Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le difficoltà dell’Europa secentesca non arrestano la sua espansione nel resto del mondo. Anche in Asia le potenze iberiche, in particolare i Portoghesi, si trovano costrette sulla difensiva dall’aggressività della compagnie privilegiate, strumento dell’espansione inglese, francese e olandese. Il bacino dell’Oceano Indiano è sempre più controllato dagli Europei. Tuttavia qui non si attuano quelle forme di dominio coloniale proprio delle Americhe, dal momento che i regni asiatici sanno abilmente approfittare anche dei contrasti economici politici e religiosi dei conquistatori occidentali.
A partire dagli ultimi decenni del Cinquecento, la situazione dell’Impero portoghese – l’Estado da Índia – si fa sempre più critica. Per uno Stato con circa due milioni di abitanti, lo sforzo per esercitare un efficace controllo su distese oceaniche immense, da Lisbona a Goa e oltre, fino a Malacca, alle Molucche e a Macao, si dimostra quasi insostenibile. Le navi disponibili non sono molte e le perdite in mare elevatissime. Anche gli equipaggi validi cominciano a scarseggiare. Proprio le distanze e la necessità di ricorrere sempre più alle risorse economiche ma anche umane locali per gli equipaggi e la difesa, provocano un allentamento del controllo dei capisaldi asiatici da parte del Conselho da India, ribattezzato dopo il 1640 Conselho do Impero. Come osserva a metà del XVII secolo il governatore olandese van Diemen, “per la maggior parte, i Portoghesi in Asia vedono questa regione come la loro vera patria e non pensano più al Portogallo”. Negli insediamenti portoghesi Goa, Malacca e Macao, i matrimoni misti sono frequenti e danno origine a una società etnicamente e culturalmente meticcia. Contrabbando e corruzione, problemi presenti fin dalle origini dell’India portoghese, dilagano.
Inoltre la posizione dei Portoghesi in Asia risente inevitabilmente dell’evoluzione della politica europea. Dal 1580, il Portogallo è unito alla Castiglia e all’Aragona – in definitiva alla Spagna – da un’unione nella persona del re Filippo II. La rivolta dei Paesi Bassi, in corso dagli anni Sessanta del Cinquecento, ha quindi ripercussioni gravi sui traffici portoghesi. Dopo il 1576, il ruolo di piazza di redistribuzione delle spezie provenienti dall’Asia, un tempo appartenente ad Anversa, viene ora assunto da Amsterdam, che però è, dal 1580, una città nemica del re di Spagna e di Portogallo. I circuiti commerciali portoghesi devono quindi affrontare una riorganizzazione non agevole. Inoltre l’ostilità fra i Regni iberici e le potenze protestanti espone anche l’Impero portoghese in Asia all’offensiva delle Province Unite e dell’Inghilterra. Rischio tanto più grave in quanto la balance of power marittima appare sempre più favorevole ai nemici degli Asburgo, dotati di navi, artiglierie ed equipaggi migliori di quelli portoghesi. I Portoghesi perdono Malacca e la costa di Ceylon, oltre a varie posizioni lungo la costa africana, per mano degli Olandesi, e Hormuz per mano degli Inglesi ai quali cedono anche Bombay come dote di Caterina di Braganza, andata in sposa a Carlo II Stuart. In definitiva, nella seconda metà del Seicento l’Impero portoghese è ridotto a una serie disarticolata di capisaldi e piccoli possedimenti – Diu, Goa e Macao i più importanti – ormai quasi del tutto privi di importanza commerciale e strategica.
Per gli Inglesi, e soprattutto gli Olandesi, strappare al Portogallo il quasi monopolio del commercio delle spezie con l’Asia ha il duplice vantaggio di appropriarsi di una fonte di eccezionali profitti e di minare una delle basi finanziarie della potenza nemica degli Asburgo. I risultati della prima spedizione olandese in Asia guidata da Cornelius Houtman evidenziano le difficoltà e i rischi di una simile impresa – solo un terzo dei circa 250 uomini partiti fa ritorno – ma anche i potenziali vantaggi. Il pepe, il macis e la noce moscata riportate ad Amsterdam ripagano infatti le spese del viaggio e assicurano ampi margini di guadagno. Negli anni successivi si formano quindi varie compagnie e vengono effettuate diverse spedizioni con esito positivo.
