LOCKE, John
Filosofo inglese, nato nel 1632 a Wrington, nel Somersetshire, di famiglia puritana. Suo padre prese parte alla guerra civile nel 1642, militando nell'esercito del Parlamento. Si è nel periodo più turbinoso della storia d'Inghilterra, la quale, attraverso due memorabili rivoluzioni, la decapitazione di Carlo I e la repubblica di Cromwell, la cacciata degli Stuart e la conquista di Guglielmo d'Orange, si costituì in quel regime costituzionale che fece di essa la patria d'origine del liberalismo moderno. Verso il 1646 il L. ebbe una borsa di studio nel collegio di Westminster, donde passò al Christ Church, in Oxford, nel 1652. Conseguì i primi gradi di baccelliere e maestro di arti, e vi insegnò greco, poi retorica, infine (1663) filosofia morale. Rinunciò a far carriera ecclesiastica per darsi agli studî di medicina: una dispensa reale gli pemmise, ciò nonostante, di restare alla Christ Church. Ma non terminò gli studî, né ebbe mai il titolo dottorale. Nel 1665 accompagnò a Kleve l'ambasciatore inglese mandato per ottenere l'alleanza o la neutralità dell'elettore di Brandeburgo nella guerra con l'Olanda. Nel 1666, rifiutato un posto di segretario d'ambasciata in Spagna, tornò ad Oxford, e si diede con ardore a studî di fisica e di fisiologia, collaborando assiduamente alle opere di R. Boyle e di Th. Sydenham. Ma, anche dopo, seguì sempre con grande attenzione i lavori degli scienziati, e sino a tarda età mise volentieri a profitto degli amici le sue conoscenze di medicina. La sua reputazione si diffuse presto: nel 1668 fu eletto membro della Royal Society di Londra, e fece parte anche del consiglio direttivo. In qualità di medico, conobbe a Oxford lord Anthony Ashley, che fu, poco dopo, conte di Shaftesbury (il filosofo omonimo, educato da Locke, è il nipote), e lo seguì a Londra. Un'ardita operazione chirurgica tentata dal Locke parve salvare la vita dell'Ashley: da allora divenne di casa, e visse in essa molto stimato dalla famiglia e dagl'illustri personaggi che la frequentavano. Divenuto l'Ashley cancelliere, il L. ne fu come il segretario: fece pratica, così, in affari di stato e collaborò alla soluzione di ardenti questioni economiche e politiche. Queste diverse direzioni della sua cultura si unificarono nella sua intelligenza meditativa; e in un memorabile convegno (pare, nell'inverno del 1671) di amici a Exeter House, residenza dello Shaftesbury, nel corso di una discussione sui principî della morale e della religione, gli balenò l'idea della necessità di una "indagine pregiudiziale sui poteri e gli oggetti dell'intelligenza umana": di qui l'origine dell'opera tra le più famose nella storia della filosofia. Fu in Francia due volte. Il suo giornale di viaggio è ricco di profonde osservazioni. La stessa varietà di atteggiamenti spirituali si riscontra nelle sue lettere. Intanto lo Shaftesbury nel 1681 era stato arrestato sotto l'accusa di alto tradimento: liberato fra le acclamazioni del popolo, e fallitogli un nuovo tentativo rivoluzionario, fuggì in Olanda, dove morì nel gennaio 1683. L. aveva già lasciato l'ufficio che aveva presso di lui e s'era ritirato a Oxford nuovamente. Sospettato e spiato dai partigiani del re, si mantenne in un riserbo impenetrabile. Ma la reazione crescente e l'ostilità di cui si sentiva circondato, lo persuasero a rifugiarsi in Olanda nel 1683. Poco dopo, per ordine del re, veniva privato del posto e, ossequienti le autorità del collegio, espulso dall'università. Essendo stata chiesta dal governo inglese la sua estradizione, dovette tenersi nascosto mutando spesso residenza e nome. Venuto al trono Giacomo II, gli fu concesso il perdono: rispose che, non sentendosi reo di nulla, non l'accettava. Pare certo che, entrato in relazione con Guglielmo d'Orange, prendesse parte attiva nei disegni della spedizione effettuata nel novembre del 1688. Nel febbraio seguente accompagnava col seguito la principessa Maria, consorte di Guglielmo, sbarcando a Greenwich. Nel 1690 usciva il suo immortale capolavoro, Essay concerning human Understanding. Si apre un periodo d'intensa attività letteraria, ed è meraviglioso come, pur malandato in salute e non più in giovane età, potesse lavorar tanto, pubblicando opere anche di mole sulle più svariate questioni. Oltre l'Essay (di cui curò personalmente quattro nuove edizioni, oltre a quella in francese di P. Coste, fatta sotto la sua guida: innumerevoli le edizioni posteriori), hanno peculiare interesse filosofico il trattatello intitolato Conduct of the Understanding e la sua lunga polemica con E. Stillingfleet, vescovo di Worcester, la quale chiarisce ed elabora i punti più importanti della dottrina contenuta nell'Essay. Grande fortuna ebbero sin da allora anche i Thoughts on Education (usciti in prima edizione nel 1693), uno dei capolavori della pedagogia moderna e ancor oggi molto diffuso. Uscirono nel 1690 anche i suoi Two Treatises on Government, di cui il secondo è il più importante e divulgato ancor oggi: esso contiene la giustificazione teorica del regime instaurato con la rivoluzione inglese del 1688 e pone le basi della dottrina politica liberale. Notevoli sono anche gli scritti, pubblicati fra il 1692 e il 1695, su questioni puramente economiche: sulla moneta, l'interesse del denaro, le finanze e il commercio. Non minore risonanza ebbero sui contemporanei gli scritti riguardanti la questione religiosa e i rapporti delle chiese con lo stato: uscì nel 1695 il saggio su The Reasonableness of Christianity, seguito anch'esso da una lunga polemica, e nel 1689 l'Epistola de Tolerantia, alla quale tennero dietro altre tre lettere sullo stesso argomento negli anni seguenti (questi scritti uscirono anonimi o con pseudonimi). Postume uscirono A Paraphrase and notes on the Epistles of St Paul. Gli ultimi anni di vita furono dal L. dedicati allo studio della Sacra Scrittura, in attesa dell'ora suprema. Già dal 1691 aveva accettato l'ospitalità di sir Francis Masham, nel maniero di Oates (Essex), a circa 20 miglia da Londra. Lady Masham era figlia di R. Cudworth, tra i più rinomati filosofi neoplatonici di Cambridge. Fornita di buona cultura, specialmente in filosofia e teologia, con tendenze mistiche, ella circondò gli ultimi anni del filosofo di devote e amorose cure. Il L. morì serenamente in un mattino di ottobre del 1704.
Delle opere del L. resta pur sempre fondamentale e di gran lunga più importante delle altre l'Essay concerning human Understanding, il quale si compone di quattro libri.
Il primo contiene la polemica famosa contro la dottrina dell'innatismo. Non esistono, sostiene il L., principî innati, teoretici o pratici (verità o massime, nozioni, idee o regole), che l'uomo si trovi ad avere già per natura sin dalla nascita, quasi guide infallibili per la conoscenza e per la sua coscienza morale. Se ci fossero tali verità, nessuno dovrebbe ignorarle: invece, oltre che ci sono per lo meno i fanciulli, i barbari e le persone ignoranti, che non ne sanno nulla, basta osservare che non c'è alcuna verità che non si possa mettere in dubbio, né legge pratica di cui non si possa esigere la ragione, per conchiudere che l'uomo non ha avuto un tal dono gratuito. Persino l'idea di Dio, che pure sarebbe la più necessaria, l'uomo non se la trova innanzi già bell'e data: così come non si trova innanzi come data l'idea di nessuna cosa prima di averne esperienza. Si sogliono citare come verità innate i due assiomi logici: "ciò che è, è", "è impossibile che una stessa cosa sia e non sia". Ma questi sono enunciati astrattissimi, ai quali si perviene solo con un processo di generalizzazione ch'è di pochi abituati alle dispute della filosofia scolastica.
La polemica prese occasione, nella mente del L., dalla fioritura in quel tempo di dottrine innatistiche in Inghilterra, specialmente alla scuola di Cambridge, in cui teorie neoplatoniche si fusero e confusero con altre di derivazione cartesiana o, più semplicemente, scolastiche.
Ma il primo libro (che più tardi, nella reazione al cartesianesimo, ebbe in Francia i più entusiastici ammiratori), è un'introduzione di carattere soltanto negativo: esso presuppone tutta la parte costruttiva, che comincia con il libro secondo. Questo dà veramente il principio della nuova costruzione filosofica lockiana. La quale esordisce e si svolge lungo una linea di estrema semplicità (per quanto tale semplicità si sia rivelata, in seguito, come soltanto apparente, e complicata di problemi dal L. neppure sospettati). La tesi del libro è questa: che tutte le nostre idee e conoscenze, di qualunque specie esse siano, noi le acquistiamo soltanto per mezzo dell'esperienza. Si tratta, dunque, di chiarire che cos'è questa che si dice "esperienza". Una prima determinazione viene data dalla riduzione dell'esperienza all'atto immediato della percezione o sensazione: la quale viene subito distinta in percezione o sensazione riferita a un oggetto esteriore, e in percezione o sensazione delle operazioni interiori al soggetto stesso. Queste sono le due fonti di tutte le nostre idee intorno alla realtà: sia intorno alla realtà che poi definiamo come materiale, sia intorno a quella che pensiamo di natura spirituale. In realtà di questa natura, materiale o spirituale che sia, non sappiamo nulla di preciso. Noi, invece, conosciamo soltanto quello che ci è dato nella percezione esterna o interna. Che cosa, dunque, ci è dato in questa? Rispondere alla domanda è insieme determinare il significato, la capacità, i limiti dell'intelligenza e conoscenza umana.
