Immigrazione illegale e attività di soccorso
Le vicende delle navi Iuventa e Open Arms, i cui equipaggi sono accusati di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, sollevano la questione dei confini che separano il traffico di migranti irregolari dalla lecita (ed anzi talvolta doverosa) assistenza prestata nei loro confronti. Il contributo passa in rassegna le decisioni intervenute nella fase cautelare dei due procedimenti, inquadrandole nel più ampio contesto del contrasto all’immigrazione irregolare in Italia e nell’Unione europea. Vengono infine proposte alcune soluzioni interpretative finalizzate ad espungere dall’area della rilevanza penale le condotte dotate di finalità solidaristica; nonché alcune soluzioni de jure condendo volte a ricondurre le attuali scelte politicocriminali entro i parametri della ragionevolezza e della proporzionalità.
Durante l’anno trascorso, uno dei principali temi dell’acceso dibattito sull’immigrazione è stato quello relativo alle operazioni di soccorso effettuate da organizzazioni non governative a beneficio dei migranti che tentano di varcare irregolarmente le frontiere d’Europa attraversando il Mediterraneo. “Taxi del mare”, sono state talvolta definite le navi coinvolte nei salvataggi, ad opera di una certa narrativa che le accusa di agevolare l’immigrazione clandestina e di costituire altresì un (ulteriore) pull factor per future nuove partenze.
Il ruolo delle ONG nella conduzione delle operazioni di soccorso in mare, in particolare lungo la rotta del Mediterraneo centrale, è cresciuto visibilmente negli ultimi anni, anche in conseguenza dell’aumento dei flussi e della riduzione delle risorse pubbliche destinate a tale scopo1. Se dunque fino alla prima metà del 2016 il modus operandi dei trafficanti consisteva nell’istruire i migranti a contattare la Guardia costiera italiana per attivare le procedure SAR (Search and Rescue), nella seconda metà di quello stesso anno il 40% delle operazioni di soccorso è stato condotto dalle ONG, senza previo contatto con le autorità marittime2. Il timore che tali attività alimentassero nuovi corridoi di immigrazione irregolare – in contrasto con il proposito di contenere le partenze, perseguito anche attraverso il supporto logistico ed economico a favore delle autorità libiche – ha indotto il Governo italiano, con l’appoggio dei Ministri dell’interno UE riunitisi a Tallinn il 6.7.2017, a stilare un «codice di condotta per le ONG impegnate nelle operazioni di salvataggio in mare»3, recante una serie di impegni che le Organizzazioni dovrebbero assumere volontariamente con la sua sottoscrizione. Il documento, dal valore giuridico non del tutto chiaro e dalla legittimità non indiscussa4, contempla, tra l’altro, l’obbligo di non ostacolare le operazioni SAR condotte dalla Guardia costiera libica e quello di rispettare le istruzioni impartite dall’IMRCC (Italian Maritime Rescue Coordination Centre).
È in questo contesto che le attività di soccorso in mare sono venute ad interessare l’ordinamento penale italiano. Come è noto, l’art. 12 t.u. imm. punisce, in conformità agli obblighi di incriminazione discendenti dalla normativa europea5, il compimento di atti diretti a cagionare l’ingresso irregolare di stranieri, anche laddove non sorretti da scopo di lucro (quest’ultimo costituisce infatti una mera circostanza aggravante); a rientrare nell’area della rilevanza penale, pertanto, non sono soltanto le condotte poste in essere dai veri e propri smugglers, bensì anche quelle di chiunque abbia in qualsiasi modo agevolato (o tentato di agevolare, trattandosi di reato a consumazione anticipata) l’ingresso di uno o più sans papiers. L’ampiezza della fattispecie ha determinato l’apertura di indagini nei confronti degli equipaggi di due diverse navi impegnate in operazioni SAR nel Mediterraneo centrale: la Iuventa della ONG Jugend Rettet e la Open Arms della ONG spagnola Proactiva Open Arms. Le due vicende presentano numerose differenze nella dinamica dei fatti, che in parte si riflettono anche sul piano giuridico, e che ne suggeriscono una illustrazione separata.
