Imitazione
A partire dalla fine degli anni Ottanta del Novecento i ricercatori che lavorano nei diversi settori dell'antropologia, della psicologia e della biologia hanno compiuto significativi passi in avanti nello studio delle forme di apprendimento sociale, sia di tipo imitativo sia di tipo non imitativo. È infatti ormai noto che in molte specie di Vertebrati l'apprendimento sociale non imitativo svolge un ruolo importante per quanto riguarda la riproduzione, l'acquisizione di cibo e i comportamenti necessari per evitare i predatori. Sono stati anche condotti alcuni studi che dimostrano come non solo le grandi scimmie antropomorfe possano apprendere per imitazione: alcuni Uccelli e Mammiferi non appartenenti all'ordine dei Primati sembrano infatti in grado di imitare semplici atti motori dopo averli osservati in altri individui. Gli studiosi dell'apprendimento sociale (imitativo e non imitativo) negli animali si trovano dunque in una fase emozionante della ricerca. Forse oggi, dopo un secolo di tentativi, ci troviamo finalmente in una posizione che ci consente di iniziare a esplorare i processi cognitivi basilari dell'apprendimento imitativo negli animali e di confrontarli con quelli dell'apprendimento imitativo nell'uomo. Dopotutto, anche se un essere umano e una scimmia antropomorfa sono in grado di imitare, potrebbero comunque non farlo nello stesso modo.
La maggior parte degli scienziati che si dedica all'apprendimento sociale negli animali si interessa a uno dei due seguenti problemi. I primatologi e gli psicologi spesso cercano di scoprire se gli animali diversi dall'uomo possano imitare comportamenti che hanno visto eseguire da altri. A questi ricercatori un animale che impara una particolare azione semplicemente osservando un altro animale che la esegue offre la stimolante opportunità di studiare le capacità cognitive di specie diverse dalla nostra. Per altri ricercatori, invece, lo studio dell'apprendimento sociale negli animali riflette un interesse più generale nell'ecologia comportamentale. Il loro obiettivo, infatti, è quello di studiare l'apprendimento sociale per capire in che modo le informazioni acquisite da altri individui contribuiscano allo sviluppo di sequenze comportamentali adattive in animali che vivono in natura. Questi ricercatori, in breve, sono interessati alle interazioni sociali che in natura guidano il comportamento in direzioni utili.
Molto lavoro è stato fatto per definire con precisione i diversi tipi di apprendimento sociale e per classificarne vari esempi sulla base dei processi di apprendimento dai quali dipendono. L'apprendimento sociale a volte sembra essere prodotto da un processo di vera e propria imitazione (imparare a compiere un particolare atto motorio dopo averlo visto eseguire da altri); altre volte sembra invece dipendere da un processo di emulazione (imparare le cose necessarie per riuscire a risolvere un compito attraverso l'osservazione del comportamento di un modello, senza tuttavia imparare il comportamento del modello in sé e per sé), di incentivazione dell'interesse (imitazione apparente che risulta dall'indirizzare l'attenzione dell'animale verso un particolare oggetto o una parte delimitata dell'ambiente) o da altri processi comportamentali rigorosamente definiti.
Esistono vari tipi di tassonomia dei processi cognitivi e comportamentali implicati nell'apprendimento sociale, ciascuno dei quali richiede gradi diversi di complessità cognitiva. Per esempio, uno scimpanzé che osserva un altro scimpanzé andare a caccia di larve di insetti capovolgendo ceppi di legno con la mano sinistra potrebbe imparare che i ceppi sono oggetti interessanti (imparare qualcosa riguardo al proprio ambiente), oppure che, quando un ceppo viene capovolto, compare del cibo (imparare qualcosa sui cambiamenti nell'ambiente causati dal comportamento), oppure che infilare la mano sinistra sotto un ceppo e muoverla rapidamente verso l'alto è un comportamento che è ricompensato con il cibo (imparare qualcosa riguardo al comportamento di chi agisce). Se si utilizza la definizione più rigorosa e attuale di imitazione, soltanto quest'ultimo tipo di apprendimento, in cui lo scimpanzé che osserva impara direttamente qualcosa riguardo al comportamento dello scimpanzé che agisce, implicherebbe la presenza di un processo cognitivo completo di imitazione.
