MILTON, John
Poeta inglese, nato il 9 dicembre 1608 a Londra, dove suo padre, John Milton (v.), era stato costretto ad emigrare e ad esercitare una professione, quella dello scrivener (notaio), contraria ai suoi gusti artistici e alla sua attitudine musicale. Nella casa di Bread Street, Cheapside, il notaio educava la sua famiglia (quivi gli erano nati sei figli dalla moglie Sara Jeffreys) e componeva musiche per madrigali, canzoni e inni sacri che gli diedero una certa reputazione. Memore delle proprie aspirazioni giovanili, volle che il figlio Giovanni si dedicasse alle lettere. Non solo lo mandò a imparare greco e latino alla celebre scuola annessa alla cattedrale di San Paolo, ove insegnava l'umanista Alesander Gill, grande ammiratore dello Spenser (poeta che poi il M. nell'Areopagitica giudicherà "maestro migliore dello Scoto o dell'Aquinate"), ma gli diede un precettore, il reverendo Thomas Young, che gli insegnò il francese, l'italiano e l'ebraico.
Il giovane M. si dedicò agli studi con ardore; dall'età di dodici anni era solito studiare fino a notte inoltrata, consumando la vista. Dallo Young, presbiteriano fervente, apprese non solo a conoscere i classici (per la qual cosa rese pubbliche grazie nella Elegia IV), ma anche a interessarsi alle grandi controversie religiose del tempo.
A undici anni già scriveva versi. Ma dei suoi lavori scolastici di questo periodo non ci resta che la traduzione inglese di due salmi (114 e 136) sotto l'influsso del Du Bartas, il cui poema era stato tradotto in inglese dal Sylvester nel 1605.
A sedici anni il M. andò all'università di Cambridge. Il 12 febbraio 1625 venne iscritto al Christ's College, completando regolarmente i suoi studî con le lauree di B. A. nel 1629 e M. A. nel 1632. Ma all'università si produssero i primi scontri fra il temperamento indipendente del M. e l'autorità costituita. Il M. si trovò in un ambiente ancora imbevuto d'idee scolastiche, dove era ignorata la rivoluzione baconiana; le esercitazioni accademiche consistevano in dispute intorno ad argomenti astratti, composte in latino. Al M., per esempio, toccò di discutere la questione "se fosse più eccellente il giorno o la notte" (Prima Prolusione; il M. prese la parte del giorno). Il M. si ribellò contro quest'arida e antiquata disciplina ed entrò in urto con i compagni e con i maestri. Nella terza prolusione attacca direttamente il sistema dominante, sostenendo le ragioni dell'empirismo contra philosophiam scholasticam. Questo suscitò le ire del suo maestro Chappell, "sottilissimo disputatore"; il M. fu punito dalle autorità, ma ottenne di essere assegnato a un altro maestro. Qualche anno dopo il M. si era guadagnata la stima dei maestri e dei compagni; nel 1628 scrive una poesia latina per uno dei suoi maestri (l'elegia Naturam non pati senium, dove sostiene la tesi del protestante Hakewill che il mondo non è in decadenza ma in continuo progresso) e un discorso latino per una celebrazione accademica.
In questa medesima prolusione il M. recita una poesia inglese, At a Vacation exercise, dove il verso assume la caratteristica solennità, per non dire sublimità, miltoniana, e le aspirazioni epiche del giovane poeta sono apertamente confessate. Negli anni successivi scriveva in latino l'elegia V In Adventum Veris, e in inglese l'Ode per la Natività, la Passione, i versi per la seconda edizione delle opere di Shakespeare (2° in-folio, 1632), e in italiano cinque mediocri sonetti e un frammento di "Canzone". Nel 1631 scrive il sonetto How soon hath Time, dove per la prima volta si rammarica di non aver ancora prodotto nulla di importante. E al 1631, quando era ancora a Cambridge, vanno oggi attribuiti i due squisiti poemetti L'Allegro e Il Penseroso.
Dopo aver conseguito il diploma di Magister Artium, il M. decise di ritirarsi per un certo tempo in campagna a continuare gli studî per conto proprio, secondo un largo disegno culturale che egli si era proposto. A Horton, villaggio del Buckinghamshire, a diciassette miglia da Londra, il padre del M. aveva acquistato una piccola proprietà, essendosi ritirato dagli affari. Qui il M. passò sei anni leggendo e annotando scrittori greci, latini, inglesi, francesi, italiani. Ci è pervenuto il quaderno di appunti del M.: il Commonplace Book. Da esso si rileva come il M. avesse studiato non solo la letteratura classica, ma anche la patristica, la storia moderna, e il pensiero politico contemporaneo: Bodin, Buchanan, Machiavelli. Dell'Alighieri annota vari pensieri etici e politici dalla Commedia e dal De Monarchia. Dante è per il M. il cantore puro e casto dell'amore trasumanato per Beatrice, e anche un testimone cattolico della corruzione della Chiesa, da cui il poeta puritano trarrà ispirazione per le invettive nel Lycidas contro le magagne del clero inglese.