Nel dibattito sulla riconducibilità delle operazioni di soccorso al delitto di favoreggiamento dell’ingresso irregolare, sono ritenuti sostanzialmente pacifici i profili attinenti alla tipicità delle condotte (in ragione della già ricordata ampiezza semantica della fattispecie) ed all’applicabilità della legge penale italiana (che, anche in caso di condotte agevolatrici esauritesi in acque internazionali, viene rinvenuta attraverso lo schema dell’autoria mediata, laddove i migranti facciano effettivamente ingresso sul territorio italiano)6. Si discute, invece, in merito alla sussistenza degli estremi di esimenti quali, segnatamente, l’adempimento di un dovere e lo stato di necessità. Proprio su questi profili si sono verificate le oscillazioni giurisprudenziali che hanno finora contrassegnato la fase cautelare dei casi Iuventa e Open Arms.
L’ipotesi accusatoria, accolta dall’ordinanza di sequestro della nave Iuventa emessa dal g.i.p. di Trapani7, è che tra settembre 2016 e giugno 2017, in più occasioni, i migranti provenienti dalla Libia non siano stati tratti in salvo, bensì siano stati oggetto di «consegne concordate»8 fra i trafficanti ed i membri dell’equipaggio della ONG Jugend Rettet. Questi ultimi – secondo quanto emergerebbe da documenti fotografici e intercettazioni, nonché dalla relazione di un agente sotto copertura – avrebbero stazionato nei pressi delle acque territoriali libiche, si sarebbero incontrati con sospetti trafficanti, ed avrebbero ricevuto direttamente a bordo i migranti (in un caso 140 persone, in altri casi un numero imprecisato), trasferendoli poi su altre navi dirette verso le coste italiane. In alcuni casi, infine, i barconi sarebbero stati restituiti ai trafficanti affinché potessero riutilizzarli. Tali condotte integrerebbero un concorso nel reato di cui all’art. 12 t.u. imm., in quanto produttive d’un contributo causale rispetto al successivo sbarco di migranti irregolari, sub specie di elemento di congiunzione tra l’attività dei trafficanti e l’ingresso contra jus, con le aggravanti riferibili al numero degli stranieri interessati (più di cinque) ed al numero delle persone in concorso (art. 12, co. 3, lett. a e d, nonché co. 3 bis del citato Testo unico). Non potrebbe essere evocata, sempre secondo il provvedimento di sequestro in commento, la scriminante dell’adempimento del dovere di soccorso in mare, sancito dall’art. 98 della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare (CNUDM, 1982), dall’art. 10 della Convenzione di Amburgo sulla ricerca ed il salvataggio marittimo (SAR, 1979) e dall’art. 33 della Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita in mare (SOLAS, 1974). Infatti, l’equipaggio della Iuventa non si sarebbe limitato ad assistere soggetti in pericolo, bensì avrebbe posto in essere anche attività precedenti e successive all’assistenza, dirette esclusivamente a procurare l’ingresso in Italia di stranieri che non ne avevano legittimo titolo9. Quanto al dolo, esso sarebbe ravvisabile nella consapevolezza e volontà dell’equipaggio di Iuventa di violare la normativa sull’immigrazione, a loro volta dimostrate dai contatti con i trafficanti, dalla restituzione delle navi, dall’occultamento di documenti, dal rifiuto di firmare il codice di condotta delle ONG, nel quadro di una più generale «prospettiva ‘antagonista’» manifestata, tra l’altro, attraverso la scritta “fuck MRCC”, esposta in un’occasione sul ponte della nave. Non potrebbe essere esclusa neppure una finalità di profitto, che l’Organizzazione potrebbe aver perseguito riguardo a donazioni indotte dalla promozione della propria immagine. La rispondenza delle condotte a condivisi valori etici e sociali – conclude il giudice – potrebbe eventualmente trovare riscontro nell’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 1 c.p., ma in nessun modo varrebbe ad escludere il carattere antigiuridico del fatto. Tanto premesso in punto di fumus commissi delicti, il sequestro preventivo della nave Iuventa è stato disposto argomentando sugli ulteriori presupposti indicati dalla legge, sia in quanto cosa pertinente al reato (art. 321, co. 1, c.p.p.), in ragione della probabilità di reiterazione delle condotte criminose nel caso di perdurante disponibilità in capo alla ONG, sia in quanto res di cui è consentita la confisca (art. 321, co. 2, c.p.p.), giusta la previsione di confisca obbligatoria di cui all’art. 12, co. 4 ter , t.u. imm.