Questo 'vero' apprendimento imitativo sembra richiedere che un animale, o un essere umano, immagazzini una rappresentazione mentale visiva della configurazione dei movimenti eseguiti da un altro. Dal momento che colui che imita è raramente in grado di vedere i propri movimenti in modo da poterli confrontare con la rappresentazione visiva dell'atto da imitare immagazzinata in memoria, l'imitatore deve utilizzare le proprie sensazioni propriocettive e cinestesiche per produrre movimenti sulla base dell'informazione contenuta in memoria. Questo tipo di confronto di informazioni provenienti da diverse modalità sensoriali è considerato un compito cognitivo difficile da risolvere. È per questo che la presenza di un tale processo consente di distinguere l'apprendimento imitativo vero e proprio da altre forme potenzialmente meno complesse di apprendimento sociale (detto appunto 'non imitativo').
Forse il modo più semplice per presentare gli ultimi progressi compiuti nello studio dell'apprendimento sociale non imitativo consiste nel descrivere brevemente qualche esempio di studi recenti sui comportamenti appresi socialmente che sono potenzialmente in grado di contribuire alla sopravvivenza o al successo riproduttivo. Gli esempi che seguono sono stati scelti per mostrare sia la gamma di comportamenti che subisce l'influenza di forme non imitative di apprendimento sociale, sia le diverse modalità con cui l'informazione acquisita dagli altri può facilitare l'acquisizione di sequenze adattive di comportamenti. Si cercherà così di dimostrare, in primo luogo, che l'apprendimento sociale può giocare un ruolo nello sviluppo e nel mantenimento di molte sequenze di comportamento che contribuiscono al successo riproduttivo e, in secondo luogo, che alla base dell'apprendimento sociale vi sono vari processi comportamentali essenzialmente diversi tra loro. Sebbene i processi comportamentali alla base dei vari esempi di apprendimento sociale discussi qui di seguito differiscano considerevolmente tra loro, nessuno di essi è prodotto da una forma di apprendimento dove si impara un'azione particolare vedendola eseguire da un altro; ovvero, nessuno di quei processi è un esempio di apprendimento per imitazione. L'apprendimento per imitazione vera e propria sarà perciò descritto successivamente.
Alcuni decenni fa uno studioso di ecologia applicata, cercando di migliorare l'efficacia dei metodi di disinfestazione dai Roditori, scoprì che l'uso ripetuto di un solo tipo di esca avvelenata in una popolazione di ratti (Rattus norvegicus) faceva fallire miseramente qualsiasi tentativo di controllarne il numero di individui. Subito dopo l'introduzione delle esche avvelenate nell'area in cui viveva la popolazione sotto esame, si poteva osservare una diminuzione nel numero di ratti. Tuttavia, altre popolazioni di ratti, scelte come popolazioni focali e ripetutamente esposte a una stessa esca, ripristinavano ben presto le proprie dimensioni originali, e ciò per motivi assai semplici. Innanzitutto, nonostante subito dopo l'introduzione delle esche nel territorio della colonia la maggior parte dei ratti ne mangiasse dosi letali, in molte colonie accadeva che alcuni membri, al loro primo incontro con l'esca, ne mangiassero solo una piccola quantità che bastava a farli ammalare ma non a ucciderli. I ratti che sopravvivevano imparavano in una singola occasione ad associare il sapore dell'esca ai suoi effetti tossici e quindi a evitarla in seguito. Avveniva inoltre qualcosa di ancora più scoraggiante: i giovani ratti che raggiungevano la fase di svezzamento in colonie i cui membri erano sopravvissuti al loro primo incontro con l'esca avvelenata, rifiutavano anch'essi l'esca che gli altri membri della colonia avevano imparato a evitare e consumavano solo i cibi che i sopravvissuti mangiavano tranquillamente. Il comportamento di evitare la sostanza tossica, appreso dagli individui che sopravvivevano, era in qualche modo trasmesso ai giovani della colonia.
