Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il rapido espandersi della religione musulmana nel Mediterraneo orientale nel corso del VII secolo consente ai nuovi dominatori l’accesso indisturbato alle fonti originali della cultura greca che ben presto si trasformeranno in uno strumento di potere e di prestigio tanto nell’Occidente latino quanto nelle regioni settentrionali dell’India.
La prima metà del VII secolo vede il rapido affermarsi della religione islamica nelle regioni orientali dell’area mediterranea. La conquista di parte dell’impero d’Oriente da parte dei devoti della nuova fede contribuisce a impedire alle regioni occidentali latine di accedere a quei luoghi che ancora costituivano il principale deposito della cultura greca.
Per contro, una volta che verso il 750 la tendenza all’espansione comincia a perdere slancio e i vari califfi vedono nella cultura e nella scienza un possibile modo per acquisire prestigio e consolidare il proprio potere politico nei territori conquistati, i sapienti islamici hanno a disposizione le fonti della scienza greca offerte da due canali privilegiati. Un canale è costituito dai documenti di prima mano, in lingua greca, ancora custoditi nel cuore dell’impero di Bisanzio; l’altro consiste in un nucleo di documenti di seconda mano già tradotti in lingua siriaca dai cristiani nestoriani. Fra il VI e il VII secolo, questi ultimi hanno fissato il loro principale centro culturale a Gondishapur, nella Persia orientale, dove soggiornano a lungo quei sapienti islamici che, per conto dei loro signori, si dedicano a tradurre dal siriaco all’arabo i testi scientifici greci.
La posizione geografica dei territori islamici favorisce tuttavia anche gli scambi intellettuali con le regioni settentrionali dell’India; gli influssi sono estremamente favorevoli soprattutto nell’ambito delle matematiche. Intorno all’anno 750 giunge a Baghdad, la nuova capitale dell’area islamica orientale fondata dal califfo al-Mansur, un’opera indiana di contenuto astronomico che, tradotta in arabo intorno al 775, diviene nota come il Sindhind. Quest’opera segna il primo contatto del mondo islamico con quella particolare scienza degli astri che, essendo strettamente legata alla questione della misura del tempo, alla geografia e all’astrologia, assurge nel giro di pochi secoli a una posizione di massimo interesse per i califfi, per gli studiosi, per i capi religiosi e addirittura per i singoli devoti. Alla traduzione del Sindhind segue di fatto, già verso il 780, la traduzione dal greco all’arabo dei Tetrabiblos, l’opera di Tolomeo sugli influssi degli astri sulle varie regioni della Terra e sul modo di stilare gli oroscopi. Sotto il califfo Harun al-Rashid vengono parzialmente tradotti gli Elementi di Euclide, mentre all’inizio del IX secolo il califfo al-Ma‘mun fonda a Baghdad una Casa della Sapienza. In questo luogo, che trae chiara ispirazione dalla celebrata Biblioteca di Alessandria, gli studiosi sono assiduamente impegnati a eseguire traduzioni di manoscritti greci ottenuti grazie a speciali trattati con l’impero di Bisanzio, a cominciare da quelle dei testi di Platone, di Aristotele e dei loro più importanti commentatori.
La Casa della Sapienza ospita personaggi destinati ad avere grande rilievo tanto nelle scienze dell’Oriente islamico che, ad alcuni secoli di distanza, in quelle dell’Occidente latino.
Muhammad ibn Musa al-Khuwarizmi è autore di varie opere di astronomia e di matematica e, in particolare, di alcuni trattati di aritmetica e di algebra che avranno un ruolo determinante nella definizione dei metodi di calcolo impiegati in tutto il mondo occidentale. Fra questi trattati rientra un lavoro sul calcolo numerico indiano la cui completezza espositiva porta alla diffusa conoscenza di tale sistema nonché, in seguito, alla convinzione che le dieci cifre “arabe” su cui esso si basa (in notazione moderna: 1, 2, 3, 4 ecc. ) siano state concepite dal medesimo al-Khuwarizmi. Nel corso dei secoli il sistema di numerazione posizionale “arabo” va gradualmente rimpiazzando l’analogo sistema greco, che contemplava invece cifre specifiche per le unità (α, β, γ, δ...), per le decine (ι, κ, λ, μ...), per le centinaia (ρ, σ, τ, υ...) ecc. Dalla corruzione del nome di al-Khuwarizmi deriva del resto il termine “algoritmo”, usato per indicare il calcolo numerico. Allo stesso modo, la corruzione del titolo dell’opera più importante di questo matematico, Al-jabr wa’l muqabalah (ovvero “completamento e riduzione”), porta a coniare il termine “algebra”. Con un linguaggio estremamente lineare, l’Al-jabr è dedicato alla soluzione dei sei casi di equazioni elementari di primo e di secondo grado aventi come soluzione un numero positivo, nonché alla spiegazione delle fattispecie geometriche corrispondenti a ciascuna di tali equazioni (lati, perimetri e aree di quadrati, rettangoli ecc.). Per quanto in sostanza nasca dall’unione di elementi greci e indiani, la semplicità dell’esposizione rende l’Al-jabr di facile lettura e assimilazione, tanto da far acquistare ad al-Khuwarizmi il titolo di “padre dell’algebra”.
