La delega della «riforma Orlando» in tema di esecuzione della pena
La l. 23.6.2017, n. 103 demanda al legislatore delegato la rielaborazione dell’ordinamento penitenziario, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi declinati dall’art. 1, co. 85. Con d.m. 19.7.2017, il Ministro della giustizia Andrea Orlando ha nominato una Commissione per la riforma dell’ordinamento penitenziario nel suo complesso, presieduta dal Prof. Glauco Giostra, incaricata di redigere la bozza di schema di decreto legislativo sulle modifiche al vigente ordinamento penitenziario.
Le scelte di campo operate dal Parlamento evidenziano talune contraddizioni: nel corso della navette parlamentare, infatti, al nucleo originario della delega, di matrice garantistica, sono stati apposti taluni “temperamenti” di sapore securitario. Il riferimento corre soprattutto all’incipit del co. 85, nel quale si stabilisce l’impossibilità di apportare modificazioni all’art. 41 bis ord. penit., nonché alle lett. b) ed e), laddove le previsioni ivi contenute non si applicherebbero ai condannati per i delitti di mafia e di terrorismo.
I diciannove criteri direttivi (ai quali se ne aggiunge uno specificamente dettato in materia di ordinamento penitenziario minorile) possono essere raggruppati in otto settori, dettagliatamente elencati nei paragrafi che seguono.
A questo àmbito è innanzi tutto riconducibile la lett. a)1, la cui ratio è quella di perseguire un’ulteriore semplificazione procedimentale (dopo l’intervento sull’art. 678 c.p.p. operato con il d.l. 23.12.2013, n. 146), con l’obiettivo di rendere più reattiva ed efficace la risposta della magistratura di sorveglianza2. Fermo l’ultimo divieto (“fatta eccezione”), gli unici procedimenti astrattamente suscettibili di contrazione procedimentale sembrerebbero essere quelli di concessione delle misure alternative alla detenzione, nonché di rinvio dell’esecuzione. Trattasi, però, di àmbiti in cui il contraddittorio preventivo costituisce una garanzia ineliminabile, in considerazione dell’apporto dei giudici “esperti”, il ruolo dei quali svilirebbe, se svincolato dal contatto diretto con l’interessato. Con riferimento, invece, alla competenza del magistrato di sorveglianza, se sembra da escludere, in ragione della complessità dell’accertamento, l’operatività del procedimento de plano in riferimento ai procedimenti di riesame della pericolosità; di applicazione, esecuzione, trasformazione o revoca di misure di sicurezza; e di ricoveri ex art. 148 c.p., lo stesso non è a dirsi con riguardo alle dichiarazioni di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere, relativamente alle quali la discrezionalità del giudice potrebbe prescindere dal previo contraddittorio. Un settore in cui potrebbe rivelarsi efficace ed opportuno un intervento di semplificazione è quello della liberazione anticipata. Nello specifico, oltre a prevedersi espressamente un’iniziativa officiosa per la concessione del beneficio, potrebbe essere soppressa la previsione dell’obbligatoria richiesta del parere al p.m., al quale residuerebbe comunque il potere di reclamo. In una prospettiva “di sistema”, invece, potrebbe ipotizzarsi la “monocratizzazione” delle competenze del giudice di sorveglianza. Al fine di garantire risposte efficaci alle domande della popolazione detenuta, si potrebbe trasformare il magistrato di sorveglianza quale giudice di primo grado, configurando il tribunale quale “giudice del reclamo”. Lo scopo primario è quello di “raddoppiare” la capacità di risposta alle istanze provenienti dalle persone detenute, attraverso un ruolo più incisivo del magistrato di sorveglianza quale “giudice di prossimità”.
Sempre relativa al procedimento di sorveglianza è la lett. c)3, che impone al legislatore delegato di adeguare (con notevole ritardo) il testo dell’art. 656 a quello dell’art. 47, co. 3-bis, ord. penit., al fine di consentire anche al condannato libero di proporre istanza di affidamento in prova “allargato”, sulla scorta dei recenti arresti della Suprema Corte (Cass. pen., 4.3.2016, n. 37848, in CED rv. n. 267605) e della giurisprudenza di merito (cfr., anche per la questione di legittimità costituzionale, Trib. Lecce, 13.3.2017, n. 45, in G.U., n. 35 del 30.8.2017. Con riferimento, invece, all’effettività del diritto alla presenza dell’interessato nel procedimento di sorveglianza, l’art. 666, co. 4, c.p.p. dovrebbe ribadire, senza eccezioni, il diritto a partecipare alla propria udienza, mentre, per quanto riguarda l’attuazione della pubblicità dell’udienza, la direttiva pare “datata”, alla luce degli insegnamenti di C. cost., 21.5.2014, n. 135 e 5.6.2015, n. 97.