I problemi causati dalla concorrenza fra le diverse compagnie create in Olanda per il commercio con l’Asia portano nel 1602 alla costituzione della Vereenigde Oost-Indische Compagnie (VOC), la Compagnia unita delle Indie orientali, una società per azioni nel cui direttivo – i cosiddetti “Diciassette Signori” – sono rappresentate le diverse province e città che costituiscono lo Stato e alla quale viene conferito il monopolio del commercio con l’Asia.
L’avvio dell’espansione olandese è comunque prudente e si cerca di evitare lo scontro diretto con una presenza portoghese ormai consolidata da circa un secolo. Anche per questa ragione gli Olandesi ignorano inizialmente l’India, cuore dell’Impero portoghese, e puntano direttamente sugli arcipelaghi dell’Insulindia, da dove peraltro provengono le spezie più ricercate. È qui nell’isola di Sumatra, presso lo Stretto della Sonda, che offre un passaggio fra oceano Indiano e oceano Pacifico alternativo allo Stretto di Malacca controllato dai Portoghesi, che nel 1619 viene fondata Batavia, la capitale del nascente Impero olandese delle Indie orientali.
Protagonista indiscusso di questa prima fase è Jan Peterszoon Coen, governatore generale dal 1618. Nel suo Discorso riguardante lo Stato olandese d’India, Coen indica con chiarezza obiettivi e strategia. Innanzitutto si vuole ottenere il monopolio delle spezie più pregiate: macis, chiodi di garofano e noce moscata, controllando all’origine la produzione, limitata a poche isole dell’arcipelago di Banda e delle Molucche. Inoltre Coen sottolinea la necessità, già intravista dai Portoghesi, di inserirsi nei traffici interni all’Asia per finanziare l’acquisto delle spezie, che altrimenti avrebbe richiesto l’esportazione dall’Europa di ingenti quantità d’argento. Il perseguimento di questi due obiettivi richiede un ricorso intensivo all’uso della forza militare. Per controllare la produzione di spezie, gli Olandesi devono assumere il controllo diretto di alcune isole o di parti di isole. E il dominio sui mari è il presupposto per il controllo dei flussi commerciali. D’altra parte i profitti derivanti dai traffici in Asia e con l’Asia danno un contributo essenziale alla stessa sopravvivenza delle Province Unite, un piccolo Stato impegnato per quasi tutto il secolo in continui conflitti con le maggiori potenze dell’epoca – gli Asburgo di Spagna e Austria, l’Inghilterra e la Francia. Come scrive lo stesso Coen, “non possiamo fare la guerra senza il commercio, né commerciare senza fare la guerra”.
In realtà, in questo primo periodo, gli scontri più aspri non oppongono gli Olandesi ai Portoghesi, ma agli Inglesi – protestanti anch’essi ma “falsi amici”, come li definisce Coen – che nel 1600 fondano una loro Compagnia delle Indie – East India Company (EIC) – e, almeno inizialmente, concentrano anch’essi i loro sforzi sull’Arcipelago indonesiano. Nel 1623 il governatore olandese dell’isola di Amboina, nelle Molucche, ordina la decapitazione di una ventina di dipendenti della EIC. È il famigerato “massacro di Amboina” che peserà a lungo nelle relazioni fra Olanda e Inghilterra. Le due nazioni del resto nel corso del XVII secolo si affrontano in ben tre conflitti (1652-54, 1665-67, 1672-74) che hanno come posta in gioco il dominio dei mari e il controllo dei traffici commerciali e hanno naturalmente delle ripercussioni anche oltreoceano. L’uso spregiudicato della violenza ottiene comunque per il momento i risultati voluti. Gli Inglesi sono di fatto estromessi dalle isole delle spezie, che cadono sotto il dominio degli Olandesi.
A questo punto, consolidato il controllo dell’Insulindia, il suo nuovo governatore generale della VOC, Anton van Diemen (1593-1645), decide di sferrare un attacco in grande stile contro l’Estado da Índia portoghese. Goa e Malacca, insieme a Macao i gangli vitali del sistema portoghese, sono il primo obiettivo. Malacca viene conquistata nel 1641, interrompendo così i collegamenti portoghesi fra l’oceano Indiano e l’Asia orientale, mentre Goa riesce a resistere a un lungo blocco, ma rimane sostanzialmente isolata. I Portoghesi vengono anche estromessi da Ceylon, l’isola della cannella, e nel 1641 gli Olandesi ottengono dalle autorità shogunali giapponesi il permesso di mantenere, al posto dei concorrenti portoghesi, un piccola caposaldo commerciale nell’isola di Deshima. Per oltre due secoli sarebbe stato il solo punto di contatto fra gli Europei e il Giappone.
