L'assicurazione e la clausola claims made
Prendendo spunto da una recentissima sentenza delle Sezioni Unite, che ha promosso la claims made affermandone per la prima volta la tipicità legale, si esamina la clausola ripercorrendo le tappe salienti del tormentato percorso seguito dalla precedente giurisprudenza. Viene così in evidenza la portata innovativa dell’approdo nomofilattico, in particolare con riferimento al controllo dell’autonomia privata, non più soggetto al giudizio di meritevolezza ex art. 1322, co. 2, c.c., bensì a quello di cui al co. 1 dello stesso articolo, da effettuarsi in relazione alla cd. “causa in concreto” del negozio, con lo sguardo attento ai principi costituzionali e sovranazionali. Assumono inoltre rilievo diversi livelli di tutela di cui dispone l’assicurato, i quali investono non solo la conformazione del contenuto del contratto, ma anche la fase precontrattuale e quella di attuazione del rapporto.
Da tempo al centro di accesi dibattiti dottrinari e di una ondivaga giurisprudenza di merito, il modello dell’assicurazione della responsabilità civile con clausole cd. claims made si impernia su un meccanismo che àncora l’operatività della garanzia alla richiesta di risarcimento del danneggiato pervenuta nella vigenza della polizza, e non al fatto accaduto produttivo di danno, così discostandosi dal criterio tradizionale, come delineato dall’art. 1917, co. 1, c.c., che, invece, è ancorato alla condotta illecita posta in essere dall’assicurato (act committed), ovvero al verificarsi dell’evento del danno (loss occurrence) durante la vigenza del contratto. Tale forma di assicurazione è recentemente approdata nel porto della tipicità contrattuale, dove è stata condotta da Cass., S.U., 24.9.2018, n. 22437, all’esito di un percorso nomofilattico iniziato, nel 20051, con l’affermazione dell’atipicità tout court del contratto assicurativo con claims, e proseguito, nel 20162, con un importante ed articolato intervento dalle stesse Sezioni Unite che, distinguendo tra clausole claims cd. impure o miste e claims cd. pure3, avevano ritenuto le prime un patto atipico inserito in un contratto tipico e le seconde idonee a far «tracimare» nell’area dell’atipico l’intero contratto. Talvolta si abusa nell’attribuire ad una sentenza la definizione di grand arrêt, ma in questo caso essa si impone non solo perché la pronuncia citata fornisce con encomiabile chiarezza una soddisfacente risposta giuridica ad una realtà assai complessa, riconducendo a coerenza sistematica i molteplici aspetti implicati e spesso confusi, ma anche perché, pur pervenendo ad esiti diametralmente opposti rispetto a quelli del precedente del 2005 e, almeno in parte, anche a quelli dell’arresto delle Sezioni Unite del 2016, nel contempo si pone in linea di continuità con gli stessi, valorizzandone i profili problematici già risolti e portando a compimento quelli mai sopiti, a tal fine seguendo un metodo di analisi di ampio respiro, volto a cogliere la fluida e vivace dinamica del fenomeno sul piano del diritto positivo, sia europeo che nazionale, nonché sul piano storico, economico, dottrinario e giurisprudenziale. Questo approccio, di tipo non solo dogmatico, è espressione di una funzione nomofilattica che non si arrocca sulla difesa del suo precedente, alla ricerca di una irraggiungibile certezza giudiziale, ma si immerge nella concretezza sociale e storica, consapevole che non esiste un “immutabile” principio nomofilattico, ma un “diritto vivente” alimentato da un rapporto dialettico-circolare tra diritto positivo, giurisprudenza di merito, dottrina, realtà socioeconomica, contesto storico (nazionale ed internazionale) e Corte di cassazione.
