La carriera di un imperatore
Dal fallimento della tetrarchia alla monarchia carismatica
La carriera di Costantino imperatore si sviluppa a partire dal fallimento del sistema tetrarchico e si realizza come affermazione del principio dinastico rispetto al meccanismo di cooptazione ideato da Diocleziano.
La presa del potere di Costantino nel 306 è già una sfida coraggiosa all’autorità dei tetrarchi. Negli anni che vanno dal 306 al 311, egli si muove con prudenza per consolidare la sua posizione nelle Gallie ed evitare conflitti.
Dopo la morte di Galerio nel 311, Costantino passa all’azione: in questa fase della sua carriera si presenta come portatore di un nuovo modello di basileia contro colui che le fonti a lui favorevoli presentano come il tiranno di Roma, Massenzio, che è eliminato nel 312; e poi, contro il cosiddetto tiranno d’Oriente, Licinio. Il 324 è l’anno della svolta.
Dopo il trionfo su quest’ultimo, Costantino rimane sovrano unico dell’Impero romano: vincitore dei tyranni e custode di un potere assoluto. Tra il 324 e il 337 l’imperatore afferma in maniera definitiva la radice carismatica della sua autorità. Il potere è un dono della divinità: una divinitas che, nonostante la conversione del principe al cristianesimo, i suoi sudditi possono comunque interpretare in maniera ambivalente. È un’idea che Costantino formula già nel 310, al momento della rottura con la tetrarchia; e che gli è confermata dalla formidabile sequenza di vittorie sui suoi nemici fino al 324, e oltre1.
Flavio Valerio Costantino nasce in Illirico, a Naissus (oggi Niš), nella provincia della Moesia superiore. Data di nascita probabile, ma non sicura – come altri aspetti della sua biografia e carriera – è il 27 febbraio 272 o 2732. Costantino è il figlio primogenito di Flavio Valerio Costanzo, ufficiale della guardia imperiale (protector), che in quegli anni sta percorrendo una fortunata carriera al servizio degli imperatori-soldati. Elena, sua madre, è di origini modeste. Le fonti non concordano sulla natura del vincolo che unisce i suoi genitori: forse Elena è semplicimente concubina di Costanzo; forse ne è moglie legittima, prima del suo secondo matrimonio con Teodora, figlia del tetrarca Massimiano. Costantino, che sulla discendenza da Costanzo fonda la legittimità del suo potere, afferma da sempre che sua madre Elena è moglie legittima di Costanzo, giungendo a proclamarla Augusta dopo il trionfo su Licinio nel 3243.
Al seguito di suo padre Costanzo Cloro, Costantino si forma nelle fatiche della vita militare. Il primo marzo 293 Costanzo è nominato Cesare dall’Augusto Massimiano; probabilmente nello stesso anno ha inizio la carriera da ufficiale di Costantino. Prende servizio come tribuno fra gli stretti collaboratori di Galerio, Cesare in Oriente. Trascorre i primi anni impegnato tra la frontiera del Danubio, il confine d’Oriente e la corte di Diocleziano e di Galerio. A giudicare dalle fonti, la sua carriera in questo periodo è quella tipica degli ufficiali dello Stato maggiore, aggregati all’esercito di manovra. Dunque, una vita segnata da continui spostamenti nelle aree dell’Impero, dove più forte è la minaccia. Durante uno di questi viaggi al seguito di Diocleziano, forse nel 301/302, Costantino attraversa la Palestina. È allora che Eusebio di Cesarea ha modo di vedere il giovane ufficiale, lasciandone una suggestiva descrizione4. Negli anni successivi Costantino, che assume forse il rango di comes, rimane al seguito dei tetrarchi. È possibile che nel 303-304 visiti Roma, in occasione dei vicennalia di Diocleziano. La vicinanza con i tetrarchi, e con Diocleziano in particolare, ha grande importanza sulla formazione e la futura carriera di Costantino. Il giovane impara le arti del governo e le spietate regole della guerra. Ma ancora a distanza di anni il ricordo di Diocleziano suscita in Costantino inquietudine e biasimo. Un altro passo di Eusebio ricorda come Costantino viva l’inizio della grande persecuzione anticristiana. Il brano riporta a Nicomedia nel 303. Colpiscono l’analisi psicologica del carattere crudele di Diocleziano e lo scavo profondo dei sentimenti personali che muovono l’imperatore a una feroce repressione dei cristiani. Ricorda Costantino nella ricostruzione di Eusebio:
Un tempo, quando ero ancora un ragazzo, udii chiaramente in che modo colui che a quell’epoca deteneva la massima autorità tra gli imperatori romani [scil. Diocleziano], essere misero, davvero misero, l’animo ottenebrato dall’errore, si informasse indagando accuratamente presso gli uomini del suo seguito su chi fossero i giusti che si trovavano sulla terra e uno dei sacerdoti preposti ai sacrifici rispose affermando che senz’altro si trattava dei cristiani. Quello inghiottendo la risposta come fosse miele, impugnò contro l’irreprensibile religione la spada che si usa contro i crimini. Subito dispose editti sanguinari, concepiti, per così dire, come pugnali omicidi, e diede ordine ai giudici di impiegare tutto l’acume del loro intelletto per escogistare i supplizi più inusitati5.
Con il consolidamento della posizione a corte, anche la vita privata di Costantino è coinvolta nei meccanismi del potere. Nel costruire la tetrarchia, Diocleziano pensa a uno strumento che, attraverso il rispetto di alcune regole fondamentali, crei stabilità politica, soprattutto nel momento più delicato, quello della successione. Collegialità e merito: questi sono gli ingredienti di base del potere dei tetrarchi che, sempre nel segno della tradizione, sono stretti tra loro in patto di fedeltà attraverso i vincoli di parentela. Per la mentalità romana, ancora in età tardoantica, sono vincoli sacri, che esigono rispetto e condivisione. Costantino, figlio di Costanzo Cloro, è coinvolto in questa operazione, che mira a creare un’élite di personaggi utili al funzionamento della tetrarchia. Ma il prezzo da pagare è alto. Negli anni della giovinezza, Costantino si lega a una compagna, Minervina, dalla quale ha sicuramente un figlio, Crispo. Questi legami d’affetto sono sacrificati alle dure logiche della politica. Per favorire il suo ingresso nel ristretto collegio della tetrarchia, Costantino si fidanza con Fausta, figlia dell’Augusto Massimiano. Minervina è allontanata, perché inopportuni sentimenti non ostacolino la brillante ascesa del giovane Costantino6. Dopo venti anni di regno, Diocleziano fa una scelta inaudita nella storia dell’Impero romano. Decide infatti di abdicare, costringendo anche il collega Massimiano a lasciare il potere. Diocleziano vuole personalmente assicurarsi che il meccanismo della successione tetrarchica funzioni. Pensa comunque di conservare prestigio e autorevolezza; e senza dubbio conta di intervenire per risolvere gli incidenti che si presentino nella transizione. Il primo maggio 305 Diocleziano a Nicomedia e Massimiano a Milano abdicano. Come previsto, divengono Augusti Costanzo Cloro, il più anziano, in Occidente, e Galerio, in Oriente. La corte, i funzionari e soprattutto l’esercito approvano la successione, preparata del resto da anni. Suscita invece sorpresa la scelta dei nuovi Cesari. Galerio rimane nell’ambito del gruppo di parentela e nomina Cesare in Oriente suo nipote Massimino Daia. A Costanzo si affianca invece un militare, Severo. Sono così esclusi dalla scelta sia il figlio di Massimiano, Massenzio, che è anche marito della figlia di Galerio, sia i figli di Costanzo, il primogenito Costantino e gli altri tre figli ancora bambini avuti da Teodora. Dietro questa decisione si cela la volontà di Diocleziano. La scelta in Occidente di Severo, un militare senza legami con gli altri tetrarchi, cooptato solo per le sue qualità, deve evitare sentimenti di rivalsa da parte di uno degli esclusi, Costantino o Massenzio. Ma Diocleziano si sbaglia. Per nascita e per vincoli matrimoniali, tanto Costantino quanto Massenzio s’aspettano la nomina. Del resto, Galerio sceglie il suo Cesare nell’ambito della parentela. Costantino è il primo a reagire. Escluso dalla successione, abbandona la corte e torna dal padre Costanzo in Gallia. È una fuga da Galerio e dall’Oriente; e l’inizio di una brillante carriera e fortuna. Ma l’impresa appare piena di insidie. Costantino teme di essere raggiunto e riportato indietro. Fugge dunque in tutta fretta per le enormi province dell’Impero. Il suo tentativo ha successo. Costanzo e suo figlio si incontrano a Bononia (Boulogne) e passano insieme in Britannia. Urge la presenza dell’imperatore per contrastare le invasioni dei barbari del Nord, i pitti. Si tratta di tribù di stirpe celtica, mai domate e molto pericolose. La guerra è terribile. Combattendo con coraggio tra i soldati di suo padre, Costantino sa guadagnarsene stima e fiducia. Ben presto, prende il comando della campagna. Costanzo, infatti, sta male. Costantino vince la guerra contro i pitti, ma la situazione nel frattempo precipita7.
A poco più di un anno dalla successione tetrarchica, Costanzo muore a Eburacum (York). È il 25 luglio 306. Senza indugiare, Costantino si presenta all’esercito che, in nome di suo padre, aveva condotto al trionfo sui pitti. All’annuncio della morte di Costanzo, i soldati acclamano Costantino nuovo Augusto. Il suo diritto alla successione, che gli viene dal legame di sangue con il defunto imperatore, trova legittimazione nelle fatiche di una difficile campagna. D’altra parte, l’esercito di Britannia, impegnato contro i barbari della frontiera, ha necessità di un comandante presente ed energico, non di un Cesare lontano. Costantino ha dunque le sue buone ragioni, e le sa far valere. E tuttavia, per il sistema voluto da Diocleziano, Costantino è un usurpatore. Spetta infatti al Cesare Severo assumere il rango di Augusto, secondo le regole della successione fra tetrarchi. Si tratta di una scelta ponderata. Costantino lancia la sfida con coraggio e senza ripensamenti: il 25 luglio 306 rimane durante tutta la sua carriera di imperatore il dies Imperii. Quel giorno segna un confine nella sua vita: non si può più tornare indietro8.
Alla notizia del gesto di Costantino, Galerio, l’Augusto con maggiore autorità, reagisce con moderazione. Nonostante l’affronto mosso a Severo, Galerio intende salvare la tetrarchia e la pace. Da parte sua, Costantino invia subito emissari a Serdica, per spingere l’Augusto a un formale riconoscimento della sua posizione. Nell’agosto 306 si arriva a un compromesso. Applicando il meccanismo tetrarchico, Galerio conferma Severo come nuovo Augusto in Occidente; poi, per venire incontro al figlio di Costanzo Cloro, che ben conosce, lo nomina Cesare subordinato a Severo, con poteri su Britannia, Gallia e Spagna. Entro la fine dell’anno, i documenti provenienti da queste regioni celebrano Costantino come nobilissimus Caesar, princeps iuventutis, Herculius; all’inizio d’autunno, è riconosciuto anche in Egitto. È un risultato soddisfacente. Con il sostegno dell’esercito, Costantino riesce a far valere i suoi diritti. Ottiene un elevatissimo ruolo di comando, preludio a un potere supremo che arriverà nel tempo; e governa sui territori già amministrati dal padre. Non bisogna sfidare oltre la sorte e Galerio, che è un uomo spietato e un soldato abilissimo. Costantino accetta di servire come Cesare di Severo. A fine autunno, dimostra la sua fedeltà ai patti. Muove con il suo esercito contro i Franchi, che hanno oltrepassato il Reno devastando le campagne. Costantino li raggiunge, li annienta e cattura i loro capi, Ascarico e Merogaiso; li trascina in trionfo a Treviri e li fa sbranare dalle bestie feroci nel circo9.