Il successo olandese è dovuto alla superiorità dell’artiglieria, degli equipaggi, della leadership e della tecnologia navale. Le caracche e i galeoni utilizzati da Portoghesi e Spagnoli erano utilizzati sia come naviglio da guerra che da trasporto. Gli Olandesi invece sviluppano tipi di naviglio diverso per le varie funzioni, ottenendo così strumenti più economici ed efficaci. Il fluit, messo a punto alla fine del XVI secolo, capiente ed economico, è destinato unicamente alla navigazione mercantile. I vascelli da guerra, pesantemente armati di cannoni, sono invece incaricati della scorta e delle operazioni offensive. L’affermazione olandese è dovuta però anche alla rinuncia a ogni attività missionaria, in cui invece Portoghesi e Spagnoli erano fortemente impegnati, complicando le relazioni con i potentati islamici, induisti, confuciani, buddhisti e shintoisti, che vedevano nell’attività di proselitismo una forma di ingerenza politica e un fattore di sovversione politica e sociale.
Negli ultimi decenni del Seicento quindi, la VOC, tenuti a bada gli Inglesi e fortemente ridimensionati i Portoghesi, riesce a imporsi come protagonista della presenza europea in Asia. Questa supremazia ha però costi militari molto elevati, che erodono i profitti della Compagnia, minacciati anche, come già nel precedente periodo portoghese, dal dilagare del contrabbando a opera degli stessi funzionari della VOC.
Le prime puntate inglesi in Asia sono coeve a quelle olandesi, così come coeva è la fondazione delle due Compagnie delle Indie. Tuttavia i mezzi impiegati e i risultati ottenuti sono ben diversi. Il capitale di cui può disporre la EIC e il numero di navi impiegate è infatti molto inferiore. Grazie a questa superiorità la VOC riesce a escludere dall’Insulindia i rivali inglesi, che ripiegano sulla Persia e sull’India, dove stabiliscono basi a Surat (1612), Madras (1639), Bombay ceduta dai Portoghesi nel 1661, e infine Calcutta (1690). È una scelta in qualche modo obbligata ma in fondo felice. In India infatti gli Inglesi hanno un accesso privilegiato a quella che si rivela, soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo, una delle risorse principali del commercio con l’Asia, ovvero i tessuti di cotone, di cui l’India è la maggiore produttrice mondiale. Essi trovano un’accoglienza entusiasta, oltre che negli altri mercati asiatici, in Europa, Africa e Americhe.
I primi anni del XVII secolo assistono anche alle prime spedizioni francesi. Tuttavia è solo con Colbert che queste prendono consistenza. Nel 1664 Colbert fonda la Compagnia reale delle Indie orientali che, a differenza di quelle inglesi e olandesi è essenzialmente una creazione dello Stato, finanziata direttamente e indirettamente dalla Corona e concepita in primo luogo come uno strumento di politica estera e di guerra economica rivolta contro l’Olanda. L’invio di una squadra della marina reale negli anni Settanta in appoggio alle attività della Compagnia conferma la sua natura statuale, ma non ne garantisce il successo. Nella seconda metà del secolo, mentre gli interessi e le risorse francesi si concentrano sul continente europeo, le iniziative degli stessi perdono slancio. Tuttavia vengono stabiliti vari fondachi, tra i quali Pondichéry e Chandernagor che nel secolo successivo saranno i punti di partenza per un nuovo protagonismo marittimo e mercantile francese.
Nel rapporto che si stabilisce fra Europei e le diverse regioni e civiltà dell’Asia nel Seicento si possono rintracciare sia elementi di continuità con la fase precedente, sia significative novità. Cominciamo dai primi. Nei tratti fondamentali quella portoghese è una talassocrazia e non un impero territoriale. La supremazia strategica, fondata su “vele e cannoni”, viene confermata ma è comunque limitata. Gli Olandesi, anche grazie a un presenza militare quantitativamente ben più considerevole di quella portoghese, sono in grado di condizionare, o addirittura di imporsi, sui potentati di piccole e medie dimensioni come il Regno di Kandy, Ceylon, Calicut o i Principati indonesiani. I grandi Imperi asiatici come quello Safavide, Mogul, Ming e poi Manchu o lo stesso Giappone dei Tokugawa restano tuttavia molto al di là della loro portata. Sono infatti proprio loro a dettare le condizioni delle relazioni politiche ed economiche con gli Europei.