Thabit ibn-Qurra fonda invece una scuola di traduzione e si dedica in prima persona a trasporre dal greco e dal siriaco importanti opere matematiche greche. Fra esse rientra la traduzione della maggiore opera astronomica di Tolomeo, la Mathematiké Syntaxis (“Composizione matematica”) che, dopo l’attribuzione dell’appellativo di “al-magisti” (ovvero “la più grande”) diviene nota nel mondo occidentale come Almagesto. Questa incessante attività di traduzione favorisce la conservazione in lingua araba di un consistente numero di testi filosofici e scientifici greci altrimenti destinati alla scomparsa parziale o totale; ma soprattutto mette in grado gli studiosi islamici – fra cui lo stesso ibn-Qurra – di assimilare i massimi contenuti raggiunti da quelle scienze matematiche che l’Occidente latino aveva in buona parte accantonato. Questa iniziale fase di assimilazione da parte dei dotti islamici dà origine, ancor prima che a opere critiche o interamente originali, alla creazione di commenti più o meno approfonditi di alcuni aspetti delle matematiche greche e alla ricerca di soluzioni alternative, tendenzialmente più chiare, dei teoremi di Euclide, di Apollonio di Perga, di Archimede di Siracusa, di Tolomeo e di altri grandi matematici greci.
In seguito, prima di intraprendere campagne di osservazione dei fenomeni celesti con appropriati strumenti e di elaborare nuove teorie cosmologiche, fondando all’occorrenza nuove scuole di pensiero, i matematici islamici si dedicano a una revisione accurata di quanto già compiuto da Tolomeo che, alla fine del X secolo, rappresentava ancora il punto di massima altezza raggiunto dall’astronomia greca. Alcuni matematici islamici, come lo stesso al-Khuwarizmi, utilizzano i modelli geometrici presentati nell’Almagesto per elaborare tavole di calcolo aggiornate delle posizioni planetarie, altri, come Muhammad al-Battani, aggiornano alcuni dei parametri astronomici usati da Tolomeo con lo scopo di migliorare la precisione dei modelli geometrici e delle tavole di calcolo che se ne potevano ricavare, altri ancora, come ‘Abd al-Rahman al-Sufi, si dedicano all’esame del catalogo stellare di Tolomeo trattando della forma delle costellazioni e dandone suggestive rappresentazioni.
In questa capillare opera di revisione, gli studiosi islamici possono avvalersi di metodi matematici molto più raffinati di quelli disponibili agli astronomi greci dell’età alessandrina. Oltre a un’aritmetica su base decimale e a un’algebra in forma elementare, essi cominciano a utilizzare altri nuovi concetti matematici. Sebbene sia ancora incerto se ibn-Qurra ne sia già a conoscenza, sicuramente al-Battani e poco più tardi Abu’ l-Wafa cominciano ad adoperare le relazioni trigonometriche in uso nel mondo indiano. Per condurre le numerose dimostrazioni geometriche che costituivano le prove della propria astronomia geocentrica, Tolomeo aveva dovuto risolvere triangoli piani e sferici utilizzando soltanto le lunghezze degli archi e delle corde sottesi da un dato angolo. Per facilitare i calcoli, egli aveva dovuto anteporre alla parte più propriamente astronomica dell’Almagesto anche una tavola degli angoli e delle relative corde di circonferenza calcolate a intervalli di mezzo grado. Dal IX secolo in poi gli astronomi islamici cominciano invece a condurre le medesime dimostrazioni ricorrendo ai più pratici rapporti numerici esistenti fra i cateti e l’ipotenusa di un triangolo rettangolo con un angolo di ampiezza data. Di questi rapporti – antenati delle moderne funzioni “seno”, “coseno”, “tangente” e dei loro inversi, “secante”, “cosecante” e “cotangente” – i matematici islamici si dedicano a compilare tavole di calcolo a varie cifre decimali e a intervalli di un quarto di grado. L’insieme di queste nozioni sofisticate, unite alle esigenze di una religione che non disdegna l’uso delle matematiche, ma che anzi ne trae forza per meglio organizzare i momenti del culto, prepara il fiorire di studi che caratterizzerà i secoli successivi del Medioevo islamico.