imaginazione
Il termine (dal latino imaginatio), tranne un'occorrenza del Convivio, ricorre nella Vita Nuova dove, in alternanza con ‛ fantasia ' (v.), indica sia la facoltà o ‛ senso interno ' dell'anima (cfr. Alb. Magno An. III I 9 " sunt quinque sensus interiores, sensus communis, imaginatio, aestimativa, phantasia et memoria; et phantasia communiter accepta claudit in se imaginationem et phantasiam proprie dictam ") che altrove D. specifica come ‛ imaginativa ' (v.), sia - più genericamente - il prodotto di tale facoltà. Come senso interno l'i. è la facoltà che rattiene le forme sensibili astratte dalle cose (imagines o phantasmata) tramite i sensi, e che l'intelletto trae a sé come materiale di conoscenza (cfr. Arist. Anima III 3, 427b 14 ss.; 7, 431a 16 ss.; 8, 432a 7 ss.; 10, 433a 9 ss.).
Assai controversa è la collocazione dell'i. nelle partizioni antiche e medievali delle facoltà dell'anima. Nella formulazione più semplificata di Galeno, che trovò accoglienza in medici e filosofi arabo-ebraici (al Razi, Isacco Giudeo, Ibn Gabirol, Abraham ibn Ezra, Maimonide, ecc.) la suddivisione è: phantasia o imaginatio (φαντασία), cogitatio o ratio (διάνοια) e memoria (μνῆσις), ed è quella a cui sembra attenersi D. nella Vita Nuova (cfr. Costantino Africano De communibus... locis [= ‛ Alī ibn al- ' Abbās, Pantegni] IV 9 " Quod a solo cerebro efficitur ordinatio est; quae in tria dividitur: phantasiam, rationem et memoriam. Sensus et motus voluntarius nervis conficiuntur mediantibus... Unumquodque trium in cerebro locum habent, ubi sedent et unde exeunt. Locus enim imaginationis ventriculi sunt in puppi cerebri, in quibus est spiritus animatus, qui has actiones exequitur. Harum unaquaeque propria habet actionem. Virtus enim imaginationis quod format et imaginatur mittit intellectum "). In altri filosofi, soprattutto Alfarabi e Avicenna, la primitiva partizione aristotelica viene arricchita e variata (con Avicenna si arrivano a distinguere sette sensi interni) e così trasmessa al mondo latino e alle scuole medievali. L'i. viene in genere distinta in i. ‛ retentiva ', che ritiene e serba le forme sensibili, anche in assenza dei corrispondenti oggetti esterni, e in i. ‛ compositiva ' che tali immagini suddivide e compone, indipendentemente dalla realtà esteriore, dando luogo anche a immagini irreali. Nel primo caso è messa in rilievo la funzione puramente recettiva e conservativa dell'i., nel secondo la sua capacità di operare liberamente sulle forme sensibili ricevute dai sensi, producendo rappresentazioni che a loro volta impressionano il senso comune e i sensi. Così l'imaginatio diviene la tipica facoltà delle rappresentazioni interiori, vere o fallaci; essa, sotto lo stimolo delle intelligenze celesti o della disposizione dell'organismo corporeo, produce sogni e visioni che, se veraci, si caratterizzano come divinazioni e profezie. L'i., inoltre, se opera con particolare intensità, è in grado a sua volta d'impressionare il corpo (Avicenna An. IV 4 " cum... imaginat anima aliquam imaginationem et corroboratur in ea, statim materia corporalis recipit formam habentem comparationem ad illam aut qualitatem ") e le sue funzioni, fino a produrre veri e propri effetti ad extra (Arnaldo di Villanova Regim. sanitatis 9 " imaginatio facit casum, imaginationes imprimunt res naturales "). In conseguenza di tali caratteristiche l'i. è fatta coincidere ora con la fantasia, come in D., ora con l'immaginativa, ora con l'estimativa o cogitativa; Avicenna, discutendo sulla differenza tra imaginatio-imaginativa e phantasia, così affermava: " inter hanc virtutem [l'immaginativa] et primam [la fantasia] existit differentia, quod prima est recipiens et custodiens id quod ad eam pervenit de formis sensu perceptis. Et ista est illa quae se exercet in eis, quae in imaginatione recondita sunt, exercitio componendi et dividendi. Et praesentes sibi efficit formas, quemadmodum perveniunt a sensu, et alias formas ab eis diversas, sicut hominem volare, et montem smaragdinum " (Canon I I 1 5; v. anche An. IV 1). L'i. in ogni caso è una ‛ virtù ' o ‛ facoltà organica ', in quanto è collocata in un organo del corpo (il lobo anteriore del cervello), e mediante esso opera.
