imitazione
Insieme di processi cognitivi che portano a modellare il proprio comportamento su quello di un altro individuo, in maniera conscia oppure inconscia.
Sin dalle prime fasi dello sviluppo psicologico, l’individuo apprende nuovi concetti, abilità e aspetti del carattere osservando e riproducendo il comportamento altrui. Secondo Jean Piaget, che ha identificato alcuni stadi evolutivi dell’i., il neonato è già capace di i. riflessa di tipo sensomotorio, per es. reagire al pianto con il pianto. A partire dai 2 mesi il bambino diventa capace di i. funzionale, per cui la ripetizione di gesti motori è motivata dal semplice piacere di agire indipendentemente dal significato degli stessi. Dai 6 mesi in poi compare l’i. significante, dove l’obiettivo del bambino è la realizzazione di un desiderio. A 2 anni di vita si manifesta l’i. differita o indiretta, di fondamentale importanza perché la riproduzione del gesto o del comportamento avviene a distanza di tempo e di spazio dall’evento osservato; l’i. differita non riproduce più meccanicamente il comportamento modello ma lo reinterpreta significativamente, e quindi presuppone lo sviluppo della capacità di memorizzare e di usare simboli. Infine Piaget parla di i. propria come strumento consapevole di apprendimento dall’ambiente. L’i. è presente non solo nell’uomo ma anche in alcune specie animali, soprattutto primati superiori come gli scimpanzé, e fu descritta già da Charles Darwin (➔ comportamento sociale, La trasmissione culturale). A livello cerebrale sono stati scoperti particolari cellule nervose, i neuroni specchio (➔ neurone, Neuroni specchio), localizzati nella corteccia premotoria del lobo frontale, che si attivano selettivamente quando la scimmia osserva un conspecifico eseguire gesti noti; tali neuroni specchio fanno parte di un complesso sistema di aree e fibre nervose che, nel cervello dei primati, è composto dalla cortecce temporale superiore, parietale posteriore e frontale inferiore ed è deputato alla codifica delle rappresentazioni delle azioni altrui e proprie. Studi di imaging cerebrale funzionale hanno individuato lo stesso circuito anche nel cervello umano.
Lo psicoanalista italiano Eugenio Gaddini nel lavoro del 1968 Sull’imitazione descrive due aree del funzionamento mentale primitivo, coesistenti e interagenti poi in diversa misura per l’intero arco dell’esistenza: l’area psico-orale, nella quale l’impulso a possedere l’oggetto conduce l’individuo a confrontarsi con esso al livello del conflitto, della pulsione, della dipendenza nella dimensione del rapporto; l’area psico-sensoriale è invece l’equivalente psichico della percezione primitiva (imitare per percepire), per cui si ha l’illusione di diventare, di essere l’oggetto per semplice contatto. I processi imitativi operano al servizio dei bisogni di fusione, nel regime delle fantasie di onnipotenza, poiché in una dimensione magica e immediata consentono di evitare le angosce della separazione e della dipendenza: essere l’oggetto significa non riconoscerlo come esterno e come diverso da sé. L’equilibrio tra questi due processi conduce alla stabile costruzione dell’identità, mentre il prevalere del funzionamento imitativo conduce a organizzazioni psichiche apparentemente ricche e brillanti, ma in realtà fragili, instabili e superficiali: il soggetto non è consapevole della sua patologia e resiste tenacemente a ogni tentativo di metterla in luce. Nella situazione clinica può essere difficile distinguere le personalità imitative da altre personalità segnate da aspetti di ‘falsificazione’ dell’identità, quali le personalità ‘come se’ descritte da Helen Deutsch, il ‘falso Sé’ (➔ identità, Falso Sé) descritto da Donald Winnicott, o gli individui con più o meno imponenti tratti di funzionamento al livello del ‘nucleo ambiguo’ nel senso di José Bleger.