L’esegesi di Eusebio e la figura di Costantino
L’interpretazione eusebiana della Scrittura ha rappresentato uno snodo importante nella storia dell’esegesi patristica, in quanto ha valorizzato per la prima volta il significato storico dell’Antico Testamento, precedentemente trascurato a beneficio di quello cristologico. In questo contesto la nuova condizione della Chiesa inaugurata dalla svolta costantiniana ha condizionato l’interpretazione di fatti importanti della storia d’Israele, che Eusebio ha interpretato come preannuncio profetico della vittoria della Chiesa sulle forze del male1.
Nella multiforme attività letteraria di Eusebio di Cesarea l’esegesi della Scrittura rappresenta un momento significativo, soprattutto se si considera che l’interpretazione della Scrittura, prima di quella ebraica (Antico Testamento) e poi anche di quella cristiana (Nuovo Testamento) costituiva il vero e proprio fondamento sul quale posava ogni altra attività letteraria, e culturale in genere, della comunità cristiana, e come tale al tempo di Eusebio, inizio del IV secolo, vantava una già consistente tradizione che in Origene aveva il suo punto di forza. Infatti la tendenza, già percepibile ai primordi della vita della Chiesa, soprattutto in Paolo e nel Vangelo di Matteo, a interpretare la Scrittura giudaica in funzione di avallo di Cristo e del suo messaggio, si era rapidamente dilatata, anche se, di fronte al rifiuto di ogni tradizione giudaica da parte di etnocristiani di tendenza radicale, marcioniti e gnostici, il rapporto di Cristo con quella Scrittura era stato ribaltato, in quanto egli era stato assunto come colui che, annunciato profeticamente nella vecchia economia e iniziatore della nuova, aveva conservato validità alla tradizione giudaica unificandola col messaggio cristiano. Per realizzare questo fine, fin da Paolo la tendenza a ricercare la presenza di Cristo nella Scrittura giudaica aveva spinto a trasferire in ambito cristiano il metodo ermeneutico dell’allegoria2, da secoli in uso nell’interpretazione filosofica dei miti della religione greca, scarsamente utilizzato dal giudaismo palestinese ma alla grande invece nel giudaismo ellenizzato di Alessandria, al fine di rendere compatibile la Scrittura giudaica con i fondamentali assunti della filosofia greca. In ambito cristiano questo modo di interpretare fu subito adattato a significare il preannuncio simbolico e profetico di Cristo e della Chiesa in quella Scrittura: Isacco Giacobbe Giuseppe hanno prefigurato Cristo, l’arca di Noè la Chiesa, e così via. Questa ratio interpretandi, già più o meno ampiamente messa in opera da Barnaba Giustino Ireneo Ippolito Tertulliano Clemente, aveva trovato in Origene il catalizzatore che aveva compattato le svariate allegorie, precedentemente proposte e diffuse, in un sistema organico elaborato anche a livello di teoria, tale da articolare l’interpretazione di tutta la Scrittura, sia dell’Antico sia del Nuovo Testamento, su due livelli interpretativi, letterale e spirituale, corrispondenti ai due livelli di realtà dell’universo platonico, sensibile e intellegibile. Aggiungiamo una sensibilità filologica fino allora del tutto sconosciuta in ambito cristiano, sì da proporre anche l’interpretazione spirituale, largamente aperta all’allegorizzazione, su un testo biblico criticamente fondato3.
