L'arte cassita
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il grande impero di Babilonia creato da Hammurabi nel XVIII secolo a.C. cade agli inizi del XVI secolo a.C. sotto i colpi del re ittita Murshili I. Approfittano del vuoto politico creatosi i Cassiti, una popolazione proveniente dagli Zagros che da oltre un secolo preme verso l’alluvio mesopotamico; divenuti i padroni della città, si dimostrano capaci di comprendere l’alto livello raggiunto dalla sua cultura e si adoperano per mantenerla e svilupparla, facendone propri lingua, pantheon e tradizioni.
L’attitudine cassita a preservare la vecchia cultura babilonese è esemplificata bene dai lavori compiuti nei grandi santuari del passato, da un lato con le restaurazioni dei vecchi templi e dall’altro con la costruzione di nuovi edifici. La tradizione architettonica locale è sostanzialmente rispettata, senza rinunciare all’introduzione di alcune novità, visibili in particolare nei piccoli edifici sacri, come il tempietto di Inanna ad Uruk, fatto edificare nella seconda metà del XV secolo a.C. dal re Karaindash. Nella pianta rettangolare dell’edificio (18x14m), un particolare effetto di profondità è creato dalla successione assiale di un piccolo atrio quadrato e di una lunga cella, priva di nicchie, ai lati delle quali scorrono due stretti corridoi. Le innovazioni maggiori sono visibili all’esterno, dove la struttura è movimentata da contrafforti angolari multipli e dal succedersi sulle pareti di pilastri e nicchie, all’interno delle quali sono inserite longilinee figure divine, modellate ad altorilievo direttamente nei mattoni. Compresi fra due fregi orizzontali di dischi, si alternano un dio barbuto dei monti, simboleggiati dal motivo a scaglie inciso sulla veste, e una dea sulla cui gonna scorrono flutti d’acque, creando un motivo ondulato. Entrambe le figure portano sul capo una tiara cornuta e reggono in mano un vaso zampillante. Il motivo delle vesti è ripreso anche sui pilastri, dove flussi d’acqua scendono dall’alto incrociandosi fra loro e giungendo alle montagne raffigurate in basso.
La più grande impresa edilizia cassita è la costruzione della nuova capitale, Dur-Kurigalzu, oggi Aqar Quf, nei pressi di Baghdad, iniziata nella prima metà del XIV secolo a.C. dal re Kurigalzu I. La tradizionale monumentalità delle aree templari e palatine è esaltata dalle gigantesche dimensioni di alcuni edifici, come la ziqqurat alta più di 45 metri e il palazzo reale, non completamente scavato, che occupa una superficie superiore ai 6 ettari. Il palazzo non si compone più di quartieri compatti edificati attorno a un paio di grandi corti, come da tradizione mesopotamica; i suoi corpi di fabbrica, almeno nove, sono giustapposti, tutti dominati da un ampio spazio centrale aperto, il più grande dei quali supera i 4000 metri quadrati. Su tre lati di ciascuna delle corti si sviluppano gli ambienti chiusi, formati da molti piccoli vani che si affacciano su una stanza centrale lunga e stretta. Negli angoli fra i vari settori sono ancora visibili le scale che un tempo conducevano ai piani superiori.
La ricca decorazione pittorica, utilizzata sia negli ambienti chiusi che in quelli aperti, non è conservata se non a piccoli frammenti, sufficienti a mostrarci come accanto ai tradizionali fregi di elementi geometrici o naturalistici stilizzati, losanghe e rosette, si trovassero dipinte anche processioni di dignitari che procedono verso le porte. I personaggi, con barbe e lunghi capelli, contornati da una spessa linea nera, si stagliano con i loro abiti chiari ed eleganti su un fondo blu scuro. La raffigurazione della processione, che anticipa motivi neoassiri, allude probabilmente alla funzione delle stanze in cui erano dipinti.
Nonostante la statuaria cassita sia praticamente sconosciuta, è nella plastica che si esprime al meglio l’originalità dei suoi artisti, attraverso la coroplastica e i kudurru, una nuova tipologia di monumento che non ha precedenti nell’arte mesopotamica.