Costantino è accontentato da Galerio; ma il suo gesto non rimane senza conseguenze. Ne è gravemente turbato l’altro personaggio che è stato escluso dalla successione tetrarchica, il figlio dell’Augusto Massimiano, Massenzio. Questi assiste al travaglio del padre, che non vuole abdicare; e deve poi accettare la decisione del collegio tetrarchico, che ne cancella le aspirazioni. Pesa su Massenzio l’esclusione, poiché non solo è figlio di un Augusto, ma è pure sposo di Valeria Massimilla, figlia di Galerio. Le notizie che vengono dalle Gallie lo inquietano; l’arrivo a Roma, dove vive, delle immagini di Costantino Cesare lo spingono a una drastica decisione. Massenzio non può tollerare che Costantino ottenga il rango di Cesare con la sollevazione e la minaccia di una guerra. Nell’ottobre 306 convince i pretoriani e alcuni dignitari presenti in città a sostenerlo; il 28 ottobre si fa proclamare Augusto. È facile per Massenzio raccogliere anche il consenso del popolo, spaventato dalla politica fiscale di Galerio. In breve, Galerio e Severo sono posti davanti a una sfida che conferma la grande fragilità della tetrarchia10.
La nomina di Costantino restituisce equilibrio all’ordinamento tetrarchico: in Occidente regnano Severo Augusto e Costantino Cesare; in Oriente, Galerio Augusto è affiancato da Massimino Cesare. La nuova sfida di Massenzio sembra ora preludere a una guerra civile. Per lui non c’è spazio; e Massenzio ne è consapevole. Galerio ordina a Severo di marciare su Roma. Nel frattempo, Massenzio decide di giocare la carta dell’orgoglio ferito. Per rafforzare la sua posizione si rivolge al padre, Massimiano. Gli restituisce la porpora, chiedendo che torni al suo ruolo di Augusto. Massimiano accetta. È una mossa molto abile. Il ritorno dell’anziano Augusto risveglia antichi legami d’amicizia e vincoli di patronato con le élite aristocratiche e con l’esercito. Severo ne fa subito le spese. Nella primavera del 307, Severo scende a Roma con un esercito formato in gran parte da uomini che hanno servito sotto Massimiano. Alla notizia che Massimiano si è schierato al fianco di Massenzio, le truppe di Severo vacillano e abbandonano il tetrarca davanti alle mura di Roma. Severo si rifugia a Ravenna, che si trasforma in una trappola senza uscita; è preso prigioniero, portato a Roma e costretto al suicidio nel settembre 30711.
Massimiano e Massenzio hanno vinto la prima partita. Ma una minaccia più inquietante si profila all’orizzonte. Galerio, infatti, non è uomo da cedere senza battersi. Costantino, che dalla Gallia assiste immobile allo scontro tra Severo e i due usurpatori, diviene un possibile alleato nella guerra. Dopo la vittoria su Severo, l’Augusto Massimiano si reca in Gallia per stringere un’alleanza con Costantino; in cambio offre l’agognato titolo di Augusto. Costantino accetta: a partire dal settembre 307 è indicato come Augusto nei documenti ufficiali dei suoi territori e di quelli di Massimiano e Massenzio. Per suggellare l’impegno, si ricorre ai vincoli dell’adfinitas, l’alleanza matrimoniale. Si dà corso all’antica promessa di matrimonio tra Costantino e la figlia di Massimiano, Fausta. Un panegirico, pronunciato a Treviri, celebra il legame di Costantino con la dinastia di Massimiano e la sua discendenza da Ercole, in virtù del legame di parentela acquisito con la famiglia dell’Augusto Herculius12.
Queste manovre non fermano i preparativi di Galerio, che nell’autunno del 307 invade l’Italia e scende verso Roma. Massenzio si chiude in città, confidando nell’imponente cinta delle mura. I rischi sono altissimi: il blocco dei rifornimenti può mettere in ginocchio la resistenza di una metropoli che conta alcune centinaia di migliaia di abitanti. Ma Massenzio gioca bene le sue carte. L’assedio è breve. Galerio sente l’ostilità dell’Italia nei suoi confronti; inoltre, le sue basi di rifornimento sono troppo lontane. Pensando al destino sventurato di Severo, Galerio rinuncia; reagisce, tuttavia, con durezza alla scelta di Costantino di allearsi con Massenzio e Massimiano. In un’iscrizione proveniente da Heraclea Sintica, databile tra il 10 dicembre 307 e il 30 aprile 308, compaiono solo i nomi di Galerio come Augusto e Massimino Daia come Cesare. Non v’è alcuna menzione di Costantino, né come Augusto, né come Cesare: segno che Galerio, nella generale confusione dell’Occidente, non riconosce più neppure l’autorità di Costantino Cesare, colluso con Massimiano13.
Con la partenza di Galerio, gli usurpatori riprendono il controllo dell’Italia. Ma dopo qualche mese l’euforia della vittoria porta ai ferri corti padre e figlio. Urtato dal comportamento di Massenzio, Massimiano compie un gesto plateale e strappa la porpora al figlio. L’esercito, tuttavia, si schiera dalla parte di Massenzio. Massimiano comprende l’errore, lascia Roma e parte per la Gallia, deciso a raggiungere il genero Costantino, impegnato in una campagna contro i brutteri14.
Massenzio conferma sul campo il suo diritto a regnare su Roma e sull’Italia. Con il consenso della popolazione e delle truppe riesce a respingere le invasioni di Severo e di Galerio. Ma dopo l’alterco con Massimiano appare isolato e nemico di tutti, perfino di suo padre. È a questo punto che, su richiesta di Massimiano e su invito dello stesso Galerio, Diocleziano riappare sulla scena per tentare il salvataggio della pace. Massimiano lo incalza: la tetrarchia si è rivelata un fallimento; l’Impero è sull’orlo del collasso; è tempo che gli anziani Augusti si muovano per raddrizzare il corso degli eventi. Rinunciando al suo volontario congedo, nell’autunno del 308 Diocleziano si riunisce con gli altri tetrarchi a Carnuntum, un campo militare presso Vindobona (Vienna). I tetrarchi confluiscono da tutti gli angoli dell’Impero verso le rive del Danubio. Al cospetto di Diocleziano, sono valutate le diverse opzioni. Alla fine, l’anziano Augusto impone la sua autorità, da tutti ancora riconosciuta. Per suo ordine, Augusto d’Occidente al posto del defunto Severo è nominato un valente ufficiale di Galerio, Licinio. È proclamato Augusto l’11 novembre 308. Costantino, che da Massimiano e Massenzio è stato riconosciuto come Augusto, è invece confermato nel rango di Cesare, subordinato a Licinio Augusto; insieme con lui, ottiene la conferma al cesarato Massimino Daia. Diocleziano è particolarmente duro con Massimiano, che spera di rimanere Augusto. Gli è ingiunto di deporre la porpora e tornare nelle sue tenute. Augusto d’Oriente, e primo fra i tetrarchi per autorevolezza, è confermato Galerio. Come prevedibile, Massenzio è escluso da ogni riconoscimento. Nessuno, del resto, era tenuto a perorare la sua causa. Massenzio rappresentava piuttosto la minaccia che rendeva fragile la pace. Oltre a ristabilire l’ordine nella tetrarchia, la conferenza di Carnuntum indica un chiaro obiettivo per tutti, soprattutto per l’Augusto Licinio: Massenzio deve essere eliminato15.
Costantino accetta le decisioni di Carnuntum. Non ha altra scelta, ma non è contento. È convinto che la tetrarchia sia ormai naufragata. Del resto, la sistemazione di Diocleziano complica le cose, perché impone un nuovo protagonista: Licinio. Né Costantino, né Massimino Daia comprendono la necessità di accogliere nel collegio tetrarchico uno sconosciuto, offrendogli perfino il supremo rango di Augusto d’Occidente. Diocleziano ha agito da vecchio soldato. Ha scelto un illirico, un uomo di valore, per placare gli animi e vanificare ulteriori contese. Tutto sembra destinato a rafforzare la posizione di Galerio Augusto, e la sua capacità di controllare l’Impero. In realtà, la situazione in Occidente appare ormai compromessa. Costantino è Cesare nelle Gallie e in Britannia, teoricamente subordinato all’Augusto Licinio. Questi, a sua volta, regge l’Illirico, ma deve contendere a Massenzio le altre regioni d’Occidente, l’Italia e l’Africa. L’isolamento di Massenzio, d’altra parte, ha importanti conseguenze. Nella seconda metà del 308, infatti, una rivolta in Africa porta alla proclamazione di un nuovo usurpatore, il vicario della diocesi d’Africa Domizio Alessandro. Sostenuto dalle truppe, Alessandro si fa riconoscere in tutta l’Africa e in Sardegna e raggiunge un’intesa diplomatica con Costantino. Poi passa all’azione contro Massenzio. Ricorre alla principale arma in suo possesso: il blocco dei rifornimenti di grano africano per Roma. Alessandro impedisce alle navi di partire, e gli effetti non tardano a manifestarsi. Per la penuria di viveri scoppia, infatti, una violenta sommossa in città. Massenzio è costretto a far intervenire i pretoriani. Nei disordini rimangono uccise seimila persone. Ben presto il malumore si estende alla ricca aristocrazia romana. Massenzio è dunque impegnato a reprimere una rivolta che rischia di incrinare irrimediabilmente il consenso nei suoi confronti16.
Nel frattempo, nel maggio 310 Massimino Daia è proclamato Augusto; poco dopo, anche a Costantino è riconosciuto lo stesso rango in tutto l’Impero. Intanto, la guerra s’avvicina; e Costantino sa bene che il suo intervento sarà inevitabile. La sua disposizione si manifesta in occasione di un estremo gesto di Massimiano. A Carnuntum Massimiano era stato del tutto sconfessato: aveva nuovamente deposto la porpora ed era stato costretto a un umiliante ritiro. All’inizio dell’estate del 310, l’anziano tetrarca tenta un nuovo colpo di mano. Raggiunge Arles, si fa nominare Augusto per la terza volta e sfida gli altri principi. Costantino reagisce senza indugio. Dopo aver respinto un’incursione dei franchi, nell’estate del 310 marcia su Marsiglia, dove Massimiano si è rifugiato, lo cattura e lo costringe al suicidio. Sparisce in questo modo uno dei protagonisti del sistema tetrarchico. La crisi della tetrarchia è ormai irreversibile17.
Costringendo al suicidio il suocero Massimiano, Costantino aveva cancellato il patto di adfinitas con la famiglia di Fausta, recidendo ogni legame di solidarietà con la dinastia erculia. La guerra contro Massenzio non rappresentava più una violazione di vincoli familiari. Già nel panegirico pronunciato a Treviri per i quinquennalia (25 luglio 310)18, emerge la celebrazione di una nuova dinastia. Costanzo Cloro e Costantino, suo figlio, sono indicati come legittimi discendenti di Claudio II Gotico, imperatore dal 268 al 270. Alla dinastia erculea, alla quale si era in precedenza legato, Costantino contrappone ora una sua dinastia, che sostiene più efficacemente le sue aspirazioni. Il vincolo dinastico è infatti saldato al concetto di impero carismatico, di potere legittimato dalla volontà divina, perché trasmesso attraverso due antenati divinizzati, Claudio II Gotico e Costanzo Cloro. «Imperium nascendo meruisti»: la formula del panegirista (7(6)3,1) sintetizza con grande suggestione l’affermazione di una sanzione divina al potere di Costantino, che deriva dall’appartenenza alla dinastia di Claudio II Gotico. Si tratta di una svolta epocale nella carriera di Costantino imperatore, avviata ormai fuori della tetrarchia19. Al riguardo, è significativa un’altra vicenda ricordata nel panegirico del 31020. Sulla via del ritorno da Marsiglia, dove aveva eliminato Massimiano, a Treviri, Costantino si ferma a visitare un tempio. Forse quello di Grand, nei Vosgi. Durante la visita, l’Augusto ha una visione. Il dio Apollo gli si manifesta in sogno, gli garantisce il suo favore e gli fa porgere dalla Vittoria corone che portano iscrizioni beneauguranti. Ovviamente, non è possibile sapere che cosa abbia visto Costantino nell’estate del 310; e tuttavia la memoria della visione ‘pagana’ da parte del panegirista offre importanti spunti di riflessione per la carriera dell’imperatore. Vale la pena evidenziare almeno alcuni aspetti. In primo luogo, Costantino vede Apollo nelle sembianze di una divinità gallica. Il carattere gallico dell’esperienza consente al principe di compiere un gesto d’omaggio verso l’aristocrazia provinciale che da anni lo sostiene. In secondo luogo, la visione di Apollo è significativa soprattutto dal punto di vista religioso. A promettere il suo sostegno è Apollo, divinità coincidente con Helios, dunque con il Sol Invictus. Anche in questo caso, Costantino rende omaggio a una tra le divinità più venerate dai soldati dell’esercito gallico; d’altra parte, il richiamo al Sol Invictus indica un cambiamento nella posizione religiosa dell’Augusto. Questa visione di Apollo esprime, infatti, una significativa tensione di Costantino all’enoteismo. Il messaggio è religioso e politico allo stesso tempo: non si celebrano nella visione le divinità che sostengono il collegio della tetrarchia; al contrario, il solo Apollo si manifesta a un imperatore che aspira ormai a governare da solo. L’ora della resa dei conti con Massenzio è prossima21.