Non fu senza stupore e senza rimostranze che gli amici del M. videro questo giovane brillante ritirarsi dal mondo, abbandonare ogni tentativo di carriera, voltarsi a una specie di romitaggio laico. Ma a tutti quelli che gli domandavano perché non entrasse nel mondo, perché non si creasse un lavoro o una famiglia, il M. rispondeva che egli coltivava il talento affidatogli dal Signore e si preparava ad acquistare l'immortalità. Quale progetto specifico il M. allora coltivasse non risulta: ma doveva essere qualche grande opera di erudizione e d'arte insieme, che avrebbe commosso la nazione intiera, rinnovando il secolo e sublimando il poeta. Né la scuola, né il mondo, né l'amore davano al M. quel tributo che egli sentiva spettargli. Quindi il suo ritiro da tutte queste cose, solo col padre che evidentemente lo amava moltissimo, e con qualche amico come Carlo Diodati, che era pieno di ammirazione per lui. In questa solitudine egli affila le sue armi e accumula la sua dottrina.
A Horton egli compone alcune delle sue opere poetiche più squisite (il Comus, 1634 e il Lycidas, 1637). Le liriche di quel tempo dimostrano un'estrema raffinatezza di forma e un contenuto sentimentale piuttosto esiguo. Le poesie di argomento religioso celebrano piuttosto l'estetismo che la devozione: l'ode per Natale diviene involontariamente una rievocazione nostalgica delle divinità pagane che si disperdono gemendo all'avvento del Signore. Lo stile non disdegna alcuna delle artificiosità barocche e secentiste, fino all'immagine con cui si chiude l'ode natalizia: il sole che si corica nel letto oceanico e posa il capo sul cuscino di un'onda! Il Comus, a Mask, rappresentato a Ludlow nel 1634, ci trasporta in una foresta incantata dove, invece degli amori di Oberon e di Titania, si vede il trionfo della castità (impersonata nella fanciulla smarrita nel bosco e tentata dal figlio di Circe, Comus) e la disfatta di Comus e della sua lasciva truppa di satiri. Esso attesta il valore che il M. andava allora attribuendo alla castità: valore quasi magico che conferisce all'individuo poteri straordinarî. Ma più che la poesia, in quegli anni di studio andava maturando una cultura larga e profonda, che fa del M. l'uomo più armonicamente colto dell'epoca. Pieno riconoscimento del valore di Dante rimasto ignoto a Shakespeare e al più degli elisabettiani; chiaro concetto delle letterature classiche, non più limitate ai soli latini o al solo Ovidio tra i latini; e la conoscenza del teatro estesa fino ai grandi tragici greci di cui perfino Jonson aveva nozione assai vaga. Sotto questo rispetto il M. è il più grande umanista dei suoi tempi.
Il compimento necessario di questa cultura era il viaggio in Italia. M. partì nell'aprile 1638; a Parigi conobbe il Grozio allora ambasciatore svedese; poi, imbarcatosi a Nizza, arrivò a Genova, e visitò Livorno, Pisa, e poi Firenze. Quivi si fermò due mesi, bene accolto dai letterati contemporanei di cui il M. ci ha lasciato il nome: Iacopo Gaddi, Carlo Dati, Pietro Frescobaldi, Agostino Coltellini, Benedetto Buonmattei, Valerio Chimentelli, Antonio Francini.
Il Diodati radunava in casa propria (a Piazza Madonna) l'accademia degli Svogliati, che fu quella che il M. frequentò con maggiore assiduità.
In questo periodo dovrebbe avere avuto luogo la celebre visita a Galileo "invecchiato nella prigionia dell'Inquisizione per aver pensato in astronomia diversamente da quanto pensassero i censori francescani e domenicani". Queste parole dell'Areopagitica sono l'unico documento dell'incontro, e il Liljegren ha dubitato della veracità del M., in quanto Galileo era allora malato e impedito dal comunicare con gli stranieri. Sebbene sia certo che il M. colorisse alquanto la realtà del suo viaggio in Italia nelle narrazioni che fece poi, a scopo polemico e apologetico, nella Defensio Secunda (1654), pure non si è ancora dimostrato che egli aggiungesse nulla al vero: tutt'al più si sono scoperte cose che egli aveva taciute, come i suoi rapporti amichevoli con le autorità di Roma.
Quivi si recò passando per Siena, e si trattenne per due mesi, ottobre e novembre 1638. Strinse amicizia con i letterati che allora primeggiavano, l'Achillini, il Testi, il Rossi detto l'Eritreo, G. B. Derni, il Ciampoli, Alessandro Cherubini e il Frescobaldi, che lo presentarono al Cardinal Barberini, nipote di Urbano VIII e factotum del pontefice. Ai ricevimenti di questo egli conobbe Eleonora Baroni, la celebre cantante, per la quale scrisse tre epigrammi latini, Ad Eleonoram Romae canentem. Il M. stesso ricorda la sua amicizia per Luca Holste (dotto protestante, ritornato al cattolicismo, e direttore della Biblioteca Vaticana). Dal registro del collegio inglese a Roma, allora retto dai gesuiti, risulta che il M. cenò alla loro mensa il 30 ottobre 1638.