Per meglio cogliere la complessità delle questioni implicate, nonché l’invisibile fil rouge che lega la sentenza n. 22437/2018 agli altri precedenti di legittimità, giova ricordare che nel 2005 la Terza Sezione civile della Suprema Corte, a fronte di pronunce di merito discordanti, alcune orientate a riconoscere la validità della claims4, altre (la maggioranza) propense a ritenerne la nullità5, aveva affermato che la clausola claims made non rientra nella fattispecie astratta tipica prevista dall’art. 1917 c.c., ma costituisce un contratto atipico, da ritenersi in linea generale lecito ex art. 1322, co. 2, c.c., essendo l’art. 1917, co. 1, c.c. norma derogabile, in quanto non compresa tra quelle dichiarate non derogabili dall’art. 1932 c.c.6; tale clausola, però, veniva ritenuta astrattamente inquadrabile fra le clausole vessatorie, spettando al giudice di merito accertare, caso per caso, la sua vessatorietà ai sensi dell’art. 1341 c.c. Nonostante l’intervento della Cassazione, i contrasti che sino ad allora avevano attinto la clausola proseguirono, investendone ogni aspetto: la tipicità rispetto al modello legale previsto dall’art. 1917 c.c.7; la liceità e, se ritenuta lecita, la natura vessatoria o meno; la nullità ex art. 2965 c.c., oppure in ragione della fuoriuscita dal modello legale – ritenuto inderogabile – previsto dall’art. 1917, co. 1, c.c.8, o ex art. 1895 c.c.9, oppure, ancora, per la violazione dei doveri di buona fede e correttezza, nonché per difetto di meritevolezza di tutela degli interessi negoziati. A disorientare ulteriormente l’interprete, nell’anno 2014 sono intervenuti due arresti quasi coevi della Suprema Corte10 che, sia pure a livello di obiter dictum, confliggevano sulla ravvisabilità o meno di una nullità della clausola per contrasto con l’art. 1895 c.c.: secondo la prima di tali sentenze, infatti, l’estensione della garanzia a fatti anteriori alla vigenza del contratto non viola la norma citata, atteso che l’alea sussiste anche in caso di comportamenti colposi già verificatisi, della cui illiceità e idoneità a produrre danno l’assicurato non sia ancora consapevole; la seconda, invece, afferma che il rischio non coincide col concetto di danno e che non è mai consentita l’assicurazione di quel rischio i cui presupposti causali si siano già verificati al momento della stipula, lasciando così intendere che la clausola in deroga a tale principio sarebbe affetta da nullità per mancanza di alea.
È in tale contesto che, nel 2016, le Sezioni Unite, investite di una questione sulla vessatorietà o meno della clausola claims, hanno effettuato una ricognizione ad ampio spettro, negando consistenza ad una serie di possibili ostacoli al suo funzionamento, in quanto: hanno escluso che possa integrare una decadenza convenzionale sanzionata ex art. 2965 c.c.; hanno negato che possa determinare la nullità del contratto per violazione dell’art. 1895 c.c.; hanno ribadito la derogabilità dell’art. 1917, co. 1, c.c., rigettando così la tesi della mancanza di causa; hanno affermato che la clausola claims (in particolare quella impura, cui si riferiva il giudizio) non è soggetta allo scrutinio della vessatorietà ex art. 1341 c.c. (così discostandosi dalla pregressa giurisprudenza di legittimità), in quanto delimita l’oggetto del contratto, e non la responsabilità. La medesima sentenza, inoltre, consacrando la distinzione tra clausole claims pure e claims spurie o miste, ravvisa nelle prime la idoneità a traslare nell’area dell’atipico l’intero contratto, mentre qualifica le seconde come clausole atipiche inserite in un contratto tipico. Sulla base di tali premesse, le Sezioni Unite introducono poi il vero e proprio novum della decisione, rappresentato dal sindacato di meritevolezza ex art. 1322, co. 2, c.c.: tale giudizio, in via di principio, andrà concluso positivamente nel caso di claims made pure (le quali, non prevedendo limitazioni temporali alla loro retroattività, risultano ben bilanciate), mentre andrà compiuto «caso per caso» ove ricorra una clausola claims made impura. Qualora l’esegesi fondata sui dati propri della clausola non approdi a risultati di «fulminante evidenza» in un senso o nell’altro, la Corte indica alcune linee guida del giudizio di meritevolezza, individuate nella esigenza di considerare, da un lato, l’esistenza di un contesto caratterizzato dalla spiccata asimmetria delle parti e nel quale assume rilevanza centrale l’adempimento dei doveri informativi dell’assicuratore, dall’altro, di tutte le circostanze del caso concreto, quali, ad esempio, l’entità del premio pagato dall’assicurato, la significativa delimitazione dei rischi risarcibili, il pericolo di mancanza di copertura in caso di mutamento dell’assicuratore e le conseguenti possibili ripercussioni negative sulla concorrenza tra le imprese e sulla libertà contrattuale.