L’ampiezza e la complessità della proposta ermeneutica di Origene, rese possibili dal massiccio trasferimento in ambito scritturistico giudaico e cristiano di procedimenti ermeneutici e di parametri concettuali derivati dalla filosofia greca, soprattutto d’osservanza platonica e stoica, se riscosse notevole successo, soprattutto in ambiente alessandrino, incontrò anche forti opposizioni, che per altro, come evidenzia il caso di Eustazio di Antiochia, al di là della pura e semplice ripulsa non riuscivano a concretarsi in una vera e propria proposta alternativa4. Nel contesto di un clima conflittuale che sappiamo largamente diffuso, Eusebio si colloca come un secondo snodo fondamentale, nella storia dell’esegesi scritturistica cristiana, in quanto interpretando la tradizione di Origene, alla quale era ideologicamente legato per mille tramiti, sulla base di interessi personali che per larga parte non si identificavano con quelli del maestro, elabora e mette in opera un criterio ermeneutico al tempo suo del tutto originale e tale che avrebbe influenzato decisivamente l’esegesi, soprattutto ma non soltanto, d’ambiente antiocheno5. Ha in comune con il maestro una accentuata sensibilità filologica ma, pur essendo grande ammiratore di Platone, gli resta estraneo l’inserimento dell’ermeneutica scritturistica nella trama dell’universo platonico, e soprattutto i suoi prevalenti interessi storici e antiquari gli precludono l’apprezzamento della dimensione spirituale di più alta caratura che caratterizza tanta esegesi origeniana. Dobbiamo anche tenere in conto la dimensione apologetica che percorre tutta la pur tanto diversificata produzione letteraria di Eusebio. In ambito esegetico la critica di Porfirio aveva preso di mira l’allegorismo a volte spinto di tanta interpretazione alessandrina dell’Antico Testamento, nel senso che il filosofo di Tiro le aveva fatto carico di essere finalizzata alla neutralizzazione dei tanti antropomorfismi che esponevano i primi libri dell’Antico Testamento alla deridente critica dei pagani colti: e noi sappiamo quanto profondamente Eusebio abbia avvertito l’impatto della polemica anticristiana di Porfirio. Dalla convergenza di tutti questi motivi prende corpo una ratio interpretandi del tutto nuova in ambito cristiano, in quanto, se da una parte eredita dalla tradizione la convinzione che la Scrittura giudaica avesse anticipato in forma profetica e simbolica Cristo e il suo messaggio, donde la finalità primaria di mettere in luce questa fondamentale componente indispensabile per collegare quella Scrittura con quella cristiana, d’altra parte tende a realizzare questa finalità rifiutando quell’eccesso di allegorizzazione che provocava la critica non solo del lettore pagano ma anche di tanti cristiani, sia indotti sia colti, adusi a leggere il testo sacro con aderenza al suo significato letterale. Eusebio è caratterialmente un moderato, alieno in ogni campo da prese di posizione radicali. In ambito esegetico ne deriva un atteggiamento che senza ombra di dubbio prende le distanze dal compatto modulo ermeneutico origeniano, ma iuxta modum, nel senso di rifiutarne l’impianto teorico di stampo platonico a beneficio di una ratio esegetica più duttile, che rifiuta l’allegorizzazione sistematica del testo scritturistico ma non l’allegoria tout court; che valorizza la dimensione storica dei testi veterotestamentari ma non certo al punto da perdere di vista la fondamentale finalità di ricercare la presenza di Cristo nella pagina antica. La fedeltà assoluta all’ermeneutica del maestro si situa a livello filologico, al fine di garantire l’esigenza primaria di impostare l’interpretazione su un testo biblico criticamente fondato: Eusebio aveva la fortuna di conservare nella biblioteca di Cesarea la copia originale degli Hexapla origeniani, e ne fa buon uso.
Da un esegeta tanto pragmaticamente orientato non ci si può aspettare una trattazione teorica del tipo di quella compresa nel libro IV del de principiis origeniano; e del resto Eusebio rilutta in ogni campo all’apertura impegnativa di carattere concettualmente astratto. Leggiamo comunque in quel che è giunto a noi del Commento a Isaia6 alcune affermazioni di questo tipo, brevi ma quanto mai significative. In un passo introduttivo7 egli scrive che il messaggio profetico, da lui considerato essenzialmente orientato all’annuncio di Cristo, a volte è presentato in modo da poter essere interpretato anche solo alla lettera, senza necessità di allegorizzare il testo, mentre altre volte è espresso in forma simbolica; e subito dopo chiarisce che in uno stesso contesto per lo più si trovano intrecciati insieme concetti espressi sia alla lettera sia per allegoria. In questo ordine d’idee egli più in là esemplifica8: in Is 11,1 il ramo e il fiore che spunteranno dalla radice di Jesse sono da intendere in senso allegorico, in riferimento alla nascita terrena di Cristo, mentre Jesse va inteso in senso letterale. Se mettiamo a confronto questa affermazione procedurale con il fondamento dell’ermeneutica di Origene, secondo cui tutta la Scrittura presenta un significato spirituale sistematicamente sovrapposto al significato letterale, il contrasto appare evidente. Se poi aggiungiamo che Girolamo, il quale leggeva il commentario eusebiano nella sua integrità, afferma che in esso Eusebio aveva dichiarato di voler interpretare il testo di Isaia dal punto di vista storico9, la presa di posizione nei confronti della ratio ermeneutica di Origene appare ancora più chiara: ma ancora una volta iuxta modum. Infatti il rifiuto programmatico della struttura di base del commentario origeniano non significa affatto estraneità completa: tutt’altro, perché siamo in grado di accertare che quando Eusebio dettava il suo commentario egli aveva sott’occhio quello del maestro10, utilizzandolo con la libertà che aveva rivendicato, ma per certo ancora ampiamente: la terminologia tecnica è quella origeniana, origeniano il disprezzo più volte manifestato per la semplice interpretazione letterale, di tipo tradizionalmente alessandrino le tutt’altro che rare allegorie11. A Eusebio interessa svincolarsi dall’impostazione, per lui troppo rigida, della teoria ermeneutica del maestro, ma senza rinunciare a utilizzarne l’interpretazione caso per caso12.
