Marat, Jean-Paul
Politico francese (Boudry, Neuchâtel, 1743-Parigi 1793). Di umili origini, studiò a Bordeaux e Parigi; trasferitosi in Gran Bretagna (1765), esercitò la professione medica, interessandosi anche di questioni scientifiche, filosofiche e politiche. Tornato in Francia come medico delle guardie del corpo del conte d’Artois (1777), svolse parallelamente un’intensa attività sperimentale (Découvertes sur la lumière, 1780; Recherches sur l’électricité, 1782). Lo scarso successo che arrise a questi lavori, la mancata elezione alla Accademia delle scienze e il ritiro dalla circolazione di un suo Plan de législation criminelle (1780), bollato come sovversivo dalle autorità francesi, lo indussero a dedicarsi completamente alla politica. Alla vigilia della Rivoluzione pubblicò il pamphlet intitolato Offrande à la patrie (1789), in cui sosteneva che la monarchia era ancora in grado di risolvere i problemi del Paese. Dello stesso periodo è il Tableau des vices de la constitution d’Angleterre, polemica contro quanti proponevano il sistema di governo britannico come modello per la Francia. Dal sett. 1789 M. iniziò a pubblicare l’Ami du peuple, giornale che si distinse nel denunciare i tentativi controrivoluzionari dell’aristocrazia e quelli dei ricchi borghesi di trarre profitto dai cambiamenti della Rivoluzione a scapito delle classi popolari. Nel genn. 1790 i suoi violenti attacchi a Necker lo portarono in tribunale; costretto a rifugiarsi a Londra per evitare il carcere, tornò a Parigi in maggio, indirizzando le sue invettive dapprima contro i moderati Mirabeau e Lafayette, quindi contro l’Assemblea nazionale e la stessa monarchia; ciò gli valse la sospensione delle pubblicazioni e un nuovo esilio londinese (dic. 1790-maggio 1792), ma anche un’enorme popolarità presso i sanculotti parigini. Membro del comitato di sorveglianza del Comune rivoluzionario, con i suoi articoli contribuì a creare il clima di sospetto in cui maturarono i massacri di settembre. Eletto alla Convenzione, M. sedette tra i montagnardi; in aula e sul suo giornale (che dal sett. 1792 si chiamò Journal de la République française e dal marzo 1793 Le publiciste de la République française) sostenne la necessità di subordinare il rispetto delle leggi alle superiori esigenze della Rivoluzione e invocò misure terroristiche contro i nemici interni della Repubblica. Trascinato dai girondini davanti al tribunale rivoluzionario con l’accusa di aver istigato il popolo all’insurrezione, venne trionfalmente assolto (apr. 1793). Tra gli artefici dell’espulsione dei girondini dalla Convenzione (giugno 1793), fu assassinato un mese dopo da Carlotta Corday.