Le piccole sculture in terracotta trovate a Dur Kurigalzu dimostrano che anche un materiale tradizionalmente povero, utilizzato per produzioni artigianali in serie o di tipo modesto, può essere impiegato per creare opere di alto livello stilistico. L’abilità degli artisti e la loro propensione al realismo sono testimoniate da una piccola testa barbuta, che ricorda i dignitari dei dipinti, il cui volto colorato di rosso mostra dei tratti ben individualizzati. Naturalistica è anche la statuina di una leonessa, rappresentata in atteggiamento singolarmente mansueto, resa con volumetrie muscolari proporzionate e un’estrema cura per i dettagli, ben visibile nel modellato del volto.
I kudurru sono cippi di media grandezza, alti 60-70 cm, dalla forma spesso ovoidale, ininterrottamente realizzati fra il 1400 e il 600 a.C. Scolpiti normalmente in blocchi di diorite, la pietra regale per eccellenza, o in calcare nero, i kudurru registrano donazioni di terreni agricoli, che possono essere anche molto estesi, concessi dal re ai dignitari di corte come ricompensa dei loro servigi. Nonostante il luogo di ritrovamento della maggioranza dei kudurru sia sconosciuto, è verosimile che essi non fossero collocati come pietre di confine nei territori ai quali si riferivano, ma che venissero eretti nei templi e dedicati alle divinità garanti della donazione. Su di essi, infatti, assieme ad un’iscrizione in cuneiforme accadico di varia lunghezza che sancisce la donazione, sono presenti svariate e complesse raffigurazioni di simboli divini, incise a rilievo su più registri. Negli esemplari più antichi la disposizione di questi simboli è caotica, compaiono spesso esseri antropomorfi e sono assenti molte delle caratteristiche che diventano canoniche a partire dal XII secolo a.C.
Un esempio tipico è un kudurru degli inizi del XII secolo a.C. che attesta una donazione del re Melishipak al figlio. Un lato è interamente ricoperto dal testo, mentre i simboli divini occupano l’altro, ripartiti su cinque registri, sopra i quali sono collocati i tre simboli astrali di Shamash, Sin e Ishtar, cioè il disco solare, la Luna crescente e il pianeta Venere, rappresentato dalla stella a otto punte. Nel primo registro trovano posto i podi degli dèi Anu ed Enlil, sui quali poggiano le loro tipiche tiare cornute, quello di Ea, con collocato davanti il pesce-capra, e quello di Ninkhursag. Nei registri inferiori gli oggetti e gli animali-attributo degli dèi si susseguono con ordine gerarchico, uno dopo l’altro, formando un microcosmo simbolico del pantheon babilonese. Nelle raffigurazioni non si crea quasi mai un contesto narrativo e, quando compaiono, diventano simboli anche gli esseri antropomorfi, gli uomini-scorpione o la dea Gula, raffigurata seduta con le mani sollevate e accompagnata dal cane, il suo animale-attributo. Una delle rare eccezioni si ha nel kudurru dei musici, nel registro intermedio del quale, sopra la raffigurazione schematica delle mura di una città turrita, è rappresentata una scena processionale, che potrebbe riferirsi ad un rito babilonese a noi sconosciuto: sette suonatori di liuto, ognuno con una faretra sulle spalle e accompagnato da un animale, si dirigono verso una pianta sacra posta in vaso, in direzione della quale volge la testa la suonatrice di tamburello che li guida. L’esemplare, inoltre, è uno dei pochi esempi anepigrafi, cioè privi di iscrizione. Accanto a queste particolarità, però, appaiono elementi tipici, come i simboli astrali e i podi divini che occupano il registro più alto, o il mushkhush, il serpente dalla testa di drago cornuto, sacro a Marduk, che avvolge la sommità e la base del cippo.
Nonostante le figure slanciate e l’eleganza che contraddistinguono le raffigurazioni sui kudurru più antichi si evolvano velocemente in forme più massicce e squadrate, l’alta perizia raggiunta dagli artisti cassiti nel lavorare la pietra è ben visibile nella ricchezza dei dettagli e nella minuzia dei particolari che contraddistinguono molti pezzi. Si possono osservare, ad esempio, nella grande figura che occupa quasi totalmente il lato frontale del kudurru di Marduk-nasir (XI secolo a.C.), le decorazioni della veste, delle scarpe e del copricapo, eseguite per incisione a punta fine.