JACOBELLO di Bonomo
Non si conosce la data di nascita di questo pittore veneziano attivo tra l'ottavo e il nono decennio del XIV secolo.
La ricostruzione della sua personalità (Pallucchini) si basa sui pochissimi dati documentari e sull'unica opera datata e firmata, il polittico di Santarcangelo di Romagna del 1385. Quest'opera rivela la mano di un artista già maturo, senza dubbio formatosi nell'ambito, se non nella bottega, di Lorenzo Veneziano.
Ciò non giustifica l'ipotesi, avanzata da Dani e respinta da Pallucchini, che nel 1366 J. abbia collaborato con Lorenzo nella predella del polittico de' Proti del duomo di Vicenza, che pare opera integralmente autografa.
La fase giovanile della sua produzione, intorno al 1370, sarebbe invece testimoniata dalle opere che Bologna (1951) aveva raccolto sotto il nome di comodo di Maestro di Arquà e che Pallucchini assegnò appunto a J., notando somiglianze stilistiche con il polittico del 1385, ma nello stesso tempo un legame quasi scolastico con il linguaggio di Paolo e Lorenzo Veneziano.
Si tratta del polittico della parrocchiale di Arquà Petrarca, proveniente dall'oratorio della Ss. Trinità, raffigurante S. Agostino benedicente e sei santi, e del polittico del Museo provinciale Sigismondo Castromediano di Lecce con la Madonna dell'Umiltà e santi. Entrambi questi lavori in effetti uniscono all'imitazione degli stilemi tardogotici di Lorenzo, evidente nell'uso di colori chiari e delicati, una resa arcaizzante e severa, alla maniera di Paolo Veneziano, su cui però spiccano la naturalezza delle espressioni e la ricercatezza nella definizione dei particolari. Così le otto figure di santi del polittico leccese, chiuse nel rigido modulo bizantino e quasi impacciate rispetto allo spazio circostante, si riscattano per la fisionomia accigliata dei volti e per il timbro profondo delle vesti.
Nel 1375, secondo una fonte seicentesca resa nota da Barbieri (p. 70), J. sottoscrisse una tavola, perduta, raffigurante S. Orsola, già nella cappella Garzadori in S. Michele a Vicenza. A una fase più matura, ma ancora precedente al 1385, dovrebbero risalire il polittico oggi nella cattedrale S. Vito di Praga, proveniente forse da una città dalmata, attribuitogli da Puppi (1962); le due tavole con quattro santi - Giovanni Battista, Paolo, Pietro e Andrea - del Museo Correr di Venezia (Mariacher); e il S. Agostino tra due frati domenicani proveniente da S. Pietro in Ciel d'Oro a Pavia e ora nella Pinacoteca Malaspina, dove il recupero studiato dell'arcaismo bizantino e la preferenza per la dimensione statuaria delle figure nulla tolgono all'accentuata mimica facciale, dalle piccole bocche e i menti a punta.
Il polittico con l'Incoronazione della Vergine e otto santi del Museo nazionale di Cracovia (Collezione Czartoryski), di cronologia simile a quello praghese, già attribuito a J. da Puppi (1962) e Pallucchini, è stato invece recentemente restituito all'anonimo maestro autore del polittico di S. Brizio al Museo regionale di Teplice, proveniente dalla chiesa di S. Maria a Dubì in Boemia (Franco, p. 235).
Subito dopo il 1382 si possono datare i modelli per i mosaici che ornano la lunetta e la cuspide della tomba del doge Michele Morosini (morto nell'ottobre di quell'anno) nel coro dei Ss. Giovanni e Paolo a Venezia, raffiguranti la Crocifissione, il doge e la dogaressa: i mosaici, riconosciuti a J. da De Marchi (1987, p. 58 n. 6), presentano in effetti notevoli analogie con il polittico di Santarcangelo. L'attribuzione è comunque particolarmente importante perché, nonostante il suo statuto ipotetico, rende possibile collegare l'attività di J. al mondo veneziano, dove però, al momento, non si hanno altre testimonianze della sua produzione.