All’inizio del maggio 311 si diffonde la notizia della morte di Galerio a Nicomedia. L’intero assetto stabilito a Carnuntum è messo di nuovo in discussione. Spariti i Cesari, l’Impero è infatti diviso fra tre Augusti e un usurpatore: in Occidente Licinio Augusto, che controlla la Pannonia, è affiancato da Costantino Augusto, che governa le Gallie. Italia e Africa, tuttavia, sono fuori dal controllo di entrambi, sotto il governo dell’usurpatore Massenzio. In Oriente, Massimino Daia, ora Augusto, contende a Licinio il dominio dei Balcani. Alla fine, Licinio ottiene il controllo dell’area balcanica, e riconosce in cambio il ruolo di Massimino come erede di Galerio in Oriente. Ma le tensioni fra i due non terminano; anzi, si sovrappongono al conflitto tra Costantino e Massenzio. È in questo periodo che Costantino considera ormai giunto il momento per l’eliminazione di Massenzio e cerca l’alleanza con l’Augusto Licinio. Queste manovre turbano Massimino, che s’avvicina a Massenzio. La concordia della tetrarchia, un pilastro dell’ideologia di Diocleziano, è del tutto svanita22.
Nel 312 inizia la guerra. Dopo aver sistemato la frontiera renana, Costantino lascia Treviri. Lo seguono circa quarantamila uomini, in una campagna presentata come una spedizione per liberare l’Italia e Roma da un malvagio tyrannus. Ma l’impresa è rischiosa. Già Galerio ha fallito, e prima di lui Severo; da parte sua, Licinio non ha neppure tentato una spedizione. Costantino è consapevole dei pericoli che corre. A distanza di dieci anni dagli eventi, ancora vivido è il ricordo delle inquietudini alla vigilia della campagna23. Ma tutto chiama all’azione. Non c’è più tempo da perdere: la possibilità di un’intesa militare tra Massenzio e Massimino si fa concreta. Nella primavera del 312, Costantino attraversa le Alpi e prende Susa, una delle fortezze poste a protezione dei valichi. Le truppe di Massenzio cercano di opporre resistenza fuori Torino, ma sono respinte. Con l’entrata di Costantino a Milano, la guerra investe la Pianura Padana, dove l’esercito a difesa dell’Italia ha le sue basi più munite. La cavalleria di Massenzio cerca di ostacolare la marcia avversaria, ma viene messa in fuga presso Brescia. Lo scontro decisivo avviene a Verona, dove l’esercito dell’usurpatore si è chiuso, senza accettare battaglia. Dopo un breve assedio, la città è espugnata. È una grande vittoria per Costantino. Le operazioni proseguono quindi con la cattura di Aquileia e l’espugnazione di Modena. Poi Costantino muove le truppe verso sud e punta su Roma avanzando lungo la via Flaminia24. Anche di fronte alla minaccia di Costantino, Massenzio decide di attendere l’avversario nel centro del suo potere, Roma. Per ostacolare la marcia di Costantino fa tagliare ponte Milvio, il passaggio sul Tevere lungo la via Flaminia. Poi, quando tutto sembra pronto per un lungo assedio, Massenzio prende una decisione inaspettata. Fa uscire da Roma le truppe: l’esercito passa sopra un ponte di barche e si attesta lungo la via Flaminia in attesa di Costantino. È una scelta singolare: lasciare la città fortificata e schierare le truppe in campo aperto contro un esercito già vittorioso; e singolare è anche la sua disposizione tattica: i soldati di Massenzio si trovano il fiume alle spalle; possono solo avanzare, senza via di fuga in caso di ritirata. Come spiegare questo temerario schieramento? Si è pensato che Massenzio sperasse di risolvere la guerra con un’unica, spietata battaglia. Forse percepiva la gravità dell’ora: la città non era in grado di sopportare un lungo assedio, e la popolazione dava già segnali di rivolta; forse sperava di combattere la battaglia il 28 ottobre, giorno del suo sesto dies Imperii, propizio per impetrare la protezione degli dei. Secondo alcune fonti, un oracolo convince Massenzio a uscire dalla città perché quel giorno sarà ucciso il «nemico di Roma». Evidentemente, Massenzio interpreta male la voce della divinità; ma non è il solo ad avere segni premonitori. Nelle ore precedenti la battaglia, secondo la tradizione degli storici cristiani, Costantino ha una visione. Lattanzio racconta che Cristo appare in sogno a Costantino, esortandolo a porre il cristogramma (Chi-Ro) sulle insegne e sugli scudi dei suoi uomini25. Secondo Eusebio, Costantino ha una visione durante la marcia riconoscendo in cielo una croce con le parole In hoc signo vinces26. La visione è confermata dall’apparizione di Cristo in sogno. Al di là dei dettagli della tradizione, il messaggio è chiaro: ponendosi sotto la protezione del dio dei cristiani, Costantino avrà la vittoria. Il 28 ottobre 312 ha luogo la battaglia, presso Saxa Rubra, a dieci chilometri da Roma. Le truppe di Massenzio sono sconfitte. Presto la ritirata si trasforma in una rotta. Gli eserciti si spostano fino alla zona del ponte Milvio. Ma il ponte di barche diviene un letale imbuto. Moltissimi annegano. Anche Massenzio, che si è gettato nella mischia, scompare tra le acque del fiume mentre tenta di tornare in città27.
Il giorno dopo, 29 ottobre, Costantino entra a Roma. Con lui entra anche la testa di Massenzio conficcata su un palo. I suoi soldati ne hanno recuperato il cadavere e lo hanno decapitato. Il macabro gesto è il modo più efficace per mostrare a tutti che la guerra è davvero terminata: grazie alla vittoria, Roma e l’Italia sono liberate da un tiranno efferato. Le fonti segnalano manifestazioni di publica laetitia in tutta la città. Nei primi giorni del suo soggiorno romano, Costantino evita di mostrare eccessivo compiacimento per la vittoria. La guerra civile è un evento luttuoso, soprattutto perché combattuta a Roma. E i romani non usano trionfare per vittorie ottenute su altri romani. L’ingresso di Costantino a Roma il 29 ottobre 312 avviene probabilmente secondo la formula di un adventus trionfale28. Del resto, Roma è una città unica nell’Impero tardoantico: non solo per la magnificenza dei suoi monumenti, che evocano il suo ruolo nella storia, ma anche per le dimensioni della sua popolazione, e, soprattutto, per la ricchezza e il prestigio della sua aristocrazia senatoria. Il Senato ha perduto gran parte del suo potere. E tuttavia i suoi rappresentanti continuano a ricoprire le cariche più prestigiose dell’amministrazione imperiale; e si considerano custodi delle più antiche tradizioni politiche e religiose. Costantino si mostra deferente verso questa aristocrazia: non era il caso di umiliarla con trionfalismi sconvenienti. Nel breve soggiorno in città, Costantino si comporta con moderazione ed è ricompensato dalla gratitudine senatoria29.
Il soggiorno di Costantino a Roma è breve: appena tre mesi, da fine ottobre a fine gennaio. Non è possibile pensare che il comportamento dell’imperatore, ormai convertito al cristianesimo, sia solo determinato da imbarazzo per le tante occasioni che gli si prospettano di assistere ai culti pagani nella capitale religiosa dell’Impero. Costantino, infatti, sa conciliare le sue personali convinzioni con il rispetto dovuto alla religione tradizionale, custodita dall’aristocrazia romana. Nonostante la conversione, mantiene la carica di pontefice massimo e ispira il suo governo a principi di equilibrio e prudenza in ambito religioso. Maggiore disagio gli provoca forse il rapporto con la potente aristocrazia romana, che dal 306 al 312 aveva sostenuto Massenzio. E nella decisione conta pure l’urgenza di consolidare la posizione conquistata dopo la vittoria di ponte Milvio. La presenza dell’imperatore a Roma è ancora attestata nella prima metà del gennaio 313; poco dopo parte e si dirige verso Milano.
Dopo l’eliminazione di Massenzio, tre Augusti si trovano ancora al governo dell’Impero, controllandone una parte: Costantino le Gallie, l’Italia e l’Africa; Licinio l’Illirico; Massimino Daia le province dell’Oriente. Per dare un assetto stabile alle trasformazioni avvenute nel periodo 311-313 e consolidare la pace erano necessari un accordo e grande prudenza. Costantino e Licinio si incontrano a Milano. L’atmosfera è da subito ispirata alla celebrazione della concordia Augustorum: l’amicizia tra i due principi è consolidata attraverso l’alleanza matrimoniale. Durante il mese di febbraio, infatti, la sorellastra di Costantino, Costanza, si unisce in matrimonio a Licinio. Nei loro incontri, gli Augusti trattano soprattutto di due questioni. In primo luogo, viene confermata l’applicazione dell’editto di Galerio verso i cristiani anche nei territori sottoposti al governo di Licinio e Costantino. Poco prima di morire, il 30 aprile 311, Galerio aveva promulgato un editto di tolleranza che sospendeva per sempre le persecuzioni contro il cristianesimo30. Questo provvedimento non era stato recepito in Occidente a causa del conflitto tra Massenzio e Costantino. Era giunto il tempo di rimediare, e Licinio non si oppone31. Altro urgente argomento discusso dai due Augusti è il rapporto con Massimino Daia. Per timore dell’alleanza tra Costantino e Licinio, Massimino ha preso contatti con Massenzio. La sua reazione al nuovo equilibrio rappresenta ora una insidiosa incognita. I timori dei due Augusti non tardano a rivelarsi fondati. Massimino rimane scosso dalla decisione del Senato di Roma di attribuire a Costantino la superiorità nel collegio degli Augusti. Poi, alla notizia della rinnovata intesa tra i suoi colleghi, Massimino inizia le ostilità contro i territori di Licinio. Questi reagisce senza perder tempo. Lascia Milano, prende il comando dell’esercito e si getta su Massimino. Il 30 aprile Licinio vince in campo aperto a Campo Sereno (Tzirallum), presso Adrianopoli. La ritirata di Massimino si trasforma in una fuga. Si dirige verso la Cappadocia e ripara infine a Tarso; qui, nell’agosto del 313, decide di suicidarsi32. Dopo il suo ingresso a Nicomedia, il 13 giugno, Licinio invia una lettera a tutti i governatori d’Oriente, per sollecitare l’applicazione dell’editto di tolleranza in favore dei cristiani. In questo modo, l’intesa milanese tra Costantino e Licinio ristabilisce la pace religiosa nell’Impero33.
Nell’estate del 313, Costantino raggiunge importanti obiettivi. È diventato signore della parte occidentale dell’Impero; inoltre, dopo la morte di Massimino Daia, l’Oriente è sotto il governo di Licinio, suo alleato e adfinis in virtù del matrimonio con Costanza. Le condizioni sono favorevoli per consolidare la difesa ai confini, avviare importanti riforme amministrative, garantire la pace religiosa. Verso la fine di giugno, Costantino torna ancora sul confine renano, costretto a combattere una nuova guerra. Si lancia su alcuni gruppi di franchi, che hanno attraversato il Reno, dandosi al saccheggio. La campagna dura per tutto il mese di luglio. Dall’agosto 313, Costantino fa ritorno a Treviri e vi soggiorna fino al luglio 314. Le fonti in nostro possesso attestano per questo periodo una intensa attività volta a consolidare la pace e l’unità della Chiesa cristiana. Particolare rilievo assume la questione dei donatisti d’Africa, che coinvolge profondamente l’imperatore. Al di là degli aspetti ecclesiastici e teologici, i donatisti associano a uno spirito ostile all’ortodossia romana un diffuso sentimento di malcontento contro il governo imperiale. Anche per i riflessi politici, Costantino decide di intervenire, mosso dalla sincera convinzione di agire per il bene dell’Impero. È questo un carattere fondamentale della sua carriera di imperatore. Chiesa cristiana e governo dei sudditi sono i due poli che attirano la sua azione politica. Come ha garantito pace e unità nell’Impero, combattendo Massenzio e trovando un’intesa con Licinio, così Costantino vuole ora interagire con i vescovi, per restituire ordine e unità alla Chiesa cristiana. Dopo il fallimento di una prima mediazione, è convocato un concilio ad Arles per il 1° agosto 314. Il concilio condanna i donatisti, e l’imperatore si dichiara ostile a tutti coloro che incrinano la concordia nella Chiesa cristiana34.
