INFANZIA
(XIX, p. 188; App. II, II, p. 31)
Legislazione. - La legislazione sull'i. non ha avuto uno svolgimento organico e unitario, ma appare frazionata in una serie di testi normativi, aventi spesso un carattere episodico e frammentario.
È opportuno indicare, fra essi, i più importanti, secondo una linea di successione nel tempo: l. 3 febbraio 1963 n. 51, con modifica all'art. 4 della l. 1064 del 1955; l. 1° dicembre 1966 n. 1082 con modifiche alla l. 1083 del 1959; l. 5 giugno 1967 n. 431, modifiche al titolo viii del libro i del Codice Civile ''Dell'adozione'' e inserimento del nuovo Capo iii con il titolo ''Dell'adozione speciale''; l. 18 marzo 1968 n. 444, sul funzionamento della scuola materna statale; d.P.R. 15 dicembre 1970 n. 1288, sull'assenza obbligatoria per gravidanza; d.P.R. 14 gennaio 1972 n. 3, trasferimento alle regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di assistenza scolastica e di musei e biblioteche di enti locali e dei relativi personali e uffici; d.P.R. 14 gennaio 1972 n. 4, in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera e dei relativi personali e uffici; d.P.R. 15 gennaio 1972 n. 9, trasferimento alle regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di urbanistica e di viabilità, acquedotti e lavori pubblici d'interesse regionale e dei relativi personali e uffici; l. 8 marzo 1975 n. 39, attribuzione della maggiore età ai cittadini che hanno compiuto il diciottesimo anno e modificazione di altre norme relative alla capacità di agire e al diritto di elettorato; l. 19 maggio 1975 n. 151, di riforma del diritto di famiglia; l. 29 luglio 1975 n. 405, sui consultori familiari; l. 22 dicembre 1975 n. 685, sulla prevenzione e l'intervento contro l'uso di sostanze stupefacenti e psicotrope; l. 23 dicembre 1975 n. 698, sulla soppressione dell'ONMI; l. 1° giugno 1977 n. 285, sull'occupazione giovanile; d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, attuazione della delega di cui all'art. 1° della l. 22 luglio 1975 n. 382; l. 1° agosto 1977 n. 563, con modifiche e integrazioni alla l. 698 del 1975; l. 22 maggio 1978 n. 194, con norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza; l. 4 agosto 1978 n. 479, conversione in legge con modificazione del D.L. 6 luglio 1978 n. 351 recante modifiche alla l. 1° giugno 1977 n. 285; l. 5 dicembre 1978 n. 785, con modifica all'art. 5 della l. 29 luglio 1975 n. 405; l. 4 maggio 1983 n. 184, disciplina dell'adozione; l. 27 maggio 1991 n. 176, di ratifica ed esecuzione della Convenzione sui Diritti del fanciullo, adottata dall'Assemblea generale dell'ONU il 20 novembre 1989 (v. oltre). Infine alcuni riferimenti all'i. sono contenuti nella l. 28 febbraio 1990 n. 39, di conversione, con modificazioni, del D.L. 30 dicembre 1989 n. 416, recante norme sul trattamento dei cittadini extracomunitari. All'esame dei due rami del Parlamento sono attualmente diverse proposte di legge in materia di reati contro i minori.
Un tentativo (peraltro incompleto e inadeguato) di creare un organismo di base per la protezione dell'i. era stato effettuato con l'istituzione dell'ONMI (Opera Nazionale per la protezione della Maternità e dell'Infanzia), con l'emanazione della l. 10 dicembre 1925 n. 2277. Tale organismo è stato soppresso con la l. 23 dicembre 1975 n. 698, e le sue funzioni sono state devolute e ripartite fra le regioni, le province e i comuni nel seguente modo:
1) alle regioni a statuto ordinario e speciale le funzioni amministrative riguardanti, in tutto o in parte, le materie di competenza regionale previste dall'art. 4, punto 4 del T.U. 2316 del 1934 (vigilanza sull'applicazione delle disposizioni legislative e regolamentari per la protezione della maternità e dell'i. e promozione, quando se ne ravvisi l'opportunità, della riforma di tali disposizioni per il miglioramento fisico e morale dei fanciulli e degli adolescenti), nonché le funzioni di programmazione e d'indirizzo. Sono egualmente trasferiti alle regioni i poteri di vigilanza e di controllo su tutte le istituzioni pubbliche e private per l'assistenza e protezione della maternità e dell'i. ai sensi dell'art. 5 del T.U. del 1934 e della legge sulle IPAB del 1890, nonché quelle derivanti dal R.D.L. 8 maggio 1927 n. 798, sull'assistenza dei fanciulli illegittimi abbandonati o esposti all'abbandono;
2) alle province le funzioni amministrative, di fatto esercitate dai comitati provinciali dell'ONMI, e quelle degli organi centrali non trasferite allo stato o alle regioni;
3) ai comuni, in forma singola o associata, le funzioni relative agli asili nido e ai consultori familiari.