Chiamando idea ogni oggetto di conoscenza, il L. distingue, coerentemente alla precedente distinzione, le idee che noi acquistiamo per mezzo della sensazione o percezione (ch'egli denomina sensazione, senz'altro) e le idee che noi abbiamo per mezzo della percezione interiore (ch'egli denomina, per meglio distinguerla dalla prima, riflessione). Analizzando queste idee, si trova che esse, per quanto in certi casi si presentino variamente complesse, si riducono in realtà tutte ad un numero abbastanza modesto d'idee semplici. E propriamente: per le idee riguardanti il mondo esteriore, che noi conosciamo per mezzo della sensazione, alle idee semplici che ci dànno i varî sensi; per quelle riguardanti lo spirito, alle idee delle operazioni fondamentali di esso, come il percepire, il ricordare, il giudicare, l'astrarre, il volere, ecc. Quanto a quelle della prima specie, sebbene siano pur sempre soggettive, tali cioè che dipendono dalla costituzione propria della conoseenza umana, pure tra esse si può fare und distinzione: ci sono idee che riguardano qualità sensibili dell'oggetto, tali che possono facilmente mutare o anche mancare senza che per questo l'oggetto cessi di essere (colore, odore, sapore, ecc.); e ci sono idee che riguardano qualità che non possono in nessun caso mancare, perché senza di esse non esiste nessun oggetto corporeo (solidità ed estensione, e però una certa figura e grandezza, e la mobilità). Le une son qualità secondarie, le altre primarie. Come da queste derivino quelle, e come, anzi, l'impressione che i corpi fanno sui nostri organi si trasformino in percezioni o idee della nostra coscienza, è tal problema che il L. abbandona alle ipotesi (ché altro non sono) della scienza e della metafisica. Egli vuole stare fermo a ciò che consta positivamente. E poiché di positivo per la nostra conoscenza non c'è che quanto possiamo ricavare dall'esperienza per mezzo della sensazione e della riflessione, ecco che tutte le nostre idee si presentano come o idee semplici del tipo su descritto, o idee complesse che risultano composte di idee semplici. Queste idee complesse, poi, possono, alla loro volta, essere distinte in idee di sostanze, di modi, di relazioni. Le prime sono quelle che noi riferiamo ad oggetti esistenti con propria realtà; le altre mancano di questo riferimento esistenziale, e si riducono a modi nostri di considerare le cose, per cui, servendoci di idee semplici, formiamo a nostro arbitrio idee anche molto complicate, o poniamo rapporti tra esse di varia specie. Di questi rapporti meritano particolare considerazione quelli di causa ed effetto, d'identità. d'individuo e di persona (questi ultimi riguardanti l'uomo naturalmente o moralmente considerato). Da notare nella trattazione dei modi l'acuto esame delle idee di spazio, di tempo, di numero, di cui si afferma chiaramente la soggettività (il tempo, ad es., viene derivato dalla durata e successione delle idee nella coscienza), ed anche quello dell'idea di movimento o attività, che in quanto potere di cominciare e continuare un'azione (non semplicemente di trasmetterla) ci deriva propriamente dalla riflessione sul nostro spirito.
Ma il gruppo delle idee complesse, sul quale più lungamente si è fermata l'attenzione del L., è quello delle sostanze. Se ne parla a lungo, non soltanto nel secondo libro, ma anche nel terzo, nel quale, poi, la questione si presenta anche come conoscibilità dell'essenza delle cose, e però del valore dei generi e delle specie, in cui noi classifichiamo le cose, e delle nozioni di cui facciamo uso nel parlare. Il terzo libro, infatti, è dedicato al linguaggio, e le idee qui vengono decisamente riguardate nella loro definizione verbale. Tutto il sistema delle idee ora tende a un mero nominalismo, col quale si mira a combattere il realismo della persistente filosofia scolastica insieme con quello della scienza ancora tributaria della metafisica antica. Specialmente nella polemica con lo Stillingfleet la discussione sulla conoscibilità della sostanza portò il L. a dichiarazioni quasi estreme: non solo noi non conosciamo la sostanza delle cose, ma, infine, l'idea stessa di sostanza, di un quid sottoposto alle qualità sensibili, si rivela come del tutto indeterminata e inutile per ogni conoscenza positiva.