Nel novembre egli partì alla volta di Napoli. Quivi conobbe il settuagenario Giambattista Manso, che era stato amico del Tasso e del Marino, come ricorda a sua gloria il M. stesso negli esametri Mansus (importanti anche perché vi accenna al suo progetto di comporre un poema epico di argomento arturiano). Il M. ci dice che aveva intenzione di viaggiare anche in Sicilia e in Grecia, ma che le notizie delle lotte civili in Inghilterra gli fecero riprendere il cammino di casa. Non certo in fretta, perché a Roma si trattenne altri due mesi (gennaio e febbraio 1639), insidiato, egli ci racconta, dalle spie, ma non per questo meno libero e indipendente nel suo parlare: altro particolare che è posto in dubbio e nel quale è probabile che vi sia dell'esagerazione. Il complotto contro il M. sembra contrastare con le altre testimonianze della buona accoglienza fattagli a Roma; ma quanto al parlare schietto e all'indipendenza del giudizio, essi sono manifestati dal M. per tutta la sua vita. Altri due mesi li passò a Firenze, e fece un'escursione a Lucca. Della sua visita a Vallombrosa sono eloquente testimonianza i celebri versi del Paradiso perduto (I, 301 segg.). Poi si recò a Venezia, traversando gli Appennini per Bologna e Ferrara. Egli aveva comprato molti libri di musica, che spedì per mare a Venezia. Finalmente lasciò l'Italia, passando per Verona e Milano, e lungo il lago Lemano giunse a Ginevra. Nella capitale del calvinismo ebbe lunghi colloquî col teologo Giovanni Diodati, zio dell'amico Carlo, che proprio in quel tempo moriva. Per lui il M. ritornato in Inghilterra scrisse l'elegia latina Epitaphium Damonis.
Come l'altra elegia per la morte di un amico, il Lycidas, anche questa poesia ci rivela più che il dolore, le preoccupazioni del M. intorno alla sua carriera poetica. Nell'Epitaphium è ribadito il progetto del poema arturiano, con maggiori particolari. Nel Lycidas si svela il suo timore di morire prima di aver creato un'opera immortale, e compare inaspettatamente, tra coloro che piangono il morto pastore, la figura di San Pietro, a fustigare i falsi pastori con le medesime parole della celebre invettiva del Paradiso dantesco, il M. così mostra già di prendere vivo interesse alle polemiche ecclesiastiche e politiche che allora dilaniavano l'Inghilterra.
A queste polemiche, entrate nella fase acuta, egli ora partecipò direttamente con una serie di opuscoli per la riforma della Chiesa in senso presbiteriano e per l'abolizione dell'episcopato, indotto probabilmente dal suo vecchio precettore Thomas Young, teologo puritano.
Nel giugno dello stesso anno il M. entrava nella polemica con il primo dei suoi opuscoli Of the Reformation touching Church Discipline in England, sostenendo che il sistema episcopale è una corruzione del cristianesimo primitivo. Come quasi tutti gli opuscoli polemici del M., questo contiene alcuni squarci di grande eloquenza, monumentali periodi ciceroniani, amplissima copia di citazioni erudite, dove accanto alla Bibbia e ai padri della Chiesa sono citati come autorità anche Dante, il Petrarca, l'Ariosto, il Chaucer. Sotto il teologo si scopre l'umanista. In una smagliante perorazione finale, il M. preconizza un'età nuova e gloriosa, un regno del cielo sulla terra, un trionfo della religione: sogno nel quale ha trovato forma concreta la vecchia aspirazione giovanile di un grande evento luminoso, in cui il M. assumesse la parte di vate e di profeta, primeggiando finalmente davanti al mondo intiero. La polemica riformatrice era in fondo soltanto un mezzo per realizzare le aspirazioni grandiose del M.; il lavoro che egli compieva non era di carattere prevalentemente artistico; ma abbiamo già visto come il M. facesse rientrare nel suo mondo estetico-umanistico anche le polemiche teologiche.
Negli opuscoli successivi, la discussione, dapprima impersonale e teorica, diventa polemica personale: nel secondo opuscolo, Of Prelatical Episcopacy (1641), si combattono le tesi dell'arcivescovo Ussher; nel terzo, Animadversions upon the Remonstrant's Defence against Smectymnuus (1641), risponde acremente a repliche del vescovo Hall agli attacchi di Smectymnuus (opera di quattro puritani, così detta dalle iniziali dei loro nomi). Il tono pacato e quasi filosofico viene ripreso nel trattato The Reason of Church Governement Urg'd against Prelaty (1642), dove ribadisce vecchie tesi presbiteriane, sostenendo che il moltiplicarsi delle sette è segno di vitalità religiosa e che la religione è faccenda strettamente personale. Ma anche qui, dietro l'apparenza del ragionamento astratto, si muove sempre l'aspirazione individuale del M., che si manifesta apertamente nell'esordio al libro II. Quivi il M. si diffonde con eloquenti parole sui motivi idealistici che lo hanno indotto ad abbandonare gli ameni sentieri delle muse per partecipare virilmente alle lotte religiose, e allo stesso tempo confida al lettore la sua ambizione di scrivere un poema sublime "che il mondo non lascerà morire".
