IMMUNITÁ
Medicina. - (XVIII, p. 893; App. II, ii, p. 8). - Posizione di questo campo di studî nei confronti di altri. - L'immunologia non è più - e da lungo tempo - un capitolo, sia pur vasto, della microbiologia o della patologia generale, bensì è divenuta un ramo di ricerca a sé stante, assai denso di valore euristico per la ricerca biologica in generale e quindi metodologicamente rappresentato in tutti i settori particolari di quella ricerca e non solo in medicina. In medicina col termine immunità si intende sempre quello stato umorale o cellulare dell'organismo onde esso si comporta in un modo peculiare (rispetto ad altre specie o ad altri individui della stessa specie o a un periodo precedente di vita dello stesso individuo) nei confronti di una sostanza chimica che abbia funzione antigene.
Ma poiché gli antigeni (v. antigene, in App. II, 1, p. 206) sono sostanze sempre complesse, per lo più proteiche o legate alle proteine, e poiché gli anticorpi (v. anticorpi, in App. II, 1, p. 203) sono sempre sostanze proteiche, sia ancorate alle cellule produttrici, sia libere nel plasma sanguigno, e poiché infine la "specificità" della reazione immunitaria fra antigene ed anticorpo è (né poteva essere diversamente) realizzata e condizionata dalla natura stereochimico-fisica delle parti in gioco (gruppi attivi o "determinanti" dell'antigene e corrispondenti gruppi dell'anticorpo), non dissimilmente da quanto avviene per gli enzimi, ne deriva che la metodologia immunologica e le deduzioni teoretiche che si possono trarre dai relativi esperimenti sono applicabili ovunque e in particolare quando si vogliano individuare peculiari tipi di architetture proteiche in nessun altro modo riconoscibili (per natura o per quantità).
È così che i metodi immunologici sono serviti e servono, per es., a stabilire parentele filogenetiche, sia tra specie estinte (ma di cui residuino resti proteici), sia tra le specie viventi ed anche a stabilire la curiosa e spesso bizzarra (ma certamente non priva di significato evolutivo) distribuzione di determinati antigeni (in genere non proteici, incompleti, cioè apteni) nell'insieme dei viventi, dai batterî all'uomo. Analogamente gli stessi metodi sono impiegati per riconoscere la comparsa di determinate strutture proteiche nel corso dell'ontogenesi individuale nelle varie specie, la comparsa della reattività immunologica, della individualità biochimica, della differenziazione chimica dei tessuti, dei rapporti fra genetica ed epigenetica, fra genetica ed evoluzione, fra organismo e tumori, ecc.
Il chimico e il biochimico si servono dei criterî immunologici per distinguere le diverse strutture proteiche e le loro varianti, per studiare l'architettura enzimatica, per interferire con le funzioni specifiche relative, per studiare l'economia biochimica dell'organismo in rapporto alla integrità o alla deficienza di un'azione enzimatica (con alcune limitazioni).
Il patologo, infine, può attingere dalla immunologia, anche al di fuori del vasto campo originario delle malattie infettive, utili suggerimenti per la interpretazione di molti eventi morbosi, per indagarne l'origine e seguirne lo sviluppo (v. oltre, autoantigeni e autoanticorpi, ipersensibilità, ecc.), per valutare le prospettive di interventi sostitutivi (per es. nei trapianti), ecc.
Dal punto di vista tecnico-metodologico la ricerca immunologica ha recentemente affinato alcune tecniche di carattere generale che servono mirabilmente a rintracciare la presenza di proteine o altri antigeni altrimenti non distinguibili: citiamo la tecnica della precipitazione nei gel (ove si fanno diffondere antigene e anticorpo), con e senza applicazione di un gradiente elettroforetico, la immunologia quantitativa (analisi dell'azoto precipitabile), l'uso della inibizione specifica operata dagli apteni nei confronti di una determinata reazione, la possibilità di copulare composti fluorescenti ad antigeni e ad anticorpi onde rivelare la situazione nei tessuti e nelle cellule di determinate proteine (risp. anticorpi o antigeni) e quindi, in generale, a fare della istochimica molto specifica e preziosa. È anche facilmente comprensibile che con tali progressi anche le vecchie tecniche immunologiche ideate a scopo diagnostico e dimostrativo siano andate perfezionandosi.
