L'Italia preromana. I siti laziali: Gabi
Città (gr. Γάβιοι; lat. Gabii) del Latium vetus, situata sul bordo del lago vulcanico di Castiglione, a XII miglia da Roma, lungo la via Praenestina (originariamente chiamata via Gabina: Liv., II, 11, 7; III, 6, 7).
La tradizione ne attribuisce la fondazione ad Alba Longa (Dion. Hal., I, 84; Verg., Aen., VI, 773; ma Sol., II, 10: origine sicula) e le conferisce un ruolo culturale preminente nel Lazio arcaico, con la leggenda di Romolo e Remo inviati a G. per apprendere lettere, musica e uso delle armi greche (Dion. Hal., IV, 53; Plut., Rom., VI, 1; Ps.- Aur. Vitt., Orig., 21). Importanti testimonianze indirette della rilevanza della città in epoca arcaica sono l’esistenza di un ager Gabinus, distinto da quello Romanus e peregrinus (Varro, Ling., V, 33); il ricordo di un cinctus Gabinus (modo particolare di disporre la toga per la difesa e rimasto sinonimo in età repubblicana del nemico: Liv., V, 43; Verg., Aen., VII, 612; Serv., Aen., VII, 612; Isid., Orig., XIX, 24, 7); la notizia del trattato stipulato sulla base di una assoluta parità con Roma al tempo di Tarquinio Prisco, il cui testo, inciso su uno scudo di cuoio, si conservava a Roma nel tempio di Semo Sanctus (Dion. Hal., IV, 58; Fest., p. 48, Lindsay; Hor., Epist., II, 1, 25). G., presa da Tarquinio il Superbo, avrebbe poi partecipato alla guerra contro Roma, conclusasi nel 499 a.C. al Lago Regillo (Dion. Hal., V, 61).
A partire dal V sec. a.C., G. è nominata raramente: per devastazioni del territorio a opera dei Volsci nel 462 a.C. (Liv., III, 8); quale alleata di Roma contro Praeneste nel 382 a.C. (Liv., VI, 21); in occasione della marcia di Annibale su Roma nel 211 a.C. (Liv., XXVI, 9); per la distribuzione del territorio ai veterani di Silla (Lib. Col., 234). Nella tarda repubblica e in età imperiale la città di G. è ricordata per la decadenza e l’abbandono (Cic., Planc., III, 28; Dion. Hal., IV, 53; Hor., Epist., I, 11, 7; Prop., IV, 1, 34; Lucan., VII, 392; Iuv., III, 192; VI, 56; VII, 4; X, 100). Un abitato situato sulla riva orientale del lago di Castiglione è attestato dall’età del Bronzo Medio: ricade lungo una delle direttrici di transumanza dall’Appennino aquilano al litorale del Lazio meridionale. Nella prima età del Ferro è stata riconosciuta nella zona circostante il lago un’occupazione a carattere diffuso, che si risolve entro la prima metà dell’VIII sec. a.C. con una concentrazione dell’abitato nel sito ove dalla fine del VII sec. a.C. si organizzerà l’area urbana. Tra le necropoli relative a questa fase si segnala quella di Osteria dell’Osa: gli scavi recenti vi hanno rimesso in luce circa 600 tombe a incinerazione e inumazione (IX-VII sec. a.C.). Dalla tomba 482, attribuibile alla fase IIB della civiltà laziale, proviene un vaso con graffita un’iscrizione che è la più antica conosciuta nell’area in alfabeto greco: essa denuncia l’alfabetizzazione delle popolazioni locali attraverso contatti antecedenti la fondazione di Cuma e testimonia il precoce ruolo culturale di G., che verrà richiamato dalla leggenda della paideia di Romolo e Remo.
È discusso il perimetro della città arcaica: è stato proposto che si estendesse sia a est che a sud del lago (nel caso risulterebbe essere uno dei maggiori centri latini). Appartengono a questa fase tre santuari e vi sono attribuiti brevi tratti di mura, in opera quadrata di tufo. Ricerche topografiche hanno evidenziato in età repubblicana una contrazione dell’abitato verso la zona a meridione del lago; l’abbandono del settore orientale sarà sancito, alla metà del II sec. a.C., dall’apertura di cave di pietra gabina, che lo sconvolgeranno risparmiando solo la strada mediana, funzionale al trasporto del materiale. L’abitato, con organizzazione municipale, si concentrò poi lungo la via Praenestina, ove in età imperiale sorsero edifici pubblici, servizi e taberne. Iscrizioni vi attestano opere pubbliche per munificenza di Adriano (CIL XIV, 2797-98). Gli avanzi più consistenti di G. consistono nel santuario di Giunone (attribuzione confermata da antefisse con l’iscrizione IVN). Il luogo di culto, forse risalente al VII e strutturalmente organizzato nel VI sec. a.C., fu ampliato nel IV sec. a.C. (sacello esterno; lucus; cippi con dediche alla Fortuna). Alla metà circa del II sec. a.C. fu eretto il tempio, al centro di una piazza rettangolare alberata e sull’asse di un albero preesistente. La piazza era recintata su due lati da un portico con tabernae che si arrestava all’altezza della fronte del tempio; sul fondo da un portico, mentre sul quarto lato, avanti al tempio, si apriva con la cavea di un teatro.
Il tempio, in opera quadrata di lapis Gabinus, era periptero sine postico, con unica cella, alto podio modanato e gradinata frontale: in base a caratteristiche e proporzioni ne è stata proposta la dipendenza, con adattamenti locali, dalle esperienze architettoniche elaborate verso la fine del III sec. a.C. da Hermogenes e che alla metà del II sec. a.C. trovarono diffusione a Roma a opera di Hermodoros di Salamina. L’altare antistante, in base all’iscrizione rimasta, è stato proposto sia stato innalzato da M. Cornelius Cethegus, console del 160 a.C. Restauri al complesso sono attestati dopo le guerre civili e sotto Augusto. Degli altri santuari noti, il primo, situato a oriente, è documentato in uso dal VII (sacello a pianta rettangolare) al II sec. a.C. (erezione di contiguo portico in opus incertum). Tra i ritrovamenti si segnalano materiali votivi (bronzetti arcaici, ca. 600 figurine di lamina di bronzo ritagliata, vasetti miniaturistici di impasto, ceramica di imitazione corinzia, ecc.) e architettonici (VI-V sec. a.C.: acroterio raffigurante una Sirena; antefissa con Sileno; elementi a figura di Arpia). L’altro santuario, extraurbano, attestato in epoca arcaica e mediorepubblicana, sorgeva nella tenuta di Pantano Borghese; ne è stata proposta la pertinenza ad Apollo, il cui tempio a G. è ricordato da Livio (XLI, 61, 6).
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