Siamo così venuti a trattare dei due scritti esegeticamente più significativi di Eusebio, i commentari a Isaia.e ai Salmi, ambedue opere tarde. In precedenza egli si era variamente occupato della Scrittura, ma soprattutto con interesse filologico e storico e finalità prevalentemente apologetica. Di carattere specificamente esegetico ricordiamo i quattro libri delle Eclogae propheticae, una scelta di passi veterotestamentari il cui significato cristologico si può ricavare dalla lettura diretta del testo, senza necessità di ricorrere sistematicamente all’interpretazione allegorica, pur tutt’altro che assente13. Il secondo libro delle Eclogae è tutto dedicato all’interpretazione di passi tratti dai Salmi, e il quarto a passi di Isaia. Comprendiamo perciò perché Eusebio abbia successivamente dedicato un commento sistematico a questi due libri, tanto ricchi di testi agevolmente riconducibili a Cristo. Questo riferimento, nel Commento ai Salmi14, è contestualizzato in un inquadramento storico particolarmente curato, che si vale di dati ricavabili sia dal testo stesso dei salmi sia dalle rubriche che corredano la traduzione dei Settanta, con frequente riferimento ai fatti narrati nei libri storici e profetici dell’Antico Testamento. Nella trama di tale inquadramento Eusebio più di una volta ha occasione di interpretare passi di salmi di contenuto genericamente allusivo ai tradizionali nemici di Israele e alle disgrazie del popolo riferendoli a eventi storici specificamente precisati. Qui a noi interessano in modo particolare i riferimenti ai vari assedi che Gerusalemme aveva subìto nella sua lunga storia. In questo ordine d’idee un quadro d’insieme ci è proposto nel commento al salmo 82, in occasione del ricordo di idumei ismaeliti moabiti e altri popoli tradizionalmente ostili agli israeliti15. Infatti Eusebio ricorda come Gerusalemme fosse stata assediata ed espugnata tre volte, prima dagli assiri16, poi dal re Antioco, infine dai romani, e specifica che il salmo 82 ricordava il primo dei tre assedi, mentre il secondo era stato oggetto del salmo 78, e del terzo, quello dei romani, aveva ampiamente trattato il salmo 73. A proposito di quest’ultimo assedio Eusebio non manca di precisare che esso aveva fatto séguito all’uccisione di Cristo da parte dei giudei17. Questa puntualizzazione è fondamentale per apprezzare il significato cristologico che il nostro storico ha attribuito all’evento storico. Il fatto che la distruzione del Tempio di Gerusalemme si fosse avuta solo pochi decenni dopo la morte di Gesù era stato per tempo interpretato dai cristiani nel senso che a causa di quella morte il Tempio avesse esaurito la sua funzione di centro della vera religione, e la sua distruzione da parte dei romani ne aveva sanzionato lo scadimento. Questa argomentazione viene valorizzata da Eusebio nella nuova prospettiva inaugurata dalla svolta costantiniana, che egli interpreta come vittoria della religione cristiana a spese dei suoi avversari, che in questo caso specifico sono i giudei. È questa l’interpretazione che leggiamo nel commento al salmo 73, in riferimento alla generica apertura del salmo: «Perché mai, Dio, ci hai respinto alla fine e ti sei adirato con le pecore del tuo pascolo?»18. Eusebio fa diffuso riferimento all’assedio del 70 d.C., fa i nomi di Vespasiano e Tito19, e interpreta la parabola evangelica dell’invito del re alle nozze di suo figlio20 come preannuncio profetico del futuro assedio21. Conseguentemente interpreta il versetto 2 del salmo «Ricordati della tua sinagoga, che hai posseduto dall’inizio» precisando che la Chiesa, in quanto aperta a tutte le genti, non è stata costituita fin dall’inizio ma ha fatto seguito alla rovina della sinagoga, precedente possesso di Dio22.