Individualità immunologica degli organismi e dei tessuti e suo controllo genetico; istocompatibilità. - Dopo le classiche ricerche di Obermeyer e Pick e di K. Landsteiner fu provato anche sperimentalmente ciò che non poteva non essere già chiaro concettualmente, e cioè che la "specificità" della reazione fra antigene e anticorpo è realizzata e condizionata dalla natura chimica e fisico-chimica dei protagonisti della reazione, cioè degli antigeni e degli anticorpi. Ora questa loro individualizzazione chimica, che si è vista andare anche oltre le differenze di specie e razziali, e approfondirsi anche a distinguere individui di uno stesso gruppo genetico (per es. i gruppi sanguigni, v. oltre) non è qualcosa di dato e come tale per sempre trasmissibile nelle generazioni, bensì - come per ogni altro carattere fenotipico - è il risultato di una evoluzione filogenetica e di uno sviluppo ontogenetico, che è appunto possibile seguire immunologicamente, a vantaggio degli studî teoretici di biologia generale, di embriologia e di genetica e con rispondenze pratiche e applicative del più alto interesse.
Si è così potuto seguire il differenziarsi degli antigeni specifici dei varî organi di un vertebrato e identificare quelli che essi hanno in comune (sia pure solo durante la vita embrionale oppure come carattere permanente) e spesso si è visto, per es., che a un assetto antigene comune iniziale (per due organi: per es. cervello e milza o cervello e cuore) si sovrappone, nel seguito dello sviluppo ontogenetico, la creazione di uno o più antigeni specifici. Talora la comparsa di antigeni specifici è molto precoce; per es., si è visto che la miosina è prodotta nei miotomi già prima della differenziazione delle fibre e miofibrille muscolari. In questo ambito di ricerche ha trovato posto anche una particolare embriologia sperimentale, che studia gli effetti dell'azione citotossica degli antisieri specifici su determinati abbozzi embrionali nel corso della loro evoluzione ontogenetica.
Nei mammiferi e nell'uomo particolare importanza ha avuto lo studio della ontogenesi degli antigeni degli eritrociti in rapporto alla loro distribuzione e al loro condizionamento genetico. Va a questo proposito ricordato che anche per tali antigeni la loro distribuzione negli eritrociti può essere un'acquisizione relativamente tardiva, più precocemente trovandosi invece in altre sedi.
Come esiste una ontogenesi degli antigeni, così esiste una ontogenesi della capacità alla produzione degli anticorpi: questa è proprietà relativamente tardiva, tanto che in molte specie gli anticorpi circolanti nel neonato sono quelli passivamente passati (in forma completa o incompleta) dalla madre attraverso la placenta o assorbiti dal colostro. In alcune specie (per es. nel bue) mancano da principio nel sangue del neonato addirittura delle globuline proprie, trovandosi solo le globuline colostrali. Anche nell'uomo le isoagglutinine dei gruppi sanguigni compaiono solo dopo 2-4 mesi dalla nascita.
Così si è dimostrato che nelle ormai assai diffuse infezioni sperimentali dell'uovo di pollo embrionato (con virus, rickettsie e batterî), anticorpi si cominciano a formare solo al termine dello sviluppo embrionale, e si accentuano, in caso di sopravvivenza, solo dopo la nascita. Esiste quindi un notevole sfasamento tra andamento della differenziazione cellulare (compresa quella relativa alla comparsa di un mesenchima con già in atto le generiche funzioni del sistema reticolo-istiocitario) e capacità di produrre gli anticorpi.