Evitare un'esca avvelenata, comportamento appreso socialmente dai ratti durante lo svezzamento, è un fenomeno rilevante e facile da studiare in laboratorio. Per questo motivo è stato possibile studiare il processo di apprendimento sociale che causa la trasmissione delle scelte alimentari dagli adulti ai giovani della propria specie. Innanzitutto, anche prima della nascita un giovane ratto può acquisire informazioni riguardo al cibo mangiato dalla madre, almeno per alcuni tipi di alimenti. Peter G. Hepper nutriva con aglio femmine di ratto in stato avanzato di gestazione e meno di un'ora dopo il parto assegnava i piccoli a madri adottive che non ne avevano mai mangiato. Quando i piccoli allevati dalle madri adottive avevano dodici giorni e ancora si nutrivano esclusivamente di latte materno, Hepper offriva loro due piatti tra cui scegliere, l'uno contenente aglio e l'altro cipolla; lo studioso ha scoperto così che i piccoli nati da femmine che avevano ingerito aglio mentre erano incinte si mantenevano nelle vicinanze del piatto con l'aglio, mentre i piccoli nati da femmine che non avevavo mangiato aglio durante la gravidanza non mostravano alcuna preferenza.
Inoltre, uno studio condotto da Bennett G. Galef jr (1977) ha dimostrato che il tipo di cibo che una femmina di ratto mangia mentre allatta può modificare il sapore del latte e che il sapore del latte con cui un piccolo è stato nutrito influenza le sue preferenze alimentari quando è svezzato. Per esempio, i piccoli di ratto, una volta svezzati, mostrano una preferenza per il tipo di cibo di cui si nutre una femmina che li allatta per parecchie ore, mentre non la mostrano quando interagiscono, per lo stesso numero di ore, con una femmina che si nutre di quel tipo di cibo e che si comporta in modo materno verso di loro, senza però allattarli. Durante lo svezzamento di piccoli selvatici si è osservato che di solito ciascuno mangia in prossimità di un adulto che a sua volta si sta nutrendo; i piccoli tendono cioè a non mangiare in posti nelle cui vicinanze non sia presente un adulto. Apparentemente, la presenza di un ratto adulto rende attraente per i piccoli una particolare postazione di foraggiamento e fa aumentare in modo considerevole la probabilità di imparare a nutrirsi del tipo di cibo che vi si trova. Anche se si anestetizza un ratto adulto e lo si colloca in stato di incoscienza in prossimità di una postazione di foraggiamento, quest'ultima diventa significativamente più attraente per i piccoli nella fase di svezzamento rispetto ad altre postazioni in cui non è presente un adulto. Tuttavia, questo non significa necessariamente che i ratti adulti debbano essere fisicamente presenti nelle vicinanze per guidare i piccoli verso una postazione di foraggiamento. Mentre mangiano, i ratti depositano infatti tracce olfattive nelle vicinanze di una fonte alimentare, sul cibo che consumano e lungo il percorso effettuato per tornare alla tana dopo aver mangiato. Tutti questi odori esercitano una forte attrazione sui giovani ratti e li inducono ad avvicinarsi e a preferire le postazioni di foraggiamento utilizzate dagli adulti.
