, che compone una Cronaca (Βίβλος χρονική o Annales)78 che giunge fino alla morte di Alessio I (1118). Il regno di Costantino è trattato all’inizio della quarta e ultima parte, dedicata all’Impero cristiano79. Nella sua compilazione Glica si serve di Giovanni Scilitze, Giovanni Zonara, di cui adotta la prospettiva anticomnena, e Costantino Manasse. A proposito di Costantino, Michele Glica presenta un breve passo sul battesimo80.
Poeta alla corte della sebastokratorissa Irene Comnena e dell’imperatore Manuele I (1143-1180), Costantino Manasse, nato verso il 1130 e morto intorno al 118781, è autore di varie opere di poesia, tra cui una Sinossi cronologica in versi (Χρονικὴ σύνοψις o Breviarium Chronicum)82, che va dalla Creazione all’ascesa al trono di Alessio I nel 1081. Nella composizione della Sinossi cronologica, egli s’ispira alla Cronaca del suo contemporaneo Giovanni Zonara. L’interesse del suo scritto, comunque, risiede più nel valore poetico usualmente attribuitogli che nel contributo storiografico apportato.
Nel paragrafo dedicato al regno di Costantino, il nome del sovrano è per due volte accompagnato dall’epiteto, ormai tradizionale, «il Grande» (v. 2284 e v. 2330: ὁ μέγας Κωνσταντῖνος). Anche l’appellativo di «vincitore» (v. 2284: νικητής) serve a identificare immediatamente il personaggio. Più interessante, e relativamente originale, è il passo in cui Costantino, impegnato a individuare il sito preciso in cui fondare Costantinopoli, viene definito «guidato da Dio» (v. 2314: θεοφόρητος). Nello stesso passo, è anche chiamato «imperatore per antonomasia» (v. 2314: αὐτάναξ), per sottolineare le due componenti, umana e divina, della sua azione. Infine, all’approssimarsi della morte, appare «serenissimo» (v. 2330: γαληνότατος).
Non sorprende che Manasse si concentri, per il resto, su due temi principali: anzitutto il trionfo del cristianesimo nell’ambito dell’Impero (vv. 2298-2304):
E l’imperatore e unico sovrano [μονοκράτωρ] Diventa il rampollo dell’augusto regno di Cristo,
Il primo degli imperatori legato a Cristo legittimamente.
Distrusse gli altari, chiuse i templi
In cui i pagani [῾Έλληνες] compivano i loro sacrifici per i demoni.
E dei sacrifici vergognosi, dei riti sordidi,
E di ogni infamia decretò la fine.
Poi la fondazione di Costantinopoli (vv. 2319-2326):
E lì ha costruito la «Città della Gioia» [ὀλβιόπολιν],
La città immensa [μεγαλόπολιν], la Nuova Roma [τὴν νέαν ‘Ρώμην],
Una Roma senza una ruga, che non potrà mai invecchiare,
Una Roma eternamente giovane e nuova,
Una Roma su cui piovono i fiocchi delle Grazie.
La terra l’abbraccerà, il mare la ospiterà,
Le braccia dell’Europa la stringono dolcemente
E la bocca dell’Asia ricambia con un bacio.
Eustazio e l’espugnazione di Tessalonica
Un altro importante intellettuale bizantino vissuto in età comnena fu Eustazio, metropolita di Tessalonica, morto intorno al 1193/119883. Grande studioso e scrittore, erudito e filologo, libellista e storico, particolarmente noto per i suoi commenti all’Iliade e all’Odissea, fu testimone nel 1185 della cattura e del saccheggio di Tessalonica da parte delle truppe di Guglielmo II di Sicilia. Il resoconto della vicenda (῾Ιστορία τῆς ἁλώσεως τῆς Θεσσαλονίκης o De capta Thessalonica)84, di particolare vivacità storica, presenta due menzioni di Costantino. La prima riguarda Andronico I Comneno:
[Andronico] non era nemmeno giusto, come tutti gli eventi successivi hanno dimostrato. Era custode dell’eredità [κληρονομία] di Costantino il Grande, ma allo stesso tempo, sotto l’influenza del suo entourage, dei paflagoni, arrogante e barbarica razza fra i greci, si scagliò contro i latini85.
Eustazio, sia pure ellitticamente, contrappone la saggezza che Andronico avrebbe dovuto avere, in quanto successore del primo imperatore sul trono di Bisanzio, all’irrazionalità e all’arroganza sconsiderate che lo portarono a perseguire una politica violentemente antilatina. L’eredità (κληρονομία) costantiniana si sottintende perduta, e ciò spiega in filigrana la fine prossima di Andronico e l’ascesa al trono di Isacco II Angelo.
