Panahi, Jafar
Panahi, Jafar. ‒ Regista iraniano (n. Mianeh 1960). Studia all’Università del cinema e della televisione di Teheran, e dopo un apprendistato con Abbas Kiarostami, per il quale è assistente alla regia, P. si afferma alla fine degli anni Novanta del 20° sec. come regista dallo stile personale e delicato, particolarmente acuto nel descrivere le contraddizioni della società del suo Paese. Quando nel 2000 il suo film Dayereh (Il cerchio), storia di otto donne detenute in un carcere iraniano, vince il Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia, P. rappresenta una delle voci più autorevoli di un cinema politico e poetico in Iran, sostanzialmente lontano dalle derive fondamentaliste religiose ma poco gradito ai vertici governativi. Talyeh sorkh (2003; Oro rosso, 2004), ritratto urbano dell’Iran contemporaneo, amaro e spietato, le cui atmosfere sono debitrici al nuovo noir europeo e americano, inaugura una nuova tappa nel percorso di P. di lettura critica della contemporaneità, sempre più legato alle dinamiche di una società scissa tra tradizione e stimoli provenienti dall’occidente, come in Offside (2006), racconto sospeso tra fiction e documentario di una passione femminile per il calcio, sport considerato eminentemente maschile. Nel marzo del 2010 P. viene arrestato per aver partecipato ai movimenti di protesta contro il regime. Rilasciato qualche mese dopo, anche in seguito all’ondata di proteste internazionali, P. viene però condannato a 6 anni di reclusione e gli viene proibito di realizzare film e di lasciare il Paese per 20 anni. Nonostante questo, il regista riesce a realizzare e a far circolare all’estero In film nist (2011), un lungo autoritratto di fronte alla camera, girato nella propria abitazione, in cui P. parla di sé e della necessità del cinema come spazio di libertà.