In posizione marginale, infine, si colloca il criterio di cui alla lett. m)4, dal sapore immediatamente precettivo, tendente ad una rimodulazione del consiglio di disciplina5.
La lett. e)6, cardine della riforma7, impone di riesaminare il “doppio binario” penitenziario inaugurato nel 1990-1991 e stabilizzato con il d.l. 8.6.1992, n. 306. I numeri, del resto, sono significativi: alla data del 30.6.2017 solo il 12% dei detenuti definitivi stava scontando pene residue superiori ai dieci anni di reclusione, a fronte di un 28% di condannati ad eguali pene inflitte. È quindi da ritenere che l’onda lunga delle condanne per fatti di criminalità organizzata sia lentamente scemata, sì da rendere plausibile ed opportuna una rimeditazione politico-sistematica dell’art. 4 bis ord. penit. il quale ben potrebbe essere limitato alle sole ipotesi di cui agli artt. 270, 270 bis e 416 bis c.p., in una prospettiva speculare a quella del vigente art. 275, co. 3, c.p.p. In prospettiva correlata, poi, potrebbe essere eliminato il presupposto della collaborazione con la giustizia (con contestuale soppressione dell’art. 58 ter ord. penit.) ed introdotto l’opposto criterio della prova positiva della permanenza dei rapporti tra il detenuto e l’organizzazione criminale al momento della richiesta dei benefici penitenziari. In tale ottica, anche le ipotesi di collaborazione inutile, impossibile ed inesigibile non avrebbero più razionale giustificazione.
In un’ottica di sistema, infine, dovrebbero abrogarsi le preclusioni dagli artt. 47 ter, co. 1-bis e 9-bis, ord. penit., le limitazioni stabilite dall’art. 58 quater, co. 5, ord. penit., nonché, più in generale, il sistema delle “quote espiative maggiorate” legato all’art. 4 bis, ord. penit. (artt. 21, 30 ter, lett. c), 50, co. 2, ord. penit.). Sul versante regolamentare, poi, le abrogazioni parziali degli artt. 38, co. 8 e 39, co. 2, ultimo periodo, reg. es., relative ai detenuti “4-bis”, potrebbero eliminare palesi opzioni retributive in àmbiti trattamentali di fondamentale importanza. In prospettiva correlata, l’abrogazione dell’art. 30 quater, ult. pt. del co. 1 dell’art. 47 ter e del co. 7-bis dell’art. 58 quater ord. penit., completerebbe l’attività di “bonifica” della l. 5.12.2005, n. 251, avviata dopo le riforme post Torreggiani.
Quanto all’ergastolo ostativo, infine, l’affrancamento della liberazione condizionale dai limiti dell’art. 4 bis ord. penit., attraverso l’abrogazione dell’art. 2, co. 1, d.l. 13.5.1991, n. 152, conv. dalla l. 12.7.1991, n. 203, costituirebbe un’importante chance per i condannati a pena perpetua.
Questo rilevante settore è lambito da tre differenti criteri di delega: le lett. i)8, n)9 e r)10. In particolare, la direttiva di cui alla lett. n) impegnerà il delegato nell’introduzione dei cc.dd. “colloqui intimi”, in aderenza a quanto previsto dalle regole penitenziarie europee e dalla Corte costituzionale, mentre la lett. r) recepisce un percorso già da tempo avviato, sul piano organizzativo e culturale, da alcune circolari dell’amministrazione penitenziaria11.
Con riferimento ai collegamenti audiovisivi finalizzati a favorire le relazioni familiari (lett. i), sono state recepite le “buone prassi” sperimentate in alcuni istituti penitenziari, ove i detenuti sono stati autorizzati ad utilizzare Skype per svolgere colloqui con i loro familiari.
Strettamente connesse al tema dei “diritti” si pongono anche le previsioni contenute nelle lett. o) «previsione di norme che favoriscano l’integrazione delle persone detenute straniere» e v) «revisione delle attuali previsioni in materia di libertà di culto e dei diritti ad essa connessi»: trattasi di una vera e propria “linea del fronte” su cui si giocherà il difficile equilibrio tra diritti fondamentali dell’individuo e princìpi fondamentali dell’ordinamento interno12.
Quanto alla tutela delle donne e delle madri in vinculis, il legislatore impone (lett. t) la «previsione di norme che considerino gli specifici bisogni e diritti delle donne detenute» e (lett. s) la «revisione delle norme vigenti in materia di misure alternative alla detenzione al fine di assicurare la tutela del rapporto tra detenute e figli minori e di garantire anche all’imputata sottoposta a misura cautelare la possibilità che la detenzione sia sospesa fino al momento in cui la prole abbia compiuto il primo anno di età»: si richiede, in altri termini, un decisa azione per soddisfare le necessità della donna ristretta, non disgiunta da un rilancio delle varie forme di detenzione domiciliare (artt. 47 ter e 47 quinquies, ord. penit.), al fine di tutelare la prole.