La seconda menzione, ancora più cursoria, riguarda la consorte di Guglielmo di Sicilia, citata, nel contesto di una storia di ritorsione reciproca tra greci e latini, quale «discendente di Costantino il Grande» (88,6: τὴν τοῦ Σικελοῦ τῆς τοῦ Μεγάλου Κωνσταντίνου).
Niceta Coniata, nato verso il 1155 e morto il 121786, iniziò la sua carriera come segretario imperiale, raggiunse poi una posizione di prestigio con gli Angeli, ma cadde repentinamente in disgrazia sotto Alessio V Ducas Murtzuflo (Mourtzouphlos), in quanto direttamente coinvolto nello choc collettivo causato dall’invasione di Costantinopoli con cui culminò la quarta crociata. Insieme con Michele Psello e Anna Comnena, è giudicato il massimo storico e intellettuale di età mediobizantina. La sua fondamentale Storia (Χρονικὴ διήγησις o Historia)87 in 21 libri, che costituisce sul piano cronologico la prosecuzione dell’Alessiade di Anna Comnena e delle narrazioni di Zonara, Manasse e Glica, copre il periodo che va dall’avvento di Giovanni II (1118) alla spedizione di Enrico di Fiandra contro i bulgari (1206).
All’interno della sua intensa, drammatica e per altri versi impressionante narrazione, Niceta ricorda alcune ‘reliquie costantiniane’ e narra il loro destino nei difficili frangenti che precedono l’ingresso dei crociati a Costantinopoli. Il primo brano descrive l’ascesa al potere di Isacco II Angelo (1185), dopo il regno di terrore instaurato dal predecessore Andronico I Comneno (1183-1185):
Davanti a una grande folla raccoltasi spontaneamente, Isacco fu proclamato imperatore titolare [βασιλεὺς αὐτοκράτωρ] dei romani. Uno dei sacerdoti prese sull’altare [τραπέζης τῆς μυστικῆς] la corona [στέφος] di Costantino il Grande, scese le scale e l’aggiustò sulla testa di Isacco88.
La corona di Costantino il Grande, conservata sull’altare di Santa Sofia, garantisce qui l’intronizzazione del nuovo imperatore, in una situazione in cui i ruoli sono invertiti, in quanto l’oppressore (Andronico) perde il potere e la vita mentre al trono ascende il cugino, da lui inizialmente condannato (Isacco). Come nella tradizione romana, a proclamare l’imperatore è il popolo, mentre il rappresentante religioso si limita a ratificarne la volontà. Si ritrova qui, materializzata dalla presenza di una ‘reliquia costantiniana’, l’idea che la legittimazione degli imperatori bizantini, soprattutto nei momenti di conquista violenta del potere, venga decretata da una riaffermazione del legame stabilito con il primo imperatore.
Durante il regno di Alessio III Comneno (1195-1203) neanche i simboli dell’Impero sono più al sicuro. Tutto ciò che in città è prezioso viene requisito e impiegato come moneta di scambio, o come moneta in senso proprio, visto che le fonderie e le zecche funzionano a pieno ritmo, per cercare di ritardare la minaccia di un’invasione dei crociati: «Nemmeno il sarcofago di Costantino il Grande sarebbe sfuggito al profanante saccheggio [imperiale] se i ladri, anticipando l’ordine dell’imperatore, non avessero già portato via la decorazione d’oro che lo circondava»89.
Niceta Coniata evidenzia il declino del prestigio imperiale bizantino. Un oggetto che avrebbe dovuto costituire per ogni imperatore una delle reliquie più preziose, un vettore di carisma capace di garantire la continuità della funzione autocratica, viene ormai valutato solo per la sua decorazione in metallo prezioso, a questo punto commerciabile; e il paradosso è che a impedire al princeps dello Stato di commettere quest’ultimo sacrilegio è solo la gretta e bassa astuzia dei ladri.
La presa di Costantinopoli da parte delle truppe occidentali della Quarta Crociata, il 12 e 13 aprile 1204, segna una svolta anche nella storiografia di Bisanzio. La figura di Costantino non è più d’attualità nell’Impero latino di Costantinopoli, né nei tre Imperi greci frammentati di Nicea, Epiro e Trebisonda. Il riferimento costantiniano, assente nel XIII secolo90, affiora di nuovo nel secolo successivo, per tornare d’attualità nel XV secolo: esso può ridursi, ma non scompare mai, e accompagna Bisanzio sino alla fine dell’Impero.