All’origine del caso Open Arms, invece, vi è una più tradizionale operazione di soccorso, durante la quale tuttavia l’equipaggio dell’ONG avrebbe violato una serie di regole sancite dal già menzionato codice di condotta (firmato da Proactiva Open Arms, a differenza di Jugend Rettet). In base a quanto riportato nei provvedimenti cautelari di seguito esaminati, risulta che il 15.3.2018 la Guardia costiera italiana era stata avvertita della presenza di un gommone a circa 40 miglia nautiche a nord-est di Tripoli, ed aveva a sua volta provveduto a richiedere l’intervento della nave Open Arms, in quanto imbarcazione più vicina. Nel frattempo erano stati individuati altri due gommoni potenzialmente in difficoltà. Di lì a poco, tuttavia, la Guardia costiera libica aveva assunto la formale responsabilità delle operazioni di soccorso in relazione a tutti e tre i gommoni. Malgrado i conseguenti ordini di desistere dall’operazione, impartiti dalla Guardia costiera italiana in linea con le direttive di cui al codice di condotta, l’ONG aveva portato a termine il soccorso di poco più di duecento persone, rifiutandosi altresì di consegnarle ai libici, malgrado le minacce di questi ultimi di ricorrere alla forza. Il giorno seguente, giunta nei pressi delle coste di Malta, Open Arms aveva consegnato alle autorità di quello Stato due soggetti in pericolo di vita, ma non aveva dato seguito alle indicazioni impartite dalla Guardia costiera italiana (ed anche da quella spagnola, intervenuta in ragione della bandiera), secondo cui avrebbe dovuto essere chiesta ai maltesi l’autorizzazione a sbarcare anche gli altri passeggeri. La nave dunque, di propria iniziativa, aveva proseguito alla volta delle coste italiane, dove era stata infine autorizzata ad attraccare, presso Pozzallo. In relazione a tali condotte, la Procura distrettuale di Catania ha formulato capi di imputazione per associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, con le aggravanti di avere favorito l’ingresso di più di cinque stranieri e di avere esposto i soggetti trasportati ad un pericolo per la propria incolumità (art. 12, co. 3, lett. a e b, nonché 3 bis t.u. imm.). Al riguardo, tuttavia, i giudici intervenuti in sede cautelare sono pervenuti a conclusioni discordanti. Il g.i.p. di Catania10 ha ravvisato il fumus del reato di favoreggiamento, escludendo la sussistenza di cause di giustificazione. Nel dettaglio, quanto alla “scriminante umanitaria” di cui all’art. 12, co. 2, t.u. imm., si rileva nel provvedimento che l’ambito di applicazione della fattispecie è testualmente limitato all’assistenza prestata nel territorio italiano. Si esclude anche, in un passaggio motivazionale assai succinto, la giustificazione dell’adempimento di un dovere di soccorso in mare, in considerazione dell’asserita violazione del codice di condotta – definito un’«appendice» della normativa sovranazionale sul diritto del mare – da cui discenderebbe l’irregolarità dell’ingresso dei migranti nel territorio italiano11. Infine, quanto allo stato di necessità, la sua negazione si fonda sui seguenti elementi: a) la presenza delle motovedette libiche, che escludeva il requisito dell’inevitabilità del pericolo; b) l’irrilevanza degli eventuali ulteriori rischi che i migranti avrebbero corso laddove riportati in Libia; c) in ogni caso, l’irrilevanza della scriminante per le condotte successive al salvataggio, segnatamente la decisione di portare i migranti proprio in Italia, senza nemmeno interrogare la più vicina Malta in merito alla loro disponibilità ad accogliere i migranti stessi12. Va subito aggiunto che, sempre con il provvedimento in questione, è stato escluso il fumus del reato associativo, con la conseguenza del trasferimento degli atti dall’ufficio distrettuale catanese a quello di Ragusa, nel cui circondario si sarebbe consumato il delitto residuo. Il cambio di competenza si è rivelato decisivo per l’esito della fase cautelare, posto che il giudice ragusano ha ritenuto di negare la convalida del sequestro preventivo ed ha ordinato la restituzione della Open Arms13 agli aventi diritto. Dopo avere escluso la sussistenza di un pericolo di naufragio (i gommoni, pur sovraccarichi, erano in buono stato di galleggiabilità e le condizioni meteo erano stabili), il provvedimento rileva che, in base al diritto internazionale del mare, le operazioni di soccorso devono completarsi e concludersi con lo sbarco in un porto sicuro (POS, place of safety). Tale non può certamente considerarsi – si legge nel decreto – il suolo libico, in ragione delle gravi e documentate violazioni dei diritti umani alle quali sono sistematicamente sottoposti i migranti ivi trattenuti14: il pericolo di un danno grave alla persona, dunque, non avrebbe potuto essere evitato se non attraverso il recupero dei migranti da parte di Open Arms, il cui equipaggio avrebbe pertanto agito in stato di necessità. Quanto poi alla possibilità di affidare le persone migranti alle autorità di Malta, vengono indicati una serie di elementi (mancata ratifica degli emendamenti delle Convenzioni SAR e SOLAS sull’obbligo di offrire un POS; correlata costante prassi di rifiuto di concedere l’attracco; assenza di prova, rispetto al caso di specie, in ordine alla disponibilità ad accogliere i migranti), ritenuti idonei a determinare una complessiva situazione di incertezza, a sua volta suscettibile di riflettersi sull’assenza di dolo in capo agli indagati.