Costantino lascia Arles per raggiungere la frontiera renana, dove nell’autunno del 314 conduce un’altra campagna contro le popolazioni germaniche. Da fine ottobre alla primavera del 315 l’imperatore rimane a Treviri35. Poi Costantino parte alla volta di Roma, dove entra il 21 (o 18) luglio, e rimane fino al 27 settembre 315. Occasione del suo secondo soggiorno in città è la solenne celebrazione dei dieci anni di regno, i decennalia, che cadono il 25 luglio. Eusebio afferma che Costantino partecipa a tutte le cerimonie senza contaminarsi con sacrifici pagani36. Come già Settimio Severo nel 202, e più recentemente Diocleziano nel 303, Costantino associa i festeggiamenti per l’anniversario con una celebrazione per la sua vittoria su Massenzio. Anche se non si tratta di un trionfo secondo l’antica tradizione, risale certamente a questo periodo l’inaugurazione del grande arco trionfale presso il Colosseo. Sulla dedica si ricorda che Costantino ha vinto il tiranno Massenzio «per ispirazione della divinità»37. Ognuno può interpretare secondo il proprio credo l’identità di questa divinitas che ha propiziato la vittoria. All’inizio dell’autunno, sulla via del ritorno verso Treviri, Costantino si ferma a Milano per alcune settimane. L’imperatore trascorre poi nelle Gallie l’inverno del 316.
Nel volgere di pochi mesi, la pace nell’Impero viene meno. Nonostante il vincolo di adfinitas tra i due Augusti, l’accordo con Licinio si rompe. Si ha notizia di una guerra già nell’autunno del 316. Ignote sono le cause del conflitto; e poco si sa della politica di Licinio e dei suoi rapporti con Costantino fra il 313 e il 316. A giudicare dalla testimonianza di Anon. Vales., I 1,14-15, la guerra è scatenata da una congiura ordita da Bassiano, marito della sorellastra di Costantino, Anastasia; ma anche questa vicenda è oscura. Costantino pensa che a manovrare la congiura sia Licinio; e a partire dall’ottobre 316 dà inizio alla guerra. La capitale della Pannonia, Siscia, cade subito in suo potere. Una prima battaglia avviene a Cibale, l’8 ottobre. Vince Costantino, che insegue Licinio fino a Sirmio e poi all’interno della Tracia. A Filippopoli, gli emissari di Licinio si incontrano con Costantino per trattare; ma le trattative falliscono. In previsione dello scontro decisivo, Licinio si affianca come Augusto un suo generale, Valente. Alla fine del 316 o nei primi giorni di gennaio 317 si combatte un’altra battaglia, vinta da Costantino, al Campus Ardiensis. Dopo questo scontro, si giunge a trattative di pace, molto sfavorevoli per Licinio. Costantino ottiene il controllo dei Balcani centrali, le diocesi di Pannonia e Macedonia. Licinio conserva sotto il suo governo la diocesi di Tracia e tutto l’Oriente; l’Augusto Valente viene sommariamente eliminato38.
Il nuovo assetto è confermato il primo marzo 317 a Serdica. L’Impero è ormai sotto il controllo della dinastia di Costantino. In una solenne cerimonia, che doveva celebrare anche il ritorno della pace, Costantino distribuisce le supreme cariche ai membri della famiglia. Il primogenito Crispo, figlio di Minervina, diviene Cesare d’Occidente; è affiancato nella stessa carica da Costantino, un neonato di pochi mesi, nato da Fausta. Liciniano, un bambino di venti mesi, figlio di Costanza e Licinio, e nipote di Costantino, ottiene il titolo di Cesare d’Oriente. La dinastia che discendeva da Claudio il Gotico è così giunta alla terza generazione. Licinio conserva il suo potere, che tuttavia sembra giustificato dall’appartenenza alla dinastia di Costantino attraverso il vincolo di adfinitas. La cerimonia evoca le grandi investiture di età tetrarchica, ma è invece una evidente affermazione del principio dinastico, fondato sul potere di un’unica famiglia, quella di Costantino; e dell’idea carismatica del potere come dono divino, dal momento che ne sono insigniti anche bambini in tenerissima età. Il 7 agosto del 317 la sua discendenza si irrobustisce: nasce, infatti, a Sirmio un altro figlio maschio, Costanzo39.
Il primo marzo 321 sono celebrati a Roma i quinquennalia del cesarato di Crispo e Costantino, e in Oriente quelli di Liciniano. Le cerimonie sono occasione per una nuova esaltazione della dinastia. È evidente, al contrario, l’esclusione di Licinio dai festeggiamenti. La rottura definitiva tra Costantino e Licinio è ormai avviata. I consoli occidentali del 321 infatti, Crispo e il piccolo Costantino, non sono riconosciuti in Oriente; Licinio, da parte sua, ignora anche i consoli scelti da Costantino per il 322 e il 323. Con il trascorrere dei mesi, la propaganda costantiniana stigmatizza i duri provvedimenti di Licinio contro i cristiani. In realtà, Licinio non è un persecutore. Reagisce piuttosto ai disordini provocati nei suoi territori dai diversi gruppi cristiani che si fronteggiano anche con la violenza. È spinto dal desiderio di mantenere l’ordine, piuttosto che da ragioni religiose. Ma Costantino ha buon gioco a sfruttare a suo vantaggio queste scelte del rivale40.
La pressione di Costantino su Licinio, del resto, si mantiene costante. Dopo la fine della guerra cibalense, Costantino sposta il suo luogo di residenza da Treviri alle città di Sirmio e Serdica, dunque a ridosso dei territori di Licinio. Giustifica questa sua ingombrante presenza con la necessità di fronteggiare le incursioni dei barbari, sempre turbolenti sul Danubio. In parte, Costantino ha ragione: il frazionamento del confine danubiano tra i due principi rende quasi impossibile un’azione efficace, soprattutto in presenza di ostilità più o meno latenti. E i barbari ne approfittano. Ma con la sua presenza sul Danubio Costantino non intende solo respingere la pericolosa minaccia barbarica; vuole anche intimidire Licinio. Nell’estate del 322, è organizzata una spedizione contro i sarmati che hanno invaso i territori della Pannonia41. All’inizio del 323 arriva il pretesto per la guerra. I goti di Rausimondo oltrepassano il Danubio e dilagano nei territori di Licinio. Costantino si mette in marcia da Tessalonica contro i goti e invade la parte di Impero del collega. Costantino vince, inseguendo i barbari oltre il Danubio, ma il suo gesto causa una frattura irrimediabile con Licinio. In condizioni normali, si tratterebbe di un normale intervento di sostegno tra principi alleati; ma nel clima di tensione esistente, Licinio considera l’ingerenza di Costantino un atto di guerra. Prima di iniziare la campagna, che evidentemente percepisce come ultima sfida per la conquista della supremazia, Costantino cerca di consolidare la sua posizione. Presenta la guerra come una spedizione contro l’empio Licinio, che perseguita i cristiani. Aspira in realtà a eliminare l’ultimo ostacolo che si frappone sul suo percorso verso il potere assoluto. La carriera di Costantino è a un ultimo bivio: come indica chiaramente Eutropio42, Licinio intralciava la sua grande ambizione43.
Nel marzo 324, Costantino si trova a Tessalonica per organizzare la flotta; in aprile, ha inizio la spedizione. Il 3 luglio vi è la prima grande battaglia presso Adrianopoli. Licinio intende evitare che Costantino oltrepassi il Bosforo. La nuova linea di resistenza è organizzata con Bisanzio come caposaldo; Licinio decide anche di elevare il suo magister officiorum Martiniano al rango di Augusto. L’assedio di Costantino inizia a luglio. È subito chiaro che l’esito delle operazioni dipende dal confronto tra le due forze navali. La flotta costantiniana, al comando di Crispo, si muove verso l’Ellesponto e intercetta la flotta di Licinio. Crispo vince un primo scontro. Il giorno dopo, la maggior parte delle navi di Licinio viene distrutta da una tempesta. Licinio è costretto ad abbandonare la città sul Bosforo e a ritirarsi; lascia a Martiniano il compito di impedire a Costantino il passaggio dell’Ellesponto e va a riorganizzare le truppe presso Calcedonia. In questo modo è in grado di bloccare il passaggio del Bosforo. Ma Bisanzio apre le sue porte a Costantino, che riesce comunque a sbarcare il suo esercito a poca distanza da Calcedonia, oltre il Bosforo. Il 18 settembre 324 si combatte la battaglia decisiva a Crisopoli. L’esercito di Costantino sbaraglia quello avversario. Dopo la gravissima sconfitta, Licinio ripara a Nicomedia44.
Al sopraggiungere delle truppe costantiniane, privo di ogni possibilità di resistenza, Licinio si arrende. Si reca supplice all’accampamento di Costantino, si toglie la porpora e implora perdono. È immediatamente deposto, e tutte le decisioni del suo legittimo governo sono cancellate per volontà di un implacabile vincitore. È un provvedimento molto duro. Come è già avvenuto per Massenzio, Licinio è assimilato a un tyrannus. In questo modo si ripropone nel linguaggio della propaganda il ruolo di Costantino restitutore della libertà e di un equilibrato modello di basileia contro tiranni efferati e sanguinari. È lo strumento più idoneo a giustificare la brutalità di una guerra. È interessante notare che parte della storiografia contemporanea di versante greco recepisce significativamente questo tema, a giudicare dal riassunto dell’opera di Prassagora in Fozio. Prassagora pone il discrimine della guerra nella necessità di sostituire una buona basileia a una tyrannis. Licinio riesce sul momento a salvare la vita grazie all’intercessione di sua moglie Costanza, sorellastra di Costantino, e si insedia a Tessalonica. Anche il figlio Liciniano, Cesare d’Oriente, è deposto e congedato. Poi, nel 325, Costantino chiude la partita. Accusato di voler riprendere il potere con il sostegno di contingenti barbarici, Licinio è condannato a morte. Anche suo figlio Liciniano è giudicato colpevole e giustiziato per ordine di Costantino nel 326: è un atto di grave crudeltà verso un bambino inerme45.
Con la sconfitta di Licinio, Costantino raggiunge l’apice del suo potere. Divenuto unico Augusto dell’Impero romano, decide di consolidare la sua posizione, elevando al titolo di Augusta sua moglie Fausta e, soprattutto, sua madre Elena. Nel caso di Elena, non si tratta unicamente di un gesto di pietas: conta anche la politica. Con la sua decisione, Costantino conferma che sua madre è stata legittima moglie dell’Augusto Costanzo; in questo modo viene ribadito il vincolo di legittimità dinastica e si ostacolano le possibili pretese dei fratellastri dell’Augusto, i figli avuti da Costanzo con Teodora46. Ma il successo è pagato a caro prezzo. Moltissimi sono i caduti in guerra. Soprattutto paiono cambiare l’indole e la prassi di governo di Costantino, ormai consapevole del suo potere assoluto. Eutropio non manca di considerare il periodo del trionfo su Licinio come momento di cesura tra una fase ‘ottima’ e una fase ‘media’ della carriera di Costantino47; e la stessa visione è in Zosimo48. Si tratta di una dura critica, che evidentemente rappresenta la reazione sul versante pagano a una svolta nell’atteggiamento religioso di Costantino. Il 324 costituisce infatti una svolta nella carriera di Costantino: ottenuto il trionfo su Licinio, infatti, l’imperatore rende manifesta la sua conversione al cristianesimo; le sue vittorie sono presentate come il segno più luminoso del suo legame con il dio dei cristiani. La conseguenza immediata è un rinnovato favore verso la Chiesa49. Due importanti documenti testimoniano il nuovo atteggiamento di Costantino. Eusebio50 ricorda, infatti, due editti dell’imperatore redatti in forma di lettera e inviati rispettivamente ai provinciali di Palestina e d’Oriente. Nella prima lettera, databile all’anno del trionfo, il 324, Costantino attribuisce la sua carriera di imperatore (fin dalla proclamazione nel 306) e le sue vittorie alla protezione del dio dei cristiani:
Non è affatto per millanteria che chi riconosce i benefici di Dio ne parla con enfasi. Egli stesso ha ricercato i miei servigi e li ha giudicati conformi alla sua volontà; infatti, cominciando dal mare che giace dalla parte dei Britanni e da quelle regioni sulle quali per una legge necessaria e superiore è stabilito che il sole tramonti, io ho scacciato e dissipato tutti i mali incombenti, perché il genere umano fosse chiamato alla venerazione della legge più santa, anche grazie all’esempio della mia stessa sottomissione e, al tempo stesso, perché la fede più benedetta potesse crescere sotto la guida dell’Onnipotente. [...] e mi sono spinto sino alle regioni orientali, sulle quali gravavano sventure ancora più gravi, ed era richiesta da parte nostra una cura anche maggiore. Sono convinto nel modo più fermo e assoluto di essere debitore al Dio supremo di tutta la mia anima, di ogni mio respiro e di ogni pensiero che mi sorge nel profondo della mente51.