Il grande studioso Niceforo Gregora, nato verso il 1295 e morto nel 136091, è noto soprattutto per il ruolo rivestito nella polemica palamita che si sviluppò sullo sfondo della guerra civile. Fu amico del futuro imperatore Giovanni VI Cantacuzeno, prima che le lotte sull’esicasmo li vedessero su fronti opposti. A lui va attribuito anche il metodo di calcolo della data della Pasqua, adottata solo 250 anni più tardi, nel 1582, insieme con il calendario gregoriano ancor oggi in vigore. La sua monumentale Storia romana (῾Pωμαικὴ ἱστορία o Historia Romana)92, scritta mentre era nel monastero di San Salvatore in Chora, conta 37 libri, nei quali si raccontano le vicende comprese tra la conquista di Costantinopoli da parte dei crociati (1204) e una prima parte del regno di Giovanni V Paleologo (1359).
Costantino è menzionato solo cinque volte in tutta la Storia romana di Niceforo Gregora. La prima volta l’autore evoca, in maniera peraltro consueta, «Costantino, il più grande dei re, che si convertì dall’adorazione per i falsi dei all’adorazione per il vero Dio, così da essere il più grande di tutti i re della terra» (3,104,2-5). Le altre quattro menzioni riguardano Costantinopoli. Si esprime «lo stupore di qualcuno venuto a sapere che la città di Costantino, la grande meraviglia del mondo, è stata presa senza difficoltà da 800 uomini» (1,87,2-3). Si piange su Costantinopoli, che «Costantino il Grande fondò a Bisanzio e che diventò una grande e nuova Roma» (1,164,19-20), sulla «regina delle città (τῆς βασιλίδος τῶν πόλεων), che Costantino il Grande una volta fondò in questo luogo» (1,169,18-19); si ricorda «l’imperatore Costantino il Grande, che edificò le sue mura e mescolò la grandezza di Roma con l’Impero e donò alla Chiesa la sua preminenza» (2,697,15-18). La nostalgia per la città perduta e riconquistata sembra mescolarsi a una coscienza storica accresciuta dalle vicende del mondo contemporaneo. La città ha rischiato di essere persa per sempre da coloro che l’avevano fondata e di rimanere in mano ai nemici. È il mito della Roma eterna che lì è stato rotto, e gli storici successivi al 1204 ne sono ormai ben consapevoli.
È un altro punto di vista, quello offerto da Giovanni VI Cantacuzeno (nato verso il 1295 e morto nel 1383, imperatore dal 1347 al 1354) nei quattro libri della sua Storia93, che narra gli eventi del periodo 1320-1356. Si tratta di un tentativo di autogiustificazione della propria azione tanto politica quanto religiosa, scritto dall’autore dopo essersi ritirato a vita monastica, prima di andare a morire a Mistra presso la corte di suo figlio, il despota Manuele.
Giovanni Cantacuzeno si propone di offrire una rappresentazione generale dello sviluppo storico dell’Impero, «dal tempo di Costantino il Grande fino agli imperatori dei romani di oggi» (2,53,12-3: ἀπὸ γὰρ τῶν Κωνσταντίνου τοῦ μεγάλου χρόνων ἄχρι νῦν τοῖς ῾Pωμαίων βασιλεῦσι). Ha inoltre cura di fornire un resoconto della topografia costantiniana ancora presente nella capitale, in particolare di quella concernente le prigioni arredate nel vecchio «palazzo di Costantino il Grande» (2,299,11-12, 2,537,22-23, 2,542,20; 2,546,1). Tre passi sono di particolare importanza. Il primo riguarda le circostanze della sua incoronazione, insieme con la consorte Irene di Bulgaria, per mano del patriarca di Gerusalemme, a Adrianopoli, nel 1346: «decise di essere incoronato alla maniera degli imperatori [...] a maggio, in memoria di Costantino il Grande e di sua madre Elena, sovrani pari agli apostoli (τῶν ἰσαποστόλων)»94.
Il giorno scelto, il 21 maggio, festa dei santi Costantino ed Elena, assume dunque un significato del tutto particolare, specie per i riferimenti all’ideologia costantiniana che esprime. In primo luogo Giovanni VI Cantacuzeno e Costantino sono associati dal fatto di salire al trono in un contesto di guerra civile. In secondo luogo, la scelta della data, in base alla continuità dell’idea imperiale presente a Bisanzio, è un modo per affermare e confermare la legittimità del proprio potere. Giovanni VI Cantacuzeno sa bene che Costantino, nella concezione tradizionale bizantina ancora valida al suo tempo, è tanto il primo nella linea degli imperatori quanto colui che ha stabilito il cristianesimo. Non senza ragione lo presenta quindi esplicitamente come il modello morale che ogni imperatore deve seguire:
«Bisogna ricordarsi dei costanti [διηνεκοῦς] esempi di bontà compiuti dai servitori [λατρεύουσι] del Cristo, come questo grande re che porta in sé la bontà [χρηστότητα] di Costantino il Grande»95.
