SALVIATI, Jacopo
– Nacque a Firenze il 15 settembre 1461 da Giovanni di Alemanno e da Elena Gondi, e frequentò lo Studio fiorentino.
Angelo Poliziano gli dedicò il suo Rusticus (1483), lodandolo per la sua «egregia indoles» e per la sua amicizia con Lorenzo il Magnifico, di cui sposò la primogenita Lucrezia nel 1486. Fu avviato alla tradizionale attività bancaria di famiglia. Nel 1487 si recò a Bracciano con gli sposi novelli Alfonsina Orsini e Piero de’ Medici. Dopo la cacciata di quest’ultimo da Firenze nel novembre 1494, Salviati manifestò una forte simpatia per Girolamo Savonarola, tanto da sottoscrivere con altri fiorentini una petizione in suo favore indirizzata a papa Alessandro VI nel 1497.
Nel 1502 sostenne con il cugino Alamanno l’elezione di Pier Soderini a gonfaloniere a vita, e nel gennaio 1503 fu inviato come oratore presso Cesare Borgia (il Valentino) in sostituzione di Niccolò Machiavelli, al quale aveva concesso un prestito un paio di mesi prima. Ma già nel 1504 le tensioni fra i Salviati e i Soderini divennero forti, anche a causa di gelosie familiari e fallite alleanze matrimoniali. Nell’inverno 1506-07 Salviati fu inviato come ambasciatore a Napoli. Nel 1508, durante la guerra di Pisa, fu fatto commissario insieme con Alamanno, ma rifiutò l’incarico. Francesco Guicciardini, che aveva sposato Maria di Alamanno, ricorda che al suocero «giovava del continuo la unione e intrinsichezza con Iacopo Salviati suo cugino, uomo potente e di qualità grande» (Opere inedite..., 1867, p. 82). Nel 1511 Salviati fu ‘disaminato’ a proposito della congiura antisoderiniana di Princivalle della Stufa in cui si sospettava il coinvolgimento della moglie Lucrezia (B. Cerretani, Storia fiorentina, a cura di G. Berti, 1994, p. 400).
Il 25 agosto, con l’appressarsi delle truppe mercenarie guidate dal cardinale Giovanni de’ Medici alle porte di Firenze, Salviati stese il suo primo testamento. Detenuto il 29 agosto per poche ore insieme con altri nobili fiorentini, fu rilasciato e subito dopo la fuga di Soderini nel settembre 1512 fu inviato come oratore presso il viceré di Napoli Raimondo de’ Cardona insieme con l’arcivescovo Cosimo de’ Pazzi per trattare il pacifico congedo degli spagnoli. Divenuto consigliere di Giuliano de’ Medici insieme con suo cognato Lanfredino Lanfredini contro il Parlamento ‘largo’, fu in prima linea nel ricevere il cardinale Giovanni tornato a Firenze e nella pratica per la restaurazione del regime.
Con Matteo Strozzi fu prescelto come ambasciatore a Roma il 25 ottobre 1512. Oltre a occuparsi delle pressanti richieste finanziarie di Giulio II, si curò anche del figlioccio Giovanni di Pierfrancesco de’ Medici, che dava già prova del carattere impulsivo e irascibile.
L’elezione al soglio pontificio di Leone X mise subito alla prova Salviati come banchiere di famiglia: sborsò 19.000 ducati per la sontuosa incoronazione del papa (11 aprile 1513). Tornò a Firenze nel mese di agosto in occasione dell’entrata trionfale di Lorenzo de’ Medici in città, lasciando a Roma Francesco Vettori, il quale consigliava al fratello Paolo di seguire la lezione opportunistica di Salviati: «Voglio che impari da Iacopo Salviati el quale, come si truova in luogo dove sieno amici de’ Medici, monstra tutte le azioni sua dal 1494 in qua essere sute per riceverli in casa, et tutto quello ha operato comenta e tira a questo fine; quando è con quelli che sa che sono inimici de’ Medici e che piaceva loro il viver passato, monstra aver voluto sempre tener fermo quel governo e mai avere avuta altra intenzione» (Niccolini, 1990, p. 568).
Salviati fu eletto gonfaloniere di Giustizia per un anno nel gennaio 1514, e divenne tesoriere di Romagna e delle saline, con un profitto medio annuo di 15.000 ducati. Nonostante i larghi favori ricevuti dal papa, fu in lotta contro la fazione sostenuta da Alfonsina de’ Medici che spingeva avanti il figlio Lorenzo. Durante il soggiorno di quest’ultimo a Roma dal settembre 1514 al maggio 1515, Salviati si occupò del governo di Firenze, cercando di evitare che gli scandali causati dal comportamento irresponsabile del nipote venissero alla luce. Tornato a Firenze, Lorenzo si fece eleggere capitano delle milizie cittadine, incarico incostituzionale per un fiorentino.