Studiando le fasi successive allo svezzamento, è stato anche scoperto che un giovane ratto (l'osservatore), dopo aver interagito per qualche minuto con un conspecifico che ha appena mangiato del cibo (il dimostratore), mostra un sostanziale incremento della preferenza verso il tipo di alimento scelto dal conspecifico. Lo studio dei processi che inducono socialmente queste preferenze alimentari è iniziato con la seguente scoperta: quando il ratto osservatore veniva esposto a un dimostratore anestetizzato, la cui testa era stata cosparsa con un leggero strato di cibo in polvere (fig. 2), esso aumentava la propria preferenza per il cibo che trovava sulla testa del ratto che agiva da dimostratore, cosa che invece non avveniva mediante la semplice esposizione a batuffoli d'ovatta impregnati dell'odore del cibo. Mediante esperimenti di questo tipo si è scoperto che la presenza congiunta di uno dei costituenti dell'alito del ratto dimostratore, il disolfuro di carbonio, e di un particolare tipo di alimento produce sulle preferenze alimentari lo stesso effetto che assaggiare il cibo in presenza di un ratto che respira.
Le pinete israeliane sono abitate da colonie di ratti neri (Rattus rattus) che hanno una dieta composta quasi esclusivamente di pinoli e acqua. Osservazioni di laboratorio, condotte sul comportamento alimentare di ratti prelevati da colonie che vivono nelle pinete, mostrano che il metodo di foraggiamento che permette ai ratti di ricavare più energia dai pinoli di quanta non ne perdano per rimuovere le squame dure e non commestibili della pigna è basato sullo sfruttamento sistematico della struttura della pigna: le squame alla base della pigna devono essere tolte per prime e soltanto dopo si devono rimuovere le altre, seguendo la disposizione a spirale fino a raggiungere la sommità della pigna (fig. 3).
Osservazioni condotte in cattività su ratti prelevati da aree diverse da quelle delle pinete e ai quali siano state offerte delle pigne, hanno rivelato che solo 6 ratti adulti su 222, sebbene affamati, apprendono autonomamente a utilizzare il percorso a spirale necessario a rimuovere le squame delle pigne, un comportamento che consente un guadagno netto di energia nutrendosi esclusivamente di pinoli. D'altro canto, in pratica tutti i ratti allevati da adulti capaci di estrarre efficacemente i pinoli dalle pigne esibiscono la tecnica appropriata. Alcuni aspetti dell'interazione tra le madri capaci di estrarre i pinoli dalle pigne e i piccoli da loro allevati sembrano essere importanti per la trasmissione di questa tecnica da una generazione all'altra. Altri esperimenti hanno dimostrato che, quando giovani ratti fanno esperienza completando l'operazione di rimuovere le squame da pigne già parzialmente utilizzate da un ratto adulto (fig. 4), più del 70% di essi apprende il modo più efficace di intaccare le pigne. La tradizione dello sfruttamento delle pigne che si osserva nei ratti neri che abitano le pinete è particolarmente interessante dal punto di vista dell'ecologia comportamentale, perché dimostra chiaramente che l'apprendimento sociale può aprire nuove nicchie ecologiche ad alcuni membri di specie selvatiche.
Se si considera l'ampia gamma di predatori a cui molti animali sono vulnerabili, sembra difficile immaginare come possa essersi sviluppato un sistema innato per distinguere tutti gli animali innocui da quelli potenzialmente pericolosi. Tra l'altro, imparare a evitare i predatori attraverso l'esperienza individuale non può funzionare: i predatori devono infatti essere evitati fin dalla prima occasione in cui li si incontra. Non c'è il tempo di apprendere per prove ed errori. È un fatto ormai assodato che, al contrario delle scimmie antropomorfe e non antropomorfe nate in libertà e trasferite in laboratorio, le quali evitano risolutamente il contatto con i serpenti e con qualunque oggetto che possa sembrare un serpente, le scimmie nate e allevate in cattività sono relativamente indifferenti a quegli stessi oggetti. Susan Mineka e Michael Cook (1988) hanno studiato quali siano le risposte ai serpenti in scimmie allevate in cattività e quale influenza venga esercitata dall'osservazione di scimmie nate in libertà che mostrano di avere paura dei serpenti. Questi studiosi hanno riscontrato che le scimmie allevate in laboratorio, se all'inizio reagiscono poco o per nulla alla presenza di serpenti, dopo avere osservato le risposte esibite dalle scimmie nate in libertà imparano a reagire vigorosamente alla vista di un serpente. Questo effetto di reazione da parte delle scimmie allevate in laboratorio non sembra attenuarsi neanche dopo tre mesi.