Frattanto il M. si era finalmente trovato un'occupazione pratica: quella dell'insegnamento. Appena tornato dall'Italia egli aveva preso a educare i due figli di una sua sorella, John e Edward Phillips. Quest'ultimo doveva essere il suo più fedele scolaro, lasciandoci una preziosa biografia dello zio. Più tardi il M. accolse anche altri alunni, occupandosi di educazione fino all'anno 1649. Nel 1644 pubblicò un breve opuscolo Of Education, in cui prevale ancora il concetto della quantità, piuttosto che della qualità, delle materie d'insegnamento - classici greci e latini, italiano, ebraico e siriaco, le arti e le scienze - tutto ciò che può "preparare un uomo ad adempiere a tutti i suoi doveri in pace e in guerra".
Nell'ultimo opuscolo di questo periodo, An Apology against a Pamphlet called "A Modest Confutation of the Animadversions of the Remonstrant against Smectymnuus" (1642), si ritorna alla polemica personale. Il vescovo Hall lo aveva accusato di tener vita sregolata e di essere stato espulso dall'università. Il M. coglie subito l'occasione di fare una lunga ed eloquente autodifesa, rivelando nella sua vita interiore lo sviluppo di un atteggiamento particolarmente idealistico sul problema della castità. Dopo un periodo di ammirazione per i poeti erotici elegiaci, egli si volse alla celebrazione dell'amore casto in Dante e nel Petrarca, dell'ideale cavalleresco nei poemi epici, dell'amore platonico nel Simposio di Platone e in quello di Senofonte, e dell'ideale di purità nelle scritture di San Paolo. Quest'ultimo e perfezionato ideale, il M. ci avverte esplicitamente, non esclude il matrimonio.
Nel matrimonio il M. si doveva precipitare poco dopo, contraendo un legame affrettato che doveva amareggiargli la vita. Nell'estate del 1643 egli partiva di casa senza dire a nessuno il motivo, e dopo un mese di assenza ritornava portando seco una fanciulla che aveva sposato. Si chiamava Mary Powell, ed era figlia di un gentiluomo di Oxford a cui i Milton avevano prestato del denaro. Il M. aveva trentacinque anni e la sposa ne aveva diciassette; per di più, essa proveniva da una famiglia realista, nemica del puritanismo, usa agli agi e ai divertimenti, in un'atmosfera molto diversa da quella dell'austero vate e polemista. Dopo un mese di matrimonio, la sposa lasciava con un pretesto la casa del M. e si rifugiava presso i genitori. A nulla valsero le preghiere insistenti del marito; la fanciulla non ne voleva più sapere di lui.
Il M. allora scrisse i suoi quattro libri in favore del divorzio (The doctrine and Discipline of Divorce, 1643; 2ª ed. 1644; The Judgement of Martin Bucer concerning Divorce, 1644; Tetrachordon, 1645; Colasterion, 1645), nei quali sostiene che l'incompatibilità di carattere è un ostacolo più grave, alla realizzazione dei più alti fini del matrimonio, di qualunque altra discordanza, essendo il matrimonio un'unione più spirituale che fisica. Quindi la teoria dello scioglimento per mutuo consenso.
Queste dottrine suscitarono scandalo nel mondo presbiteriano, e vennero sporte denunce contro gli opuscoli. Il M., vistosi minacciato dall'applicazione di una legge del 1643, che istituiva un censore incaricato di licenziare i libri alle stampe, scrisse per la libertà di stampa la Areopagitica: a speech for the liberty of unlicensed Printing (1644), la più artistica e umanistica di tutte le sue scritture in prosa. Egli vi sostiene che il sistema dell'imprimatur è un'invenzione del Concilio di Trento, e svolge il concetto della cultura umanistica, che si serve dei libri per attingere la più larga esperienza e per rafforzare l'animo affrontando il male e l'errore e non chiudendo gli occhi davanti ad essi. Il libro diventa così per il M. un essere vivo, una quintessenza spirituale, che è sacrilego ferire. Gli argomenti del M. non ebbero immediata efficacia pratica ma vennero ripresi dopo la caduta della Commonwealth (1679, 1693), e ispirarono un opuscolo del Mirabeau del 1788.
Non potendo divorziare, il M. nel 1645 pensa di unirsi liberamente con un'altra donna, nonostante tutto e tutti. Questo disegno venne sventato dal ritorno di Mary Powell, umile e sottomessa, al tetto coniugale.
A ciò essa dovette essere indotta dalle disgrazie della sua famiglia, coinvolta nella disfatta del partito realista. Morì di parto nell'estate del 1652, all'età di soli ventisei anni, dopo essere stata moglie del M. per nove anni, e dopo avergli dato quattro figli. Nel 1647 moriva il padre del M.; nel 1656 il M. sposava, già cieco, la seconda moglie Katherine Woodcock, che moriva due anni dopo; nel 1663 sposò la terza moglie, Elizabeth Minshull, che aveva trent'anni meno di lui, e che gli sopravvisse, morendo nel 1727. Queste vicende matrimoniali mostrano il fascino che l'eterno femminino aveva per il M., e quanto artificioso fosse il culto per la castità dei suoi anni di Horton. Nel Paradiso perduto il M. concilierà finalmente le sue sensibilità con i suoi ideali mediante la celebrazione dell'amor coniugale di Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre.