Dopo la battaglia di Marignano e l’alleanza fra Leone X e il re di Francia, Salviati divenne commissario della decima concessa a Francesco I nel dicembre 1516. Era una ricompensa non significativa allorché si ritrovava «affaticato» dalle esigenze finanziarie del papa pronto a «ogni giorno servirsi de la borsa et credito suo» (cardinal Giulio de’ Medici a Lodovico Canossa, 9 gennaio 1517, in C. Guasti, I manoscritti Torrigiani..., 1878, p. 143).
Il conferimento del titolo cardinalizio al primogenito Giovanni il 1° luglio 1517 rappresentò un traguardo importante nella vita di Salviati, che vide finalmente aprirsi una brillante carriera ecclesiastica per il figlio. La figlia Maria sposò Giovanni de’ Medici che, coinvolto in una rissa omicida all’inizio del 1518, fu costretto ad allontanarsi da Firenze. A sua volta Salviati, per uno screzio con il duca di Urbino, Lorenzo, che rientrava dalla Francia con la sua sposa Madeleine d’Auvergne, abbandonò Firenze e si stabilì a Roma con tutta la famiglia (e i più giovani dei dieci figli). Il sospettoso Goro Gheri, segretario di Lorenzo, scriveva che Salviati era «uomo dabbene ed un costumato cittadino [...]. Pur tuttavia ha cercato di aver grazia dall’universale: non è male quindi guardarsi da un uomo ricco, di autorità e di nobil casa» (Anzilotti, 1912, p. 98). Dell’ostile diffidenza di Gheri Salviati si sarebbe vendicato dopo la morte dello stesso Lorenzo nel maggio 1519, ottenendone l’esilio a Bologna.
Alla morte di Leone X, nel 1521, Salviati subì un tremendo colpo finanziario, essendo creditore del papa per almeno 80.000 ducati. Tornato a Firenze, fu inviato nella legazione gratulatoria fiorentina al nuovo papa Adriano VI. Riacquistò credito e influenza con l’elezione di Clemente VII (19 novembre 1523) da lui favorita con discreti donativi, e restò a Roma con le mansioni di consigliere del papa. Insieme con il datario Matteo Maria Giberti, fu il punto di riferimento della fazione filofrancese.
Dopo la sconfitta francese di Pavia, nel maggio 1525 cercò di assumere Machiavelli come segretario del cardinale Giovanni, legato in Spagna.
La corrispondenza con il figlio, poi trasferitosi in Francia, ci fornisce uno spaccato dei drammatici negozi diplomatici che portarono al sacco di Roma. Salviati, imprigionato in Castel Sant’Angelo, visse in condizioni umilianti fino alla fuga con il papa (7 dicembre 1527). Da Orvieto, non tardò a prendere contatto con il cognato Niccolò Capponi, divenuto gonfaloniere della Repubblica in assenza dei Medici. L’odio dei fiorentini contro Salviati si manifestò in una causa in contumacia per aver evitato la gabella sul matrimonio delle due figlie (Elena con il signore di Piombino, Luisa con Sigismondo di Gian Vincenzo de Luna). Uno dei palazzi di famiglia fu saccheggiato e bruciato durante l’assedio di Firenze.
Pur essendo vicinissimo a Salviati, Clemente VII decretò che la clausola del trattato di Barcellona del 1529 circa la restaurazione della famiglia Medici in Firenze gli fosse tenuta segreta. Dopo la resa repubblicana, Salviati espresse il proprio dissenso nei confronti dello smantellamento dello Stato e della transizione verso il ducato di Alessandro.
La testimonianza dell’ambasciatore veneziano Antonio Soriano ci dà uno squarcio sulle tensioni che regnavano fra Salviati e gli eredi medicei: era perseguitato sia da Alessandro sia dal cardinale Ippolito «d’un odio così veemente, che v’è pericolo che un dì egli ne abbia a patire anche nella vita; e questo carnevale passato, poco mancò che il detto cardinale di sua mano non gliela levasse. La causa di tale odio è perché al detto cardinale e agli altri pare che il Salviati faccia tutto e governi in tutto il papa e ne revochi la mente da loro nepoti e da tutta la casa de’ Medici» (Relazioni..., 1846, p. 286, 3 luglio 1531).
In realtà, Clemente VII faceva un abile uso dello scudo di Salviati per prendere le sue contorte decisioni, e tenere a bada i suoi ambiziosi parenti. Un fondo di moralismo nell’atteggiamento di Salviati venne denunciato anche da Francesco Guicciardini, allora governatore di Bologna e suo regolare corrispondente, in una lettera cifrata a Bartolomeo Lanfredini del 30 aprile 1532: «non mi è nuovo [...] che in ogni occasione habbia a predicar questa sua bontà et a farne capitale, essendo difficile cosa dimenticar le impressioni antiche» (Zanoni, 1897, p. 432; il sarcastico riferimento è al suo savonarolismo). A sua volta, l’ironico Vettori rintuzzava l’austero Salviati il quale, essendo stato lontano da Firenze per più di dieci anni, non poteva capire la necessità della «virga ferrea» (von Albertini, 1970, p. 463).