È significativo notare che le scimmie non apprendono risposte emotive per nessun altro oggetto verso cui abbiano osservato le reazioni di un conspecifico. Cook e Mineka hanno mostrato a scimmie allevate in laboratorio videoregistrazioni di altre scimmie che esibivano il tipo di risposta suscitato dalla vista di un serpente; l'esperimento è stato compiuto dopo aver effettuato un montaggio in modo da far sembrare che le scimmie a volte mostrassero paura nei confronti dei serpenti, a volte nei confronti dei fiori. Le scimmie allevate in laboratorio imparavano ad avere paura dei serpenti, ma non dei fiori. Sembra dunque che le scimmie imparino selettivamente ad associare oggetti che sembrano serpenti alle risposte di paura esibite da altri membri della propria specie.
Sono stati raccolti recentemente risultati a favore dell'idea che l'apprendimento sociale influenzi direttamente anche la scelta del partner sessuale. Lee A. Dugatkin (1996) e i suoi collaboratori hanno esaminato il ruolo giocato dall'apprendimento sociale nella scelta del compagno effettuata dai parenti selvatici del guppy da acquario (Poecilia reticulata). Negli esperimenti di Dugatkin, ai lati di un acquario erano collocati due compartimenti stagni e ciascun membro di una coppia di pesci maschi, simili per dimensione e vivacità dei colori (qualità che attraggono le femmine di questa specie), era posto in uno dei compartimenti. Una femmina (il soggetto) era quindi collocata in un contenitore trasparente al centro dell'acquario e una seconda femmina (il modello) era segregata, per mezzo di una barriera di vetro, a un'estremità dell'acquario, nelle vicinanze di uno dei maschi. In questa situazione sperimentale, il soggetto femmina poteva osservare il maschio corteggiare la femmina modello vicina per 10 minuti. Alla fine di questo tempo, la femmina modello era rimossa dall'acquario, la femmina soggetto veniva rilasciata dalla porzione dell'acquario in cui era confinata ed era libera di scegliere tra uno dei due maschi che si trovavano nei loro compartimenti alle estremità dell'acquario. Dugatkin ha osservato che, su 20 femmine studiate, ben 17 sceglievano di stare nelle vicinanze del maschio che avevano visto corteggiare la femmina modello.
Ma ancora più sorprendenti sono le osservazioni secondo le quali i maschi di una specie di Pesci della famiglia dei Pecilidi (Poecilia latipinna), che si accoppiano frequentemente con le femmine di un'altra specie (Poecilia formosa), di fatto aumentano il proprio successo riproduttivo con le femmine della propria specie per mezzo di questi accoppiamenti interspecifici. Le femmine di Poecilia latipinna tendono infatti a preferire i maschi che hanno visto accoppiarsi, anche se questi lo hanno fatto con femmine di Poecilia formosa.
Piuttosto comunemente sono pubblicate osservazioni informali su animali di ogni specie, dagli scimpanzé (che secondo alcune descrizioni sarebbero capaci di imparare ad aprire barattoli di vernice, a temperare matite e a utilizzare la carta vetrata) ai delfini (un resoconto riporta che avrebbero copiato un sommozzatore che puliva i vetri del loro acquario), che imparano complesse sequenze motorie per mezzo dell'imitazione. Ora, esistono due importanti ostacoli nell'accettare queste osservazioni, per quanto accurate, come dati attendibili per studiare le capacità cognitive di specie diverse dalla nostra.