Al fine di colmare lo “scarto” tra teoria e prassi, il legislatore impone (lett. g) di incrementare le opportunità di lavoro retribuito, sia intramurario sia esterno, nonché le attività di volontariato individuale e di reinserimento sociale dei condannati, anche attraverso il potenziamento del ricorso al lavoro domestico e a quello con committenza esterna, aggiornando quanto il detenuto deve a titolo di mantenimento. Del pari, si prevede (lett. h) una maggiore valorizzazione del volontariato sia all’interno del carcere, sia in collaborazione con gli uffici dell’esecuzione penale esterna.
La lett. b) della delega impone la «revisione delle modalità e dei presupposti di accesso alle misure alternative, sia con riferimento ai presupposti soggettivi sia con riferimento ai limiti di pena, al fine di facilitare il ricorso alle stesse, salvo che per i casi di eccezionale gravità e pericolosità e in particolare per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale». L’obiettivo principale è quello di “disincagliare” l’attuale sistema dalle secche di una consolidata prassi caratterizzata da un’eccessiva amministrativizzazione trattamentale, non disgiunta da una pilatesca ipocrisia nella decodificazione degli elementi del trattamento stesso. Quanto al primo profilo, è, infatti, necessario che si pervenga all’affermazione dell’effettività del diritto alla rieducazione. In altri termini, il passaggio alla misura alternativa non dovrà più essere considerato un evento eccezionale, bensì il naturale sviluppo dell’esecuzione penale, ispirato al principio di “progressività trattamentale”. Con riferimento al secondo profilo, invece, i tre capisaldi del trattamento penitenziario, (religione, istruzione e lavoro) richiedono di essere attualizzati: il primo, soprattutto in ragione del multiculturalismo penitenziario; il secondo ed il terzo, alla luce dell’effettività del relativo diritto, talora vanificata dai trasferimenti disposti dall’amministrazione penitenziaria ovvero da circolari dalla stessa emesse. Sul piano “operativo”, in un’ottica di “rilancio” delle alternative alla detenzione, pare comunque imprescindibile: 1) proseguire nell’opera di “bonifica” della l. n. 251/2005, attraverso l’abrogazione degli artt. 30 quater e 58 quater, co. 7-bis, ord. penit.; 2) stimolare le iniziative del consiglio di disciplina (art. 57 ord. penit.) e l’attivazione ex officio per le misure alternative in genere e per la liberazione anticipata in particolare; 3) adottare le azioni necessarie ad assicurare l’accessibilità per tutti i detenuti di una modulistica unica su base nazionale per la formulazione delle istanze; 4) sviluppare modalità di trasmissione telematica delle istanze e della documentazione a corredo delle medesime, prevedendo, all’interno di ogni istituto penitenziario e dell’Uepe, l’individuazione di un referente unico, responsabile del procedimento di trasmissione. Prevedere altresì l’automatico corredo delle istanze con le relazioni comportamentali presenti nella cartella del detenuto, al fine di evitare, per quanto possibile, richieste istruttorie ad hoc; 5) ridurre i tempi dell’istruttoria giurisdizionale, attraverso la previsione che il DAP disponga l’invio per posta elettronica delle sentenze di condanna e di tutta la documentazione utile per la decisione; 6) prevedere uscite dallo Stato temporanee durante l’esecuzione dell’affidamento in prova, quando ciò sia indispensabile per esigenze di lavoro, di studio, di salute o di famiglia; 7) introdurre l’affidamento in prova in casi di disagio psichico o sociale, per intervenire sulla cd. detenzione sociale, di cui fanno parte persone tossico e alcooldipendenti, immigrati e, in minore, ma significativa misura, persone con disagio psichico e sociale. Trattasi, invero, di soggetti con problemi psichiatrici, che non hanno situazioni stabili di vita e di soggetti che hanno perduto o non hanno mai avuto una radicazione sociale; 8) potenziare l’àmbito di operatività degli artt. 146 e 147 c.p. e degli artt. 47 quater e 47 quinquies ord. penit., nonché implementare nuove misure alternative terapeutiche: deve essere affermato il diritto ad una morte dignitosa e libera. La lett. d)13, invece, tende a realizzare l’auspicabile superamento dell’osservazione intramuraria, anche al fine di “supportare” la concessione di misure alternative dallo status libertatis anche per pene di media durata. In tale prospettiva, la delega tende altresì a coinvolgere gli uffici dell’esecuzione penale esterna e a rendere più efficace il sistema dei controlli, anche mediante l’impiego della polizia penitenziaria.