Nell'ambito di tale nozione è l'uso di D., legato alla tripartizione galenica e alla trattatistica medica. In apertura della Vita Nuova è appunto raccontata la genesi dell'amore per Beatrice in termini di medicina medievale: suscitati e commossi dalla forma sensibile della donna, penetrata negli occhi, spirito vitale, che ha sede nel cuore (II 4), spirito animale, che ha sede nel cervello (§ 5) e spirito naturale, che ha sede nel fegato (§ 6), generano nel cuore, sede dei sentimenti, il desiderio amoroso (cfr. Avicenna An. V 8 " Cor est principium primum et ab ipso emanant virtutes ad cerebrum, quarum quaedam suas actiones perficiunt in cerebro et in partibus eius, sicut imaginatio... Et a corde emanat ad epar virtus nutriendi deinde emanat ab epate ad totum corpus "). L'i., che impressionata dagli spiriti sensitivi i quali portano le loro percezioni al cervello, riceve e custodisce tale immagine, la ripresenta - anche in assenza della donna - al senso comune, alimentando in tal modo l'amore: ed è ciò che dice D. quando afferma: Amore segnoreggiò la mia anima... per la vertù che li dava la mia imaginazione (§ 7; qui i. è da intendersi specificamente come virtù organica).
Oltre che retentrice di forme, l'i. come produttrice di imagines o visioni assume un ruolo primario nella Vita Nuova. L'i. che esercita liberamente il gioco delle immagini diviene in D. luogo di realtà interiori concorrenti per valore rappresentativo con quelle esteriori. Di qui il libero scambio tra realtà interna ed esterna dove l'i. non ricopre il ruolo riduttivo di suscitatrice di finzioni letterarie, bensì quello di vera generatrice e apportatrice di ‛ eventi '.
Così, come in luogo interiore, l'amore ne la mia imaginazione apparve come peregrino leggeramente vestito e di vili drappi (Vn IX 3), e dopo che ebbe parlato a D., disparve questa mia imaginazione tutta subitamente (§ 7; si noti come questo apparire ‛ interno ' di Amore si scambia liberamente con quello ‛ esterno ' e oggettivo del § 9 3 trovai Amore in mezzo de la via). L'i. quindi inerisce direttamente alle personificazioni e alla costruzione di blocchi di realtà immaginata, connessi senza soluzione di continuità agli accadimenti reali. Non i. poetica genericamente presupposta all'invenzione letteraria, ma facoltà organica che coinvolge fisicamente D. personaggio, nei termini della psicologia e medicina medievale.
Non a caso prende avvio da una dolorosa infermitade (Vn XXIII 1) quello stato di smarrimento e di farneticazione che è segno di corruzione dell'organo dell'i.: cominciai a travagliare si come farnetica persona ed a imaginare (§ 4; che è appunto la sindrome della phraenesis comunemente descritta dai medici medievali: " Fraenesis est passio immaginationis ex febre ", Catholica Magistri Salerni; " Fraenesis est alienacio mentis cum febre ", Trattato delle cure, in P. Giacosa, Magistri Salernitani, Torino 1901, 90, 181). Tale infermità che altera le funzioni vitali (e furon sì smagati / li spirti miei, che ciascun giva errando, Vn XXIII 22 37-38) e impedisce l'esercizio della ragione (l'anima mia fu sì smarrita, § 21 32), svincola l'i. dal controllo della facoltà conoscitiva e dalla conformità con la realtà esterna (e poscia imaginando, / di caunoscenza e di verità fora, § 22 39-40), sì che vengono rappresentate al senso comune immagini non verosimili (Poi vidi cose dubitose molte, / nel vano imaginare ov'io entrai, § 23 43-44) che tali appariranno solo dopo aver lasciato questo farneticare per tornare alla verace condizione (§ 30), cioè alla sanità di corpo e all'esercizio della retta ragione. Avicenna così analizzava il caso di sogni o visioni in stato d'infermità (An. IV 2): " in hora dormiendi, aut... in infirmitatibus quae debilitant corpus et impediunt animam ne habeat intellectum et cognitionem... imaginatio potest niti et converti ad formalem [che coincide con l'i. ma in quanto attiva e produttiva di forme] et iniungere ei operari, et earum adunatio confortatur simul, et actio formalis fit manifestior, et formae quae sunt in formali praesentantur in sensu communi et videntur quasi habeant esse extrinsecus... et propter hoc videt epilecticus et perterritus et soporatus imaginationes existentes qualiter vere videt in tempore salutis et etiam audit sonos, si autem cognitio et intellectus subvenerint... delebuntur formae illae et imaginationes ". L'i. alle volte sovrasta le altre facoltà in uno stato di dormiveglia (Avicenna An. IV 2 " contingit autem aliquibus hominibus quod haec virtus imaginativa sit creata fortissima et praevalens... Isti habent in vigiliis quod alii in somnis... saepe... contingit eos in ultimo absentari a sensibilibus et accidit eis quasi dormitatio ") e libera le forme in essa riposte dando luogo ad apparizioni che, specie nei casi d'insanità di corpo, assurgono al ruolo di allucinazioni veridiche (Alb. Magno Somm. et vig. III II 4 " infirmi et quasi amentes homines et fatui... sunt optime futura praevidentes et recte somniantes frequenter... Hi vident multiplices visiones et ordinatas aliquando, saepe autem inconcinnas, maxime quando vigilant "): è il caso di D. che, colto da forte smarrimento (Vn XXIII 4), ‛ chiuse gli occhi ' ma rimase in stato di veglia: si trassero verso me per isvegliarmi, credendo che io sognasse, § 12. In tali condizioni, accuratamente definite da D., l'i. o ‛ fantasia ' (il loro uso è scambievole) diviene non solo facoltà organica, ma vero e proprio ‛ luogo visivo ': Allora cominciai a piangere... e non solamente piangea ne la imaginazione, ma piangea con li occhi, bagnandoli di vere lagrime (§ 6), dov'è da notare che il rapporto visione-realtà è qui posto secondo la correlazione, tecnica e non arbitraria, tra ‛ senso interno ' (imaginazione) e ‛ senso esterno ' (occhi), l'uno luogo di pianto immaginario, l'altro di vere lagrime.