A parziale giustificazione di tale mancanza di organicità legislativa va rilevato che la materia della tutela dell'i. è di per sé complessa e costituisce il punto d'intersezione di problemi aventi carattere giuridico, pedagogico, psicotecnico, medico-sanitario, assistenziale, scolastico, ecc. Si tratta di problemi, cioè, che vanno dalla conoscenza del bambino e delle sue trasformazioni attraverso l'età alla determinazione di certe leggi psicofisiologiche, che debbono regolare la guida educativa e i mezzi assistenziali.
Tuttavia da tale complicato contesto di leggi è possibile individuare le principali linee di guida cui si è ispirato, nei tempi più recenti, il legislatore. Esse consistono in un sostegno pubblico della famiglia, nei problemi che possono travagliarla, attraverso la rete dei consultori familiari e più adeguati servizi sanitari e sociali; in una più estesa applicazione del principio del diritto allo studio, specie per i ragazzi capaci e meritevoli ma privi di mezzi; nell'attenuazione della distinzione fra la prole nata nel matrimonio e quella nata fuori di esso; nell'impulso dato alla politica dell'adozione nei casi in cui la famiglia naturale manca o non è in grado di adempiere alla sua funzione; nel decentramento dallo stato alle regioni e agli enti locali di ampie funzioni in materia di assistenza sociale, sanitaria, scolastica e della formazione professionale.
Una legge particolarmente importante è quella del 4 maggio 1983 n. 184, diretta a favorire la sistemazione familiare dei ragazzi moralmente o materialmente abbandonati e a regolare i procedimenti di adozione. Questa nuova disciplina dell'adozione rinnova la procedura per la dichiarazione di adottabilità: si è provveduto a una migliore regolamentazione dell'affidamento preadottivo e dei requisiti della coppia adottante, e si è stabilito che, in seguito all'adozione, l'adottato acquista, a ogni effetto, lo stato di figlio legittimo degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome, mentre cessano tutti i suoi rapporti verso la famiglia d'origine. Peraltro, la possibilità di un siffatto pieno inserimento del minore in una nuova famiglia, tramite l'adozione, si basa sul presupposto che venga rispettato il fondamentale diritto del minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia d'origine. E infatti lo stato di adottabilità del minore non può essere dichiarato qualora, pur mancando l'assistenza nei suoi confronti da parte dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi, tale mancata assistenza sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio. Per tale situazione è stata introdotta la nuova disciplina dell'istituto dell'''affidamento'' dei minori, ove si prevede l'affidamento del minore, che sia temporaneamente privo di un idoneo ambiente familiare, a un'altra famiglia o a una comunità di tipo familiare (''affidamento familiare''), affidamento che viene disposto dal servizio locale previo consenso dei genitori esercenti la potestà (v. anche famiglia, in questa Appendice).
Affidata a livello centrale a numerosi ministeri, che spesso svolgono un'azione non coordinata tra loro, e a livello periferico attribuita ai comuni secondo le direttive delle regioni (ai sensi del d.P.R. 616/1977) e dei decreti del presidente della Repubblica recanti norme di attuazione per le singole regioni a statuto speciale, la politica dell'i. risente della mancanza di un piano organico. Al fine di realizzare una politica unitaria, pur nella complessità del problema, nel 1985 è stato istituito dal presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i ministri dell'Interno e del Tesoro, il Consiglio nazionale sui problemi dei minori, con compiti di coordinamento e di studio, di consulenza e proposta al governo in materia di problemi e di politica dell'infanzia. A questo organismo è affidata la ricognizione delle competenze e dell'organizzazione dei ministeri relativi agli interventi a favore dell'i., nonché l'esame dei provvedimenti legislativi, amministrativi e tecnici di impulso ministeriale e la formulazione di proposte su provvedimenti interessanti i minori. Nella complessità della politica dell'i., finalizzata alla socializzazione e all'educazione del minore, al suo diritto alla salute e alla protezione, il Consiglio ridefinisce a livello nazionale i diversi profili professionali e i curricula formativi per la riqualificazione e l'aggiornamento degli operatori del settore. L'azione del Consiglio nazionale si rivolge, quindi, all'affermazione di una nuova cultura dell'i. e dell'adolescenza, soprattutto ai fini della prevenzione del disagio giovanile, sensibilizzando le istituzioni e stimolando la società ai problemi minorili.
Bibl.: U. M. Colombo, Principi e ordinamenti dell'assistenza sociale, Milano 1977; G. P. Meucci, L'anno internazionale del fanciullo: i bisogni diretti del ragazzo, in Difesa Sociale, 1 (1979), p. 17; G. Nogliero, Le strutture sociali per la protezione del bambino, ibid., 1 (1979), p. 41; R. Colas, L'enfant dans la société, in Justitia, 1980, p. 365; F. D. Busnelli, F. Giardina, La protezione del minore nel diritto di famiglia italiano, in Giurisprudenza Italiana, 4 (1980), p. 196; M. Lodi, I diritti del bambino, dell'uomo e della natura, Milano 1991; A. Dinacci, I. Ursini, La complessità invisibile: bambini, scuole, servizi socio-sanitari. Modelli di operatività ecosistemica, Napoli 1991.