Non si deve pensare che nel XVII secolo l’iniziativa fosse sempre e saldamente nelle mani delle potenze europee. Se gli Europei sfruttano la rivalità fra sultanati e principati asiatici, è anche vero che questi sanno abilmente approfittare dei contrasti economici, politici e confessionali esistenti fra gli occidentali. Lo stesso regno di Kandy, ad esempio, gioca una partita complessa, non sempre con successo, destreggiandosi fra le mire di Portoghesi, Olandesi e Inglesi sull’isola della cannella. La stessa politica è seguita dallo Zamorin (re) di Calicut che negli anni Sessanta e Settanta usa l’emergente presenza francese per tenere a bada gli Olandesi, o dai Safavidi di Persia che si appoggiano agli Inglesi per espellere i Portoghesi.
Siamo dunque ancora molto lontani da forme di dominio coloniale simili a quelle attuate nelle Americhe o, nei secoli seguenti, nell’Asia stessa. Tuttavia quella olandese e, in misura minore inglese e francese, è qualcosa di più di una presenza mercantile tutto sommato periferica, com’era stata quella portoghese. I tentativi degli Olandesi di controllare all’origine la produzione delle spezie pregiate implicano il dominio su alcuni territori, le cui strutture economiche e sociali sono brutalmente riplasmate in funzione degli interessi della VOC. È quel che succede, ad esempio, nel piccolo arcipelago di Banda, per sua sfortuna titolare di un monopolio naturale nella produzione di una delle spezie più pregiate: la noce moscata. Gli Olandesi deportano in pratica l’intera popolazione sostituendola con schiavi creando così, sia pure su piccola scala, un sistema economico e sociale simile a quello delle piantagioni americane di canna da zucchero.
Nel Seicento gli Europei si inseriscono più in profondità nei meccanismi economici asiatici. Nei bilanci della VOC, la quota dei proventi derivanti dall’esportazione in Europa di prodotti asiatici – soprattutto spezie ma anche tessili, seta, porcellane, legname ecc. – è inferiore rispetto a quella derivante dai traffici interni all’Asia stessa. Ma quello che gli Olandesi chiamano inlandse handel, gli Inglesi country trade e i Francesi commerce de l’Inde en Inde, è sempre più importante non solo per i bilanci delle compagnie europee ma anche per le economie asiatiche. Anche i mutamenti merceologici sono significativi. Le spezie, un tipico bene di lusso, mantengono il primato fino alla fine del secolo, ma i tessuti di cotone, la prima vera merce globale di largo consumo, seguono da vicino. Nei bilanci della VOC degli ultimi decenni il contributo dei tessuti di cotone è quasi pari a quello delle spezie e nel caso della EIC inglese le cotonate sono certamente al primo posto ed è anche grazie ad esse che gli Inglesi si affacciano sul mercato della Cina, da dove cominciano l’importazione in Europa di due prodotti destinati a uno straordinario successo: il tè e la porcellana. Anche l’aumento progressivo del numero di navi inviate in Asia nella prima metà del Seicento dagli Olandesi, dalle 56 del primo decennio del secolo alle quasi 230 degli anni Sessanta, è un indice eloquente della crescente importanza dell’Asia per l’Europa, e viceversa.
Può darsi che, come ritengono alcuni storici tra cui Braudel e Wallerstein, all’inizio del Settecento l’Asia meridionale e orientale non possano ancora essere considerate parte integrante dell’economia-mondo guidata dall’Europa, ma senza dubbio il livello d’interdipendenza tra le società e le economie di quest’area e quelle europee si è molto accresciuto. La domanda europea di beni come i tessuti di cotone e la porcellana stimola, ad esempio, mutamenti strutturali nei luoghi di produzione. E naturalmente occorre tener presente che, come già nel Cinquecento, quello tra Europa e Asia non è un rapporto solamente bilaterale. L’argento americano, che in una proporzione tra il 30 e il 50 per cento trova la strada dell’India attraverso la rotta del Capo, o della Cina attraverso Batavia o Acapulco, è il fluidificante dei circuiti commerciali mondiali, mentre l’importanza della domanda africana e americana di tessuti di cotone stimola la produzione indiana, in parte esportata da Inglesi e Olandesi.