Questa tematica è ampiamente sviluppata nel Commento a Isaia, in quanto i tanti spunti di significato considerato messianico presenti in questo libro profetico si adattavano perfettamente a esservi inseriti e valorizzati. A questo fine Eusebio fa ampio uso di un procedimento esegetico già applicato da Origene, consistente nel trasferire al tempo della guerra con i romani i tanti riferimenti di Isaia alle invasioni di assiri e babilonesi e, più in generale, alla disubbidienza del popolo nei confronti del suo Dio. Per esempio, i malanni predetti da Is 1,5-6, che colpiranno il popolo in modo così completo che in esso «non ci sarà sanità dai piedi fino alla testa» ispirano a Eusebio un’interpretazione molto puntuale: nelle precedenti calamità, anche nella prigionia a Babilonia, non sono mancati nel popolo uomini theophileis; ne consegue che questa profezia va riferita all’ultima rovina dell’anno 70 d.C., allorché «non avendo compreso che era venuto loro il Cristo di Dio, assediati dai romani non hanno sollevato più la testa», sì che per loro non ci può essere più rimedio23. L’avveramento della profezia di Is 17,9, riguardante l’abbandono delle città d’Israele, è sotto i nostri occhi – osserva Eusebio –, ora che Gerusalemme è abitata dai greci e i giudei non osano metterci piede, mentre altre città sono occupate dagli stranieri, dopo che i romani, assediatele, le hanno completamente distrutte24. Il tema della distruzione dei giudei conseguente al loro ripudio da parte di Dio s’intreccia con quello della vittoria della Chiesa, che sappiamo dominante in tutta la produzione letteraria di Eusebio nei suoi vari aspetti. In effetti la prospettiva che condiziona tutto il senso dell’interpretazione eusebiana d’Isaia è quello della svolta costantiniana, che il nostro autore sente e vive come il trionfo definitivo della Chiesa su tutti i suoi nemici, sollecitati contro di lei dall’attività dei demòni. Il famoso passo che descrive la pace messianica25 era stato tradizionalmente interpretato in riferimento alla diffusione del messaggio cristiano, apportatore di pace tale da trasformare le lance in falci. Eusebio lo sviluppa intrecciandolo col tema altrettanto tradizionale della convergenza tra la nascita di Cristo e l’instaurazione della pax Romana, ormai identificata tout court con il periodo di pace conseguente alle tante vittorie di Costantino a spese di nemici interni ed esterni. Dopo aver presentato le parole del profeta annuncianti il ripudio, da parte di Dio, del popolo della circoncisione e la conversione dei popoli stranieri, che abbandonati i loro dei vengono al monte per conoscere il vero Dio, Eusebio parla di un segno evidentissimo indicatore del tempo in cui questa profezia si sarebbe realizzata: il profeta dice che avrebbero avuto fine le discordie e le guerre tra i vari popoli e ci sarebbe stata tale pace tra tutte le genti da mettere fine alla produzione di spade e altri strumenti bellici, e tutto questo, continua il nostro esegeta, si è manifestamente realizzato dopo la venuta del salvatore nostro Gesù Cristo. Nei tempi precedenti non si sarebbe potuta trovare una congiuntura di tempi stabile e pacifica quale vediamo con i nostri occhi sotto il dominio dei romani dopo il tempo del nostro Salvatore, ora che c’è fratellanza dei popoli e pace dovunque nei campi e nelle città, sì che la nuova legge e il messaggio evangelico, avendo preso inizio dalla regione dei giudei e proprio da Sion, hanno percorso senza impedimenti tutta la terra e si sono diffusi tra tutte le genti26.