Il 20 maggio 1384, secondo un documento redatto a Venezia (Paoletti, 1895), J. si impegnò ad assumere per due anni come allievo e garzone un certo "Biagio del fu Luca da Zara", che è stato identificato, con qualche dubbio, con il longhiano Maestro di S. Elsino (De Marchi, 1987, p. 25).
Questa notizia confermerebbe che l'attività di J. e della sua bottega rimase ancorata a Venezia, anche se probabilmente il mercato in cui riuscirono a imporsi fu quello lungo ambedue le coste adriatiche e dalmata. Non si è invece certi di riconoscere in J. il pittore chiamato "Jacomello de Bonomia de Veneciis" in un atto trevigiano del 1385 che documenterebbe i rapporti del pittore con Giovanni da Bologna (Sforza Vattovani, p. 55 n. 12).
Nel 1385 datò e firmò "MCCCLXXXV. Iachubellu de Bonomo venetus pinxit hoc opus", sulla base del trono della Vergine, il polittico di Santarcangelo di Romagna, un tempo nella demolita chiesa dei minori conventuali e ora nella collegiata, che rimane la sua unica opera sicura.
Rappresenta nello scomparto centrale la Vergine col Bambino, con accanto le piccole figure dei donatori inginocchiati, in alto Cristo in croce tra Maria Maddalena e Maria Elisabetta, lateralmente sei santi a figura intera nel registro inferiore e sei mezze figure di santi in quello superiore. Le tavole sono inquadrate dalla cornice originale, scolpita e dorata, con sfondi rosso e azzurro intenso. Specialmente le immagini dei santi, altissime di proporzione, magre e ossute, la cui delicata cromia si intreccia felicemente al linearismo decorativo dei panneggi, sono costruite secondo il modello tradizionale del tardogotico laurenziano. La Vergine invece, seduta su un ricco trono dalla complessa struttura architettonica, vestita di porpora sottilmente damascata in oro, con manto azzurro dai risvolti verdi rabescati e bordi rossi ricamati pure in oro, è un'immagine più solenne e monumentale. Qui, come anche in alcune figure laterali, le ombreggiature che aiutano la definizione plastica dei volumi, la modellatura dei visi più grafica che pittorica, la caratterizzazione vivace e non astratta delle fisionomie, il trattamento poco esuberante delle vesti sono sintomi di un rifiuto delle pure cadenze gotiche, in parallelo con il percorso della pittura continentale degli ultimi due decenni del XIV secolo.
Vicino al polittico di Santarcangelo potrebbe datarsi un frammento di affresco, staccato, ora nell'oratorio di S. Michele a Padova, raffigurante, al centro, la Vergine dell'Umiltà e, ai lati, S. Antonio Abate e S. Giacomo Apostolo, assegnato a J. da Sforza Vattovani (p. 53), ma molto vicino allo stile di Giovanni da Bologna. A questi stessi anni dovrebbero risalire anche l'altarolo della Walters Art Gallery di Baltimora, con La Vergine col Bambino e santi, già dato al Maestro di Arquà, e la croce astile dipinta conservata nel palazzo comunale di Montefortino nell'Ascolano, assegnatagli da De Marchi (1987, p. 58 n. 6).
Più ardue sono le attribuzioni a J. di alcuni polittici, in parte smembrati e incompleti, dislocati lungo la litoranea adriatica: la Vergine col Bambino e santi, un tempo nella chiesa di S. Maria a Mare di Torre di Palme, presso Fermo, rubata nel 1921 e mai più ritrovata (Testi, 1906); il polittico con l'Incoronazione della Vergine e sei santi nella chiesa di S. Michele Arcangelo a Fermo, che Pallucchini (p. 206) ritenne di bottega; l'altro polittico pure con l'Incoronazione della Vergine e cinque santi della Pinacoteca civica di Fermo, rivendicato anche al Maestro di S. Elsino; le due tavole del Civico Museo Correr di Venezia coi Ss. Basilio, Giacomo, Nicolò e Daniele, laterali di un polittico smembrato, la cui attribuzione oscilla tra J. e Lorenzo Veneziano (Mariacher).
La data di morte di J. non è nota.
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