Il terzo e ultimo periodo di attività polemica del M. consiste nella difesa del repubblicanismo e nell'apologia per il regicidio. Comincia, al solito, con un trattato puramente teorico sulla Tenure of Kings and Magistrates (1649) che gli valse la nomina a segretario delle lingue straniere presso il Consiglio di stato del Cromwell, e prosegue poi degenerando in acri polemiche personali: Eikonoklastes (1649), in cui, per rispondere a un apocrifo libro di pensieri e meditazioni di Carlo I, intitolato Eihon Basilike, il M. vilipende la memoria dello Stuart; la polemica latina contro il Saumaise, che aveva scritto una Defensio Regia pro Carolo I (1649), a cui il M. risponde con la Pro populo anglicano Defensio (1651); alla replica dei realisti, il M. ribatte con una Secunda Defensio (1654), dove il M. ritorna all'autodifesa, e ci lascia il più ampio dei suoi squarci autobiografici, raccontando la sua educazione e il suo viaggio in Italia, i suoi scritti polemici, ecc.; e infine una Pro se Defensio (1655).
Il M. era diventato cieco nel 1651. La sua vista, già logorata negli studî giovanili, si era rovinata definitivamente nel periodo d'intenso lavoro come segretario latino e nella compilazione della prima Defensio. Nella Secunda, il M. si gloria quasi di questa sua affizione, considerandola in parte come un sacrificio volontario, e credendo che il Signore, sottoponendolo a questa dura prova, gli avesse poi in compenso dato una speciale illuminazione interiore. Anche qui la difesa dei principî viene rivolta dal M. a una glorificazione della propria personalità.
Durante il periodo 1655-59, il M. si dedica a scrivere il trattato teologico De Doctrina Christiana, che rimase inedito fino al 1825. Dedicato alle chiese tutte, esso vorrebbe essere una sintesi delle dottrine cristiane, ma è pieno di teorie personalissime, che sarebbero state considerate eretiche da qualunque chiesa. La sua insistenza sul libero arbitrio lo pone in urto col calvinismo; la sua negazione della Trinità lo porta verso l'arianesimo; la dottrina dell'eternità della materia e della legittimità della poligamia lo portano fuori del cristianesimo e lo avvicinano molto alle correnti materialistiche del suo tempo. Del protestantesimo resta solo la forma esterna dell'argomentazione, che si serve di testi biblici, interpretati con molta libertà.
La crisi della Commonwealth dopo la morte del Cromwell richiama il M. alla lotta politica.
In una serie di opuscoli (A treatise of civil power in ecclesiastical causes, 1659; Considerations touching the likeliest means to remove hirelings out of the Church, 1659; A letter to a Friend touching the ruptures of the Commonwealth, 1659) egli abbandona il presbiterianismo per farsi fautore di una forma ancor più estrema di puritanismo, sostenendo l'abolizione di qualunque forma di sacerdozio compensato, e aderendo quindi ai cosiddetti Indipendenti. Ma le menti degl'Inglesi oramai volgevano alla restaurazione monarchica ed episcopale. Invano il M. lancia il suo ultimo opuscolo politico, A Ready and Easy Way to establish a Free Commonwealth, pieno di ardore repubblicano; siamo nel 1660, Carlo II ritorna al trono. La battaglia è perduta.
Il M. entra così nel terzo ed ultimo periodo della sua vita, il più infelice e il più glorioso. Tollerato dai vincitori, l'apologista del regicidio, vecchio, povero, cieco, quasi solo (gli restano fedeli amici il Marvell e il nipote Phillips), ritorna alla poesia che aveva abbandonato tanti anni prima, e compone il suo grande poema. Aveva già pubblicato i suoi poemetti giovanili nel 1645. Nel 1667 usciva la prima edizione del Paradise Lost; il Paradise Regained seguì nel 1671 insieme col Samson Agonistes. Egli moriva di gotta l'otto novembre 1674 a Londra, e venne seppellito nella chiesa di St Giles di Cripplesgate, accanto al padre. Gli sopravvissero, con la terza moglie, le tre figlie. L'ultimo discendente del M. fu Elisabetta Foster (figlia della più giovane delle figlie di M. Deborah), che morì nel 1754.
Il Paradiso Perduto è un poema in dodici libri (concepito fin dal 1640 in forma drammatica; cominciato a comporre nella stesura finale, dopo varî abbozzi, nel 1658), il cui scopo è "di giustificare all'uomo le azioni del Signore" mostrando che la punizione di Adamo ed Eva è giusta perché essi peccarono forniti di libero arbitrio, scegliendo deliberatamente il male invece che il bene. Il loro peccato consiste nell'avere disubbidito al divieto del Signore, non già nell'atto carnale, secondo la tradizione popolare, perché l'amore coniugale è prescritto dal Signore stesso, che istruisce Eva nei riti nuziali. L'amore anzi è un principio universale, perché anche gli angeli lo conoscono, e celebrano mistiche unioni spirituali, non dissimili dal connubio umano. Ma Eva ha dato ascolto al serpente e ha rotto l'unico divieto del Signore; Adamo la imita pur comprendendo meglio di lei l'enormità del suo peccato (l'intelletto femminile è sempre rappresentato dal M. come più debole del maschile e quindi necessariamente subordinato ad esso), ma non volendo essere separato da lei anche nella punizione e nella morte. L'inesorabile sentenza divina li caccia dal paradiso nella terra dove ora si abbattono la morte, la discordia, la guerra; e il poema si chiude con due versi sublimi nella loro semplicità, mostrando Adamo ed Eva che con passi incerti e lenti avanzano per la terra ignota, soli, tenendosi per mano, uniti ancora e sempre nell'infelicità.