In primo luogo, in mancanza di osservazioni sistematiche è molto difficile sapere con quale frequenza gli animali eseguano questi comportamenti apparentemente imitativi, cioè se questi siano sporadici o casuali. Milioni di persone che possiedono animali domestici sono pronte a riferire di quelle rare occasioni in cui un animale sembra avere copiato spontaneamente un comportamento mostrato dal padrone, mentre nessuno nota mai gli svariati milioni di volte in cui gli animali da compagnia vedono il proprio padrone eseguire un comportamento che sarebbe utile imparare, ma non riescono affatto a copiarlo. In secondo luogo, è difficile determinare sulla base di osservazioni scientificamente non accurate come questi comportamenti imitativi si sarebbero sviluppati negli animali che li esibiscono. Il presunto imitatore ha di fatto osservato un comportamento e successivamente lo ha riprodotto? O piuttosto il comportamento del padrone ha fatto sì che la sua attenzione si focalizzasse su qualche oggetto, per esempio una porta, che poi l'animale ha provato ad aprire decine o centinaia di volte prima di riuscirvi? Per evitare tutti questi problemi, nello studio dell'imitazione si è cercato di trovare situazioni in cui i soggetti che imitano sono animali che vivono in laboratorio, oppure sono stati utilizzati metodi quantitativi di osservazione del comportamento e si è potuto così superare l'iniziale scetticismo di etologi e psicologi riguardo all'imitazione animale.
Mentre lavoravano nel Borneo in un campo per la reintroduzione in natura degli oranghi, Anne E. Russon e Biruté M.F. Galdikas (1993) hanno descritto accuratamente dozzine di comportamenti umani complessi che le scimmie sembravano ripetere. Per esempio, il personale del campo travasava regolarmente il carburante dai bidoni alle lattine mediante aspirazione da un tubo di gomma. Una femmina adulta di orango è stata vista in un capannone dove si conservavano i bidoni di carburante mentre svitava il coperchio sia di un bidone sia di una lattina, per inserire un'estremità del tubo nel bidone. La scimmia ha poi inserito l'altra estremità del tubo in bocca e sulle sue guance sono apparse fosse, come se essa stesse succhiando. Dopo molte manipolazioni del tubo e del bidone, l'orango ha inserito l'estremità del tubo che aveva preso in bocca nella lattina aperta. Nonostante il fatto che il bidone selezionato dall'orango fosse vuoto e che l'intervallo di tempo tra succhiare a un'estremità del tubo e inserirlo nella lattina fosse inappropriato, la sequenza comportamentale era in tutto e per tutto simile a quella che viene eseguita da un essere umano mentre travasa del carburante.
Anche se non è possibile sapere, in circostanze non controllate, come la scimmia possa essere giunta a strutturare una tale sequenza di comportamenti, i tanti esempi descritti da Russon e Galdikas sembrano suggerire che in circostanze appropriate gli oranghi siano capaci di imitare. Si è visto infatti che, quando esiste una stretta relazione sociale tra un modello umano e una scimmia, aumenta la probabilità che questa lo imiti. Considerando questo risultato, non sorprende che alcuni tra i più promettenti e attuali studi di laboratorio sulla capacità delle scimmie antropomorfe di imitare gli esseri umani abbiano utilizzato come soggetti scimmie allevate in stretto contatto con esseri umani.