Nella seconda lettera52, ai provinciali d’Oriente, Costantino si rivolge ai pagani esortandoli ad abbandonare il culto degli idoli; allo stesso tempo, ribadisce il bene prezioso della pace e della concordia nell’Impero; solo questa condizione, infatti, potrà favorire la conversione dei pagani:
Ora desidero che il tuo popolo viva in pace e non sia turbato da lotte intestine, per il bene comune dell’intera ecumene e di tutti gli uomini. E anche coloro che persistono nell’errore traggano pari giovamento dalla pace e dalla tranquillità, allo stesso modo dei fedeli. Infatti questa dolce armonia nella comunità avrà la forza di correggere anch’essi e di condurli sulla retta via. Nessuno rechi molestia all’altro; ciascuno abbia ciò che la sua anima desidera e ne sia appagato53.
La pace va consolidata anche all’interno della Chiesa d’Oriente. Dopo aver affrontato il problema dei donatisti in Occidente, Costantino ritiene necessario un concilio ecumenico che si pronunci sulle dottrine dell’alessandrino Ario. Il concilio si celebra a Nicea, dal 20 maggio al 19 luglio del 325, alla presenza dell’imperatore, che vi partecipa in qualità di ‘vescovo di quelli di fuori’54. L’arianesimo è condannato, e Costantino afferma come valore fondamentale l’unità della Chiesa contro ogni divisione ed eresia. Ristabilita la pace nell’Impero e nella Chiesa, Costantino può celebrare i vicennalia, l’anniversario di venti anni di regno. Le cerimonie hanno inizio il 25 luglio a Nicomedia, dove l’imperatore risiede; e si intrecciano con l’evento del concilio nella vicina Nicea. Costantino, infatti, celebra l’anniversario con i vescovi cristiani. In onore dell’imperatore è allestito un banchetto, al quale partecipano anche i rappresentanti della Chiesa. Solo un anno dopo, in ossequio alla tradizione, Costantino decide di recarsi a Roma per le pubbliche celebrazioni insieme ai rappresentanti del Senato55.
Questo terzo e ultimo soggiorno nell’Urbe si rivela ben presto carico di tensione. Dopo la svolta del 324, anche i rapporti con l’aristocrazia senatoria di Roma sono destinati a cambiare. Dopo aver spazzato via Licinio, Costantino intende mostrare ai senatori – alcuni dei quali hanno parteggiato per il vinto – il peso della sua autorità. È un atto di drastica rottura con l’atteggiamento di deferenza del passato. Il 18 (o 21) luglio 326 Costantino entra a Roma, accompagnato dai Cesari. Il 25 si hanno le celebrazioni pubbliche dei vicennalia, ripetute a distanza di un anno rispetto alla loro effettiva scadenza cronologica. Ma Costantino, ormai cristiano, avverte il disagio di trattare con i custodi del paganesimo tradizionale. Durante le cerimonie in suo onore non vi sono sacrifici; e neppure l’omaggio a Giove Ottimo Massimo. Il rifiuto di Costantino provoca ostilità in Senato e tumulti. A distanza di due mesi, prima della fine di settembre, Costantino lascia per sempre Roma e non vi farà più ritorno56.
Le celebrazioni dei vicennalia sono funestate da gravissimi eventi nella famiglia imperiale, che fanno del 326 un anno terribile per l’Augusto. All’inizio del 326, infatti, Crispo, figlio di Costantino e Minervina, Cesare d’Occidente, console per tre volte (nel 318, 321, 324), è arrestato per ordine imperiale, sottoposto a processo sommario e giustiziato a Pola. Dopo qualche tempo, l’Augusta Fausta, figlia del tetrarca Massimiano e moglie di Costantino, è pure uccisa per ordine imperiale. Si ignorano le motivazioni delle due condanne capitali, emesse da Costantino nei confronti del figlio primogenito e della moglie. Perfino la loro memoria fu consegnata all’oblio, dal momento che è ordinata la damnatio memoriae di entrambi. Le fonti non aiutano a ricostruire i fatti. La vicenda suscita grave imbarazzo negli storici cristiani. Eusebio, che aveva celebrato Crispo nella Storia ecclesiastica chiamandolo «imperatore carissimo a Dio e simile in tutto al padre» (X 9,4 e 6), cancella questo brano nell’ultima redazione dell’opera e ignora completamente Crispo nella Vita Constantini. Sozomeno (Storia ecclesiastica I 5) nega l’attendibilità dell’evento e respinge l’insinuazione che Costantino si converta al cristianesimo per ottenere il perdono di questi delitti, rifiutato invece dai sacerdoti pagani. Questa è l’interpretazione della strage che si diffuse in ambito pagano. Già Giuliano (Cesari 336a-b) considera l’assassinio di Crispo e Fausta come fatto determinante per la conversione di Costantino. Sulla stessa linea di Giuliano, Zosimo (II 29, 2-4) spiega che Costantino ha fatto uccidere il figlio primogenito per il presunto sospetto di una relazione adulterina con l’imperatrice e matrigna Fausta. Sono lo sdegno di Elena per il misfatto, e le inchieste che svelano le trame del complotto, a indurre l’imperatore a una seconda terribile decisione: l’eliminazione anche di Fausta. Preso dal rimorso, trova poi l’espiazione di un crimine tanto grave solo rivolgendosi ai sacerdoti cristiani. Nel complesso, la storiografia pagana ritiene che gli eventi del 326 smascherino la natura malvagia di Costantino: emerge chiara la sua avversione alla tradizione e ai culti dell’antichità57. Le fonti di cui si dispone non consentono di comprendere le ragioni di decisioni tanto tragiche. Forse, riferendosi a una relazione adulterina, Zosimo e Zonara indicano una parte di verità; forse Fausta tramava per la successione e ha fatto eliminare il giovane Crispo con la calunnia per spianare la strada ai propri figli. Da qui la collera di Costantino; che la fa giustiziare. Sono comunque vicende torbide e drammatiche, che sconvolgono la vita privata dell’imperatore, e dei suoi intimi familiari, colpendone l’immagine58.
È possibile che il malcontento dei romani durante l’ultimo soggiorno di Costantino in città sia provocato anche dalla decisione di realizzare una nuova capitale sul Bosforo. A partire dal 324, e per tutto il 325, l’antica Bisanzio, che Licinio sceglie come base durante le ostilità, è ricostruita e trasformata in luogo di residenza dell’imperatore. Nel 326, il progetto è ormai in fase di avanzata realizzazione. La scelta di Costantino è ben ponderata. La città ha una posizione privilegiata di crocevia strategico. Bisanzio, che cambia il nome in Costantinopoli, è infatti punto di passaggio obbligato nel percorso tra Occidente e Oriente dell’Impero; inoltre, la città riveste un ruolo fondamentale anche come porta del Mar Nero. Per la sua posizione, è dunque un punto di incontro tra ellenismo e cultura latina. Infine, è facilmente difendibile. Costantino comprende pienamente il valore strategico e simbolico della città; e lo esalta. Già poche settimane dopo la sconfitta di Licinio, nella prima metà del novembre 324, avviene l’atto di fondazione di Costantinopoli59. Ci vogliono due secoli perché la città raggiunga lo splendore di una vera capitale imperiale. Ma fin dai primi anni Costantino stabilisce che Costantinopoli emuli Roma nelle istituzioni, nell’organizzazione urbana, nello splendore monumentale. Diviene un segno concreto della rivoluzione costantiniana; e un simbolo magnifico dell’esito brillante della carriera dell’imperatore: anche per la sua posizione, la città vuole significare la rinnovata unità d’Occidente e Oriente nella persona dell’unico Augusto. Sul versante pagano, Zosimo (II 29-30) afferma che lo sviluppo di Costantinopoli avviene come conseguenza dell’aperta rottura dell’imperatore con Roma e con la sua aristocrazia senatoria. La nuova capitale è inaugurata l’11 maggio del 330 dallo stesso Costantino, che inizia a risiedervi con continuità60.
La presenza dei goti a ridosso del Danubio rappresentava da tempo una minaccia per le regioni dell’Illirico. Ottenuto il potere assoluto sull’Impero, Costantino decide di risolvere definitivamente la questione, affrontando con energia il problema del confine danubiano. Già nel 328 un grande ponte in pietra è costruito sul Danubio per intimidire i barbari. Il ponte, gettato tra Oescus e Sucidava, è collegato alla base di Constantiana Daphne, un caposaldo fortificato nel territorio dei barbari. Nel 328 l’esercito di Costantino si muove verso i taifali, che sono sconfitti. La campagna decisiva avviene nell’inverno del 331-332. È causata da una massiccia incursione gotica nei territori dei confinanti sarmati: un’azione che compromette l’equilibrio della frontiera. Come consueto in questi ultimi anni di regno, sono i giovani Cesari che guidano le armate imperiali. Il 20 aprile 332 il Cesare Costantino, il figlio più anziano, ottiene una grande vittoria. I goti tervingi e i taifali chiedono la pace. È stabilito un foedus. In cambio della pace, i goti si impegnano a inviare un contingente di guerrieri a richiesta dei romani. Dopo gli accordi, la frontiera gotica rimane tranquilla fino alla guerra del 367-37061. Ma i goti non sono l’unica minaccia alla pace. A partire dal 334, il Cesare Costantino inizia una serie di campagne contro i sarmati. Per difendersi dai goti, queste tribù hanno infatti armato i loro schiavi. Passata l’emergenza, anche grazie all’intervento romano, gli schiavi non depongono le armi e si ribellano ai loro padroni, costringendoli a lasciare le loro terre e a sconfinare in territorio romano. La reazione imperiale è massiccia. Nella seconda metà di giugno le truppe romane ottengono una importante vittoria. I sarmati sono ricacciati oltre il fiume. Le ostilità proseguono per tutto il 335. Finalmente nel 336 l’esercito imperiale riesce a cogliere una vittoria decisiva. A celebrazione dell’evento, Costantino assume il cognomen di Dacicus Maximus62.
Anche sul confine orientale, Costantino si adopera per consolidare la sicurezza della frontiera. La grande vittoria di Galerio nel 298 ha ridimensionato le ambizioni dei persiani sullo spazio mediterraneo. Per qualche decennio gli effetti della vittoria servono a evitare altre guerre. La rivalità tra Roma e la Persia riesplode verso il 334 per il controllo dell’Armenia. Posta a cerniera tra mondo mediterraneo, Caucaso e Persia, l’Armenia si trova sotto l’influenza romana a motivo del processo di cristianizzazione delle sue aristocrazie. Il re di Persia cerca di recuperare il controllo della regione, imponendo sul trono armeno suo fratello. Il re cristiano e filoromano viene detronizzato, e subito chiede aiuto a Costantino. L’intervento è realizzato per tutelare le esigenze di sicurezza dei confini; ma anche per difendere la diffusione del cristianesimo nella regione. Costantino invia in Armenia suo nipote Annibaliano, marito della figlia Costantina. Il re persiano è deposto e Annibaliano ottiene il titolo di rex regum et Ponticarum gentium. Il caso dell’Armenia conferma come la difesa della frontiera orientale, e degli interessi romani in un regno amico, si sovrapponga alle trame di potere all’interno delle rispettive dinastie di Costantino e dei sasanidi. A tale riguardo, un altro importante evento che caratterizza la politica orientale di Costantino è l’accoglienza alla corte romana del principe Hormizdas, esule dalla Persia63.