Il M. più di qualunque altro poeta ha mirato a rendere naturale e umana la storia di Adamo ed Eva, cercando di rendere vivi e plausibili i sentimenti delle due prime creature umane in una situazione che egli doveva ricostruire con la pura fantasia. Egli fa narrare ad Adamo il suo primo destarsi alla vita, lo svegliarsi del pensiero e della favella in lui, il suo istintivo e irrefrenabile desiderio di una compagna che gli manca, e di cui egli può argomentare solo vagamente la natura. Tutto ciò è reso con una delicatezza di sfumature, con un senso idillico e un pathos che basterebbero a sollevarlo mille miglia al di sopra del banalissimo e freddissimo impasto di arguzie secentiste e luoghi comuni che è l'Adamo dell'Andreini, che il Voltaire segnalò all'Europa come la fonte da cui il M. avrebbe derivato, se non plagiato, il suo poema. L'ispirazione italiana c'è, e c'è dappertutto: scrivendo il suo poema nella lingua nazionale, egli stesso dichiara di seguire l'esempio dell'Ariosto contro i consigli del Bembo, ma il M. s'ispirava alla grande vera poesia italiana, alla poesia di Dante, dell'Ariosto, del Tasso; e il loro influsso si sente nella fattura del verso sciolto nelle complessità del periodo, nelle ardite inversioni e nei latinismi, nell'arte raffinatissima e classica, composta in forme architettoniche, misurate e precise. Nello stesso tempo, il M. raggiunge effetti di musicalità e di suggestività romantica puramente originali, dei quali aveva già dato prova nel Lycidas e in altri poemetti giovanili. Particolarmente notevole è la varietà e l'elasticità del verso sciolto, il quale ha dato molto filo da torcere ai prosodisti che hanno cercato di darne la formula astratta. Si sono escogitati varî sistemi di metrica, per analizzare dei versi che non offrono alcuna difficoltà all'orecchio.
Ma la figura più interessante del Paradiso Perduto non è da cercarsi tra i protagonisti umani o divini, né tra le schiere angeliche che proteggono, consigliano e confortano Adamo ed Eva. Campeggia su tutti la figura di Satana come quella di uno spirito eroico, che, come diceva lo Shelley, "persevera in un fine, che egli ha stimato eccellente, nonostante le avversità e la tortura". Quanto maggiori sono gli ostacoli e i pericoli che gli si parano innanzi, tanto più grandioso è il suo sforzo. Il M. ha scelto gli episodî che più mettono in rilievo la grandezza d'animo dell'angelo ribelle. Il poema si apre sulla scena della prima sconfitta degli angeli ribelli, precipitati dal Signore nel più profondo abisso dell'inferno per la loro rivolta contro l'autorità di Cristo, il figlio di Dio. Ancora dolorante, è Satana il primo a sollevarsi dall'abbattimento generale, Satana che rincuora gli altri e rianima le schiere sconfitte e raduna il consiglio, dove riesce a far trionfare di nuovo la decisione della guerra. "Meglio regnare in inferno che servire in cielo!" È lui che si avventura per primo, solo, fuori dell'oscura prigione, e risale faticosamente attraverso la zona del caos primigenio che lo separa dall'universo creato, dove nella sfera terrestre vivono Adamo ed Eva, le due nuove creature che godono di privilegi negati a lui, l'angelo caduto. Giunto quivi, egli adempie al suo disegno di corromperli, nonostante la vigilanza degli angeli e gli ammonimenti del Signore, in grazia della sua superiore astuzia e forza d'animo. Adamo ed Eva sono come bambini in mano sua; la lotta è manifestamente impari, a scapito dell'effetto poetico. Di qui la figura di Satana degenera; quando ritorna esultante fra i suoi, il Signore li punisce tutti trasformandoli in serpenti.
Il Paradiso Riguadagnato, in quattro libri, narra la tentazione di Cristo nel deserto e la sua vittoria sul demone. Lo stile è assai più sobrio e semplice, e l'interesse poetico è minore. Notevoli le descrizioni di Roma, la celebrazione della civiltà ellenica, e l'esaltazione del genio ebraico, che riassumono il pensiero e le esperienze culturali dell'intera vita del M.