I casi Iuventa ed Open Arms, proprio in quanto non rientrano nelle tradizionali ipotesi di soccorso in mare, sollevano delicate questioni in merito al sottile confine che separa il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina dalla lecita, anzi talvolta doverosa, assistenza nei confronti di migranti sans papiers, destinata a sfociare nel loro ingresso in Europa. Questioni, per vero, affrontate soltanto in parte nei provvedimenti cautelari sopra esaminati. Procedendo secondo l’ordine della sistematica tripartita, pare anzitutto non adeguatamente approfondita la questione della tipicità delle condotte. L’art. 12 t.u. imm., infatti, contiene un requisito di illiceità speciale, rappresentato dalla natura “illegale” dell’ingresso. É quanto meno dubbio, infatti, che tale possa considerarsi l’ingresso sul territorio da parte di richiedenti asilo, quanto meno fino all’eventuale rigetto della loro istanza di protezione internazionale15. Dai provvedimenti cautelari esaminati non emerge se le persone trasportate in Italia da Iuventa e Open Arms abbiano manifestato alle autorità italiane la volontà di richiedere asilo. In caso affermativo, la tesi della insussistenza di condotte riconducibili al fatto tipico ben potrebbe essere proposta, e comunque avrebbe dovuto essere valutata fin dalla fase cautelare del procedimento. Passando all’antigiuridicità, alcune questioni esegetiche meritano a nostro avviso maggiore approfondimento. Il dovere di soccorso in mare, anzitutto, non scatta soltanto in caso di pericolo imminente di naufragio, come sembrano ritenere i giudici finora intervenuti nei casi esaminati. Gli artt. 98 CNUDM e 33.1 SOLAS, infatti, utilizzano espressioni ampie («in danger of being lost», «persons in distress»), idonee a ricomprendere anche le situazioni in cui è prevedibile che l’imbarcazione si troverà in una situazione di pericolo, sebbene non sia ancora chiaro quando e con quale intensità16. Quanto allo stato di necessità, il pericolo deve considerarsi “attuale” non soltanto quando è “imminente”, bensì ogniqualvolta la realizzazione del danno appaia possibile in un futuro più o meno prossimo (con l’esclusione dei pericoli del tutto indeterminati), oppure quando sia necessario agire subito per evitare il prodursi, sempre in un futuro più o meno prossimo, di un danno altrimenti certo, secondo il modello “ora o mai più”17. Alla luce di tali considerazioni, in presenza di imbarcazioni fatiscenti e sovraccariche di migranti che tentano la traversata del Mediterraneo, va certamente esaminata con cura la possibilità che ricorra quel tipo di pericolo che, in termini tecnici, funge da presupposto tanto del dovere di soccorso in mare quanto del soccorso di necessità. Rispetto, poi, ai casi in cui la Guardia costiera libica assuma la responsabilità dell’operazione di soccorso, si manifesta con immediatezza il diverso approccio praticato dai giudici siciliani intervenuti nel caso Open Arms: se per il primo la circostanza varrebbe di per sé ad escludere il requisito dell’“inevitabilità altrimenti” del danno, e dunque la ricorrenza della esimente ex art. 54 c.p., il secondo ha rilevato come si debba, nella situazione data, rilevare l’insorgenza di un nuovo pericolo (quello della conduzione dei migranti presso i centri di detenzione libici), che giustificherebbe di per sé il recupero e la conduzione in un porto sicuro, poiché non altrimenti evitabile se non attraverso l’omessa consegna ai militari libici. Certamente più problematiche risultano le ipotesi – peraltro ancora da dimostrare in punto di fatto – delle “consegne concordate” tra ONG e trafficanti. Qui si può solo segnalare come, in dottrina, non sia mancata la voce di chi ritiene che perfino condotte