La convenzione dell'ONU sui diritti dell'infanzia. - Sul piano internazionale per la tutela dei minori un passo in avanti è stato fatto con l'approvazione da parte dell'ONU della "Convenzione sui diritti dell'infanzia" nel novembre 1989. Questa Convenzione è, infatti, documento di precipua importanza per l'aggiornamento e l'ulteriore specificazione dei diritti del bambino e per il valore vincolante assunto dalle sue norme per gli stati che recentemente l'hanno ratificata.
Una Carta dei diritti dell'i. non è una cosa nuova: nel 1924 era stata, infatti, approvata dalla Società delle Nazioni la cosiddetta "Dichiarazione di Ginevra", integrata nel 1948 con nuove disposizioni dal Consiglio generale dell'Unione internazionale della protezione dell'infanzia, e nel 1959 l'ONU aveva approvato la "Dichiarazione dei diritti del fanciullo".
La differenza fondamentale che contraddistingue la Convenzione del 1989 dalle precedenti è rilevabile soprattutto nel termine ''fanciullo'', adottato da questo documento con riferimento a "ogni essere umano al di sotto del 18° anno di età a meno che, secondo le leggi del suo paese, non abbia raggiunto prima la maggiore età" e assimilabile a quello di soggetto in età evolutiva.
La Convenzione, oltre all'ampio preambolo, comprende 54 articoli, di cui 41 si riferiscono alle forme di controllo sull'attuazione dei principi in essa contenuti, alle modalità di adesione, di eventuale recesso, di proposte di modifica da parte degli stati aderenti.
Le linee guida di questo documento, oltre alla riaffermazione dei diritti umani fondamentali, della dignità e del valore della persona, sono:
a) il riconoscimento del ruolo della famiglia per lo sviluppo della personalità del fanciullo e l'esigenza che la famiglia trovi l'assistenza e la protezione necessaria per una crescita responsabile e armonica di questo (così la Convenzione prevede la protezione contro forme di discriminazione derivanti dalla condizione, dall'attività, dalle opinioni politiche, dal credo religioso dei genitori; riconosce che il fanciullo non possa essere separato dai genitori senza il loro consenso, salvo che per il suo interesse ciò non si renda necessario; garantisce il diritto del fanciullo al mantenimento delle relazioni personali e ai contatti diretti con entrambi i genitori, sempre che ciò non sia in contrasto con il suo interesse; favorisce il ricongiungimento familiare nel caso in cui un membro della famiglia viva in uno stato diverso da quello in cui vivono gli altri componenti del nucleo familiare; riconosce a entrambi i genitori pari responsabilità nell'educazione e nello sviluppo del bambino e la necessità che gli stati debbano fornire a essi un sostegno adeguato per l'adempimento delle stesse; prevede l'affidamento e l'adozione del fanciullo nel caso in cui sia temporaneamente o permanentemente privato del suo ambiente familiare, e la sua sistemazione in apposite istituzioni per l'i.);
b) il riconoscimento del fanciullo come portatore e titolare dei medesimi diritti riconosciuti agli adulti (tutela dell'integrità fisica e rispetto dei diritti di personalità);
c) il riconoscimento al fanciullo di una serie di diritti sociali (diritto all'istruzione, diritto a una corretta informazione, diritto all'assistenza mutualistica e alla sicurezza sociale, diritto al riposo e allo svago, diritto alla protezione dallo sfruttamento economico e dal lavoro nocivo).
Non mancano poi disposizioni che tutelano il soggetto in età evolutiva da specifiche situazioni di svantaggio (come per es. il bambino rifugiato o coinvolto in conflitti bellici e il bambino disabile, sia fisicamente, sia mentalmente) e norme poste a garanzia del ragazzo che ha compiuto illeciti penali e sia sottoposto a trattamento sanzionatorio.
La convenzione prevede anche un sistema di controllo per garantire che questi diritti non siano soltanto formalmente riconosciuti dagli stati aderenti, ma siano anche fattivamente attuati e tutelati attraverso la costituzione di un Comitato sui diritti del bambino per verificare le misure adottate dagli stati aderenti allo scopo di rendere operativi i principi della Convenzione e mediante l'aiuto e il sostegno offerti dalle agenzie specializzate dell'ONU, dell'Unicef e di altri organismi internazionali ai paesi meno progrediti per l'attuazione dei diritti dell'infanzia.
A tutto ciò la Convenzione affianca anche una rilevante azione di promozione volta a indicare gli strumenti necessari per rilanciare l'attenzione verso l'i. e i suoi problemi e a stimolare nei diversi ordinamenti strategie di interventi per assicurare al fanciullo il pieno appagamento del suo diritto all'esistenza e al suo sviluppo non soltanto nel ristretto ambito familiare ma anche in quello più ampio della comunità umana.
Bibl.: A.C. Moro, Il bambino è un cittadino. Conquista di libertà e itinerari formativi. La convenzione dell'ONU e la sua attuazione, Milano 1991; G.A. Pinna, I diritti dell'uomo e del fanciullo nelle carte internazionali, Sassari 1992.