Nello stesso giorno della proclamazione di Annibaliano, il 18 settembre 335, anche Dalmazio ottiene il rango di Cesare. La promozione dei principi si spiega anche con l’età ormai avanzata dell’imperatore, che il 25 luglio del 335 celebra nella sua capitale i tricennalia. Con il passare degli anni, Costantino affida ai maschi della famiglia imperiale i più prestigiosi incarichi nell’Impero. Oltre a Dalmazio e Annibaliano, sono promossi i figli dell’imperatore: Costantino II è Cesare già dal 317, e risiede in Gallia; Costanzo II dall’8 novembre 324, e risiede dal 335 ad Antiochia; il 25 dicembre 333 anche Costante è nominato Cesare, rimanendo al fianco del padre. Questa situazione complica il quadro di una successione imperiale che si avvicina. D’altra parte, alla presenza numerosa dei Cesari corrisponde un assetto dell’Impero che, pur mantenendo fermo il postulato dell’unità attraverso il vincolo dinastico, favorisce la decentralizzazione amministrativa64.
La questione del controllo dell’Armenia riaccende la guerra tra Roma e la Persia. Nel 336 Shabur invade e conquista l’Armenia. Poi le armate persiane si gettano sulla Mesopotamia romana. Nonostante l’età avanzata, Costantino pensa di intraprendere una nuova campagna. Dopo aver affidato al Cesare Dalmazio la difesa del confine danubiano, Costantino parte65. Ma il viaggio è breve. In occasione della Pasqua, la salute dell’imperatore si aggrava senza rimedio. Già negli ultimi mesi, a Costantinopoli, Costantino sente che la fine si avvicina. Le fatiche del viaggio gli sono fatali. Raggiunge dunque le terme di Helenopolis; poi muove verso Nicomedia. È battezzato da Eusebio, vescovo di Nicomedia, secondo la professione ariana. Il giorno di Pentecoste, il 22 maggio del 337, muore ad Ancyro, nella sua residenza in un sobborgo di Nicomedia66.
Alla notizia dell’aggravamento del padre, Costanzo lascia Antiochia. Quando giunge a Nicomedia, Costantino è già morto. Le spoglie dell’imperatore sono condotte a Costantinopoli. Le esequie sono organizzate in grande pompa. Il 31 maggio 337, Costanzo accompagna il feretro del padre alla grande chiesa degli Apostoli. Il corpo dell’Augusto vi è deposto in un sarcofago di porfido, al centro, tra i cenotafi degli Apostoli, quasi ‘tredicesimo’ tra i dodici che avevano seguito il Cristo. Anche da morto, tuttavia, Costantino rispetta un principio fondamentale della sua concezione politico-religiosa. Egli rappresenta infatti l’imperatore di tutti i suoi sudditi, cristiani e pagani: secondo la tradizione pagana, riceve l’onore della apoteosi67.
1 Per ricostruire la carriera di Costantino imperatore, cfr. E. Stein, Histoire du Bas-Empire, éd. par J.R. Palanque, Bruxelles-Amsterdam 1959, pp. 82-130; T.D. Barnes, The New Empire of Diocletian and Constantine, Cambridge (MA) 1982, pp. 68-91; A. Chastagnol, L’accentrarsi del sistema: la tetrarchia e Costantino, in Storia di Roma, III, L’età tardo antica, I, Crisi e trasformazioni, Torino 1993, pp. 193-220; D. Kienast, Römische Kaisertabelle, Darmstadt 1996; N. Lenski, The Reign of Constantine, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, ed. by N. Lenski, Cambridge 2006; Av. Cameron, The Reign of Constantine, A.D. 306-337, in Cambridge Ancient History, XII, Cambridge 2005, pp. 90-109; G. Cecconi, Da Diocleziano a Costantino: le nuove forme del potere, in Storia d’Europa e del Mediterraneo, VII, L’impero tardoantico, a cura di G. Traina, Roma 2010, pp. 41-91. Sulle fonti, cfr. F. Winkelmann, Historiography in the Age of Constantine, in Greek and Roman Historiography in Late Antiquity. Fourth to Sixth Century A.D., ed by G. Marasco, Leiden-Boston 2003, pp. 3-41; in particolare per alcuni aspetti della storiografia, cfr. V. Neri, Medius princeps. Storia e immagine di Costantino nella storiografia latina pagana, Bologna 1992; M. Mazza, Costantino nella storiografia ecclesiastica (dopo Eusebio), in Costantino il Grande. Dall’Antichità , Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, Macerata 1993, pp. 659-692. Sulle testimonianze epigrafiche, cfr. Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus: Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen Überlieferung, Stuttgart 1990.
2 Per l’età di Costantino nel 337, cfr. Eus., v.C. I 8,1; IV 53,1; Hier., chron. a. Abr. 337; Eutr., X 8,2; T.D. Barnes, The New Empire, cit., pp. 39-42; D. Kienast, Römische Kaisertabelle, cit., p. 298. Vi sono altre possibili ipotesi di datazione: per il 276, cfr. Aur. Vict., Caes. 41,16; per la datazione al 285, cfr. Eus., v.C. II 51. Per il luogo, cfr. Anon. Vales., I 1,2; Firm., math. I 10,13.
3 Sulle origini modeste di Elena, cfr. Hier., chron. a. Abr. 228G; Anon. Vales., I 1,2; Ambr., obit. Theod. 42; Zos., II 8,2; Eutr., X 2,2; Zonar., XIII 1,4. Per la celebrazione di Elena, cfr. le iscrizioni in suo onore risalenti agli anni Venti del IV secolo raccolte da J.W. Drijvers, Helena Augusta, Leiden 1992, pp. 45-52. Il significato politico della questione è ben descritto da B. Leadbetter, The Illegitimacy of Constantine and the Birth of the Tetrarchy, in S.N.C. Lieu, D. Montserrat, Constantine. History, Historiography and Legends, London-New York 1998, pp. 74-85.
4 Cfr. Eus., v.C. I 19. Sulla presenza di Costantino alla corte di Diocleziano e Galerio, si tenga presente anche il parallelo con Mosè rintracciabile in Eus., v.C. I 12,1-2.; cfr. Anon. Vales., I 1,2-3; Lact., mort. pers. 18,10; Theoph. Conf., Chron. a.m. 5788; Paneg. 6(7)5,3; 7(6)3,3. In generale, sulla carriera del giovane Costantino, cfr. T.D. Barnes, The New Empire, cit., pp. 41-42. Sulla formazione di Costantino, cfr. T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, Cambridge (MA) 1981, pp. 73-75; S. Corcoran, The Empire of the Tetrarchs, Oxford 2000, pp. 259-265.
5 Eus., v.C. II 51, trad. L. Franco, Milano 2009.
6 Per il servizio sotto Galerio e i cattivi rapporti con il tetrarca, cfr. Anon. Vales., I 1,3; Lact., mort. pers. 24,4; Const., or. s.c. 16,2; Praxag., fr. hist. I 2; Zonar. XII 33. Su Minervina e la nascita di Crispo, forse nel 305, cfr. H.A. Pohlsander, Crispus. Brilliant Career and Tragic End, in Historia, 33 (1984), pp. 79-106, in partic. 80-82.
7 Sulla successione a Diocleziano e Massimiano, cfr. Lact., mort. pers. 18,12-13; 19; epit. 40,18; Zos., II 8,1; Eutr., X 1. Per la fuga di Costantino e il ricongiungimento con il padre Costanzo, cfr. Zos., II 8,3; Anon. Vales., I 1,4; Lact., mort. pers. 24,3-8, Aur. Vict., Caes. 40,2-3; Ps.Aur. Vict., epit. 41,2-3, che riportano il dettaglio drammatico della mutilazione dei cavalli per evitare che servano agli inseguitori; cfr. anche Praxag., fr. hist. I 2; Lib., Or. 59,17-18. Da respingere è la tradizione secondo cui Costantino raggiunge Costanzo trovandolo sul letto di morte: cfr. Lact., mort. pers. 24,8; Eus., v.C. I 18,2; I 21,1-2; Aur. Vict., Caes. 40,3; Ps.Aur. Vict., epit. 41,2, che riferiscono dell’incontro tra Costantino e Costanzo, mentre quest’ultimo è in fin di vita. Sulle campagne contro i pitti, cfr. Paneg. 7(6)7,1-3; Anon. Vales., I 1,4; Zonar., XII 33; AE 1961, 240.
8 Cfr. Paneg. 7(6)8,2-6; Lact., mort. pers. 25,5; Zos., II 9,1; Anon. Vales., I 1,4; CIL I2 268-269; Consul. Constant., chron. I, p. 231,306; Aur. Vict., Caes. 40,4; Socr., h.e. I 2,1; Ps.Aur. Vict., epit. 41,3; Hier., chron. a. Abr. 228g. Sulla condizione di usurpatore, cfr. M. Humphries, From Usurper to Emperor: The Politics of Legitimation in the Age of Constantine, in Journal of Late Antiquity, 1 (2008), pp. 82-101. Nei documenti del 306-307, Costantino risulta far celebrare il legame con il padre attraverso la formula divi Constanti pii Augusti filius, cfr. le attestazioni in Th. Grünewald, Constantinus, cit., pp. 181-190.
9 Cfr. Lact., mort. pers. 25,1-5; per le attestazioni epigrafiche risalenti a questo periodo, si veda sempre Th. Grünewald, Constantinus, cit., pp. 14-16; 207-215. Sulla vittoria sui franchi e il trionfo a Treviri, cfr. Paneg. 7(6)10,1-11,6; X(4)16,5-6; Eutr., X 3,2.
10 Sull’usurpazione di Massenzio, cfr. Zos., II 9,2-3; Anon. Vales., I 1,6; Eutr., X 2,3. Sull’appoggio dei pretoriani e del popolo al nuovo regime, cfr. Lact., mort. pers. 26,1-3; 26,6-7; Aur. Vict., Caes. 40,5; M. Cullhed, Conservator urbis suae: Studies in the Politics and Propaganda of the Emperor Maxentius, Stockholm 1994, pp. 32-33; J.R. Curran, Pagan City and Christian Capital: Rome in the Fourth Century, Oxford 2000, pp. 50-63.
11 Cfr. Lact., mort. pers. 26,5-10; Zos., II 10,1-2; Ps.Aur. Vict., epit. 40,3; Anon. Vales., I 1,10. Sul coinvolgimento di Massimiano, cfr. Paneg. 6(7)11-12. Secondo altre fonti, Severo è ucciso a Ravenna, cfr. Aur. Vict., Caes. 40,6-7; Eutr., X 2,4; Oros., hist. VII 28,8; Hier., chron. a. Abr. 229B.
12 Oltre a Paneg. 6(7), cfr. anche Lact., mort. pers. 27,1; Anon. Vales., I 1,6-8; Zos., II 10,5-7; Zonar., XIII 1. Nel panegirico del 307 si percepisce un atteggiamento di deferenza da parte di Costantino nei confronti di Massimiano; al contrario, il rapporto con Massenzio appare sfumato.
13 Sulla campagna di Galerio in Italia, cfr. Paneg. 9(12)3,4; Lact., mort. pers. 27,1-7; Anon. Vales., I 1,6-8; Aur. Vict., Caes. 40,8-9; Zos., II 10,3; Zonar., XII 34. Sull’uccisione di Severo, cfr. Anon. Vales., I 1,10. Per l’iscrizione proveniente da Heraclea Sintica, si vedano AE 2002, 1293; C. Lepelley, Une inscription d’Heraclea Sintica (Macédoine) récemment découverte, révélant un rescrit de l’empereur Galère restituant ses droits à la cité, in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik, 146 (2004), pp. 221-231; S. Corcoran, Galerius, Maximinus, and the Titulature of the Third Tetrarchy, in Bulletin of the Institute of Classical Studies, 49 (2006), pp. 231-240.
14 Sulla rottura tra Massimiano e Massenzio, cfr. Paneg. 9(12)3,4; Lact., mort. pers. 28,1-4; Eutr., X 3,1-2; Anon. Vales., I 1,8; Zos., II 11,1. Sulla campagna di Costantino contro i brutteri, cfr. Paneg. 7(6)12,1-13,5; 10(4)18,1-19,2.
15 Cfr. Lact., mort. pers. 29,2-3; Zos., II 10,4-5; Consul. Constant., chron. I, p. 231,308; A. Stefan, Les jeux d’alliances des tétrarques en 307-309 et l’élévation de Constantin au rang d’Auguste. À propos de CIL III, 12121, IK, 56, 19 et AE, 2002, 1293. in Antiquité tardive, 14 (2006), pp. 187-216.
