Epstein, Jean
Regista e teorico cinematografico francese, nato a Varsavia il 25 marzo 1897, da padre francese e madre polacca, e morto a Parigi il 3 aprile 1953. Esponente di spicco dell'avanguardia cinematografica degli anni Venti, in particolare del cosiddetto Impressionismo francese, affiancò all'attività di cineasta quella di teorico. La sua attitudine alla sperimentazione investì tutti gli aspetti del cinema ‒ dalla riflessione sulla temporalità a quella sulla recitazione e sul suono ‒ introducendo diversi concetti originali, tra i quali, con Louis Delluc (al quale fu legato da un rapporto di amicizia e collaborazione), quello di fotogenia. Personalità eclettica, uomo di vasta cultura e dai molteplici interessi, E. si trovò a operare in un'epoca di profondi fermenti culturali, in cui un gruppo di intellettuali tentò di distaccarsi da una concezione del cinema sottomesso alle regole di altre forme artistiche (letteratura, teatro) per riconoscergli un'autonomia e un linguaggio proprio. In questo contesto, E. ‒ la cui visione complessa e articolata dell'arte gli procurò l'epiteto di 'filosofo del cinema' ‒ rifiutò radicalmente ogni contaminazione con altre forme artistiche e concepì il mezzo cinematografico come uno strumento di conoscenza capace di mostrare aspetti della realtà e dell'uomo che altrimenti non sarebbe possibile cogliere con altre forme.
In gioventù studiò matematica per poi iscriversi alla facoltà di Medicina a Lione, che abbandonò presto; entrambe le discipline però lasciarono un segno profondo nell'impostazione del suo pensiero. Ancor prima di diventare regista, nel 1921 E. pubblicò il breve saggio (accompagnato da alcune poesie) Bonjour cinéma (trad. it. 2000), in cui viene enunciata la sua idea di cinema attraverso l'analisi di due concetti chiave: l'estetica del primo piano e il concetto di fotogenia, considerata qualità esclusiva dell'immagine in movimento, tratto distintivo e finalità unica del cinema che ha il potere di penetrare le cose per rivelarne l'anima.
Nel 1922 esordì con un documentario didattico su L. Pasteur per il centenario della nascita, in cui risultò già evidente la sua vena sperimentale e innovatrice. Quest'opera gli procurò un contratto con la Pathé Consortium Cinéma che, nel 1923, produsse alcuni tra i suoi film più importanti, come L'auberge rouge e Cœur fidèle. In entrambi E. realizzò una complessa strutturazione del montaggio, mettendo a punto quella che definì 'fotogenia del movimento'. Nel 1925 un'altra casa di produzione, l'Albatros, finanziò la realizzazione di Le lion des Mogols, di Le double amour, del film in cinque episodi Les aventures de Robert Macaire e, l'anno successivo, di L'affiche. E. diresse successivamente opere in cui accettò alcuni compromessi con la produzione; film che non rinnegò mai del tutto, ma che anzi gli servirono per accumulare esperienze e fondi per poi realizzare progetti più personali. La prima opera di questo tipo che riuscì a produrre fu La glace à trois faces (1927), ma il suo vero capolavoro, che gli permise di esprimere tutta la sua poetica lirica, fu La chute de la maison Usher (1928), non un semplice adattamento del racconto di E.A. Poe, bensì un amalgama di suggestioni riconducibili a più opere dello scrittore in cui, attraverso la tecnica del ralenti, E. rese la relatività del tempo inteso come dimensione esclusivamente psicologica, luogo privilegiato per lo svolgersi del dramma. Nell'ambito di una concezione del cinema come poema lirico e dinamico-figurativo, la Bretagna, regione dove ambientò alcune opere, costituì il contesto ideale per riscoprire la simbiosi dell'uomo con la natura. In Finis terrae (1929), 'documentario psicologico' che racconta la quotidianità dei pescatori bretoni e il loro legame con l'ambiente circostante, risultano anticipati alcuni temi tipici del Neorealismo, in particolare l'uso del paesaggio e la scelta di non utilizzare attori professionisti. Sempre in Bretagna furono girati Mor Vran (1931; noto anche come La mer des corbeaux) e L'or des mers (1933), in cui risultano fuse istanze documentaristiche e narrative.Con l'avvento del sonoro, E. si dedicò al singolare genere delle chansons filmées (brevi filmati in cui venivano riprese integralmente alcune canzoni) come Le cor (1931), Les berceaux (1932) e La villanelle des rubans (1932). Negli anni seguenti, sino allo scoppio della Seconda guerra mondiale, E. realizzò altri film di ambientazione bretone e alcuni documentari. Nel dopoguerra ottenne per un breve periodo una cattedra di Estetica presso l'IDHEC e pubblicò i suoi testi teorici più importanti, L'intelligence d'une machine (1946) e Le cinéma du diable (1947), poi raccolti, con i precedenti e i successivi, in Écrits sur le cinéma (a cura di P. Lherminier, 1975). In essi emerge l'essenza del pensiero di E., per il quale la macchina da presa è una sorta di essere pensante che fornisce una visione del mondo in grado di rivoluzionare i fondamenti della cultura. Nella sua penultima opera filmata, Le tempestaire (1947), sperimentò la funzione sonora del ralenti; quindi concluse la sua attività con il documentario per l'ONU Les feux de la mer (1948). Gli ultimi anni della sua vita E. li trascorse a Parigi, riordinando le sue teorie in un saggio, pubblicato postumo nel 1955, dal titolo Esprit de cinéma.
P. Leprohon, Jean Epstein, Paris 1964.
G. Grignaffini, Sapere e teorie del cinema. Il periodo del muto, Bologna 1989, pp. 71-78.
L'intelligenza di una macchina: omaggio a Jean Epstein, a cura di L. Vichi, Bologna 2000.
Jean Epstein. L'essenza del cinema. Scritti sulla settima arte, a cura di V. Pasquali, Roma 2002.