Il quarto libro, dedicato al problema della conoscenza propriamente detta (in quanto le idee, per sé, dànno soltanto il materiale o contenuto della conoscenza, la quale consiste, invece, nel percepire i rapporti che ci sono tra esse), si compone di due parti: nella prima si tratta del valore della scienza in quanto fondata sull'umana esperienza; nella seconda, della ragione e della fede. Avendo stabilito ehe la forma vera della conoscenza è l'intuizione di un rapporto immediato fra due idee, ne viene subito che la dimostrazione, per la quale il pensiero coglie il rapporto fra due idee servendosi di idee intermedie, è una forma di conoscenza inferiore a quella intuitiva. Infimo grado di conoscenza, poi, si presenta qui (con una curiosa inversione del punto di partenza posto nel libro secondo) quella data dalla sensazione, con la quale noi conosciamo con certezza l'esistenza di una cosa soltanto nell'atto di percepirla. Tenendosi nell'ambito puro e semplice dei rapporti fra le idee, la nostra conoscenza può assurgere al valore di vera e propria scienza, quando si limiti alla considerazione dei rapporti formali fra le idee precedentemente analizzate e definite: così nella matematica e così nelle questioni morali. Dove la scienza scopre le sue deficienze è nella pretesa di passare dalla conoscenza formale a quella reale, nel tentativo, sempre invano rinnovato, di conoscere, per mezzo delle idee e dei loro rapporti (che hanno un'esistenza puramente mentale), la realtà stessa delle cose, la loro intrinseca costituzione. Il L. esprime qui l'opinione che la scienza naturale, perehé fondata sull'esperienza sensibile trova in questa l'ostacolo maggiore a costituirsi in scienza vera e propria.
Il pensiero del L. sembrerebbe avviarsi, a questo punto, verso una forma di scetticismo. Ma la sua intenzione è del tutto diversa, anzi opposta. Egli, infatti, intende, da un lato, di incuorare sempre più la scienza sperimentale all'osservazione dei fatti e all'abbandono della pretesa di costituirsi con puri ragionamenti; dall'altro, di far posto anche a quella forma di conoscenza che si fonda non su un procedimento razionale, ma sulla probabilità. Conoscere, infine, è esser certi di una verità: ora, di certezza possono esserci varî gradi. La certezza massima, la prima, è per il L., come già per Cartesio, quella dell'esistenza dell'Io; il dubbio è esso stesso una prova. Questa è per il L. una conoscenza intuitiva, alla quale segue, subito dopo, secondo lui, quella che si può avere per via dimostrativa dell'esistenza di Dio. Fuori di queste due certezze, e di tutte quelle riguardanti la conoscenza di rapporti fra le idee, ossia fuori dei procedimenti puramente razionali, restano le conoscenze la cui certezza è più o meno fondata sulla probabilità. Qui ha luogo anche la fede religiosa, per la quale noi accogliamo come certa una verità rivelata da Dio. La rivelazione è al di sopra della ragione, ma non può essere contro la ragione: in primo luogo, perché non c'è motivo che la rivelazione intervenga là dove può bastare la conoscenza e ragione umana, e non può contraddire a questa, in secondo luogo, perché anche in cose che sono di là da ogni possibile nostra esperienza, resta pur sempre alla ragione il diritto, anzi il dovere, di assicurarsi della provenienza divina della parola rivelata.
