Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La medicina araba non è riconducibile a un unico modello ma è ricca di varianti date le varie tradizioni di ciascuna area geografica e data l’acquisizione di tecniche di civiltà antiche come quella persiana o quella indiana; il momento della vera svolta per la medicina araba corrisponde alla conquista di Alessandria del 642, quando le opere dotte, comprese per l’appunto quelle mediche e scientifiche, vengono tradotte nelle lingue nazionali. Parallelamente all’opera di traduzione, avviene una spinta verso il recupero di testi antichi, spesso già tradotti in siriaco. Il galenismo accentua così il suo peraltro già spiccato eclettismo.
La medicina araba non è precisamente riferibile a specifiche etnie o convinzioni religiose, ma è propria dei territori, delle popolazioni e delle culture che hanno fatto parte della sfera dell’islam. Non è possibile ridurre la medicina araba a un unico modello: vanno tenute nel debito conto le varianti regionali e le conseguenti differenze tra le diverse cronologie. Purtroppo la ricchezza di testi e documenti prodotti nell’area che va dall’Indostan alla Spagna del Sud e nel periodo tra il VII e il XVI secolo non è stata ancora pienamente sfruttata: mancano edizioni critiche di testi anche fondamentali, soprattutto per il periodo tardo (successivo all’XI-XII secolo).
Nella valutazione della medicina araba occorre poi ancora superare un pregiudizio che per molti secoli, a partire dall’xumanesimo, ha sottovalutato l’originalità del suo “rinascimento” nelle traduzioni dei testi tramandati dall’antichità, nonché la sua capacità di innovare le pratiche mediche. La medicina di area islamica ha rappresentato invece uno snodo fondamentale nella trasmissione – e in molti casi nel rinnovamento e nella rilettura e riscrittura – dei testi antichi all’Occidente medioevale e rinascimentale. Quella araba non è stata semplicemente una cultura libresca, ma è stata una cultura del testo e della pratica, intrecciati in modo sofisticato e originale e con l’apporto di acquisizioni dovute a civiltà poco note all’antichità classica, come quella persiana o indiana, e alla necessità di uniformare e controllare sul piano medico le abitudini di vita di comunità ed etnie molto diverse tra loro e che convivevano: musulmani, cristiani, ebrei, zoroastriani e altri.
Nella penisola arabica sono storicamente ricorrenti malattie specifiche, come la malaria o il glaucoma. La cultura preislamica possiede già, naturalmente, rudimentali conoscenze mediche e chirurgiche: l’avvento dell’islam non segna una differenza essenziale nelle credenze e pratiche di cura. La dottrina di Maometto in merito alla medicina e all’igiene è consegnata agli hadith, tradizioni o “insegnamenti” a lui attribuiti ma in realtà compilati tra la fine dell’VIII e il IX secolo, che in seguito rivestiranno una notevole importanza nella contrapposizione fra la medicina “del profeta” e la medicina “ellenizzante”, pagana ed entro certi limiti sospetta. La medicina religiosa, fusa con alcune concezioni della medicina scientifica ormai acquisite, ha peraltro una notevole fioritura nei secoli XIV-XV. Uno dei casi più noti e clamorosi della difficoltà di interpretazione degli hadith riguarda il riconoscimento del meccanismo del contagio, che sembra negato in alcuni e accettato in altri, tanto da indurre in difficoltà nell’adozione da parte delle autorità civili dei sistemi di quarantena e isolamento dei malati che si diffondono nell’area del Mediterraneo intorno al XIV secolo.
Il momento di svolta per la medicina, come per tutta la scienza araba, è nel VII secolo: la città di Alessandria viene conquistata nel 642, anche se la sua celebre scuola filosofico-scientifica continua a restare in attività per almeno mezzo secolo.
Dopo la conquista araba, tuttavia, la koinè culturale e linguistica greca che fino ad allora aveva dominato il mondo mediterraneo viene meno, e si sente il bisogno di tradurre le opere dotte nelle lingue nazionali. Della cultura greca sono tradotte soprattutto le opere filosofiche, scientifiche e mediche, che possono essere più facilmente assorbite dai cristiani prima e poi dagli islamici.