Michael Tomasello (1996) e i suoi colleghi hanno studiato l'apprendimento imitativo di scimpanzé 'acculturati', cioè allevati da umani e addestrati a utilizzare un linguaggio simile al nostro, confrontandolo con quello di bambini di due anni e di altri scimpanzé allevati liberamente dalle proprie madri. Tutti i soggetti osservavano un essere umano che svolgeva la funzione di modello e dimostrava una serie di azioni nuove dirette verso un oggetto. Per esempio, i soggetti dell'esperimento vedevano un modello umano sistemare una palla sulla propria testa e utilizzare una leva per sollevare il coperchio di un barattolo di vernice. Ai bambini veniva detto "fai questo" e le scimmie erano preaddestrate a riprodurre azioni a loro familiari eseguite da un dimostratore umano. Ora, mentre le scimmie allevate dalle proprie madri naturali erano quasi completamente incapaci di imitare le azioni nuove dimostrate dallo sperimentatore, i bambini di due anni e le scimmie allevate dagli umani e addestrate al linguaggio imitavano invece le azioni dello sperimentatore con notevole frequenza.
In una serie di studi condotti da Cecilia M. Heyes (1996) e collaboratori, alcuni ratti guardavano attraverso la finestra di uno schermo un altro ratto che era stato precedentemente addestrato a muovere verso destra o verso sinistra una leva sospesa al soffitto della gabbia in cambio di una ricompensa in cibo. A questo punto, il ratto dimostratore era rimosso dal dispositivo e il ratto osservatore era sistemato al suo posto nel compartimento della gabbia contenente la leva. L'osservatore poteva premere la leva in qualsiasi direzione ottenendo una ricompensa a ogni spostamento. Per alcuni osservatori, la leva era nella stessa posizione durante la fase di addestramento e in quella di test; per altri, la leva era spostata da una posizione vicina allo schermo a una vicina alla parete frontale del dispositivo (fig. 5). In entrambe le condizioni, ciascuno dei ratti osservatori mostrava nettamente la tendenza a spingere la leva proprio nella direzione in cui la muoveva il dimostratore precedentemente osservato.
Infine, Bruce R. Moore (1992) ha fornito prove videoregistrate decisamente sorprendenti di imitazione di esseri umani da parte di un pappagallo cinerino (Psittacus erithacus) chiamato Okichoro. Per un periodo di cinque anni, Moore andava a visitare la voliera diverse volte al giorno. Durante ciascuna delle sue visite eseguiva ripetutamente movimenti ben distinti, ognuno accompagnato da una parola o da una frase diversa. Per esempio, ogni giorno Moore, allontanandosi dalla voliera di Okichoro, lo salutava agitando la mano e diceva "ciao". Okichoro ha imparato presto a dire "ciao" e, alla fine del primo anno, è stato visto pronunciare la parola "ciao" e allo stesso tempo agitare la zampa mentre era da solo nella voliera. Quando si trovava nella voliera di Okichoro, Moore diceva anche "guarda la mia lingua", poi apriva la bocca e tirava fuori la lingua. Trascorso un certo periodo dal momento in cui Okichoro aveva imparato a dire "ciao" e ad agitare la zampa, è stato registrato mentre diceva "guarda la mia lingua", apriva la bocca e tirava fuori la lingua; raramente questi comportamenti venivano eseguiti nell'ordine sbagliato. Nel corso di cinque anni di studio Okichoro è stato osservato mentre copiava molte azioni diverse che coinvolgevano ben sei differenti parti del corpo. A ciascuna delle azioni Okichoro associava una frase appropriata.
Nonostante sembrino suggestivi esempi di imitazione vera, per alcuni scienziati questi dati sono decisamente controversi perché è difficile accertare se le sequenze motorie utilizzate dai soggetti per riprodurre il comportamento di un modello siano effettivamente nuove e non appartengano già al repertorio comportamentale dell'imitatore. In questo caso, osservare il comportamento di un altro animale permette all'imitatore soltanto di imparare in quali circostanze eseguire tale comportamento. Le teorie attuali sull'imitazione non hanno ancora stabilito chiaramente se la produzione di un particolare comportamento, che fa già parte del repertorio di un animale, in seguito all'osservazione di un modello vada considerata come un esempio di vera imitazione.
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