impeachment
Messa in stato di accusa di un pubblico ufficiale o di un membro del governo. L’istituto ebbe origine in Inghilterra nel sec. 14° al fine di colpire gli abusi e le malversazioni di ministri e funzionari, attraverso un procedimento avviato dalla Camera dei comuni e sfociante nel giudizio di quella dei lord. Con l’affermazione del principio della responsabilità politica del governo, l’i. perse progressivamente importanza e dall’inizio del sec. 19° non fu più applicato. Al contrario esso si affermò negli Stati Uniti, dove è ancora in funzione anche per le massime cariche e determina sanzioni di natura politica, quali la rimozione dalla carica o l’interdizione dai pubblici uffici. Grande rilevanza ebbe in tal senso il caso del presidente R.F. Nixon (1974), che rassegnò le dimissioni per evitare l’i. dopo che la Camera dei rappresentanti lo aveva accusato del coinvolgimento nello scandalo Watergate. Nel 1998, a seguito del caso Lewinsky, anche nei confronti di B. Clinton il Congresso votò l’i., ma esso non sfociò nella condanna del presidente (febbr. 1999). Nell’ordinamento italiano la Costituzione prevede che il presidente della Repubblica possa essere messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune per i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione (art. 90); la funzione di giudice è svolta dalla Corte costituzionale integrata da 16 membri. Nell’ottobre 1990, quando emerse l’esistenza di Gladio e il presidente della Repubblica F. Cossiga ne rivendicò la responsabilità, una procedura di i. fu avviata dal PDS, ma il Parlamento respinse la messa in stato d’accusa (dic. 1991).