L’ellenizzazione dell’islam inizia con il califfato abbaside e la fondazione di Baghdad (762), culminando nel IX secolo. Il califfo al-Ma‘mun fonda la Casa della Sapienza, un’accademia per scienziati e filosofi – nonché per traduttori, il più celebre dei quali, Hunain ibn Ishaq, è un arabo cristiano (nestoriano) che padroneggia greco, arabo e siriaco, a riprova della varietà e ampiezza degli influssi culturali presenti nel mondo islamico, dove un gran numero di medici appartiene e continuerà ad appartenere alle minoranze non islamiche, specialmente cristiana ed ebrea. Hunain è considerato il primo esponente della medicina islamica, benché non sia un medico in senso stretto. Non è infatti possibile dire molto di alcune figure di medici o curanti precedenti il periodo delle traduzioni, come il misterioso Ahrun, citato da Rhazes. Forse un greco, forse un ebreo; forse anteriore, forse contemporaneo di Paolo di Egina, la sua opera, tradotta in arabo, è perduta. Ahrun avrebbe fornito una delle prime descrizioni precise del vaiolo e comunque avrebbe classificato le malattie, presentandole secondo una differenziazione molto accentuata e attraverso un’accurata correlazione con i sintomi, il che lo differenzierebbe dagli altri compilatori delle collezioni enciclopediche di età bizantina.
Il metodo di traduzione di Hunain è estremamente sofisticato. Egli collaziona diversi manoscritti per ottenere un testo affidabile, e come più tardi accadrà con la trasmissione dei testi arabi in Occidente la sua fama fa sì che gli si attribuiscano anche traduzioni non sue. Uno dei risultati più notevoli della sua opera è stata l’invenzione dell’arabo scientifico, sul piano lessicale ma anche su quello sintattico. Tra le traduzioni spiccano per numero e importanza quelle da Galeno, di cui Hunayn enumera 129 scritti, riassumendone il contenuto e fornendo un quadro di quelli tradotti in arabo e siriaco. I lavori del medico di Pergamo, tra i quali diversi apocrifi, divengono così praticamente tutti disponibili in arabo nel IX secolo, costituendo un corpus perfino più ampio di quello arrivato fino a noi. Il galenismo sistematico, poi ereditato dalla medicina occidentale, è dunque una creazione araba, e mostra l’influenza dei Summaria Alexandrinorum, epitomi della teoria galenica elaborati nel VI-VII secolo ad Alessandria, che spiegano il galenismo semplificato di opere destinate a segnare profondamente l’Occidente, come l’Isagoge attribuita a Iohannitius.
Da Galeno vengono alla medicina araba la teoria degli umori, la fisiologia del metabolismo, la teoria delle tre digestioni e lo schema della circolazione del sangue, la nozione dei quattro gradi di efficacia dei medicamenti, la considerazione teleologico-funzionale degli organi, il generale razionalismo. Anche l’Ippocrate ereditato in ambito islamico e in seguito trasmesso in Occidente è in realtà l’Ippocrate letto e interpretato da Galeno o dai commentatori alessandrini: si conosce il Giuramento e lo si richiede ai medici; si conosce la questione dell’attribuzione dei testi ippocratici, ma si traduce abbastanza poco del Corpus, i trattati ginecologici, ad esempio, non sono tradotti. Esistono manoscritti degli Aforismi e di altre opere, ma si tratta spesso di lemmi di commentari di Galeno, non delle opere ippocratiche vere e proprie.
Le traduzioni dal greco non si limitano alle opere galeniche: si traduce il De materia medica (composto intorno al 77) di Dioscoride, la più ampia opera antica sulle sostanze medicinali, di cui si traducono i cinque libri originali ma anche due successivi, apocrifi, su piante e animali velenosi, con la produzione di miniature accurate che rappresentano un capitolo a parte della trasmissione testuale. Ma si traducono anche opere che non possono essere ricondotte al galenismo e anzi rappresentano, in alcuni casi, alternative alla sistemazione di Galeno: le opere di Rufo di Efeso, vissuto al tempo di Traiano; di Filagrio, medico del IV secolo, sulle malattie interne; i Kosmetika di Critone, del I-II secolo, sulle malattie della pelle; i lavori del chirurgo Antillo, del II secolo; del chirurgo Platone, pregalenico, sul cauterio; diverse opere di uroscopia.