La filosofia del L., denominata empirismo, ebbe una fortuna grandissima nel sec. XVIII, specialmente in Francia, dove, per opera di Voltaire, divenne di moda. Nella volgarizzazione, tuttavia, perdette gran parte dell'originaria freschezza e ricchezza di motivi speculativi e poté essere presentata come un dozzinale sensismo. Certo, una nota sensistica domina l'empirismo lockiano, e Condillac poté svolgerlo in tal senso, mettendo tuttavia in rilievo il carattere d'interiorità che lo sottrae ad un'interpretazione volgare. Ma, in ogni modo, chi di quell'empirismo voglia una comprensione non unilaterale, deve ripensarlo in seno a quel movimento che, iniziatosi con Bacone e con Cartesio, si svolse in Inghilterra con Berkeley e con Hume (L. resta il pensatore più tipico della mentalità inglese), e trovò poi in Kant una conclusione che segnò un nuovo punto di partenza per la speculazione contemporanea. Si noti, infatti, quanto felicemente l'empirismo lockiano sintetizzi i motivi più disparati del nuovo spirito di ricerca svoltosi dal Galilei in poi nelle scienze sperimentali, che già in Bacone aveva tentato di costituirsi in teoria filosofica, e insieme quello del soggettivismo idealistico, che da Cartesio prese ispirazione per tanta parte della speculazione moderna oscillante fra razionalismo e spiritualismo. Ma soprattutto giova notare come i precedenti accenni alla critica gnoseologica siano stati portati per la prima volta dal L. alla chiara formulazione del principio, divenuto fondamentale dopo Kant, della necessità che a qualsiasi indagine sulla natura della realtà, ch'è oggetto di conoscenza, preceda l'indagine, interna alla riflessione, sull'attività stessa conoscitiva dell'uomo. Questo atteggiamento critico venne, anzi, esteso già dal L. ben oltre il problema particolare della scienza: esso investe tutto l'uomo, i problemi della vita sociale e morale, dell'educazione e della stessa fede religiosa. Nello stesso modo, pur dopo tanta critica dell'empirismo, da Kant in qua, il principio di questo, ossia dell'esperienza come fondamento concreto di ogni conoscenza, ha mantenuto tutto il suo valore; così nei problemi della vita sociale e morale, per quanto si sia superato l'angusto individualismo, caratteristico della filosofia lockiana, il principio dell'individualità e personalità, e però della libertà, resta ancor oggi fondamentale per ogni concezione moderna. Chi potrebbe ritornare alle teorie dell'assolutismo e della teocrazia? Per quanto anche la concezione religiosa del L. sia ristretta e rozza, onde da essa poté prendere alimento e incremento l'illuminismo che trionfò specialmente in Francia nel sec. XVIII (ma dappertutto, infine, e anche dopo, nella forma di laicismo della cultura); pure, l'esigenza del razionalismo lockiano, che anche i dogmi rivelati dicano qualcosa di comprensibile all'uomo, non è facile contraddirla. Dicasi lo stesso per il problema dell'educazione: non soltanto dai Thoughts su questo argomento, ma dalla Conduct of the Understanding e dall'Essay, anzi da tutta la filosofia lockiana, balza vivo un nuovo ideale di educazione dell'uomo, come formazione della personalità concreta, a cui debbono convergere l'educazione fisica, che dà allo spirito il dominio del corpo, l'educazione intellettuale, che deve formare il giudizio, e l'educazione morale nel senso corrente della condotta nella vita quotidiana in famiglia e in società.
La prima edizione dei Works del L. uscì a Londra nel 1714. Delle molte venute dopo, la migliore è l'edizione del 1777 (ottava, in quattro volumi). La più completa è quella del 1812, riveduta e corretta nel 1823, ristampata varie volte. Impossibile far anche solo una scelta fra le tante edizioni parziali. Del saggio resta la più divulgata l'edizione nella traduzione di P. Coste (la migliore è quella del 1820, riprodotta in seguito). In inglese, buonissima quella di A. C. Fraser (Oxford 1894). Molto divulgato fu il compendio di J. Wynne, approvato dal L. stesso, tradotto e commentato in Italia da F. Soave (1ª ed., Milano 1776). Di grande importanza è la pubblicazione del primo abbozzo (An Essay concerning the understanding, knowledge, opinion and assent), a cura di B. Rand (Cambridge 1931), al quale si deve anche la pubblicazione dell'epistolario tra il L. ed E. Clarke (Oxford e Cambridge Mass. 1927). Per quello con altri amici, v. l'edizione dei Works, e le lettere pubblicate sparsamente da biografi, dal Forster, dall'Ollion, ecc. Della Conduct off the Understanding, buona l'edizione di Th. Fowler (Oxford 1880): trad. italiana di E. Cipriani (Lanciano: ivi anche la traduzione dell'Epistola su la tolleranza e del Saggio su l'intendimento delle epistole di S. Paolo, a cura di Fr. A. Ferrari). Il Trattato sul governo civile è tradotto in italiano da V. Beonio - Brocchieri (Torino 1925). Dei Pensieri sull'educazione sono molte le edizioni e traduzioni (in italiano, a cura di G. Marchesini, Firenze, di O. Pogliaghi, Firenze).
Bibl.: Dei biografi del L. hanno fondamentale importanza P. King (Londra 1830) e Fox Bourne (Londra 1876). Per tutte le altre indicazioni: A. Carlini, La filosofia di G. Locke (voll. 2, 2ª ed., Firenze 1928).