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In psicoanalisi e in psicologia, la rappresentazione che si compie nella coscienza del contenuto di un’esperienza sensibile. L’accezione psicoanalitica non si discosta dal significato classico che l’i. ha in filosofia e in psicologia: l’i. è contenuto ideativo, ossia «la riproduzione di una percezione precedente» (Jean Laplanche e Jean-Bertrand Pontalis, 1967), ma è anche l’effetto di una funzione mentale, ossia di «ciò che mette la mente in grado di presentare a sé stessa l’i. di qualcosa (di qualunque cosa) non attualmente presente» (Charles Rycroft, 1968). Va precisato che nei testi freudiani la definizione di i. nelle sue possibili e diverse accezioni, non è mai posta in modo perentorio né definitivo.
La teoria psicoanalitica distingue le i. consce da quelle inconsce e individua due livelli di rappresentazione: la rappresentazione di cosa – prevalentemente visiva, ma sempre polisensoriale (auditiva, olfattiva, tattile), in rapporto più immediato e diretto con le cose concrete; la rappresentazione di parola – prevalentemente auditiva – che le nomina. Sono i nessi tra queste due modalità di rappresentazione a costituire il tessuto del pensiero. Mentre le rappresentazioni inconsce sono costituite dalle sole rappresentazioni di cosa, quelle consce si fondano sul sodalizio tra rappresentazioni di cosa e di parola. L’i. conscia si correla alla memoria e al linguaggio, è ancorata all’esperienza percettiva della realtà e costituisce un serbatoio di ricordi facilmente rievocabili e comunicabili. Le tracce mnestiche, invece, che secondo Freud sono il modo in cui gli eventi sono trascritti nella memoria, sono depositate in varie versioni e possono essere riattivate quando sono reinvestite di affetti e pulsioni. Queste tracce mnestiche inconsce, depositate nella memoria inconscia (definita da Freud come «sistema mnestico inconscio»), sono collegate tra loro e danno vita a una catena associativa inconscia che influenza la vita della coscienza e anche le i. oniriche. Le rappresentazioni inconsce costituiscono infatti una fonte importante per le i. visive di tipo illusorio che compaiono nel sogno.
L’i. nasce innanzi tutto dall’assenza, dalla necessità del bambino di rievocare dentro di sé la madre (o chi per lei), dalla quale interamente dipende, nei momenti di separazione. In un equilibrato alternarsi di gratificazione e frustrazione, di assenza e presenza, si crea nella mente infantile l’i. materna. La cosiddetta allucinazione primitiva, come rievocazione dell’esperienza di sé in unione con lei, è vissuta come equivalente dell’oggetto (➔ oggetto transizionale) perduto, serve a consolare della mancanza e a costruire la speranza del ritorno; ma quando la madre riappare, alla percezione reale si sommeranno i ricordi, le aspettative, gli affetti connessi all’i. di lei. Tuttavia, l’attività immaginativa non è solo un derivato della mancanza, ma anche la precede; inoltre, proprio la spinta pulsionale originaria alla creazione dell’i. dell’oggetto che non c’è sancisce la non saturabilità del desiderio sul piano della realtà.
Gli affetti, difficili da comunicare a sé e agli altri, trovano la possibilità di esprimersi e di raffigurarsi legandosi a una rappresentazione; grazie alle i., il bambino impara progressivamente a riconoscere e memorizzare le proprie esperienze emozionali, e a costruirsi una propria i. di sé e del mondo. Le i. consce, inconsce e preconsce sono una fonte inesauribile per la nascita e lo sviluppo dell’immaginazione e della fantasia, che sono alla base della creatività, ma possono anche rivelarsi all’origine di disturbi del pensiero, quando si manifesta un’alterazione nel rapporto con la realtà, come per es. nelle allucinazioni, nella rimozione, nella scissione o nel diniego, che interrompono il nesso tra le diverse rappresentazioni o tra le rappresentazioni e gli altri contenuti mentali. La terapia psicoanalitica si propone di risalire a ritroso la catena associativa inconscia mediante le associazioni libere e, attraverso l’analisi del transfert e del controtransfert, di ricomporre il percorso delle rappresentazioni immaginative inconsce, riconfigurandole sul piano della coscienza, per individuare il punto in cui la loro costituzione è diventata patogena e si è quindi alterata la capacità di distinguere la realtà interna dalla realtà esterna.
Carl G. Jung ha introdotto in psicoanalisi il concetto di imago per intendere una rappresentazione inconscia che può oggettivarsi sia in sentimenti o condotte, sia in i. mentali complesse. Secondo Jung, tra l’i. (rappresentazione) inconscia e l’i. oggettivabile sul piano conscio può non esservi alcuna relazione; per es. l’imago di un padre severo può non corrispondere a un padre reale, che magari al contrario è molto indulgente. Jacques Lacan, che articola l’attività psichica in tre registri, immaginario, simbolico e reale, concepisce l’immaginario come repertorio dei miti, dei simboli e delle creazioni poetiche, ma collega l’i. non all’immaginazione come facoltà mentale, bensì alla rappresentazione inconscia legata al segno-oggetto a cui si riferisce. Eugenio Gaddini considera invece come prima espressione creativa della mente, nel bambino, le cosiddette protofantasie: contenuti mentali presimbolici, preraffigurativi, che non sono ancora i. ma rievocazione nella mente arcaica di modificazioni sensoriali dello stato di sé. Ignacio Matte Blanco, infine, valuta l’i. inconscia che influenza il piano della coscienza come un’espressione del prevalere di una delle due modalità del pensiero, quella definita simmetrica (rispetto alla modalità logico- razionale, detta asimmetrica), densa di valenze emozionali-affettive che possono interferire con la percezione della realtà sia in senso creativo, sia in senso patologico.