L’autore menziona anche quelli che si comportano:
a imitazione [κατὰ μίμησιν] di Dio che governa l’universo [...] tutti coloro che sono mossi dal soffio divino [πνεύματι θεοῦ] in tutte le loro azioni; così furono Davide e Costantino il Grande tra gli imperatori e tutti coloro che seguono il loro virtuoso [ἀρετήν] esempio. Vorrei certamente consigliare coloro che non sono tali da desistere anche dal primo tentativo. Essi inizialmente non commettono ingiustizie tanto gravi quanto pensano di beneficiare di tutte, e ingannano se stessi, se considerano come dei beni l’orgoglio [τρυφήν], la codardia [βλακείαν] e qualsiasi pigrizia [ῥᾳθυμίαν] in contrasto con la vita96.
Giovanni VI Cantacuzeno presenta la sua azione politica come guidata dall’esempio di Costantino, che a sua volta ha avuto per modello Cristo, quasi si tratti di una filiazione che si trasmette a ogni anello di quella catena ininterrotta che è il susseguirsi degli imperatori bizantini. Anche se in maniera assai episodica97, il riferimento costantiniano perdura nel XIV secolo: nei termini della memoria di un passato glorioso, per lo storico Niceforo Gregora; in tono molto più personale, per l’imperatore Cantacuzeno.
Michele Duca, nato verso il 1400 e morto dopo il 1462, è l’ultimo storico bizantino che evoca la figura di Costantino il Grande98. Testimone della caduta di Costantinopoli nel 1453, fugge a Lesbo, dove poi si impiega in missioni diplomatiche con l’impero ottomano. La sua Storia (Historia turcobyzantina)99, che copre il periodo 1341-1462, viene di fatto a proseguire quelle di Niceforo Gregora e Giovanni VI Cantacuzeno, e a completare quelle di Giorgio Sfranze e Laonico Calcondila. Il regno di Costantino è brevemente accennato nel capitolo introduttivo (1,5,1-4). Vi è anche una indicazione sulla topografia costantiniana della capitale bizantina, questa volta in relazione alla chiesa di S. Mocio «costruita dall’imperatore Costantino il Grande» (13,3,8-9). Costantino appare un’ultima volta come simbolo dell’Impero, proprio quando cade la città:
Tutti sono fuggiti nella Grande Chiesa, ma perché? Da lungo essi [gli abitanti di Costantinopoli] ascoltavano le bugie dette loro, che dicevano che la città sarebbe caduta in mano ai turchi e che essi sarebbero entrati in forza e avrebbero massacrato i romani sino alla Colonna di Costantino il Grande [ἄχρι τοῦ Κίονος τοῦ Μεγάλου Κωνσταντίνου]. Poi un angelo [ἄγγελος] sarebbe sceso dal cielo con una spada [ῥομφαίαν], con la quale avrebbe trasmesso la regalità a un anonimo che in quel momento si sarebbe trovato vicino alla colonna [ἀνωνύμῳ τινὶ ἀνδρὶ εὑρεθέντι τότε ἐν τῷ κίονι ἱσταμένῳ], dicendo queste sole parole: «Prendi questa spada e vendica il popolo del Signore». Allora i turchi sarebbero tornati indietro e i romani, massacrandoli, li avrebbero cacciati fuori della città, lontano dalle regioni dell’Occidente e del Levante, fino ai confini della Persia, in un luogo chiamato Monodendrio100.
Scritto dopo la caduta di Costantinopoli, questo racconto mostra la consapevolezza che le profezie non sono altro che falsità dette alla popolazione assediata.
La colonna di Costantino101 è un monumento, nel senso forte di ‘segno della memoria’, che attraversa tutta l’età bizantina (Scilitze Continuato l’aveva menzionata in relazione al fulmine e Giovanni Zonara in relazione al vento). Manuele I Comneno aveva poi restaurato la colonna, ora sormontata da una croce. Essa tiene il ruolo dell’ultimo luogo di una possibile redenzione, collegata sino alla fine alla figura del primo imperatore, che l’aveva consacrata l’11 maggio 330. La spada doveva designare il successore di Costantino come prossimo salvatore dell’Impero. Duca sogna un’altra fine, quella inversa, in cui i bizantini sarebbero stati vittoriosi e i turchi cacciati via dai confini di un impero cristiano ristabilito. Duca dedica a Costantinopoli una preghiera straziante, al modo della monodia:
O città, città, capitale di tutte le città! O città, città, centro delle quattro parti del mondo! O città, città, orgoglio dei cristiani e distruzione per i barbari! [...] Dove sono le reliquie dei santi? Quelle dei martiri? Dove sono i resti di Costantino il Grande e degli altri imperatori? Dove sono le tue strade, le tue passeggiate, i tuoi crocevia, i tuoi campi, le tue vigne, l’abbondanza delle tue reliquie di santi, i tuoi corpi di nobili e di contadini, di laboriosi e di fannulloni?102
Nella storiografia bizantina, la figura di Costantino è stata impiegata per definire questioni coeve agli scrittori che ne trattano, ma sempre con l’idea che egli incarnasse l’esempio dell’imperatore pio e vittorioso grazie al sostegno offertogli da Dio. La fondazione della città e la sua conversione sono temi messi in secondo piano, assieme ad altri dettagli della sua storia, forse perché troppo presenti nella cultura bizantina. Per questo motivo l’impiego del mito di Costantino nella storiografia bizantina rivela non solo la ricezione del primo imperatore bizantino, ma anche la sua successiva interpretazione nei termini di ‘pio’ e ‘vittorioso’.