Non contento di questa presentazione complessiva della pace insieme romana e cristiana, Eusebio più volte scende nel particolare. A proposito di Is 60,10, i re stranieri proteggeranno Gerusalemme, egli osserva che anche questo è ora possibile vedere con i nostri occhi, in quanto il potere dei governanti e il timore ispirato dagli imperatori contribuiscono grandemente a respingere quanti tentano di insidiare la Chiesa di Dio27. E poco più giù, in riferimento alle porte di Gerusalemme che resteranno aperte notte e giorno e alla potenza dei popoli che verrà a lei (v. 11), Eusebio presenta gli imperatori romani che passano attraverso le porte delle chiese, in quanto degni di partecipare ai misteri che vi si celebrano28. Ancora più specificamente, la profezia dell’abbondanza di cibo che contrassegnerà l’età messianica (v. 16), se a livello spirituale sta a significare la diffusione degli insegnamenti evangelici, intesa alla lettera – osserva Eusebio – sicuramente va riferita alle elargizioni di frumento e agli altri donativi che gli imperatori assegnano alla Chiesa di Dio29. Una volta che avremo precisato che le norme del genere letterario in questione consigliavano di evitare il più possibile precise puntualizzazioni onomastiche di carattere concretamente storico a beneficio di espressioni più generalizzanti, saremo sicuri che i lettori del commentario eusebiano non abbiano avuto difficoltà a riconoscere, nella menzione di innominati imperatori al plurale, il riferimento specifico a Costantino.
1 D.S. Wallace-Hadrill, Eusebius of Caesarea, London 1960, pp. 59-99; É. des Places, Eusèbe de Césarée commentateur. Platonisme et Écriture Sainte, Paris 1982; M. Simonetti, Esegesi e ideologia nel Commento a Isaia di Eusebio, in Rivista di storia e letteratura religiosa, 19 (1983), pp. 3-34, ora in Id., Origene esegeta e la sua tradizione, Brescia 2004, pp. 323-356; C. Curti, Eusebiana I. Commentarii in Psalmos, Catania 1989; M.J. Hollerich, Eusebius of Caesarea’s Commentary on Isaiah. Christian Exegesis in the Age of Constantine, Oxford 1999.
2 Per più ampia informazione su questo argomento cfr. J. Pépin, Mythe et allégorie. Les origines grecques et les contestations judéo-chrétiennes, Paris 1958.
3 Lo strumento più valido approntato da Origene per fondarvi la critica del testo veterotestamentario furono gli Hexapla, una sinossi comprendente, in colonne affiancate, il testo ebraico e varie traduzioni greche, tra le quali quella detta dei Settanta, di uso corrente nella liturgia della Chiesa.
4 Per dettagli su questo argomento cfr. M. Simonetti, Lettera e/o allegoria. Un contributo alla storia dell’esegesi patristica, Roma 1985, pp. 73 segg.
5 M.J. Hollerich, Eusebius of Caesarea’s Commentary, cit., p. 95, scrive che Eusebio, stante la dimensione storica della sua esegesi, si colloca in relazione con le scuole di Alessandria e di Antiochia. Lasciando da parte che quella che egli definisce «the celebrated school of Antioch» non fu affatto una scuola, e tanto meno paragonabile con quella di Alessandria, va soprattutto rilevato che i rappresentanti di questo indirizzo esegetico, a cominciare da Diodoro di Tarso, si collocano cronologicamente molti decenni dopo Eusebio. Come già accennato qui sopra, proprio Eusebio, con la sua esegesi storicizzante, ha influenzato gli esegeti antiocheni, sia direttamente sia anche tramite la mediazione di Eusebio di Emesa. Per tutto questo si rinvia a M. Simonetti, Lettera e/o allegoria, cit., pp. 124 segg., 156 segg.
6 Grazie al ms. Laurenziano XI 4 si conosce buona parte del commentario eusebiano, nell’edizione di J. Ziegler, pubblicata in GCS, Eusebius Werke 9, Berlin 1975; ma si è ben lontani dal conoscerlo integralmente. Le indicazioni numeriche che corredano le nostre citazioni di questo commentario eusebiano si riferiscono all’edizione di Ziegler.