La citata sentenza n. 22437/2018 resa dalle Sezioni Unite costituisce, dunque, la prima pronuncia di legittimità che ha riconosciuto all’assicurazione della responsabilità civile con clausole on claims made basis la piena appartenenza al tipo dell’assicurazione contro i danni, quale deroga consentita al co. 1 dell’art. 1917 c.c., andando così ben oltre gli orizzonti della liceità e validità già raggiunti con i precedenti arresti di legittimità, ed accettando le dette clausole nell’area della tipicità legale del codice del 1942. A tale conclusione giunge in modo armonico, seguendo un percorso argomentativo impercettibilmente stringente che muove dall’analisi delle recenti novità normative in tema di assicurazioni nel settore sanitario11 e delle professioni12, nelle quali constata l’individuazione, da parte del legislatore, di uno schema contrattuale “standardizzato” sulla base del meccanismo di operatività della claims made (sia pure con alcuni correttivi) ed esplicitamente qualificato come assicurazione della responsabilità civile, così richiamando la fattispecie di cui all’art. 1917 c.c., che a sua volta si innesta nel tipo dell’assicurazione contro i danni (artt. 1892 e 1904 c.c.). Di qui la “presa d’atto” di «una complessità già risolta» sul piano del diritto positivo, peraltro in modo sostanzialmente consonante con la regolamentazione di settore presente in altri ordinamenti di comune cultura giuridica (in particolare di Francia, Spagna e Belgio), avendo lo stesso legislatore semplicemente evidenziato (e non statuito ex novo) che il modello claims made si colloca nello spazio della derogabilità (concessa ex art. 1932 c.c.) del sottotipo di assicurazione danni delineato dall’art. 1917, co. 1, c.c. Con la conseguenza che il canone della tipicità legale così disvelato dallo stesso legislatore, in quanto attinente in primo luogo al meccanismo di operatività della claims made, deve essere riconosciuto in via generale anche con riferimento ad altri settori della responsabilità civile unificati dalla medesima logica, ossia quelli della copertura dai rischi per danni da eziologia incerta e/o lungolatenti13. Quanto alla nozione di sinistro implicata dal meccanismo con claims, che secondo l’ordinanza di remissione risulterebbe inammissibilmente ricondotta a fatti diversi da quelli previsti dall’art. 1882 c.c., le Sezioni Unite, espressamente ponendosi in linea di continuità con il proprio precedente del 2016, evidenziano come in quella occasione si era già posto in risalto che il rischio assicurabile «non si esaurisce nella sola condotta materiale cui è riconducibile il danno, occorrendo anche la manifestazione del danneggiato di esercitare il diritto al risarcimento», sicché la clausola «claims made afferisce ad un solo elemento del rischio garantito (la condotta colposa già posta in essere e peraltro ignorata), restando impregiudicata l’alea dell’avveramento progressivo degli altri elementi costitutivi dell’impoverimento patrimoniale del danneggiante-assicurato». In tale prospettiva, coerentemente le Sezioni Unite del 2018 riconoscono al sinistro (in quanto rischio verificato) una struttura speculare al rischio astratto come dalle stesse focalizzato nel 2016, così ravvisando anche nel sinistro quel binomio fatto-generatore/danno, il quale fisiologicamente assume una diversa portata nell’assicurazione contro i danni per la perdita o il danneggiamento di cose ed in quella del sottotipo previsto dall’art. 1917 c.c., là dove solo nel primo caso l’evento dal quale origina il danno e gli effetti dannosi che ne conseguono si realizzano contestualmente14. Anche per tale via resta confermata la conclusione della compatibilità delle clausole claims made con la disciplina dell’assicurazione della responsabilità civile, quale sottotipo dell’assicurazione contro i danni, atteso che il rischio coperto non è diverso da quello tipico previsto dall’art. 1917 c.c., assolvendo il contratto alla funzione di tenere indenne il patrimonio dell’assicurato dal rischio di una perdita per effetto dell’accoglimento di una altrui richiesta di risarcimento15.