siffatte possano essere coperte dalla scriminante del soccorso di necessità: esse infatti sarebbero pur sempre finalizzate a sottrarre delle persone dal pericolo, in questo caso perdurante, di subire trattamenti inumani e degradanti, quando non vere e proprie torture, sul suolo libico18. Occorre infine osservare che, anche così ridimensionato, l’ambito di applicazione dell’art. 12 t.u. imm. rimane abbastanza ampio da abbracciare condotte di agevolazione animate da finalità solidaristica; condotte il cui disvalore (se mai ve ne fosse alcuno) appare del tutto eterogeneo rispetto a quello ravvisabile nelle condotte degli smugglers veri e propri19. Recenti vicende, assurte alla ribalta mediatica (con riguardo ad esempio alla organizzazione di un matrimonio fittizio per agevolare l’ingresso di uno straniero, senza alcun ritorno economico20), documentano la portata espansiva della incriminazione, ed i suoi effetti nella pratica giudiziaria. La riconducibilità di condotte ispirate da ragioni solidaristiche ad una fattispecie dotata di un arsenale sanzionatorio particolarmente severo mette in dubbio la ragionevolezza delle scelte politico-criminali ad essa sottese, in primis sotto il profilo della proporzionalità della pena. Il problema verrebbe meno, in ottica de jure condendo, se la punibilità venisse limitata ai casi di favoreggiamento dell’ingresso irregolare commesso a scopo di lucro (come già previsto per il favoreggiamento della permanenza irregolare); soluzione che oltretutto non interferirebbe con la lotta ai trafficanti (i quali evidentemente agiscono solo per finalità economiche). Tale intervento, tuttavia, richiederebbe a monte una modifica degli obblighi di incriminazione di fonte europea, i quali appunto distinguono tra favoreggiamento dell’ingresso e della permanenza, prevedendo che solo nel secondo caso la punibilità possa essere circoscritta attraverso il dolo specifico di profitto21. Meno complessa sarebbe la strada della riformulazione della scriminante umanitaria di cui all’art. 12, co. 2, t.u. imm., attualmente limitata ai casi in cui la “assistenza umanitaria” è prestata in Italia a favore di stranieri irregolari già presenti sul suolo nazionale, in modo da ricomprendervi un più ampio ventaglio di condotte. Rispetto ad entrambe le soluzioni prospettate, occorre sottolineare come esse non si tradurrebbero nella sistematica impunità delle condotte agevolatorie prive di scopo di lucro, le quali potrebbero rilevare, sussistendone le condizioni, a titolo di concorso nel reato di ingresso irregolare nel territorio dello Stato (art. 10 bis t.u. imm.).
1 Sul punto v. le analitiche ricostruzioni di Bernardi, S., I (possibili) profili penalistici delle attività di ricerca e soccorso in mare, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2018, fasc. 1, 135136 e Masera, L., L’incriminazione dei soccorsi in mare: dobbiamo rassegnarci al disumano?, in Questione giust., 2018, 2, 225228.
2 Cfr. Frontex, Risk analysis for 2017, 32 (disponibile in www.frontex.europa.eu).
3 Il testo è disponibile su www.interno.gov.it.
4 Cfr. Papanicolopulu, I., Immigrazione irregolare via mare, tutela della vita umana e organizzazioni non governative, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2017, 3, 2427.
5 Il riferimento è agli obblighi di incriminazione di cui al cd. Facilitators Package, costituito dalla direttiva 2002/90/CE (art. 1-3) e della decisione quadro 2002/946/GAI (art. 1). Per una recente illustrazione della disciplina sovranazionale in materia di human smuggling, v. Escobar Veas, J., Il fine di profitto nel reato di traffico di migranti: analisi critica della legislazione europea, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2018, fasc. 1, 113-118.
