HAMANN, Johann Georg
Pensatore tedesco, nato a Königsberg il 27 agosto 1730, morto a Münster il 21 giugno 1788. Ricevette un'educazione familiare rigida e ristretta e un'istruzione non ben regolata. All'università, mentre si "aggirava nei vestiboli delle scienze, perse la vocazione che aveva creduto di avere per le discipline religiose" e si dedicò "solo in apparenza" allo studio del diritto. Autodidatta curiosissimo, preferì "essere un martire anziché un mercenario o un inquilino delle Muse". "Per tentare di esser libero nel mondo", fu precettore (1752) prima in Livonia poi in Curlandia (1753), finché accettò d'entrare nella ricca casa del suo antico compagno C. Berens a Riga. Mandato a Londra (1756) dal Berens con incarichi d'affari, si vide ben presto inetto alla pratica operosità; e lì dopo disordini e varie avventure gli accadde di scoprire, leggendo la Bibbia (13 marzo-21 aprile 1758), il senso della sua vita. Fu, questa, la sua "conversione". Tornò quindi (luglio) a Riga, donde, innamoratosi di una sorella del suo amico, che gli fu però rifiutata, disilluso, malcontento, ma sicuro nella fede acquistata, tornò (1759) nella casa paterna, e rifiutò il nuovo invito del Berens e i consigli del Kant (Sokratische Denkwürdigkeiten fiür die lange Weile des Publikums, 1759), abbandonandosi a un "dotto ozio": gli anni 1759-63 sono tra i suoi più fecondi. Per sottrarsi al bisogno, il H. s' indusse però più tardi (1763) a cercarsi un'occupazione compatibile con la sua balbuzie e la sua ombrosa delicata natura: fece il copista e il giornalista, e, ancora, il precettore e il segretario privato in Curlandia (1765), finché, mortogli il padre, tornò (gennaio 1767) a Königsberg, dove il Kant gli procurò un posto di traduttore e scrivano alla direzione della dogana. Una passione per una florida ragazza di campagna, che aveva assistito suo padre, portò a un cosiddetto "matrimonio di coscienza", dal quale nacquero quattro figli. Sebbene promosso gerente di dogana (1777), la sua situazione economica, aggravata da speculazioni sbagliate, andò peggiorando per riduzioni di stipendî.
Dalle preoccupazioni per i figli lo liberò un ammiratore, F. Buchholz, che donò (1784) mille talleri a ciascuno di essi per la loro educazione. Chiesto un permesso per visitare questo suo benefattore e altri amici, fu licenziato, e solo a fatica ottenne un aumento della magra pensione. Messosi in viaggio il 21 giugno 1787 per la Vestfalia e il Reno, fu ospite del Buchholz, del Jacobi e della principessa Gallitzin, sua ammiratrice. Sofferente da tempo, morì quasi improvvisamente e venne sepolto nel giardino della principessa. Fu il H. "non solo originale, ma veramente un originale" (Hegel), "la più strana mescolanza d'estremi" come egli stesso riconobbe; inetto ai negozî, confidente nel Signore, cittadino del mondo.
La maggior parte della sua produzione sono lettere; e del resto anche gli altri suoi scritti sono d'occasione: opuscoli dai titoli sibillini e bizzarri stesi in uno stile tormentato, aforistico e barocco, pieno di reminiscenze, costellato di citazioni soprattutto bibliche, oscuro per allusioni che impedivano al H. stesso d'intenderli interamente dopo qualche tempo. Di questa voluta oscurità il H. si compiaceva, mentre la sua natura ipocondriaca di solitario e insieme un ombroso orgoglio spiegano il humor amaro, il tono d'ironia e di superiorità, mescolato a espressioni di pietà religiosa, tenuto quasi sempre anche verso gli amici. La frammentarietà era in lui organica, e anch'essa da lui cosmicamente interpretata: "noi qui viviamo di briciole... Il nostro sapere è un frammento".
Al centro del pensiero del H. sta la sua interpretazione della Scrittura; e in questo, come anche nell'inclinazione agli esami di coscienza, l'influenza del pietismo è innegabile. In questa esperienza religiosa ha origine il carattere simbolico che il H. attribuiva alla natura e alla storia, l'intuizione del mondo come un grande mistero, e la sua idea che la religione fosse il principio d'ogni cultura, l'unità della vita spirituale. Così tale esperienza promosse la comprensione di ciò ch'è irrazionale ed elementare, il demoniaco, il senso, la passione, l'intuizione. I problemi della storiografia illuministica, la metodologia delle scienze che Kant iniziava, non erano affar suo; e la critica da lui rivolta contro il pensiero astratto e contro la distinzione kantiana di sensibilità, d'intelletto e di ragione, nonché l'attrazione per il principio bruniano della coincidenza degli opposti, derivano da questa esigenza dell'unità, da questo senso per il primitivo e irrazionale (di qui la figura, in cui si vagheggiò, di Socrate-Hamann: stranissima combinazione, dove di socratico non c'era che il dubbio critico verso la scienza diffusa). Per H., infatti, la vita è azione, e la scienza è fondata sul senso. Intendeva perciò purificare "l'uso naturale dei sensi dall'uso innaturale delle astrazioni", e nelle passioni vedeva, carnalmente, "armi della virilità": "la passione sola dà mani, piedi e ali alle astrazioni e alle ipotesi; spirito, vita e lingua alle immagini e ai segni". Figli delle passioni e della natura, invasati da Dio, i genî si staccano dal piano uniforme della storia; Omero non sapeva di regole, Socrate era un ignorante posseduto però da un demone. Sempre movendo da generali premesse religiose, in un secolo antistorico rivendicò - sia pure astrattamente - il valore della storia; e, uno dei risultati migliori del suo atteggiamento antirazionalistico, vide nel linguaggio l'unico, il primo e l'ultimo organo e criterio della ragione. "Dio si rivela, il Creatore è uno scrittore". "La lingua è la madre della ragione e della rivelazione, ne è l'A e l'Ω". E la lingua riguardava come senso, intuizione, arte: "la poesia è la lingua madre del genere umano"; "non son stati forse i pittori i primi maestri di scrittura e i poeti e oratori i primi scrittori?"; e nelle lingue vedeva rispecchiata la storia dei popoli.