L’approdo delle claims nell’area della tipicità ha implicato il superamento di quel giudizio di meritevolezza ex art. 1322, co. 2, c.c. che, come concepito dalle Sezioni Unite del 2016, tante critiche aveva sollevato in dottrina, soprattutto perché, nel rimandare ad un giudizio in concreto e di stretto merito, cercando nel contempo di individuare elementi di carattere generale e astratto, non riusciva a fornire un “canone unificante” e intrecciava inestricabilmente diversi livelli di controllo dell’autonomia privata. La citata sentenza n. 22437/2018 restituisce coerenza al sistema: da un lato abbandona la distinzione tra claims pure ed impure, che non teneva in debito conto la comune causa indennitaria delle stesse; dall’altro, separa nettamente i due livelli di controllo, quello astratto, volto a verificare la compatibilità del “tipo” contrattuale claims made con il modello codicistico e quello, successivo e concreto, relativo al “test” cui sottoporre le assicurazioni con claims, da effettuarsi caso per caso, con riferimento alla funzione economica individuale del contratto (cd. causa in concreto). Anche sotto tale profilo la sentenza intercetta l’esigenza, più o meno esplicitamente espressa da tutti i precedenti giurisprudenziali e dottrinari, di prevedere un controllo giurisdizionale sull’assetto degli interessi che la clausola innesca e di individuare gli eventuali rimedi. Ed è un controllo, quello che restituiscono le Sezioni Unite, che non si arresta alla sola conformazione genetica del contratto assicurativo, ma investe anche il momento precedente alla sua conclusione e quello relativo all’attuazione del rapporto, con lo sguardo sempre rivolto alle norme costituzionali e sovranazionali (artt. 117, co. 1, Cost.). Vengono così esplicitamente valorizzate quelle stesse criticità già evidenziate, sebbene nella diversa ottica del giudizio di meritevolezza, dall’arresto del 2016 (quali ad esempio l’asimmetria della posizione delle parti, o il rischio di “buchi di copertura” assicurativa), le quali «non evaporano» per il solo fatto che quel giudizio non si imponga più come tale: il fil rouge che lega le pronunce di legittimità è qui particolarmente evidente. Pertanto, come avviene per qualsiasi altro contratto tipico, il contraente assicurato potrà invocare diversi piani di tutela, attivando i rimedi pertinenti ai profili dedotti, ossia, esemplificando: la responsabilità risarcitoria precontrattuale, anche nel caso di contratto concluso a condizioni svantaggiose; la nullità, anche parziale, del contratto per difetto di causa in concreto, con conformazione secondo le congruenti indicazioni di legge o, comunque, secondo il principio dell’adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo pratico perseguito dai contraenti; la conformazione del rapporto in caso di clausola abusiva, come quella di recesso in caso di denuncia di sinistro.