Samson Agonistes è una tragedia di stampo classico, secondo tutte le norme di Aristotele, e composta su modelli sofoclei, non senza echi di Euripide. Essa ci presenta nel fatto la fine di Sansone, e nello spirito la riconciliazione propria con la volontà del Signore. L'identificazione che il M. faceva della sua sorte con quella di Sansone cieco e prigioniero dei suoi nemici ha dato grandissima forza lirica ai monologhi di Sansone. Il M. attinge qui nuovamente il sublime, mescolando la venerazione per il Signore allo spirito eroico che si manifesta nella grande figura del protagonista. Nell'opera del M. troviamo "quello che c'è di più forte nelle passioni e di più perfetto nell'arte del suo tempo; egli unisce la vitalità intensa dell'era elisabettiana al culto della forma proprio dell'era augustea, e si presenta come una figura colossale, che sorge a cavaliere di due epoche" (Jusserand). Alla cultura del compiuto umanista egli congiunge la coscienza del cittadino e del cristiano, e impegna tutta la sua personalità nella partecipazione alle grandi lotte civili e religiose del suo tempo. Rappresentante tipico, in questo, della borghesia inglese a cui apparteneva, egli scende in lizza per difendere a spada tratta il suo diritto alla libertà di fede e di pensiero. Non ebbe timore di diventare uomo di parte, ma finì, come Dante, col far parte per sé stesso; e quando il sistema politico a cui si era affidato precipitò in rovina, i nemici vincitori rispettarono la sua solitudine sdegnosa e gli concessero di portare a termine la sua opera poetica. Per essa egli è diventato una delle grandi figure ideali della storia, purificando nell'altezza della sua ispirazione le scorie della polemica partigiana. L'iconoclastia moderna ha cercato di intaccare in questo o quell'episodio la sua biografia; ma non s'avvede che quello che eleva il M. al di sopra di ogni vano pettegolezzo, è il profondo valore ideale che egli ha conferito al suo poema, facendone una delle grandi figurazioni poetiche della lotta tra il bene ed il male, rivissuta da una mente originale, che pensava per conto proprio e si ergeva contro al mondo in fiera e intransigente indipendenza.
Ediz.: È in corso di pubblicazione una nuova e completa edizione critica in voll. 18 (di cui sono usciti i primi nove) dalla Columbia University Press di New York. La raccolta del 1851 a cura di John Mitford manca della Doctrina Christiana e di qualche altra opera. Le opere poetiche complete (in inglese, italiano, latino e greco) sono stampate nell'edizione di Oxford a cura di H. C. Beeching nell'ortografia originale, senza note (1900). Il Masson curò un'edizione annotata (con biografia, introduzioni, saggi sulla lingua e lo stile, ecc.) in voll. 3, Londra 1874, di cui preparò nel 1882 un'edizione ridotta, più volte ristampata, in voll. 3 più piccoli. H. J. C. Grierson ha curato la Florence Press edition, Londra 1925, disponendo le opere in ordine cronologico. Ampiamente annotate sono le edizioni di singole opere a cura di A. W. Verity (Cambridge, "the Pitt Press series", 1891-1912, voll. 11), dei Sonetti a cura di J. S. Smart, Glasgow 1921. Numerosissime le edizioni scolastiche. Le opere in prosa vennero edite da J. A. St. John nella Bohn's Library, Londra 1848-53 (delle opere latine solo la traduzione). Le più importanti (Areopagitica, Of Education, Of Reformation in England, Doctrine and Discipline of Divorce, ecc.) sono facilmente accessibili in edizioni popolari: Everyman's Library, The World's Classics, ecc., e nell'edizione annotata da L. E. Lockwood, Boston 1911 (Riverside L. S.). Ediz. critiche di singole opere: Areopagitica, J. W. Hales, Oxford 1882; Of Reformation, W. T. Hale, New Haven 1916; The Tenure of Kings, W. T. Allison, New York 1911. La Doctrina Christiana venne pubblicata da C. R. Sumner nel 1825, con una traduzione inglese, ristampata nell'edizione St. John. Of Education, ed. O. Ainsworth, New Haven 1928.
Le Prolusiones e le Epistulae vennero pubblicate in una traduzione inglese da E. M. W. e P. B. Tillyard (Private correspondence and academic exercises, Cambridge 1931). Le poesie latine e italiane vennero tradotte in inglese dal poeta Cowper: la 1ª ed., Londra 1808; ristampate nella Aldine edition di Milton, 1826.
Trad. ital.: Le migliori traduzioni del Paradiso Perduto sono di P. Rolli, L. Papi, A. Maffei. Il Paradiso racquistato, G. Pisano, Napoli 1911. Il Como, dramma, tradotto, Verona 1831. Lycidas: M. Leoni, Pisa 1841, A. Mastrostefano, Ascoli Piceno 1931. L'allegro, D. Testa, Parma 1785. Il Pensieroso, M. Leoni, Milano s. a. Areopagitica, traduzione e prefaz. di S. Breglia, Bari 1932.
Bibl.: Bibliografie generali: E. N. S. Thompson, J. Milton, A topical bibliography, Yale 1916; D. H. Stevens, A reference guide to Milton from 1800 to the present day, Chicago 1930; H. F. Fletcher, Contributions to a Milton bibliography, 1800-1930, Urbana, Illinois, 1931 (supplemento al precedente); Cambridge History of Engl. Literature, VII, 1911, ecc. - Lessici e concordanze: J. Bradshaw, A Concordance to the poetical works of J. Milton, Londra 1894; L. Cooper, A. Concordance of the Latin, Greek, and Italian poems of J. Milton, Halle 1923; L. E. Lockwood, Lexicon to the English poetical works of J. Milton, New York 1907; C. G. Osgood, The classical mythology of Milton's English poems, Oxvord 1925, 2ª ediz.; A. H. Gilbert, A geographical dictionary of Milton, New Haven 1919 ("Cornell Studies in English").
