Demme, Jonathan
Regista, produttore e sceneggiatore cinematografico statunitense, nato a Baldwin (New York) il 22 febbraio 1944. Compreso tra quegli autori che sfuggono a precisi tentativi di classificazione, ha sempre mantenuto una propria coerenza formale sia nelle produzioni ad alto budget sia nei film a basso costo. Nell'operare una rivisitazione e una commistione di generi cinematografici diversi, il suo cinema unisce un talento visionario con una collaudata pratica artigianale nel dirigere le scene d'azione e nel disperdere i personaggi dentro spazi illimitati, evocando la struttura del road movie e un percorso iniziatico di formazione. Con The silence of the lambs (1991; Il silenzio degli innocenti) ha vinto due Oscar nel 1992 per il miglior film e la miglior regia e l'Orso d'argento per la regia al Festival di Berlino nel 1991.
Intorno alla metà degli anni Sessanta intraprese gli studi di veterinaria presso la University of Miami, prima che la sua passione per il cinema prendesse decisamente il sopravvento. Lavorò nel settore pubblicitario della United Artists, dell'Avco Embassy e della Pathé Contemporary Films e, tra il 1966 e il 1968, fu critico cinematografico del "Film Daily". All'inizio degli anni Settanta entrò in contatto con Roger Corman. Questi lo assunse inizialmente nel settore pubblicitario e poi come sceneggiatore delle sue produzioni della New World. Nel 1974 esordì dietro la macchina da presa con Caged heat (Femmine in gabbia), film carcerario al femminile che segnò l'inizio del sodalizio artistico stabilito con Tak Fujimoto, direttore della fotografia in tutti i suoi film tranne che in Handle with care (1977; Chroma Angel chiama Mandrake); seguirono Crazy mama (1975) e il western rurale Fighting mad (1976). I film, prodotti da Corman, presentano da un lato la struttura tipica delle opere della New World (l'alternanza di scene di azione con altre di violenza e di sesso), ma in essi affiora anche uno dei temi più ricorrenti del cinema di D., quello della ribellione all'autoritarismo. Dopo il road movie Handle with care, diresse uno dei suoi thriller più amari e romantici, Last embrace (1979; Il segno degli Hannan), film debitore del barocchismo di Orson Welles e del voyeurismo di Alfred Hitchcock, ma nel quale emergono alcuni segni distintivi del cinema di D.: i piani ravvicinati e le frequenti soggettive che inducono lo sguardo dello spettatore ad appropriarsi degli incubi del protagonista. In seguito ai riconoscimenti critici ottenuti dal film e volti soprattutto a sottolineare la suggestione della sequenza finale nelle cascate del Niagara, che richiama Vertigo (1958) di Hitchcock, la United Artists produsse il suo film successivo, Melvin and Howard (1980; Una volta ho incontrato un miliardario), spigliata commedia su un lattaio che riceve un'eredità dal miliardario Howard Hughes. Il tocco di D. si intravede nella leggerezza dello sguardo che richiama la sophisticated comedy degli anni Trenta, soprattutto per il veloce ribaltamento delle situazioni. Ha successivamente realizzato per la televisione Who am I this time? (1982; I commedianti, tratto da un racconto di K. Vonnegut), storia di una compagnia di dilettanti dell'Illinois che porta in scena A streetcar named desire di T. Williams, Swing shift (1984; Swing shift ‒ Tempo di swing), nostalgico melodramma al femminile ambientato durante la Seconda guerra mondiale, e Stop making sense (1984) sul concerto dei Talking Heads. Some-thing wild (1986; Qualcosa di travolgente) ha rappresentato invece una rielaborazione della formula della screwball comedy, quasi una sorta di remake di It happened one night di Frank Capra del 1934, ma anche una rivisitazione del noir più torbido con i protagonisti (uno yuppie e una ragazza disinibita) che appaiono in continua fuga dal proprio passato. Ancora sulla contaminazione dei generi risulta strutturato Married to the mob (1988; Una vedova allegra… ma non troppo), felice unione tra gangster film e commedia farsesca, giocata su un ritmo sfrenato teso a dissacrare i mafiosi italoamericani. Subito prima era stato autore del documentario Swimming to Cambodia (1987) e, successivamente, di The silence of the lambs. L'opera, tratta dal romanzo omonimo di Th. Harris, costruisce una delle figure-simbolo dell'horror psicologico del cinema hollywoodiano, quella del cannibale Hannibal Lecter (Anthony Hopkins). D. riesce a delineare una profonda inquietudine fondata sul 'non-visto', creando un'ambigua intimità tra il criminale e una giovane aspirante agente del FBI (Jodie Foster), attraverso inquadrature che sembrano attaccarsi al corpo dei personaggi e che al contempo cercano di lasciar trasparire le loro emozioni. Del 1992 è invece il documentario familiare Cousin Bobby (Mio cugino, il reverendo Bobby). Il film, che ha come protagonista Robert Castle, cugino del regista, parroco battista a Harlem che negli anni Sessanta si era avvicinato al movimento delle Pantere Nere, precede Philadelphia (1993), uno degli esiti più rischiosi e coraggiosi della filmografia di D., storia di un avvocato gay licenziato dallo studio legale perché malato di Aids e difeso in tribunale da un avvocato di colore. In apparenza è un'opera sulla malattia, in realtà si tratta di un potente cinema civile che unisce le istanze del film processuale con il melodramma intimista, e che si rivela anche dolorosamente struggente nel seguire, senza sbavature, la progressiva mutazione fisica di un emarginato. Dopo una pausa forzata di circa cinque anni, intervallata dall'episodio Subway car from hell del film collettivo Subway stories: tales from the underground (1997), D. ha realizzato Beloved (1998), non distribuito in Italia, dal romanzo di T. Morrison nel quale estremizza la propria capacità visionaria, popolando l'Ohio della fine del secolo scorso di incarnazioni di morti viventi che ritornano dal passato. Nel 2002 ha quindi diretto The truth about Charlie, remake della commedia giallo-rosa Charade (1963) di Stanley Donen.
A.G. Mancino, Angeli selvaggi. Martin Scorsese e Jonathan Demme, Chieti 1995; M. Bliss, C. Banks, What goes around comes around: the films of Jonathan Demme, Carbondale 1996; F. Falaschi, Jonathan Demme, Milano 1997.