7 Ivi, p. 3, l. 1 segg.
8 Ivi, p. 90, l. 12 segg.
9 «[…] iuxta historicam explanationem». Così si legge nel prologo premesso da Girolamo alla sua interpretazione di Isaia (PL 24, 21), da cui si apprende che il commentario eusebiano era in quindici libri; ma in de viris illustribus 81 Girolamo elenca dieci libri di Eusebio su Isaia.
10 Su questo cfr. l’edizione Ziegler, pp. XXXI segg.
11 Per dettagli in proposito rinvio a M. Simonetti, Esegesi e ideologia, cit., pp. 324 segg.
12 Non si conosce il commentario di Origene su Isaia, sì che non è possibile accertare in dettaglio il debito contratto da Eusebio con Origene, e in argomento ci si deve accontentare di affermazioni generiche.
13 Cfr. in proposito M. Simonetti, Lettera e/o allegoria, cit., pp. 114 seg.
14 Di questo commentario è pervenuta a noi in tradizione diretta soltanto la parte relativa ai salmi 51- 95,3. Copiosi sono i frammenti catenari ma più volte di incerta autenticità. Il testo è pubblicato in PG 23.
15 PG 23, 996 seg.
16 Nella dizione di ‘assiri’ Eusebio comprende anche i babilonesi, effettivi conquistatori di Gerusalemme sotto la guida di Nabuchodonosor. Rileviamo anche che egli non fa parola della conquista di Gerusalemme da parte di Pompeo Magno.
17 PG 23, 996C.
18 PG 23, 852 segg. Qui e altrove traduciamo dal testo dei Settanta.
19 PG 23, 853B.
20 Mt 22,2 segg.
21 In effetti nella parabola è detto che alcuni degli invitati non si erano limitati a rifiutare l’invito ma avevano ucciso i servi che glielo avevano recapitato, sì che il re, indignato, aveva inviato il suo esercito contro di loro e aveva distrutto la loro città (vv. 6-7).
22 PG 23, 853D. La contrapposizione tra sinagoga e chiesa come tra culto concentrato in un sol luogo e culto universale, qui proposta da Eusebio, viene confortata anche mediante il confronto tra i significati etimologici dei due termini: synagogè indica la riunione di varie persone in un sol luogo («essa si chiama così per il riunirsi in uno stesso luogo)», mentre ekklesia dichiara τὸ ἐξαίρετον...τῆς ἐκλογῆς, donde sembra desumersi che Eusebio ricavasse il significato di ἐκλογή soprattutto dal prefisso ἐκ-, qui indicativo della provenienza da più luoghi.
23 Ed. Ziegler, p. 6.
24 Ivi, p. 117. Il riferimento è alla tragica conclusione della rivolta del 135, a seguito della quale i giudei scampati alle stragi furono espulsi dalle rovine di Gerusalemme e, al posto loro, fu dedotta una colonia greca in quella che, con nuovo nome, fu chiamata Elia Capitolina. Sarebbe stato Costantino a ripristinare il nome di Gerusalemme, in considerazione che essa era stata la città santa non solo dei giudei ma anche dei cristiani.
25 Is 2,2-4: «Negli ultimi giorni sarà manifesto il monte del Signore, e la casa di Dio sulla cima dei monti e sarà visibile al di sopra dei colli. Verranno qui tutte le genti, verranno tutti i popoli, e diranno: “Venite qui e saliamo al monte del Signore, alla casa del Dio di Giacobbe; annuncerà a noi la sua via e c’incammineremo in essa”: perché da Sion verrà la legge e la parola del Signore da Gerusalemme. Giudicherà in mezzo ai popoli e confonderà molti; spezzeranno le spade per farne aratri e delle lance faranno falci; nessuno più imbraccerà la spada e non impareranno più a combattere».
26 Ed. Ziegler, p. 15. Questa interpretazione della profezia di Isaia ricorre anche in Eus., l.C. 16.
27 Ed. Ziegler, p. 375.
28 Ibidem.
29 Ivi, pp. 376-377.