Una sintesi delle considerazioni sin qui svolte induce a ritenere che, con la sentenza n. 22437/2018, siano state risolte praticamente tutte le questioni giuridiche connesse alla iniziale diffidenza verso un tipo di assicurazione “diversa” da quella tradizionale. Il riconoscimento della sua appartenenza allo schema negoziale dell’assicurazione contro i danni, infatti, la rende a pieno titolo partecipe della relativa disciplina, sgombrando il campo da tutte le ipotesi di invalidità o inefficacia prospettate in precedenza. Un riconoscimento, del resto, sul quale la citata sentenza è “planata” con venti favorevoli provenienti da tutte le direzioni (legislazione di nuovo conio, dottrina, tipicità sociale, ecc.) e con la spinta di una giurisprudenza la cui irrequietezza costituiva, a ben vedere, un ulteriore indice di inadeguatezza delle diverse soluzioni in precedenza esplorate. L’apprezzamento della validità delle assicurazioni con claims, come della loro efficacia, dovrà ora condursi alla stregua dei criteri di cui dispone il giudice per ogni convenzione tipica in cui gli interessi delle parti, pur astrattamente meritevoli di positivo apprezzamento, possono risultare flessi a scopi e modalità difformi da norme e principi dell’ordinamento: vizi del consenso, carenza di causa, art. 2965 c.c. in relazione ad eventuali decadenze, canone di buona fede, ecc. Come avviene per ogni novità, solo la casistica giurisprudenziale potrà evidenziare eventuali ulteriori criticità, ma sembra di poter prevedere che queste non riguarderanno (più) il piano dei principi giuridici e della disciplina applicabile, quanto i diversi profili del giudizio sulla causa in concreto e della corretta selezione delle domande e dei rimedi applicabili nel caso specifico. Entrambi gli aspetti, però, sono comuni a qualsiasi altra azione contrattuale tipica, risolvendosi, il primo, in un giudizio di mero fatto (come tale non sindacabile in sede di legittimità se non nei ristretti limiti oggi concessi dall’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.) sulla singola convenzione, ed il secondo in una questione squisitamente processuale, la quale investe la parte dell’onere di proporre la domanda più pertinente nella fattispecie (scegliendo, ad esempio, tra una domanda risarcitoria ed una domanda di nullità parziale) ed il giudice del compito di qualificare tale domanda.
1 Cass., 15.3.2005, n. 5624; conf. Cass., 22.3.2013, n. 7273.
2 Cass., S.U., 6.5.2016, n. 9140.
3 Pur esistendo molteplici varianti, le S.U. riconducono le clausole in questione in due macro categorie: quelle cd. pure, destinate alla manleva di tutte le richieste risarcitorie inoltrate nel periodo di efficacia della polizza, indipendentemente dalla data di commissione del fatto illecito, e quelle impure o miste, volte ad assicurare la copertura solo quando tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano nel periodo di efficacia del contratto, con retrodatazione della garanzia, in taluni casi, alle condotte poste in essere anteriormente (in genere due o tre anni dalla stipula del contratto). Per un approfondimento sulle varie tipologie di claims, sia negli stati di common law che di civil law cfr. Ceserani, F., Origine e sviluppi della clausola claims made nei mercati internazionali, in Dir. ed econ. assic., 2007, 799 ss.
4 Cfr. Trib. Crotone, 8.11.2004, in Assicurazioni, 2004, II, 260. Trib. Milano, 5.7.2005, in Fallimento, 2006, 438, che fondano il giudizio di liceità della clausola claims made sulla derogabilità dell’art. 1917, co. 1, c.c., in quanto non compreso tra le norme dichiarate non derogabili dall’art. 1932 c.c.
5 Trib. Bologna, 2.10.2002, n. 3318, in Dir. ed econ. assic., 2005, 711; Trib. Casale Monferrato, 25.2.1997, in Giur. mer., 1997, 700: per queste pronunce, l’art. 1917, co. 1, c.c. non ha, per sua natura, necessità di essere dichiarata inderogabile, trattandosi di norma primaria ed imperativa, sicché una clausola contraria al suo disposto non può che essere dichiarata nulla per mancanza di causa.