Questi dati sono molto importanti per comprendere il vario comportamento dell'organismo animale nei confronti dei trapianti di tessuti, sia a seconda dei gruppi genetici, sia a seconda dello stadio evolutivo ontogenetico del ricevente (ed anche del donatore).
È ben noto che innesti eterologhi non hanno (negli animali) possibilità di attecchire, e ciò appunto per una reazione immunitaria violenta da parte dell'ospite; lo stesso destino, salvo particolari tessuti (per es. la cornea) hanno anche gli omoinnesti (cioè entro la stessa specie), e questa isto-incompatibilità intraspecifica è tanto maggiore quanto più diversi o distanti geneticamente sono donatore e ricevente. Assai maggiore probabilità di attecchimento hanno, perciò stesso, gli autoinnesti ed è quindi già da questo ammissibile che nel caso degli omoinnesti l'insuccesso sia dovuto allo sviluppo di omoanticorpi (nei confronti di omoantigeni, intraspecifici: circa la possibilità di autoanticorpi, v. oltre). Gli omoinnesti divengono sempre più rapidamente eliminati, nelle specie superiori, via via che si insiste con i trapianti e ciò è in armonia con l'ipotesi immunitaria. Nei vertebrati inferiori vi è una maggiore possibilità di attecchimento, proprio per una minore reattività immunitaria, e se si scende a considerare per ogni specie la vita embrionale, si può documentare sperimentalmente che omoinnesti (e talora, negli anfibî per es., anche eteroinnesti) possono attecchire nell'organismo embrionale o larvale e degenerare solo in seguito quando compare la capacità a produrre anticorpi. Tuttavia si è anche constatato il fatto molto importante che con tale metodo si può gradualmente rendere "tollerante" l'organismo, anche nella vita postnatale allo stesso tipo di omoinnesto. Tutto ciò naturalmente si applica anche a quel particolare tipo di innesto che è rappresentato dal sangue trasfuso (e, naturalmente, all'innesto di midollo osseo, che oggi è divenuto un centro dell'attenzione degli sperimentatori e dei medici), e si applica anche al problema del trapianto dei tumori sperimentali e all'evoluzione di questi nei nuovi ospiti. Nel caso dei tumori si possono osservare apparenti eccezioni alla regola che la possibilità dell'attecchimento è in ragione inversa con la "eterogeneità" genetica e quindi biochimica tra cellule trapiantate e tessuti ospiti: occorre considerare che nella popolazione cellulare tumorale esistono numerose varianti genetiche e che quindi è teoricamente possibile un adattamento selettivo.
Immunità innata o genetica. - La diversa suscettibilità alle infezioni fino alla resistenza assoluta dimostrata dalle varie specie animali e anche dalle varie sottospecie e razze, nella misura in cui non dipenda da fattori complessi relativi alla esposizione alla infezione, alla natura e reattività dei tessuti e ad altri consimili momenti patogenetici, si è dimostrato essere dovuta anche ad un diverso stato umorale delle varie specie e delle sottospecie o razze, stato che è connaturato al modo di essere delle specie e pertanto trasmesso e distribuito secondo le leggi della genetica.
Esiste pertanto una i. innata o genetica, che è quindi indipendente dagli eventi della storia individuale, mentre è espressione degli eventi selettivi nella storia della specie. Essa fa parte della più ampia i. naturale, insieme appunto a tutte quelle modificazioni umorali acquisibili attivamente o passivamente dall'individuo lungo la sua storia, per contatto parenterale con antigeni, che avvenga però naturalmente, cioè non per artificio medico (vaccinazione, sierotrattamento) o in seguito ad una malattia, infettiva o d'altro tipo, ben definita.