1 Oltre alle fonti specifiche di volta in volta citate in questo saggio, occorre considerare talune collezioni generali, come il Corpus Scriptorum Historiae Byzantinae (CSHB), Bonn 1828-1897, e il Corpus Fontium Historiae Byzantinae (CFHB), var. loc. 1967-, di cui alcune serie includono una traduzione. Per la periodizzazione cronologica e per un riassunto sintetico e critico delle fonti all’inizio di ogni capitolo rimane essenziale G. Ostrogorsky, History of the Byzantine State, 3rd revised ed., New Brunswick (NJ) 1969, da completare con S. Ronchey, Lo Stato bizantino, Torino 2002, con dati bibliografici aggiornati, pp. 181-248. Per un comodo riepilogo delle fonti principali, si vedano Le monde byzantin, II, L’Empire byzantin (641-1204), sous la direction de J.-C. Cheynet, Paris 2006, pp. X e XII-XIII (trad. it. Il mondo bizantino, II, L’Impero bizantino [641-1204], a cura di J.-C. Cheynet, S. Ronchey, T. Braccini, Torino 2008, pp. XXIV e XXVI-XXVII); Le monde byzantin, III, L’Empire grec et ses voisins XIIIe-XVe siècle, sous la direction de A. Laiou, C. Morrisson, Paris 2011, pp. XI-XII e XV-XVI. Per una sintesi aggiornata dello status quaestionis e una presentazione pedagogica delle fonti scritte da storici bizantini (limitata agli autori greci), cfr. É. Malamut, G. Sidéris, Le monde byzantin. Économie et société (milieu VIIIe siècle-1204), Paris 2006, pp. 5-16 e 57-62. La letteratura secondaria è abbondante. Si citano qui soltanto alcuni libri importanti per la definizione del soggetto: come strumenti generali, l’Oxford Dictionary of Byzantium, New York-Oxford 1991, e la New Cambridge Medieval History, Cambridge 1995-2005; per il genere storiografico bizantino, H. Hunger, Die hochsprachliche profane Literatur der Byzantiner, München 1978, I, pp. 257-504, e J. Karayannopulos, G. Weiss, Quellenkunde zur Geschichte von Byzanz (324-1453), Wiesbaden 1982.
2 Chronicon Paschale, ed. Dindorf, Bonn 1832.
3 J. Beaucamp, La Chronique pascale. Le temps approprié, in Le temps chrétien de la fin de l’Antiquité au Moyen Âge: IIIe-XIIIe siècles, éd. par J.-M. Leroux, Paris 1984, pp. 451-468.
4 Chron. Pasch. pp. 16,15-17,4 ed. Dindorf.
5 Chron. Pasch. pp. 516-532 ed. Dindorf.
6 Chron. Pasch. pp. 517,21-518,2 ed. Dindorf.
7 Chron. Pasch. p. 520,13-18 ed. Dindorf.
8 Chron. Pasch. p. 521,8-11 ed. Dindorf.
9 Chron. Pasch. p. 525,19-22 ed. Dindorf.
10 Chron. Pasch. pp. 529,11-530,16 ed. Dindorf.
11 Chron. Pasch. p. 529,12-19 ed. Dindorf.
12 Chron. Pasch. p. 530,12-16 ed. Dindorf.
13 Per lo status della città si veda C. Morrisson, Le monde byzantin, I, L’Empire Romain d’Orient (330-641), sous la direction de C. Morrisson, Paris 2004, in partic. cap. VI, La Capitale (trad. it. L’Impero romano d’Oriente (330-641), in Il mondo bizantino, I, a cura di C. Morrisson, S, Ronchey, T. Braccini, Torino 2007, in partic. cap. VI, La capitale).
14 W.E. Kaegi, Heraclius Emperor of Byzantium, Cambridge 2003.
15 Giorgio di Pisidia è famoso per essere stato il primo a utilizzare il trimetro giambico per trattare soggetti di poesia epica (tradizionalmente in esametri): cfr. R. Romano, Teoria e prassi della versificazione: il dodecasillabo nei Panegirici epici di Giorgio di Pisidia, in Byzantinische Zeitschrift, 78 (1985), pp. 1-22.