Un uso più generico di ‛ visione ' come prodotto della facoltà immaginativa troviamo in Vn XXIII 9 In questa imaginazione mi giunse tanta umilitade per vedere lei (dov'è sempre presente la nozione d'i. come ‛ luogo ' di realtà interiori; cfr. § 23 43-44 vidi cose... / nel vano imaginare ov'io entrai), e ancora: questa mia imaginazione (§ 31, due volte), questa vana imaginazione (XXIV 1), mi giunse una imaginazione d'Amore (§ 2), Beatrice si mosterrà dopo la imaginazione del suo fedele (§ 4). In Cv IV XXV 7 [i pudichi] dove pure alcuna imaginazione di venereo compimento avere si puote, tutti si dipingono ne la faccia di palido o di rosso colore, indica l'atto della facoltà immaginativa che rappresenta e prefigura alla mente una realtà non presente (quindi " rappresentazione ") ed è in grado d'impressionare il corpo e mutarne la condizione (Avicenna Vir. cordis I 8 " imaginatio autem movet non secundum id quod in re, sed secundum id quod in ea repraesentatur ").
Più volte D. sottolinea la ‛ vanità ', ‛ fallacia ' e ' parvenza ' delle sue i. (cospicuo è in tali contesti l'uso di ‛ apparire ' - ‛ parere '): vana imaginazione (Vn XXIV 1), errare che fece la mia fantasia (XXIII 4), errare la mia fantasia (§ 5), erronea fantasia (§ 8), fallace imaginare (§§ 15 e 26 65), vana fantasia (§ 29). Tale inganno o deceptio non coinvolge le qualità profetiche delle visioni, ma riguarda l'improprio scambio che in esse avviene tra forme sensibili impresse dall'i. nei sensi e cose stesse (cfr. Alb. Magno Somn. et vigil. II I 3 " in somno est deceptio: eo quod forma sensum afficiens accipitur ut re ipsa: deceptionem autem istam etiam in vigilantibus quibusdam aegris, ut melancholicis et phraeneticis et maniacis "; I 7 " facilitas deceptionum in sensibus tam in dormiendo quam in vigilando, est ex passionis vehementia in qua existimus "; v. anche Aristotele Somn. et vigil. II 2-3).
Da rilevare infine l'uso tecnico della locuzione forte imaginazione: Vn XXIII 10 e sì forte era la mia imaginazione, che piangendo incominciai a dire, e XXXIX 1 si levoe un die... una forte imaginazione in me (cfr. anche forte fantasia, in XXIII 8 e 13 e, all'opposto, lieve fantasia col valore di debilis, in Cv IV XV 15). Con l'espressione imaginatio fortis i medici medievali indicavano lo stato di particolare intensità nell'operazione di questa facoltà, ed era requisito essenziale alla condizione onirica e profetica, allorché il ‛ vigore ' dell'attività immaginativa soverchia gli altri sensi interni e attira a sé l'anima (Avicenna An. IV 2 " Eorum autem qui haec vident vigilantes, quidam vident sic propter nobilitatem suae animae et quia eius anima fortis est et propter fortitudinem suae imaginationis et memoriae quam non impediunt sensibilia a suis propriis actionibus. Quidam vero vident propter absentationem suae discretionis et quia anima quam habent alienata est a sua ratione. Sed cum hoc imaginatio est fortis, et est potens accipere absentia dum vigilat "; v. anche CANON III I 1 6). V. anche IMAGINARE; IMAGINE.
Bibl.- H.A. Wolfson, The internal Senses in Latin, Arabic and Hebrew Philosophic Texts, in " Harvard Theological Review " XXVIII (1935), 69-133; M.D. Chenu, Imaginatio. Note de lexicographie philosophique médiévale, in Miscellanea G. Mercati, II, Città del Vaticano 1946, 593-602.