Un’importanza ancora maggiore hanno però le traduzioni dei grandi compilatori bizantini: Oribasio, Ezio di Amida, Alessandro di Tralles e Paolo di Egina, che trasmettono agli Arabi il gusto per le trattazioni sistematiche, per alcuni problemi specifici di patologia, di chirurgia, e, nel caso di Alessandro di Tralles, per la magia. La biblioteca araba di derivazione greca del IX secolo comprende dunque in tutto diverse centinaia di opere mediche: un risultato eccezionale ottenuto in un tempo relativamente breve. Tra le lacune più rilevanti, i testi dei grandi anatomisti alessandrini (Erasistrato, Erofilo), le opere di Areteo e di Sorano di Efeso.
Tuttavia gli Arabi non traducono solo dal greco, ma contribuiscono al recupero e alla trasmissione di testi medici – greci o originali – già tradotti in altre lingue del Vicino Oriente. Una gran parte dei testi greci è infatti già stata tradotta in siriaco: in un primo periodo spicca la figura di Sergius di Reshayna, che studia ad Alessandria e traduce un gran numero di testi galenici. Segue una seconda ondata di traduzioni nell’VIII secolo. Molti testi greci vengono così ritradotti in arabo direttamente dal siriaco, generando problemi di comprensione e trasmissione. Tra i trattati originali in lingua siriaca è la celebre Practica Joannis Serapionis, in seguito tradotta dall’arabo in latino. Gli Arabi attingono anche alla ricca tradizione linguistica e culturale in lingua pahlavi, dell’impero persiano, che peraltro ha avuto per secoli stretti contatti con la cultura medica greca: tra i Greci alla corte achemenide, contemporanea della Grecia classica, Democede di Crotone e Ctesia di Cnido. Nel periodo sasanide, Shapur I raccoglie libri medici e scientifici provenienti dall’India, ma anche dall’impero romano d’Oriente. La cultura medica persiana prevede tra l’altro che i quattro umori siano polarizzati secondo il classico sistema bipartito dello zoroastrismo.
Nell’impero sasanide, dove un’aggressiva politica di conquista si accompagna alla tolleranza nei confronti delle comunità manicheeed ebraiche, si incontrano diverse culture e influenze: bizantina, romana, indiana e araba, e ci si apre a Oriente, in particolare verso il mondo indiano. Molte opere provenienti da quest’area trattano di farmacopea e materia medica: si conoscono in arabo una lista di Succedanea (“rimedi sostitutivi”), forse opera di un medico greco, Pitagora; un’opera sui “rimedi semplici”, che parla di droghe provenienti dall’India e sconosciute ai Greci, come la banana; un’opera sulla “medicina antica” menzionata da Rhazes, un manuale, con conoscenze che ancora una volta mostrano una derivazione dall’India; un’opera di magia “simpatica” di Xenocrate di Afrodisia, vissuto nel I sec. Nell’850 Ali ibn Sahl al-Tabari descrive accuratamente, pur senza accettarla, la medicina indiana, che a differenza della greca e araba aveva cinque elementi, tre umori e sei sostanze elementari: le sue conoscenze derivano da testi indiani tradotti in arabo o in pahlavi. L’interazione fra ricezione e assimilazione può generare equivoci, specialmente per ciò che riguarda le sostanze medicinali. Esistono inoltre specifici problemi nell’islamizzazione dei testi su argomenti oggetto di prescrizioni religiose, come nel caso di questioni di dieta (utilizzazione a fini terapeutici della carne di maiale o del vino).
La medicina araba del IX secolo presenta quindi un quadro assai complesso e fecondo, nel quale il galenismo, già di per sé eclettico, lo diventa ancor di più con l’inserzione di nuovi elementi ricavati da vari autori di diverse aree culturali. Ciò nonostante, Galeno rimane come massima autorità medica e l’interesse, peraltro assai vivace, per le pratiche empiriche di cura tende a riportarle quanto più possibile alla tradizione, vera e propria “cassaforte” di conoscenze (M. Ullmann, Die Medizin im Islam, 1970).