16 Per il riferimento al fuoco come simbolo della religione dei maghi zoroastriani, si veda Geo. Pis., In Restit. 58-59: οὐ κεκρυμμένον μόνον, / ἀλλ᾿ εἰς καμίνους Περσικὰς ἀφιγμένον.
17 A. Frolow, La vraie Croix et les expéditions d’Héraclius en Perse, in Revue des Études Byzantines, 11 (1953), pp. 88-105; Id., La relique de la vraie Croix: recherches sur le développement d’un culte, Paris 1961.
18 F.C. Conybeare, Antiochus Strategos. The Capture of Jerusalem by the Persians in 614 AD, in English Historical Review, 25 (1910), pp. 502-517. Per la questione delle reliquie offerte ai bizantini si veda W. Kaegi, Heraclius, cit., p. 189.
19 Giorgio di Pisidia, Poemi, I, Panegirici epici, a cura di A. Pertusi, Ettal 1959, carm. 6 In restitutionem sanctae crucis, pp. 240-247.
20 Geo. Pis., carm. 6,47-63, pp. 242-245, trad. it. Pertusi.
21 M. Gigante, Per l’interpretazione della Restitutio Crucis di Giorgio di Pisidia, in La Parola del Passato, 30 (1975), pp. 371-372.
22 Geo. Pis., carm. 6,73-78, pp. 244-245, trad. it. Pertusi.
23 C. Mango, Deux études sur Byzance et la Perse Sassanide. II. Héraclius, Sahrvaraz et la Vraie Croix, in Travaux et Mémoires, 9 (1985), pp. 105-118.
24 Chron. Pasch, p. 32 ed. Dindorf.
25 Theophanis chronographia, ed. C. de Boor, Lipsiae 1883 (rist. Hildesheim 1963); C. Mango, R. Scott, R. Greatrex, The Chronicle of Theophanes Confessor: Byzantine and Near Eastern History AD 284-813, Oxford 1997.
26 The Chronography of George Synkellos: a Byzantine Chronicle of Universal History from the Creation, ed. by W. Adler, P. Tuffin, Oxford 2002.
27 C. Mango, Who Wrote the Chronicle of Theophanes?, in Zborknik Radova Vizantinološkog Instituta, 18 (1978), pp. 9-18; A. Kazhdan, Theophanes the Confessor, in Oxford Dictionary of Byzantium, cit., p. 2063.
28 Theoph. Conf., Chron. pp. 5-53, ed. De Boor.
29 Theoph. Conf., Chron. p. 14,24-28, ed. De Boor.
30 Per una storia della dottrina delle energie si veda J.-C. Larchet, La théologie des énergies divines: des origines à Saint Jean Damascène, Paris 2010.
31 Theoph. Conf., Chron. p. 20,7-11, ed. De Boor.
32 Theoph. Conf., Chron. p. 23,22-27, ed. De Boor.
33 Theoph. Conf., Chron. p. 25,28-30, ed. De Boor.
34 C. Mango, Studies in Constantinople III, Aldershot 1993, in partic. cap. III, Constantine’s column, pp. 1-6.
35 Recherches sur la Chronique de Jean Malalas, actes du Colloque La Chronique de Jean Malalas: genèse et transmission (Aix-en-Provence 21 et 22 mars 2003), éd. par J. Beaucamp, Paris 2004.
36 Questa denominazione fu scelta da Spyridon P. Lampros, il primo editore di una serie di brevi notizie disperse sui margini e sulle pagine bianche di alcuni manoscritti a partire del X secolo. L’edizione è quella dei Chronica byzantina breviora. Die byzantinische Kleinchroniken, hrsg. von P. Schreiner, Wien 1975-1979.
37 P.J. Alexander, The Patriarch Nicephorus of Constantinople, Oxford 1958.
38 Nicephori archiepiscopi Constantinopolitani opuscula historica, ed. C. de Boor, Lipsia 1880 (rist. 1975), pp. 81-135.
39 Georgii monachi Chronicon, ed. C. de Boor, Lipsia 1904 (rist. 1978) (I ed. cur. P. Wirth); P. Odorico, Excerpta di Giorgio Monaco nel cod. Marc. gr. 501 (= 505), in Jahrbuch der Österreichische Byzantinistik, 32 (1982), pp. 39-48.
40 D. Afinogenov, The Date of Georgios Monachos Reconsidered, in Byzantinische Zeitschrift, 92 (1999), pp. 437-447.
41 Georgii monachi Chronicon, cit., pp. 489-534.
42 Georgii monachi Chronicon, cit., pp. 489,23-490,12.
43 Symeonis Magistri et Logothetae Chronicon, ed. S. Wahlgreen, Berlin 2006 (CFHB 46,1).
44 M.-H. Congourdeau, Syméon Métaphraste, in Dictionnaire de Spiritualité, 14 (1990), cc. 1383-1387.
45 Theophanes continuatus, Joannes Cameniata, Symeon Magister, Georgius Monachus, ed. I. Bekker, Bonn 1838 (CSHB), 84,16-90,2.