Nel 1530 Salviati accompagnò il papa a Bologna per l’incoronazione di Carlo V e ancora nell’inverno 1532-33 per un nuovo incontro con l’imperatore. Tutti i negozi più importanti passavano dalle mani di Salviati insieme con il segretario Giovan Battista Sanga, come provano fra l’altro le corrispondenze diplomatiche con il cardinale Campeggi dall’Inghilterra (parzialmente edite in S. Ehses, Römische Dokumente..., 1893) e da Ratisbona (Lettere di Principi, 1581). Le ultime lettere note di Salviati sono dirette alla figlia Maria per convincerla ad andare con lui a Nizza come accompagnatrice di Caterina de’ Medici, futura sposa di Enrico di Valois (un matrimonio che Lucrezia, moglie di Salviati, considerava pessimo per il futuro della famiglia).
Salviati morì a Roma il 6 settembre 1533, prima di potersi imbarcare.
Fu uno dei più influenti personaggi del suo tempo, ma rimase quasi sempre nell’ombra, manifestando poco – per moderazione o opportunismo – le proprie convinzioni politiche e religiose. Il rapporto di parente-cliente con i due papi Medici lo mise spesso in condizioni di ricevere favori, ma a un prezzo personale piuttosto elevato. Del suo mecenatismo non abbiamo notizie dirette, anche se fu incaricato da Leone X e da Clemente VII di effettuare pagamenti ed esprimere incoraggiamenti a Michelangelo nel 1520 e nel 1525.
Fonti e Bibl.: Fra le fonti manoscritte, molte lettere di e a Salviati e che lo riguardano sono conservate in forma sparsa a Firenze, Biblioteca nazionale, Ginori Conti, 29/43, 29/58, 29/91-92 (a Niccolò Michelozzi); II.V.21-22 (a Lanfredino Lanfredini); II.III.432 (a Francesco del Nero); II.III.433 (a Lucrezia de’ Medici e altri), nonché presso l’Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, ad ind.; Balie 46, cc. 104v, 107r (provvedimenti giudiziari di fine 1527); Pisa, Scuola normale superiore, Archivio Salviati (numerosi documenti finanziari); copie dei testamenti sono conservati presso la Biblioteca apostolica Vaticana, Archivio Salviati, b. 6, cc. 222r-311v. Firenze, Biblioteca nazionale, II.IV.171: P. Parenti, Storia fiorentina, passim; Lettere di Principi..., Venezia 1581, passim; Relazioni degli ambasciatori veneti, s. 2, III, Firenze 1846, pp. 51, 136, 183, 267, 286, 303; Opere inedite di Francesco Guicciardini, IX, Carteggio dal 1527 al 1534..., Firenze 1866, pp. 163-165; X, Ricordi autobiografici..., 1867, pp. 76-82; C. Guasti, I manoscritti Torrigiani donati al R. Archivio di Stato di Firenze. Descrizione e saggio, Firenze 1878, p. 143; M. Sanuto, Diarii, I-XLII, Venezia 1879-1902, ad indices; C. Guasti, Le Carte Strozziane del R. Archivio di Stato in Firenze. Inventario. Serie prima, Firenze 1884-1891, passim; S. Ehses, Römische Dokumente... (1527-1534), Paderborn 1893, ad ind.; N. Machiavelli, Lettere, a cura di F. Gaeta, Milano 1961, ad ind.; Id., Legazioni e Commissarie, a cura di S. Bertelli, Milano 1964, ad ind.; Il Carteggio di Michelangelo, a cura di P. Barocchi - R. Ristori, Firenze 1965-1983, ad ind.; F. Vettori, Scritti storici e politici, a cura di E. Niccolini, Bari 1972, ad ind.; Il Carteggio indiretto di Michelangelo, a cura di P. Barocchi - K. Loach Bramanti - R. Ristori, Firenze 1988, ad ind.; B. Cerretani, Ricordi, a cura di G. Berti, Firenze 1993, ad ind.; Id., Storia fiorentina, a cura di G. Berti, Firenze 1994, ad ind.; F. Guicciardini, Storie fiorentine, a cura di A. Montevecchi, Milano 1998, ad ind.; J. Pitti, Istoria fiorentina, a cura di A. Mauriello, Napoli 2007, ad indicem.
O. Tommasini, La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli, Roma 1883, ad ind.; E. Zanoni, La mente di Francesco Guicciardini, Firenze 1897, p. 432; A. Anzilotti, La crisi istituzionale della repubblica fiorentina, Firenze 1912, p. 98; L. von Pastor, Storia dei papi, IV, 1, Leone X, Roma 1926, ad ind.; R. von Albertini, Firenze dalla repubblica al principato. Storia e coscienza politica, Torino 1970, ad ind.; P. Hurtubise, Une famille-témoin. Les Salviati, Città del Vaticano 1985, ad ind.; E. Niccolini, Ventiquattro lettere inedite di Francesco Vettori, in Giornale storico della letteratura italiana, CLXVII (1990), p. 568; M. Simonetta, Volpi e leoni. I Medici, Machiavelli e la rovina d’Italia, Milano 2014, ad ind.; A. Monti, L’assedio di Firenze (1529-1530). Politica, diplomazia e conflitto durante le guerre d’Italia, Pisa 2015, ad indicem.