6 Cfr. Cass. pen., 28.2.2014, n. 14510, in Dir. pen. cont., 4.6.2014, la quale, pronunciandosi in un caso in cui la condotta di trafficanti si era esaurita in acque internazionali, ha ritenuto applicabile la legge penale italiana in base allo schema dell’autoria mediata, ritenendo al contempo scriminate ex art. 54 c.p. le condotte dei soccorritori (peraltro non imputati) che avevano materialmente determinato l’ingresso dei migranti in Italia. Nello stesso senso v. Cass. pen., 22.12.2015, n. 11165. Per un’analisi critica di tali orientamenti, v. Bernardi, S., I (possibili) profili penalistici, cit., 139 s.
7 G.i.p. Trapani, decreto 2.8.2017, in Questione giust., 18.9.2017, con nota di R. Barberini. L’ordinanza è stata confermata dal Tribunale di riesame, con provvedimento inedito.
8 G.i.p. Trapani, cit., 1.
9 G.i.p. Trapani, cit., 141.
10 G.i.p. Catania, decreto 27.3.2018, in Questione giust., 31.3.2018, con nota di S. Perelli.
11 Secondo il g.i.p., infatti, le violazioni del codice di condotta «comportano la qualificazione di quei comportamenti che determinano l’ingresso di clandestini in Italia come contrarie al dettato della fattispecie criminosa di cui all’art. 12 del T.U. sull’immigrazione» (p. 13).
12 Cfr. g.i.p. Catania, cit., 14 e 21.
13 G.i.p. Ragusa, decreto 16.4.2018, in Questione giust., 19.4.2018, con nota di M. Patarnello. Il dissequestro è stato successivamente confermato dal Tribunale del riesame, con pronuncia inedita.
14 Vengono in particolare citati un rapporto di Amnesty International del 2017 ed il documento conclusivo della Commissione Difesa del Senato della Repubblica, dello stesso anno, sull’indagine conoscitiva sul contributo dei militari italiani al controllo dei flussi migratori nel Mediterraneo e sull’impatto dell’attività delle organizzazioni non governative, dai quali emerge come le «persone trattenute in strutture di detenzione in condizioni di sovraffollamento, senza accesso a cure mediche e ad un’adeguata alimentazione, e sottoposte a maltrattamenti, stupri e lavori forzati» (Cfr. g.i.p. Ragusa, cit., 14).
15 Il tema del “right to remain” durante l’esame della domanda di asilo è complesso e non può essere affrontato in questa sede. Per un inquadramento, v. Reneman, M., EU Asylum Procedures and the Right to an Effective Remedy, Hart Publishing, 2014, 117145.
16 In questo senso Komp, L.M., The Duty to Assist Persons in Distress: An Alternative Source of Protection against the Return of Migrants and Asylum Seekers to the High Seas?, in Moreno Lax, V.Papastavridis, E., a cura di, ‘Boat Refugees’ and Migrants at Sea: A Comprehensive Approach, Brill-Nijhoff, 2016, 243; Bernardi, S., I (possibili) profili penalistici, cit., 138, che, a sostegno di un’ampia nozione di pericolo in mare, richiama anche l’art. 9, § 2, lett. f) del regolamento UE n. 656/2014.
17 Sul punto, per tutti, Viganò, F., Art. 54, in Dolcini E.Gatta, G.L., diretto da, Codice penale commentato, IV ed., Milanofiori-Assago, 2015, pp. 10291030.
18 Masera, L., L’incriminazione dei soccorsi in mare, cit., 236.
19 In questo senso, v. Escobar Veas, J., Il fine di profitto nel reato di traffico di migranti, cit., 118.
20 G.i.p. Locri, ordinanza 26.9.2018, in Questione giust., 3.10.2018, con annotaz. di R. De Vito.
21 In tal senso dispongono le norme di cui al già menzionato “Facilitators Package” (v. supra, nota 5). L’attuale assetto della disciplina europea ha suscitato fondate critiche da parte di attenta dottrina, accompagnate da condivisibili proposte di riforma: cfr. Escobar Veas, J., Il fine di profitto nel reato di traffico di migranti, cit., 118120; Carta, M., La disciplina del traffico di migranti: prospettive di riforma nel sistema UE, in federalismi.it, 16.9.2016, 1129.