46 Nella cosiddetta Continuazione di Giorgio Monaco o Giorgio Monaco Continuato (Βίοι τῶν νέων βασιλέων o Vitae recentiorum imperatorum), scr. c. 960, si trova una sola menzione di Costantino (809,7).
47 A. Toynbee, Constantine Porphyrogenitus and His World, Oxford 1973.
48 Theophanes Continuatus, Ioannes Cameniata, Symeon Magister, Georgius Monachus, ed. I. Bekker, Bonn 1838 (CSHB): Vita Basilii, pp. 211-353.
49 Constantini Porphyrogeniti imperatoris de cerimoniis aulae Byzantinae libri duo, ed. J.J. Reiske, Bonn 1829 (CSHB).
50 A. Markopoulos, Constantine the Great in Macedonian Historiography: Models and Approaches, in New Constantines, ed. by P. Magdalino, Aldershot 1994, pp. 159-170.
51 Né Giuseppe Genesio (X secolo), né Leone Diacono (X secolo) accennano a Costantino.
52 Psellos, Chronographie ou Histoire d’un siècle de Byzance (976-1077), éd. par É. Renauld, Paris 1926-1928 (rist. 2006).
53 F. Lauritzen, The Depiction of Character in the Chronographia of Michael Psellos, Turnhout 2013.
54 Michaelis Pselli Historia Syntomos, ed. W.J. Aerts, Berlin-New York 1990 (CFHB. Ser. Berol. 30).
55 Michaelis Pselli Historia Syntomos, cit., 55,50-57.
56 Michaelis Attaliotae historia, ed. I. Bekker, Bonn 1853 (CSHB), rist. Μιχαηλ Ατταλειατης, Ιστορια, ed. Ι. Πολεμης, Αθήνα 1997, ormai rimpiazzata da Miguel Ataliates, Historia, ed. y trad. I. Pérez Martín, Madrid 2002; cfr. D. Krallis, Michael Attaleiates and the Politics of Imperial Decline in Eleventh-Century Byzantium, Tempe 2012.
57 A.P. Kazhdan, A. Wharton Epstein, Change in Byzantine Culture in the Eleventh and Twelfth Centuries, Berkeley-Los Angeles-London 1985, p. 105.
58 Michaelis Attaliotae historia, cit., 217,14-23.
59 Ioannis Scylitzae Synopsis Historiarum, ed. H. Thurn, Berlin-New York 1973 (CFHB Ser. Berol. 5); Jean Skylitzès, Empereurs de Constantinople, trad. fr. B. Flusin et notes par J.-C. Cheynet, Paris 2003.
60 V. Tsamakda, The Illustrated Chronicle of Ioannes Skylitzes, Leiden 2002.
61 Ioannis Scylitzae Historiarum (et al) cit., 2,10.
62 ῾Hσυνέχεια τῆς χρονογραφίας τοῦ ᾿Iωάννου Σκυλίτση, ed. E.T. Tsolakes, Thessalonica 1968.
63 Per questa e altre indicazioni sulla Colonna di Costantino e le sue vicissitudini, ci si può riferire alla bibliografia aggiornata fornita in S. Ronchey, T. Braccini, Il romanzo di Costantinopoli, Torino 2010, pp. 887-911.
64 Nicéphore Bryennios, Histoire, éd. par P. Gautier, Bruxelles 1975 (CFHB Ser. Bruxel. 9).
65 Ivi, 9,18-26.
66 G. Buckler, Anna Comnena, Oxford 1929.
67 Annae Comnenae Alexias, ed. A. Kambylis, D.R. Reinsch, Berlin-New York 2001 (CFHB Ser. Berol. 40.1).
68 Ivi, 14,8,8,9-17.
69 I. Grigoriadis, Linguistic and Literary Studies in the ‘Epitomê Historiôn’ of John Zonaras, Thessalonica 1998.
70 Ioannis Zonarae Epitome historiarum, ed. Dindorf, Lipsia 1868-1870; i dodici primi libri sono stati tradotti recentemente da T. Banchich, E. Lane, The History of Zonaras from Alexander Severus to the Death of Theodosius the Great, London 2009.
71 Ioannis Zonarae Epitome historiarum, cit., 13,1,1-27,6.
72 Ivi, 13,1,1-5.
73 Ivi, 13,4, 2-10.
74 Ivi, 22,15-23,4.
75 Importante è la descrizione che della stessa colonna fa Giovanni Scilitze: un passo fondamentale per la storia del monumento.