Questa i. innata o genetica ha due aspetti: uno generico e l'altro specifico. Quello generico riguarda la generale capacità del siero del sangue di reagire con sostanze antigeni, batterî, prodotti batterici (anche tossine), sostanze chimiche antigeni di altra e svariata natura, fin dal primo contatto di queste con il sangue circolante. Si tratta cioè della generica azione anticorporale del siero, detta anche anticorpo fisiologico (G. Vernoni, 1948). Questo tipo di i. innata non è molto forte (anche se molte volte bastevole insieme agli altri fattori di difesa antimicrobica a proteggere la specie da determinate infezioni), ma in compenso è stabile come tutti i caratteri della specie. La sua genericità non significa che non sia affidata a definite sostanze presenti nel siero e aventi azione generica anticorpale, anzi la ricerca odierna va scoprendo sempre nuove frazioni sieriche che concorrono a realizzare questa proprietà generica, ma complessa, dei sieri.
Tali frazioni sono spesso complesse e costituite da entità chimiche diverse, ma formanti aggruppamenti sinergici: proteine, glicoproteine, mucoproteine, fosfolipidi, ecc.; tra le proteine è immancabile la presenza di una o più globuline. Tali aggruppamenti o complessi sierici (e, come si è detto, spesso sinergici o comunque collaboranti anche fra loro) risultano essere termolabili, proprio perché alcune frazioni del complesso sono appunto termolabili, per es., le globuline. Il più noto di tali aggruppamenti è quello che va sotto il nome, ormai già antico, di complemento. Oggi esso è risolvibile in almeno 4 frazioni, ed oltre a partecipare ai fenomeni che stanno alla base della cosiddetta i. innata esso entra anche separatamente in tutte le altre reazioni immunitarie evocabili in vivo come in vitro con animali specificamente resi immuni.
Un altro complesso - questo però apparentemente di entità assai più modesta - è quello che va sotto il nome di properdina (dal latino perdere, distruggere, danneggiare), anche questa una γ-euglobulina o un insieme di globuline, associate al magnesio. Si trova in quantità variabile nelle varie specie.
Infine, altre frazioni globuliniche, sempre ad azione generica, possono comparire o aumentare notevolmente in tutti i casi di particolare cimento organismico: infezioni, traumi, vaccinazioni, ecc.
Tutte queste frazioni hanno la generica proprietà di legarsi a molecole antigeni varie e, quando l'antigene sia corpuscolato (per es. germi), a stratificarsi sopra la superficie delle sue particelle (corpi batterici) (opsonizzazione, sensibilizzazione che precede e condiziona la agglutinazione o la lisi, ecc.).
L'aspetto specifico della i. innata o genetica è rappresentato dalla possibilità che il siero di sangue in alcune specie o in alcuni individui abbia geneticamente anticorpi specifici verso antigeni di altre specie o di altri individui della stessa specie. Il caso più noto e più importante è quello dei gruppi sanguigni in cui, per es. nella specie umana, esistono diversi antigeni variamente distribuiti nei globuli rossi dei diversi soggetti (non sono peraltro sostanze esclusivamente peculiari di queste cellule, bensì, almeno nella loro parte aptenica e specifica [polisaccaridica], comuni nel regno animale, vegetale e batterico) e corrispondenti specifici anticorpi (agglutinanti e lisanti, in presenza di complemento, i relativi globuli rossi) nel siero del sangue: naturalmente nello stesso soggetto non esistono contemporaneamente gli antigeni e gli anticorpi che si corrispondono. Trattandosi di antigeni e di anticorpi nella stessa specie si chiamano isoantigeni e isoanticorpi.
Antigeni, omoantigeni, autoantigeni. - Veri, sicuri e completi antigeni (non apteni) hanno natura proteica o polisaccaridica. Antigeni incompleti o apteni possono esser molti altri aggruppamenti chimici, a molecola meno voluminosa.
Per le proteine, la seguente tabella dà una parziale rappresentazione della loro distribuzione nel regno dei viventi. Si hanno peraltro anche antigeni artificiali, sintetici.