16 Cfr. Zos., II 12,1-3; Aur. Vict., Caes. 40,17-19 e 40,28; Ps.Aur. Vict., epit. 40,2,6 e 40,2,20; Pol. Silv., chron. I, p. 522,62; per le fonti epigrafiche, cfr. CIL VIII 7004 = ILS 674; CIL VIII 962; CIL VIII 22183 = ILS 8936; CIL VIII 19419; AE 1966, 169. Alessandro chiede aiuto anche a Costantino, che probabilmente gli accorda il proprio sostegno, cfr. CIL VIII 22183; V. Aiello, Costantino, Lucio Domizio Alessandro e Cirta: un caso di rielaborazione storiografica, in L’Africa romana, 6 (1988), pp. 179-196; si veda anche il commento di F. Paschoud, in Zosime, Histoire Nouvelle, I, Paris 2000, pp. 212-215. Per gli episodi di malcontento a Roma contro Massenzio, cfr. Zos., II 13,1; Paneg. 9(12)4,4; Aur. Vict., Caes. 40,24; Eus., h.e. VIII 14,3; VIII 14,6; v.C. I 35; Chronogr. a. 354, chron. I, p. 148,354. Tra la fine del 309 e la primavera del 310 – la datazione esatta è ancora motivo di discussione – Massenzio allestisce una grande flotta e sbarca le sue truppe in Africa. Segue una breve campagna militare. Alessandro è sconfitto e ucciso. La repressione dei ribelli è spietata, cfr. Aur. Vict., Caes. 40,18-19; Zos., II, 14,2-4.
17 Sull’estremo gesto di Massimiano, cfr. Paneg. 7(6)14,1-20,4; Lact., mort. pers. 29,3-30,6; Aur. Vict., Caes. 40,21-22; Ps.Aur. Vict., epit. 40,5; Hier., chron. a. Abr. 229D; Oros., hist. VII 28,9-10; Consul. Constant., chron. I, p. 231,308; Eutr., X 3,2; Zos., II 11,1; Eus., h.e. VIII 13,15; Zonar., XII 33. Sulla damnatio memoriae di Massimiano, cfr. Lact., mort. pers. 42; Eus., h.e. VIII 13,15; Th. Grünewald, Constantinus, cit., pp. 186-190.
18 Paneg. 7(6)2,1-4,2.
19 Cfr. Paneg. 6(7)2,1-2, per il suggestivo richiamo a Claudio II Gotico, ma anche Anon. Vales., I 1,1; Eutr., IX 22; e la successiva tradizione negli scrittori della Storia Augusta (Lampr., Heliog. 2,4; 35,2). Si tratta di una genealogia che si giudica inventata da Costantino: cfr. Th. Grünewald, Constantinus, cit., pp. 46-50, ma si veda ora pure il ricco dossier di documentazione raccolto da F. Chausson, Stemmata Aurea. Constantin, Justine, Théodose, Roma 2007, pp. 25-95. Sui temi della propaganda costantiniana relativi alla trasmissione del potere, cfr. I. Tantillo, “Come un bene ereditario”. Costantino e la retorica dell’impero patrimonio, in Antiquité Tardive, 6 (1998), pp. 251-264, in partic. 255.
20 Paneg. 6(7),21,4-7.
21 Sulla visione pagana di Costantino, cfr. Paneg. 7(6)21,4-5; Th. Grünewald, Constantinus, cit., pp. 50-61; N. Lenski, The Reign of Constantine, cit., pp. 66-68; A. Marcone, Pagano e cristiano. Vita e mito di Costantino, Roma 2002, pp. 93-95.
22 Sui preparativi della guerra, cfr. Lact., mort. pers. 43,1-44,2; Zos., II 14,1-5; Paneg. 10(4)9,1-12,3; Eus., v.C. I 37,1; Socr., h.e. I 2,2-3. Sul confronto tra Licinio e Massimino, cfr. Lact., mort. pers. 36,1-2; CIL III 7174 = ILS 663.
23 Eus., v.C. II 28.
24 Sulla campagna nell’Italia settentrionale, cfr. Paneg. 9(12)5,1-11,4; 10(4)17,3; 10(4)21,1-27,2; Zos., II 15,1-2, con cifre diverse; Anon. Vales., I 1,12; Eus., h.e. IX 9,2-3; v.C. I 37,2.
25 Lact., mort. pers. 44,5.
26 Eus., v.C. I 28-29.
27 Sulla battaglia di Saxa Rubra e presso ponte Milvio, cfr. in generale Lact., mort. pers. 44,1-9; Aur. Vict., Caes. 40,23; Paneg. 10(4)27,5-6; 28,1-29,6; 9(12) 15,1-17,3; Anon. Vales., I 1,12; Eus., v.C. I 38,1-5; Praxag., fr. hist. I 4; Zos., II 15,3-16,4; Ps.Aur. Vict., epit. 40,7; Eutr., X 4,3; Hier., chron. a. Abr. 229K; Chronogr. a. 354, chron. I, p. 148,354; Lib., Or. 59,19-21; Socr., h.e. I 2,4-7; Theoph. Conf., Chron. a.m. 5802. È interessante segnalare che persino Eus., h.e. IX 9,2-11 tace della visione della croce, su cui cfr. N. Lenski, The Reign of Constantine, cit., pp. 71-72; P. Weiss, The Vision of Constantine, in Journal of Roman Archaeology, 16 (2003), pp. 237-259.
28 La testa di Massenzio è poi trasferita in Africa e mostrata nelle province. Sui festeggiamenti a Roma, cfr. Paneg. 10(4)30,4-32,5; 9(12)18,3-19,4; CIL I2 274; Zos., II 17,1-2; Anon. Vales., I 1,12; Lact., mort. pers. 44,10-12; Eus., h.e. IX 9,8-11; v.C. I 39,2-3; I 41,2; Aur. Vict., Caes. 40,24-25; Chron. Pasch. p. 521. Sul tema di Costantino liberatore dal tyrannus, cfr. Eus., v.C. I 26,1; Cod. Theod. VIII 4,1. Significativa l’iscrizione che, tra il 312 e il 315, è dedicata a Costantino, fundator pacis et restitutor publicae libertatis, da un funzionario dell’amministrazione cittadina, cfr. CIL VI 1145. Si tratta di motivi che tornano anche nelle iscrizioni dell’Africa, altro territorio sottoposto al regime di Massenzio; si vedano per esempio le iscrizioni provenienti da Cirta VIII 7006-7007 in onore di Costantino, q[u]i libertatem tenebris servitutis oppressam sua felici vi[ctoria nova] luce inluminavit; e Eph. Ep. 723 = ILS 690. Per la ricostruzione dei giorni di Costantino a Roma dopo la vittoria, cfr. A. Fraschetti, La conversione. Da Roma pagana a Roma cristiana, Roma-Bari 1999, pp. 48-52.
29 Cfr. Lact., mort. pers. 44,11-12; Paneg. 9(12)20,1-21,3; Aur. Vict., Caes. 41,4; CIL VI 1140 = ILS 692; M. Humphries, From Usurper to Emperor, cit., pp. 95-96; Th. Grünewald, Constantinus, cit., pp. 86-92 (più in generale). Sui rapporti tra Costantino e l’aristocrazia romana, si veda soprattutto A. Marcone, Costantino e l’aristocrazia pagana di Roma, in Costantino il Grande. Dall’Antichità all’Umanesimo, cit., pp. 645-658.
30 Eus., h.e. VIII 17 e Lact., mort. pers. 34-35.
31 Per le fonti sul matrimonio tra Licinio e Costanza, cfr. Lact., mort. pers. 45,1; Eus., h.e. X 8,3-4; Ps.Aur. Vict., epit. 41,4; Aur. Vict., Caes. 41,2; Zos., II 17,2; Anon. Vales., I 1,13. Sulle decisioni prese a Milano, cfr. Eus., h.e. X 5,2-14; Lact., mort. pers. 48,2-12.
32 Sullo scontro tra Licinio e Massimino, cfr. Lact., mort. pers. 45,1-47,6; 49,1-50,7; Zos., II 17,3; Aur. Vict., Caes. 41,1; Ps.Aur. Vict., epit. 40,8; Hier., chron. a. Abr. 229H; Eutr., X 4,4; Eus., h.e. IX 9,9,1; X 10,13-15; v.C. I 58,1-59,1.
33 Sulla circolare, emanata il 13 giugno 313, cfr. Lact., mort. pers. 48,1-13. Eus., h.e. IX 9,12 e X 5,1-14 riporta i principi generali dell’editto di tolleranza confermato a Milano: libertà di culto ai cristiani e restituzione ai medesimi delle proprietà confiscate durante le persecuzioni.
34 Sulle campagne contro i franchi, cfr. Paneg. 9(12)21,5.
35 Sulla possibile campagna del 314 contro i germani, legata anche all’interpretazione di Eus., v.C. I 46, cfr. T.D. Barnes, The Victories of Constantine, in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik, 20 (1976), pp. 149-155, in partic. 150-151 e 153. Per la presenza di Costantino a Treviri dalla fine del 314, cfr. Cod. Theod. I 2,1; VI 35,1; VIII 10,1; per il soggiorno fino alla primavera del 315, cfr. T.D. Barnes, Lactantius and Constantine, in Journal of Roman Studies, 63 (1973), pp. 29-46, in partic. 37; H.A. Pohlsander, The Date of the Bellum Cibalense. A Re-examination, in The Ancient World, 26 (1995), pp. 89-101, in partic. 94-95.
36 Eus., v.C. I 48.
37 Instinctu divinitatis, cfr. CIL VI 1139 = ILS 694.
38 Fonti sulla guerra: Zos., II 18,1-20,1, ostile a Costantino, ma dettagliato sulle operazioni; Anon. Vales., I 1,16-18; Aur. Vict., Caes. 41,6; Consul. Constant., chron. I, p. 231,314, con datazione però erronea; Eus., h.e. X 8,2-7; Eutr., X 5; Ps.Aur. Vict., epit. 41,5; Petr. Patr., fr. hist. 15 Müller. La datazione della guerra al 316 è suggerita da P. Bruun, The Constantinian Coinage of Arelate, Helsinki 1953, pp. 15-21, e confermata da Chr. Habicht, Zur Geschichte des Kaisers Konstantin, in Hermes, 86 (1958), pp. 360-378; H.A. Pohlsander, The Date, cit., pp. 96-100.
39 Sulla cerimonia di Serdica, cfr. Anon. Vales., I 1,19; Zos., II 20,2; Aur. Vict., Caes. 41,6; Ps.Aur. Vict., epit. 41,4; Hier., chron. a. Abr. 317; Oros., hist. VII 28,22; Zonar., XIII 1. Sulla data, cfr. Consul. Constant., chron. I, p. 232,317; Chron. Pasch. p. 523. Sulla documentazione epigrafica, cfr. CIL III 5206; CIL V 8015b = ILS 714; CIL IX 5434 = ILS 712; CIL IX 5955 = ILS 713. Sull’età dei giovani principi, cfr. la discussione di F. Paschoud, in Zosime, Histoire Nouvelle, cit., pp. 224-226.
40 Sulle cerimonie in onore dei Cesari, cfr. A. Chastagnol, Les Quinquennalia des trois Césars (Crispus, Licinius II, Constantin II) en 321, in Romanitas-Christianitas. Untersuchungen zur Geschichte und Literatur der römischen Kaiserzeit J. Straub zum 70. Geburtstag am 18. Oktober 1982 gewidmet, hrsg. von G. Wirth, Berlin-New York 1982, pp. 367-374.
41 Sulla guerra contro i sarmati, cfr. Zos., II 21,1-2; Opt. Porf., carm. VI 14-28; VII 31-32; XVIII 11-12; Anonymus post Dionem, fr. hist. 14,1 Müller; Zonar., XIII 2,42. A difesa del confine renano è inviato il Cesare Crispo, che si stabilisce a Treviri e ottiene importanti successi contro i franchi. Già nel 320 Crispo partecipa a guerre vittoriose contro i barbari sul Reno: cfr. Opt. Porf., carm. V 30-32; VIII 31-35; X 24-35; Paneg. 10(4)17,1-2; 10(4)36,3; H.A. Pohlsander, Crispus, cit., pp. 87-88.