6 La sentenza aderisce all’orientamento secondo il quale il giudizio di meritevolezza sostanzialmente coincide con quello di liceità del contratto: Cfr. Roppo, V., Il contratto, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 2001, 424; Stolfi, G., Teoria del negozio giuridico, Padova, 1961,29.
7 Nella giurisprudenza di merito, si segnala la nota sentenza di Trib. Milano, 18.3.2010, in Corr. mer., 2010, 1054, con nota di A. Luberti, che ha affermato sia la validità che la tipicità delle clausole claims made.
8 Trib. Genova, 8.4.2008, in Danno e resp. 2009, 103 ss. con nota di I. Carassale, secondo il quale la clausola claims made darebbe origine ad un contratto atipico nullo sia perché contrario all’imperativa norma primaria di cui al citato art. 1917, sia perché renderebbe il contratto privo di causa e cioè privo del trasferimento del rischio dall’assicurato all’assicuratore.
9 Trib. Roma, 1.8.2006, in Dir. ed econ. assic., 2007, 171, con nota di D. De Strobel; Trib. Roma, 5.1.2007, in Contratti, 2007, 352.
10 Il riferimento è a Cass., 17.2.2014, n. 3622 e a Cass., 13.3.2014, n. 5791: il contrasto tra le due pronunce è messo in luce da Gazzara, M., La meritevolezza della clausola claims made al vaglio delle Sezioni Unite, in Danno e resp., 2016, 935 ss. nonché da De Luca, N., Act committed, loss occurrence e claims made nelle assicurazioni dei rischi professionali. Anche la Cassazione è giudice monocratico?, in Banca borsa, 2015, 721 ss.
11 Si allude alla l. 8.3.2017, n. 24, art. 11 (cd. legge Gelli).
12 Cfr. art. 3, co. 5, d.l. 13.8.2011, n. 138 (convertito, con modificazioni, dalla l. 14.11.2011, n. 148), come novellato dalla l. 4.8.2017, n. 124, art. 1, co. 26; v. anche d.m. Giustizia 22.9.2016, art. 2, attuativo dell’art. 12 l. 31.12.2012 n. 247 (cd. legge professionale forense).
13 La conclusione è in linea con la dottrina di gran lunga prevalente: cfr., tra tutti, Greco, F., La clausola claims made tra vessatorietà e meritevolezza in concreto l’erosione dell’autonomia contrattuale nell’interpretazione della giurisprudenza, in Danno e resp., 2017, 475; Palmieri, A.Pardolesi, R., Claims made, code lunghe e ostracismi giudiziali, ivi, 2017, 447; Corrias, P., La copertura obbligatoria dei rischi relativi alla responsabilità civile, in Corr. giur., 2017, 755.
14 È questo l’orientamento prevalente in dottrina: v. Durante, A., L’assicurazione della responsabilità civile, Milano 1964, 264 ss. e 339 ss.; De Strobel, D., L’assicurazione di responsabilità civile, Milano, 2004, 201; De Luca, N., L’attuazione del rapporto assicurativo, in Responsabilità e assicurazione, a cura di R. Cavallo Borgia, Milano, 2004, 92 ss.; ancora De Luca, N., Act committed, loss occurrence e claims made nelle assicurazioni dei rischi professionali. Anche la Cassazione è giudice monocratico?, in Banca borsa, 2015, 724.
15 Tale soluzione si pone in sintonia con la dottrina pressoché unanime: tra i molti v. Calvo, R., Clausole claims made fra meritevolezza e abuso secondo le Sezioni Unite, in Corr. giur., 2016, 928; Corrias, P., La clausola claims made al vaglio delle Sezioni Unite: un’analisi a tutto campo, in Banca borsa, 2016, 663; Volpe Putzolu, G., La clausola “claims made”. Rischio e sinistro nell’assicurazione r.c., in Assicurazioni, 2010, 11 ss.