"Dimostrare ad oculum et unguem verità ed errori non è cosa mia. In me sono venti di tempesta che s'odono fischiare". Così, di sé stesso, il H., scrittore per immagini e accenni. Pure, arcaicamente involuto in forme biblico-religiose, asistematico, misterioso e strano (come scrittore e come uomo, tanto da meritare, da parte di F. K. v. Moser, il soprannome di "Mago del Nord") egli fu un precursore, intuì idee che dovevano poi farsi strada, agì con la sua presenza stessa: di qui la venerazione in cui fu tenuto non solo dai suoi amici Herder e Jacobi, ma dal Goethe stesso, che paragonò il H. al Vico, il H. che fu a lui nella giovinezza "un mistero così grande come poi è sempre rimasto per la sua patria".
Ediz. e Traduz.: Schriften ed. F. Roth, Berlino 1821-25, in 7 voll.: un 8°, in 2 parti, con aggiunte, illustrazioni, correzioni e note tratte in gran parte da chiose marginali del H., fu pubblicato da G. A. Wiener, Berlino 1842-43. A una raccolta completa e, insieme, a un'edizione scientifica degli sparsi scritti del H. attende ora, con W. Ziesemer, J. Nadler, che fa la storia della produzione del H. delle edizioni e tentativi di edizioni e spiega i criterî a cui intende attenersi nel vol. Die Hamannausgabe, Halle 1930. Per gli scritti del H. venuti via via in luce, cfr. la monografia dell'Unger e il cit. vol. del Nadler. Fra le numerose scelte, migliori quelle di R. Unger, Jena-Lipsia 1905 e K. Widmaier, Lipsia 1921.
Bibl.: La più acuta caratteristica resta forse quella del Hegel (1828) rist. in Werke, XVII, Berlino 1835, pp. 38-110; la migliore monografia R. Unger, H. und die Aufklärung, voll. 2, 1911, rist. Halle 1925; C. H. Gildemeister, J. G. H.s des Magus im Norden Leben und Schriften, Gotha 1857-73, in 6 voll; di cui i primi tre costituiscono una diffusa biografia annalistica; il 4° ha per titolo J. G. H.s Autorschaft, il 5° è H.s Briefwechsel mit F. H. Jacobi (con 4 appendici di testo), mentre il 6°, H. Studien, è importante per le relazioni del H. coi contemporanei; J. Blum, La vie et l'oeuvre de H., Parigi 1912; R. G. Assagioli, introd. a Scritti e frammenti del Mago del Nord, Napoli 1908; J. Nadler, H., Kant, Goethe, Halle 1931. Trattano di questioni particolari: J. Minor, J. G. H. in seiner Bedeutung für die Sturm- und Drangperiode, Francoforte 1881; H. Weber, H. und Kant, Monaco 1904; B. Croce, La "Metacritica" del H. contro la Critica Kantiana (1905), rist. in Saggi filosofici, III, 3a ed., Bari 1927, pp. 284-308; A. Sarno, La Metacritica del H. contro la Critica della Ragion Pura come una "Critica del Giudizio", Napoli 1924; B. Croce, H. e Vico (1909), rist. in Saggi filosofici, III, pp. 309-15; O. v. Gemmingen, Vico, H. und Herder, diss., Monaco 1918; A. Gerbi, La politica del Romanticismo, Le origini, Bari 1932, pp. 64-114 (illustra soprattutto le relazioni del H. col Beverland: il H. vide nel matrimonio la redenzione dal "peccato originale"); R. Unger, H. und die Empfindsamkeit, in Gesammelte Studien, II, Berlino 1929, pp. 17-39. Altre indicazioni bibliogr., in aggiunta al Grundriss del Goedeke, presso R. Unger, H.s Sprachtheorie im Zusammenhange seines Denkens, Monaco 1905, pp. 264-72; id., H. und die Aufklärung, II, 2a ed., pp. 946-59 e H. und die Romantik, in Gesamm. Studien, I, pp. 196-211.