Si è visto che per le proteine la potenza antigene e la sua "valenza" (cioè la capacità di offrire uno o più luoghi di legame agli anticorpi) è data dalla presenza sulla superficie molecolare di aggruppamenti chimici, anche se non particolari, tuttavia realizzanti una determinata ed efficace distribuzione di forze polari, legami di idrogeno, ecc. E siccome la distribuzione di questi luoghi alla superficie molecolare è funzione della peculiare struttura e stato topologico della grossa molecola proteica (o polisaccaridica), la specificità dell'antigene (e quindi dell'anticorpo e della reazione conseguente) può essere altissima. E sarà una specificità "strutturistica" anziché propriamente e puramente chimica. In genere gli antigeni, per la molteplicità dei loro luoghi reattivi, sono multivalenti.
Il fatto stesso che esistono isoantigeni, pone in discussione la possibilità che esistano o si possano formare antigeni ad efficacia intraspecifica (omoantigeni) ed anche che si creino a un certo momento, in uno stesso individuo, antigeni per modificazione o denaturazione di componenti del proprio corpo - in particolare di proteine - verso i quali (autoantigeni) l'organismo è indotto a produrre anticorpi. Non solo questo evento è possibile in linea teorica, ma oggi si pensa che si verifichi di fatto in molteplici circostanze, tanto da assumere notevole importanza nella genesi e nel decorso di malattie, infettive e non infettive.
In effetti proteine omospecifiche, ma poste fuori dalla circolazione umorale dell'organismo, come le proteine di alcuni secreti quali quelle del latte o quelle di organi peculiari come il cristallino, possono avere carattere antigene per la stessa specie (e talora anche per lo stesso individuo: ma qui non si può mai escludere che una certa alterazione modificatrice non sia intervenuta). Ma quello che più conta è che autoantigeni possono formarsi da autoproteine umorali o cellulari per modificazioni chimiche o fisico-chimiche da esse subite da parte di tossine, veleni, copulazioni o adsorbimenti varî con altri antigeni o apteni di origine batterica o di qualsiasi altra origine. Quelle proteine o quelle cellule divengono per ciò stesso "eterogenee" per l'organismo ospite, acquistano proprietà antigene, che possono essere del tutto nuove o risentire della natura antigene (se esiste) dell'agente modificatore.
Globuli rossi umani che abbiano adsorbito un antigene (per es. un virus o altra frazione antigene) possono evocare nello stesso organismo umano di cui fanno parte anticorpi agglutinanti ed emolitici, onde si possono spiegare certe crisi emolitiche (e le conseguenti anemie) insorgenti nel corso di malattie infettive o non infettive. Analogamente in altri casi (v. oltre: autoanticorpi).
In rapporto al problema degli autoantigeni può considerarsi quello dei cosiddetti coadiuvanti. Talora con una sostanza che ha scarso valore antigene può essere difficile evocare una reazione immunitaria (o di ipersensibilità) da parte dell'organismo ricettore. La stessa sostanza può invece divenire efficace antigene se introdotta nell'organismo insieme ad altre svariate sostanze, anche non antigeni: lanolina, prodotti batterici quali per es. quello del Mycobacterium tuberculosis, sospensioni colloidi organiche o inorganiche, sostanze irritanti flogogene. In tal modo si sono avute efficaci reazioni immunitarie o di ipersensibilità anche con antigeni assai deboli ed anche con omo- ed autoantigeni. Anche questi coadiuvanti, quindi, sono stati molto utili per tentare di riprodurre sperimentalmente in animali quelle malattie (o aspetti di esse) che si supponevano a base immunitaria ed autoimmunitaria (allergica ed autoallergica).