42 Eutr., X 5.
43 Sulle misure prese da Licinio contro i cristiani, cfr. Eus., h.e. X 8,1-9,3; v.C. I 49,2-54,1; II 1,1-2; Socr., h.e. I 3,1-4; Soz., I 7,1-4; Theoph. Conf., Chron. a.m. 5811; Cod. Theod. XVI 2,5; Aur. Vict., Caes. 41,3-5; Oros., hist. VII 28,18; Anon. Vales., I 1,20-22. Sulla campagna gotica nei territori di Licinio, cfr. Anon. Vales., I 1,21 e il resoconto di Zos., II 21,3, con il commento di F. Paschoud, in Zosime, Histoire Nouvelle, cit., p. 227; anche Cod. Theod. VII 1,1 si riferisce alla guerra contro i goti di Rausimondo. Utile anche H. Wolfram, Storia dei Goti, Roma 1985 (ed. orig. München 1979), pp. 111-115. Sui preparativi per la guerra e la composizione degli eserciti, cfr. Zos., II 22,1-2; Anon. Vales., I 1,22; Praxag., fr. hist. I 5.
44 Cfr. Zos., II 22,3-26,3; Anon. Vales., I 1,23-28; Aur. Vict., Caes. 41,8-9; Ps.Aur. Vict., epit. 5-10; Consul. Constant., chron. I, p. 232,324; Socr., h.e. I 4,1-2; Eus., h.e. X 9,4-6; Chron. Pasch. p. 524; Zonar., XIII 1,22-23 e 28; Eus., v.C. II 5-18,1; Theoph. Conf., Chron. a.m. 5815. Su Martiniano, ex magister officiorum, cfr. anche Lyd., Mag. 2 25.
45 Sulla resa di Licinio, cfr. Zos., II 28,1-2; Anon. Vales., I 1,28-29; Ps.Aur. Vict., epit. 7-10; Zonar., XIII 1,22-24; Praxag., fr. hist. I 6; Opt. Porf., carm. IX 5-8; Socr., h.e. I 4,3-4; Consul. Constant., chron. I, p. 232,325; Hier., Chron. a. Abr. 323 et 325; Soz., I 7,5. Sull’attenzione al rapporto tra basileia e tyrannis in Prassagora, cfr. Praxag., fr. hist. I 5; significativa anche la testimonianza di Eutr., X 6,1-3. Sull’annullamento delle leggi del tyrannus Licinio, cfr. Cod. Theod. XV 14,1-4; al riguardo si veda anche S. Corcoran, Hidden from History: The Legislation of Licinius, in The Theodosian Code, ed. by J. Harries, I. Wood, London 1993, pp. 97-119; Id., The Empire, cit., pp. 274-292. L’8 novembre 324 anche Costanzo II diviene Cesare, cfr. Zos., II 35,1. Sulla condanna di Licinio, oltre a Zos., II 28,2, anche Eutr., X 6,1; secondo Anon. Vales., I 1,29; Socr., h.e. I 4,3-4; Zonar., XIII 1,24-26 (che conserva anche un’altra versione), Costantino reagisce a un complotto di Licinio; sulla condanna di Liciniano, cfr. Eutr., X 6,3; Hier., chron. a. Abr. 321; Oros., hist. VII 28,26.
46 Cfr. J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit., pp. 39-54; B. Leadbetter, The Illegitimacy of Constantine, cit., pp. 80-81. Sul potere di Elena e della sorellastra Costanza, cfr. N. Lenski, The Reign of Constantine, cit., p. 78, che considera il potere raggiunto dalle donne della famiglia imperiale paragonabile a quello delle imperatrici di età severiana.
47 Eutr., X 7,1
48 Zos., II 29,1.
49 Cfr. Eus., v.C. II 19,2. Sulla propaganda dopo la vittoria su Licinio, cfr. Th. Grünewald, Constantinus, cit., pp. 134-144. Sul giudizio di Eutr., X 6,3; X 5, cfr. G. Bonamente, Eutropio e la tradizione pagana su Costantino, in Scritti storico-epigrafici in memoria di M. Zambelli, Roma 1978, pp. 17-59.
50 Eus., v.C. II 24-42 e 48-60.
51 Eus., v.C. II 28-29, trad. cit.
52 Eus., v.C. II 48-60.
53 Eus., v.C. II 56,1, trad. cit. L’autenticità della lettera ai provinciali di Palestina è confermata da una fortunata scoperta papirologica, cfr. A.H.M. Jones, T.C. Skeat, Notes on the Genuineness of the Constantinian Documents in Eusebius’s Life of Constantine, in Journal of Ecclesiastical History, 5 (1954), pp. 196-200. Si veda pure Ch. Pietri, Constantin en 324. Propagande et théologie impériales d’après les documents de la Vita Constantini, in Crise et redressement dans les provinces européennes de l’Empire (milieu du IIIe-milieu du IVe siècle ap. J.-C.) Actes du colloque de Strasbourg (Décembre 1981), éd. par E. Frezouls, Strasbourg 1983, pp. 63-90.
54 Eus., v.C. IV 24.
55 Per l’aspirazione alla pace e all’unità della Chiesa dopo il 324, cfr. Socr., h.e. I 2,5. Sulle cerimonie a Nicomedia, cfr. Hier., chron. a. Abr. 231E; Prosp., chron. I, p. 450; Cassiod., chron. II, p. 150.
56 Sul soggiorno e i tumulti del luglio 326, cfr. Hier., chron. a. Abr. 231E; Zos., II 29,5, con l’interpretazione di F. Paschoud, in Zosime, Histoire Nouvelle, cit., pp. 234-240; Lib., Or. 19,18-19; 20,24; si veda anche la ricostruzione di A. Fraschetti, La conversione, cit., pp. 87-108.
57 Insinuando una relazione tra le condanne a morte e la conversione al cristianesimo, la tradizione pagana sposta la data della conversione dal 312 al 326, dopo la vittoria su Licinio, cfr. Ps.Aur. Vict., epit. 41,11-12 e Eutr., X 6,3. Su questa opinione, già criticata da Sozomeno sulla base della documentazione giuridica, cfr. anche H.A. Pohlsander, Crispus, cit., p. 103; F. Paschoud, in Zosime, Histoire Nouvelle, cit., pp. 235-236; Hier., chron. a. Abr. 325; Sidon., epist. V 8,2; mostra invece imbarazzo Aur. Vict., Caes. 41,11. Per la reazione cristiana alle accuse pagane, cfr. pure Evagr., h.e. III 40.
58 Oltre a Zonar., XIII 2,37-41 e Passio Artemii 45 ed. Bidez-Winkelmann, che, insieme con Zosimo, seguono la stessa tradizione sui fatti, cfr. Chron. Pasch. p. 525; Amm., XIV 11,20; Chrys., hom. 1-15 in Phil. IV 15,5; Philost., h.e. II 4. Per la damnatio memoriae di entrambi, cfr. ad esempio CIL X 678 = ILS 710; per Crispo, cfr. CIL II 4107; CIL III 7172; CIL V 8030; CIL IX 6386a; CIL X 517 = ILS 708. In generale, si vedano anche H.A. Pohlsander, Crispus, cit., pp. 103-106; G. Marasco, Costantino e le uccisioni di Crispo e Fausta, in Rivista di Filologia e di Istruzione classica, 121 (1993), pp. 297-317. I tragici eventi accadono in un periodo che vede un incremento delle leggi rivolte alla salvaguardia dei vincoli matrimoniali, cfr. Cod. Theod. IX 7,1-2; IX 8,1; IX 24,1; Cod. Iust. V 26; ma anche Paneg. 10(4)38,4. Alcuni studiosi hanno messo in collegamento gli eventi con le misure giuridiche, ma senza prove sicure, come J. Evans Grubbs, Constantine and the Imperial Law on the Family, in The Theodosian Code. Studies in Imperial Law of Late Antiquity, London 1993, pp. 120-142.
59 Cfr. Them., Or. IV 58b; Zos., II 30,1-32,1; II 35,1. Consul. Constant., chron. I, p. 232,330; Malal., Chron. XIII 7-10; Chron. Pasch. pp. 527-530; Philost., h.e. II 9; Hesich. M., Patria Constantinopoleos 39-42 (ed. Preger, pp. 16-18); Hier., chron. a. Abr. 330; Anon. Vales., I 1,30; Eutr., X 8,1; Praxag., fr. hist. I 7; Zonar., XIII 3,1-5; Socr., h.e. I 16,1-4; Soz., II 3,1-8. In Cod. Theod. XIII 5,7 (1° dicembre 334) Costantino afferma di avere costruito la città per volontà divina. È interessante sottolineare che il filosofo pagano Sopatro partecipa ai riti di fondazione di Costantinopoli, come attesta Lyd., Mens. IV 2,52. Del resto, la nuova capitale ospita anche i templi della religione tradizionale, cfr. S. Bassett, The Urban Image of Late Antique Constantinople, Cambridge-New York 2004, pp. 22-36. In generale, si veda G. Dagron, Naissance d’une capitale. Constantinople et ses institutions de 330 à 451, Paris 19842, pp. 11-45; S. Calderone, Costantinopoli: la «seconda Roma», in Storia di Roma, cit., pp. 723-749.
60 L’impegno di Costantino per la diffusione e la prosperità delle città nell’Impero va oltre la fondazione di Costantinopoli e trova celebrazione ad esempio nell’importante iscrizione proveniente da Orcisto (CIL III 352 = ILS 6091). Critico sull’atteggiamento di Costantino verso le città è Zos., II 38.
61 Sulla guerra contro i taifali, cfr. la lettura negativa di Zos., II 31,3 e il commento di B. Bleckmann, Constantin und die Donaubarbaren, in Jahrbuch für Antike und Christentum, 38 (1995), pp. 38-66. Sulla campagna del 332 contro i goti, cfr. Anon. Vales., I 1,31; Eutr., X 8,1; Hier., chron. a. Abr. 233C; H. Wolfram, Storia dei Goti, cit., pp. 112-116; Th. Grünewald, Constantinus, cit., pp. 147-150.
62 Per le vicende dei sarmati, cfr. Anon. Vales., I 1,32; Amm., XVII 12,18-19. Sulle riforme militari di Costantino, cfr. la critica di Zos., II 34, con commento di F. Paschoud, in Zosime, Histoire Nouvelle, cit., pp. 252-253.
63 Tra le cause dell’intervento in Armenia, N. Lenski, The Reign of Constantine, cit., p. 81, vede anche un’irresistibile ‘tensione’ all’espansione verso Oriente, che caratterizza tutta l’azione politica di Costantino. Sulla vicenda del principe Hormizdas, cfr. Zos., II 27,1, che pone l’episodio all’epoca della seconda guerra tra Costantino e Licinio, nel 324; Io. Ant., fr. 266.
64 Sui tricennalia di Costantino, cfr. Hier., chron. a. Abr. 233; Zos., II 32,2-33.
65 Sui preparativi della guerra, cfr. Eus., v.C. IV 50; IV 56; Socr., h.e. I 18,12; Gel. Cyz., h.e. III 10,26-27; Lib., Or. 59,59-72; Ruf. Fest., 26. Importante anche il giudizio di Amm., XXV 4,23, sulle responsabilità di Costantino nel suscitare il lungo conflitto con i persiani durante il IV secolo. Sull’esito della guerra in rapporto con la morte di Costantino, cfr. G. Fowden, The Last Days of Constantine: Oppositional Versions and Their Influence, in Journal of Roman Studies, 84 (1994), pp. 146-170, in partic. 146-153.
66 Cfr. Eus., v.C. IV 60-61,2; IV 64; Anon. Vales., I 1,35; Socr., h.e. I 39,2; I 40,3. Sulla malattia come causa del decesso, cfr. Socr., h.e. I 39; Soz., II 34,1-2; Theod., I 32; Zos., II 39; Ps.Aur. Vict., epit. 41,15; Eutr., X 8,2; Aur. Vict., Caes. 41,16. Sul battesimo, cfr. G. Fowden, The Last Days, cit., pp. 153-168; M. Amerise, Il battesimo di Costantino il Grande. Storia di una scomoda eredità, Stuttgart 2005.
67 Sul viaggio di Costanzo da Antiochia, cfr. Zonar., XIII 4; sulla sepoltura di Costantino, cfr. Eus., v.C. IV 70; Lib., Or. LIX 74. Sull’apoteosi, cfr. Eutr., X 8,3; ILS 706; ILS 730; Th. Grünewald, Constantinus, cit., pp. 159-162; G. Bonamente, Apoteosi e imperatori cristiani, in I cristiani e l’Impero nel IV secolo, Atti del I Colloquio sul Cristianesimo antico (Macerata 17-18 dicembre 1987), a cura di G. Bonamente, A. Nestori, Macerata 1988, pp. 107-142.