Ampio spazio è dedicato dal legislatore delegante all’«adeguamento delle norme dell’ordinamento penitenziario alle esigenze educative dei detenuti minori di età» (lett. p) ed alla «previsione di attività di giustizia riparativa e delle relative procedure, quali momenti qualificanti del percorso di recupero sociale sia in ambito intramurario sia nell’esecuzione delle misure alternative» (lett. f), per la cui implementazione è stata nominata una Commissione ad hoc, presieduta dal dott. Francesco Cascini. Relativamente, invece, al riordino della medicina penitenziaria (lett. l)14, il Ministro della giustizia ha nominato un’apposita Commissione, presieduta dal Prof. Marco Pelissero, che si occuperà altresì della «revisione del sistema delle pene accessorie improntata al principio della rimozione degli ostacoli al reinserimento sociale del condannato ed esclusione di una loro durata superiore alla durata della pena principale» (lett. u).
La lett. q), infine, criticabile per la sua eccessiva genericità15, impone l’«attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale, al fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell’effettività della funzione rieducativa della pena, presupposto indispensabile perché l’intero ordinamento penitenziario sia pienamente conforme ai princìpi costituzionali, attraverso l’inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale, in particolare i valori della persona umana, e tra questi il principio di uguaglianza, di non discriminazione e di divieto assoluto di ogni forma di sfruttamento a fini di profitto della persona medesima, e i beni della salute, individuale e collettiva, della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico, della salubrità e integrità ambientale, dell’integrità del territorio, della correttezza e trasparenza del sistema economico di mercato».
Il tentativo di riallineare l’ordinamento penitenziario alle coordinate costituzionali e convenzionali richiede un approccio culturale di alto profilo, al fine di realizzare quelle garanzie minime, per troppo tempo postergate in nome della “sicurezza ad ogni costo”. Nondimeno, le contraddittorie scelte politiche evidenziate nel testo definitivo della delega indicano ondivaghe linee d’intervento, che potrebbero condurre a risultati non sempre soddisfacenti in nome della realpolitik.
1 «[S]emplificazione delle procedure, anche con la previsione del contraddittorio differito ed eventuale, per le decisioni di competenza del magistrato e del tribunale di sorveglianza, fatta eccezione per quelle relative alla revoca delle misure alternative alla detenzione».
2 Fiorentin, F., La delega per la riforma dell’ordinamento penitenziario, in Spangher, G., a cura di, La riforma Orlando, Pisa, 2017, 309.
3 «[R]evisione della disciplina concernente le procedure di accesso alle misure alternative, prevedendo che il limite di pena che impone la sospensione dell’ordine di esecuzione sia fissato in ogni caso a quattro anni e che il procedimento di sorveglianza garantisca il diritto alla presenza dell’interessato e la pubblicità dell’udienza».
4 «[P]revisione della esclusione del sanitario dal consiglio di disciplina istituito presso l’istituto penitenziario».
5 Fiorentin, F., La delega, cit., 320.
6 «[E]liminazione di automatismi e di preclusioni che impediscono ovvero ritardano, sia per i recidivi sia per gli autori di determinate categorie di reati, l’individualizzazione del trattamento rieducativo e la differenziazione dei percorsi penitenziari in relazione alla tipologia dei reati commessi e alle caratteristiche personali del condannato, nonché revisione della disciplina di preclusione dei benefici penitenziari per i condannati alla pena dell’ergastolo, salvo che per i casi di eccezionale gravità e pericolosità specificatamente individuati e comunque per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale».
7 Fiorentin, F., op. cit., 315.
8 «[D]isciplina dell’utilizzo dei collegamenti audiovisivi sia a fini processuali, con modalità che garantiscano il rispetto del diritto di difesa, sia per favorire le relazioni familiari».
9 «[R]iconoscimento del diritto all’affettività delle persone detenute e internate e disciplina delle condizioni generali per il suo esercizio».
10 «[P]revisione di norme volte al rispetto della dignità umana attraverso la responsabilizzazione dei detenuti, la massima conformità della vita penitenziaria a quella esterna, la sorveglianza dinamica».
11 Fiorentin, F., op. cit., 322.
12 Fiorentin, F., op. cit., 321.
13 «[P]revisione di una necessaria osservazione scientifica della personalità da condurre in libertà, stabilendone tempi, modalità e soggetti chiamati a intervenire; integrazione delle previsioni sugli interventi degli uffici dell’esecuzione penale esterna; previsione di misure per rendere più efficace il sistema dei controlli, anche mediante il coinvolgimento della polizia penitenziaria».
14 «[R]evisione delle disposizioni dell’ordinamento penitenziario alla luce del riordino della medicina penitenziaria disposto dal decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230, tenendo conto della necessità di potenziare l’assistenza psichiatrica negli istituti di pena».
15 Fiorentin, F., op. cit., 324.