76 Sulla traslazione del palladio a Costantinopoli da parte di Costantino, cfr. Malal., Chron. 13,7,16-19, ed. Thurn: ὁ δὲ αὐτὸς Κωνσταντῖνος ἀφελόμενος ἀπὸ ῾Ρώμης κρύφα τὸ λεγόμενον Παλλάδιον ξόανον ἔθηκεν αὐτὸ εἰς τὸν ὑπ’ αὐτοῦ κτισθέντα φόρον ὑποκάτω τοῦ κίονος τῆς στήλης αὐτοῦ, ὥς τινες λέγουσιν τῶν Βυζαντίων, ὅτι ἐκεῖ κεῖται.
77 Ioannis Zonarae Epitome historiarum, cit., 13,18,1-16.
78 Michaelis Glycae annales, ed. I. Bekker, Bonn 1836 (CSHB).
79 Ivi, 460,1-468,14.
80 Glyc., Annal. 466,21-467,21, dove ci si serve della storia del monaco Alessandro sulla riscoperta della croce (PG 87.3, cc. 4016-4076). Giovanni Cinnamo (XII2) non menziona direttamente la figura di Costantino.
81 O. Lampsides, Zur Biographie von Konstantinos Manasses und zu seiner Chronike Synopsis, in Byzantion, 58 (1988), pp. 97-111; P. Magdalino, In Search of the Byzantine Courtier, in Byzantine Court Culture from 829 to 1204, ed. by H. Maguire, Washington D.C. 1997.
82 Constantini Manassis Breviarium Chronicum, ed. O. Lampsides, Atene 1996 (CFHB 36,1).
83 M. Angold, Church and Society in Byzantium under the Comneni, 1081-1261, Cambridge 1995, pp. 179-196.
84 Eustazio di Tessalonica, La espugnazione di Tessalonica, a cura di S. Kyriakidis, Palermo 1961; Eustathios of Salonicco, The Capture of Salonicco, trad. ingl. J.R. Melville-Jones, Canberra 1988.
85 Eustazio di Tessalonica, La espugnazione, cit., 33,32-34,1.
86 A. Simpson, S. Efthymiadis, Niketas Choniates. A Historian and a Writer, Geneva 2009.
87 Nicetae Choniatae historia, pars prior, ed. J. van Dieten, Berlin 1975 (CFHB. Ser. Berol. 11,1).
88 Nicetae Choniatae historia, pars prior, cit., Andron 1 2,345,9-13.
89 Ivi, Alex 3 1,479,8-11.
90 I grandi storici del XIII secolo Niceforo Blemmide, Giorgio Acropolita e Giorgio Pachimere sono degni di nota, in quanto non presentano alcuna diretta e specifica menzione della persona di Costantino. Questo fenomeno è da interpretare come l’effetto che la caduta della città fondata da Costantino ha avuto anche sugli ambienti culturali del mondo bizantino.
91 R. Guilland, Essai sur Nicéphore Grégoras. L’homme et l’œuvre, Paris 1926.
92 Nicephori Gregorae historiae Byzantinae, ed. I. Bekker, L. Schopen, Bonn 1829-1855 (CSHB).
93 Ioannis Cantacuzeni ex-imperatoris historiarum libri iv, ed. L. Schopen, Bonn 1828-1832 (CSHB); G. Fatouros, T. Krischer, Johannes Kantakuzenos, Geschichte, Stuttgart 1982-1986; cfr. G. Weiss, Joannes Kantakuzenos – Aristokrat, Staatsmann, Kaiser und Mönch – in der Gesellschaftsentwicklung von Byzanz im 14. Jahrhundert, Wiesbaden 1969.
94 Ioannis Cantacuzeni ex-imperatoris historiarum libri, cit., 22,564,10-11; 16-18.
95 Ivi, 3,18,5-7.
96 Ivi, 3,351,16-352,3.
97 Probabilmente a motivo della lontananza da tali preoccupazioni, Costantino non compare nella Cronaca di Michele Panareto (1320 circa-1390), che racconta la storia dell’Impero di Trebisonda dal 1204 al 1426.
98 Gli storici Laonico Calcondila, Giorgio Sfranze e Michele Critobulo non hanno accenni diretti a Costantino.
99 Ducas, Istoria Turco-Bizantina (1341-1462), ed. V. Grecu, Bucarest 1958; Doukas, un historien byzantin du XVe siècle, trad. fr. J. Dayantis, Lille 2008.
100 Ducas, Istoria Turco-Bizantina, cit., 39,18,1-10.
101 Sulla colonna di Costantino si vedano C. Mango, Constantine’s Column, cit., e S. Ronchey, T. Braccini, Il romanzo di Costantinopoli, cit.
102 Ducas, Istoria Turco-Bizantina, cit., 41,2,1-9.