Anticorpi, omoanticorpi, autoanticorpi. - Di fronte alla multivalenza degli antigeni, gli anticorpi, che sono sempre molecole γ-globuliniche, sono generalmente mono- o bivalenti. In genere si pensa che per ottenere con gli antigeni multivalenti un vero reticolo precipitabile, occorre che gli anticorpi siano bivalenti e in quantità opportune. La presenza dei gruppi determinanti isolati degli antigeni (o apteni) blocca naturalmente gli anticorpi e previene la precipitazione.
Si hanno sufficienti indicazioni che gli anticorpi immunitarî circolanti sono costitutivamente in qualche modo diversi da quelli ancora sessili, cioè legati alle cellule produttrici, i quali hanno molta importanza in alcuni fenomeni allergici e di ipersensibilità in genere. Nella stessa ipersensibilità una differenza si fa fra anticorpi anafilattici (che sarebbero veri e proprî anticorpi completi e nel pieno significato del termine) e altre sostanze a carattere anticorpale, ma diverse, dette reagine; la seguente tabella riassume le differenze fra i due tipi di sostanze reattive:
Molti sostengono la possibilità che anche gli anticorpi si trovino "incompleti" o parziali o univalenti e a molecola più piccola, e ciò fornisce una sufficiente spiegazione del fatto che con alcuni anticorpi si ottiene in vitro solo il bloccaggio degli antigeni e mai la precipitazione e spiega anche quello, più importante, del passaggio di anticorpi o di porzioni di questi dalla barriera placentare, con varie conseguenze per il prodotto del concepimento. Peraltro, il passaggio attraverso il filtro placentare non è sempre condizionato dalla grandezza e complessità molecolare dell'anticorpo, e così è per l'antigene.
Mentre l'attività anticorpale fisiologica dei sieri è relativamente debole ed aspecifica, l'attività degli anticorpi acquisiti per stimolazione antigene può divenire estremamente elevata ed è sempre notevolissimamente specifica. Per converso, mentre la prima è stabile (perché connaturata al siero stesso), la seconda è più o meno transitoria, comunque variabile nel tempo, talora addirittura fugace. Gli anticorpi acquisiti sono tutti γ-globuline, e pertanto la capacità dell'organismo a produrre anticorpi è legata: 1°, alla capacità generale di produrre queste proteine (di regola alla nascita ciò è possibile); 2°, alla capacità, da parte degli antigeni, di sensibilizzare le strutture responsabili (v. oltre): anche questa proprietà, come si è visto, ha una sua evoluzione ontologica.
Vi sono anche individui con una inattitudine genetica a produrre y-globuline e quindi incapaci non solo di arricchirsi di anticorpi, ma anche di fruire della difesa anticorpale innata, fisiologica. Im condizione, che va sotto il nome di agammaglobulinemia, rende i soggetti così tarati estremamente suscettibili alle infezioni; ma ciò appare più vero per le infezioni batteriche che per le virali, per le quali forse sono più importanti gli anticorpi cellulari.
Come si è detto per gli antigeni, esiste una possibilità di avere omo- ed autoanticorpi, sperimentalmente producibili attraverso una talora anche modesta modificazione o denaturazione degli omo od autoantigeni e con l'aiuto dei coadiuvanti. Con la formazione di autoanticorpi si spiegherebbero molte malattie acute e croniche sistemiche di diversi apparati oppure alcuni aspetti o varianti di malattie etiopatologicamente già note.
Oltre ai fatti emolitici in corso di infezioni o di altre malattie, a cui si è già accennato, si sono prese in considerazione le nefropatie (antigeni renali modificati e liberati da fatti tossici o tossinici iniziali o antigeni connettivali), malattie del collageno, artrosi, arterite nodosa (antigeni mesenchimali), sclerosi multiple del sistema nervoso (antigeni neurogeni) ecc. Alcune di queste sindromi sono state soddisfacentemente copiate dall'esperimento, e in genere le lesioni prodotte sono dovute allo stadio di sensibilizzazione dei tessuti verso gli autoantigeni.