Biografie. - Quelle contemporanee del Philips, Aubrey, Wood, e l'anonima scoperta ultimamente, sono ristampate dalla Lockwood nell'ediz. cit. delle opere in prosa, e da H. Darbishire, Londra 1932; D. Masson, Life of Milton, Londra 1859-1894 (monumentale ed enciclopedica rassegna non solo della vita ma della storia contemporanea, in 7 volumi; del 1° uscì un'ediz. riveduta nel 1881); A. Stern, Milton und seine Zeit, Lipsia 1877-1879 (analoga al Masson). Più succinta la vita di M. Pattison, Londra 1879 (English Men of Letters series).
Monografie: Il miglior manuale per lo studio della vita e delle opere del Milton è quello di J. H. Hanford, A Milton Handbook, Londra 1927, con ampia bibliografia aggiornata, documenti biograefici, analisi delle opere, resoconto dei più importanti studî, ecc. Altri manuali meno recenti sono il Milton di J. Bailey, Londra 1915, e Milton and his Poetry di W. H. Hudson, Londra 1924 (con una scelta delle poesie). - La monografia più recente è il Milton di E. M. W. Tillyard, Londra 1930, che si vale molto delle prolusioni giovanili, fino allora poco studiate, e presenta una concezione moderna della personalità del M. Dello stesso uno studio sulla cronologia e le fonti dell'Allegro e del Penseroso, in English Association Pamphlet N. 82, 1932.
Inoltre: S. B. Liljegren, Studies in Milton, Lund 1918 e Ethisches u. Literarisches zur Milton-Frage, in Englishe Studien, 1922; e H. Mutschmann, Der andere Milton, Bonn 1920.
Sul pensiero di Milton: D. Saurat, La pensée de Milton, Parigi 1920; id., Milton man and thinker, Londra 1924; id., Milton et le matérialisme chrétien en Angleterre, Parigi 1928; M. Freund, Die Idee der Toleranz im England der grossen Revolution, Halle a. S., 1927.
Sui rapporti con l'Italia: E. Allodoli, G. Milton e l'Italia, Prato 1907; id., prefaz. alla ediz. dell'Adamo dell'Andreini, in Scrittori Nostri, Lanciano 1913; D. Angeli, G. Milton, in Profili, n. 95, Roma 1927; C.H Herford, Dante and Milton, estratto dal Bulletin of the John Rylands Library, Manchester 1924. Per i rapporti con Dante, anche P. Toynbee, Dante in English Literature, Londra 1909.
Saggi critici: Poiché Milton fa parte della letteratura mondiale, passare in rassegna i giudizî critici su di lui significa passare in rassegna buona parte del pensiero critico europeo a lui posteriore. Si accennerà ai giudizî principali, specialmente inglesi. Dopo il giudizio del Dryden, che fu il primo a segnalare in Satana l'"eroe" del Paradiso Perduto, l'analisi più importante è quella dell'Addison nello Spectator del 1712 (ediz. a parte, A. S. Cook, Criticisms, on Paradise Lost, Boston 1892), che rappresenta il giudizio dell'età classica su di lui. Un senso più profondo della poesia miltoniana si sviluppa col romanticismo (cfr. W. L. Phelps, The beginnings of the English romantic movement, Boston 1893). Mentre lo Chateaubriand nel suo Essai sur la litt. anglaise (1836) premesso alla sua traduz. del Paradiso Perduto vede soprattutto in Milton il "sublime cristiano", i romantici inglesi avevano insistito sull'elemento satanico, a cominciare dal Blake, le cui geniali intuizioni si trovano negli aforismi del Marriage of Heaven and Hell (1793), e per trovare la più netta formulazione nello Shelley (pref. al Prometeo, 1820; Difesa della poesia, 1821). Il Keats vede di Milton specie il lato formale.
Nell'epoca vittoriana il saggio più acuto è quello di W. Bagehot, apparso nella National Review del 1859 (rist. in Estimations in Criticism, Londra 1908, e in Literary Studies, Londra 1916, nella Everyman's Library), che ha servito a molti dei critici posteriori, dal Taine nella sua Histoire de la littérature anglaise (1863), al W. Raleigh nel suo eccellente Milton, Londra 1900. Si veda anche E. Dowden, The idea of Paradise Lost, nei suoi Transcripts and Studies, Londra 1888. Un tentativo d'inquadramento storico in H. J. C. Grierson, Cross Currents in English Literature of the 17th century, Londra 1929.
In Italia, oltre al Saggio di critica di Filippo Scolari, Venezia 1818, e agli altri studî indicati nell'Allodoli, V. Beonio Brocchieri, J. Milton. Dramma individuale e problemi universali, in Nuova Antologia, agosto 1926; G. N. Giordano-Orsini, Milton e il suo poema, Firenze 1928.
In Germania (dove il Goethe aveva dato un interessante giudizio sul Paradiso Perduto nelle sue lettere allo Schiller) si hanno negli ultimi anni penetranti studî storici di W. F. Schirmer, Antike, Renaissance, u. Puritanismus, Monaco 1924, e A. Gertsch, Der steigende Ruhm Miltons, Lipsia 1927.
Studî sulla metrica: oltre al saggio citato del Masson (nella sua edizione delle opere poetiche), vedi R. Bridges, Milton's Prosody, Revised final edition, Oxford 1921; G. Saintsbury, History of English Prosody, Londra 1906, voll. 2, e il cap. Milton in Cambridge History of Engl. Literature, VII, 1920.