Champollion, Jean-François
Lo studioso che decifrò i geroglifici
Nel 1822 lo studioso francese Champollion riuscì a decifrare la scrittura geroglifica degli antichi Egizi, che da secoli costituiva un enigma irrisolto. La sua scoperta ebbe un'importanza fondamentale perché consentì di gettare luce sulla storia di una grande civiltà scomparsa
Jean-François Champollion, nato nel 1790 a Figeac, nella Francia meridionale, era il secondo di due fratelli di un'umile famiglia: il padre era una specie di venditore ambulante di libri e la madre era analfabeta, ma i due fratelli studiarono entrambi con risultati eccellenti. Jean-François si dedicò ben presto allo studio delle lingue e delle civiltà orientali frequentando a Parigi negli anni 1807-09 le lezioni di uno studioso famoso, Silvestre de Sacy. A soli diciannove anni era già professore di storia a Grenoble, città dove risedette a lungo.
Fin dall'inizio dei suoi studi Champollion si dedicò con grande passione a un problema molto difficile che gli studiosi cercavano invano di risolvere da secoli: quello di decifrare la scrittura che gli antichi Egizi usavano sui loro monumenti. Per scrivere la loro lingua gli Egizi usavano una serie di segni che noi chiamiamo geroglifici e che, inventati nel 3350 circa a.C., hanno continuato a essere in uso per circa quattromila anni, quando infine con la scomparsa dell'antica civiltà egizia per l'affermarsi del Cristianesimo furono completamente dimenticati.
Champollion si dedicò intensamente allo studio delle lingue orientali che riteneva gli potessero essere utili per realizzare una tale impresa: così imparò l'arabo, l'ebraico e soprattutto il copto che da circa due secoli alcuni studiosi, primo tra tutti il dottissimo gesuita Atanasio Kircher (vissuto tra il 1602 e il 1680) avevano portato a conoscenza della cultura europea scrivendo delle grammatiche e dei vocabolari che ne permettevano lo studio. L'importanza del copto per la decifrazione dei geroglifici fu grandissima perché era proprio la lingua che parlavano gli antichi Egizi e che perciò stava nascosta sotto i geroglifici. Champollion imparò alla perfezione questa lingua, da cui era affascinato al punto di affermare che talvolta si trovava a parlare copto tra sé e sé.
Il problema stava nello scoprire che rapporto ci fosse tra la scrittura geroglifica, ignota, e la lingua che essa serviva a scrivere, che invece era nota, grazie al copto. Non era un problema di facile soluzione perché la scrittura geroglifica era stata dimenticata da circa 1.300 anni e non vi era nessun libro antico che permettesse di capire le regole su cui si fondava: era una scrittura fatta di tante piccole figure che rappresentavano uomini, divinità, parti del corpo umano (un occhio, una gamba e così via), edifici, animali (uccelli, mammiferi, rettili, insetti), oggetti della vita quotidiana.
A lungo si era pensato, anche a causa di un libro dal titolo I geroglifici scritto da Horapollo, un egiziano vissuto nel 5° secolo d.C., che ogni segno avesse un significato particolare legato a idee di carattere religioso: per questo i tentativi di decifrare i geroglifici erano tutti falliti. Invece Champollion capì che la scrittura geroglifica era una scrittura come tutte le altre e che si poteva leggere un po' come noi possiamo leggere il nostro alfabeto. Egli giunse a questa conclusione nel 1822. Un aiuto importante gli venne anche dallo studio della 'Pietra di Rosetta', scoperta da poco, sulla quale era scritto un decreto in onore del re Tolomeo V in egiziano (scrittura geroglifica e demotica) e in greco: i testi bilingui come questo sono sempre utili e talvolta indispensabili per decifrare le scritture scomparse.
L'importanza della scoperta di Champollion era enorme perché permetteva di conoscere la storia dell'antico Egitto e della sua civiltà: tremila anni di cui prima non si sapeva praticamente nulla. In poco tempo egli poté scrivere una grammatica e un dizionario della lingua egiziana antica, e negli anni 1828-29 fece una spedizione in Egitto insieme con il primo e il più fedele dei suoi scolari, il pisano Ippolito Rosellini, allo scopo di conoscere il paese che tanto aveva studiato sui libri.
Morì nel 1832, a Parigi, stremato dal duro lavoro che gli aveva consentito di realizzare il sogno della sua vita. Il fratello, che aveva assunto il nome di Champollion-Figeac per non essere confuso con lui, pubblicò le molte opere che Jean-François aveva lasciato incompiute e che ancora oggi sono alla base della scienza da lui fondata, l'egittologia.