Origine degli anticorpi, cinetica della loro produzione e scomparsa. - Si è sempre più confermato che gli anticorpi si formano soprattutto per attività di quella importante sezione del sistema mesenchimale che va sotto il nome di sistema reticolo-endoteliale (o reticolo-istiocitario), il quale provvede anche alla formazione delle normali globuline sieriche e delle cellule del sangue (emopoiesi); questo stesso sistema è impegnato nella flogosi (reattività difensiva locale o infiammatoria) e in effetti tra flogosi e i. vi sono legami molto stretti.
La captazione degli antigeni da parte delle cellule fagocitanti libere e dei tessuti e la formazione in esse degli anticorpi può essere oggi ben seguita al microscopio mediante la tecnica degli anticorpi e degli antigeni resi fluorescenti; questa tecnica è stata usata anche per studiare la comparsa ontogenetica degli antigeni.
F. M. Burnet e F. Fenner (1949) hanno messo in evidenza che, specialmente dopo una seconda iniezione endovenosa di antigene, la risposta immunitaria (salita degli anticorpi nel sangue) assume un andamento esponenziale, il che dimostrerebbe una moltiplicazione del substrato materiale generatore delle proteine anticorpo, cioè delle cellule. È in effetti ciò che avviene ed è stato recentemente confermato. Se lo stimolo antigene viene più o meno rapidamente eliminato, anche la produzione degli anticorpi si attenua, le globuline anticorpo venendo man mano sostituite, secondo il normale loro ricambio, dalle globuline normali. Il tasso di anticorpi nel sangue è quindi funzione dei due processi che per un certo tempo coesistono: la produzione e immissione nel sangue di quelle globuline e la loro scomparsa. Anticorpi si sono visti formare anche in vitro da parte di espianti di cellule di animali pretrattati con antigeni.
Ipersensibilità. - Molti fenomeni di ipersensibilità (fenomeni anafilattici, allergici, atopici, ecc.) hanno totalmente o parzialmente le loro radici nella reattività immunitaria dell'organismo: si tratta spesso anche qui di formazione di anticorpi, ma non in quantità tale da riversarsi abbondantemente nel sangue e da costituire quindi una protezione immunitaria di tutti i tessuti dell'organismo nei confronti dell'antigene nuovamente introdotto: tale protezione viene dunque a mancare, l'antigene viene in contatto direttamente con i tessuti sensibilizzati ove esistono anticorpi sessili e l'incontro fra questi e l'antigene è seguito da liberazione di istamina (o sostanze ad azione simile) che provoca i noti sintomi: orticaria, edemi, costrizione bronchiale o vascolare, emorragie, necrosi tessutali ecc.
Le forme di ipersensibilità sono molte e molto varie; esse possono essere oggi riassunte dalla tabella in alto a questa pagina, tabella di B. Waksman, modificata da W. C. Boyd (1956).
Le modificazioni tessutali che intervengono nei fenomeni di ipersensibilità possono essere soltanto fisiopatologiche e reversibili, quindi transitorie, oppure anche anatomiche, cioè vere e proprie lesioni strutturali (come le emorragie, le necrosi, gli infiltrati flogistici, ecc.).
In ambedue i casi esse possono costituire il contesto patogenetico e anatomopatologico di molte malattie, sia di quelle di chiara origine allergica esogena (infettiva, tossica), sia di altre in cui viene postulato un meccanismo di autoimmunizzazione (autosensibilizzazione) per autoantigeni.
Bibl.: F. M. Burnet e F. Fenner, The production of antibodies, 2ª ed., Melbourne 1949; M. Aloisi, Immunità, in Enciclopedia medica italiana, V, Firenze 1953, coll. 283-384; W. C. Boyd, Foundamentals of immunology, 3ª ed., New York 1956; J. E. Cushing e D. H. Campbell, Principles of immunology, New York 1957.