Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Alla fine del XVI secolo il Regno di Polonia e Granducato di Lituania, come si definiva la “repubblica comune” dopo l’accordo di Lublino nel 1569, entra in una crisi irreversibile che rovescia in poco tempo l’immagine di un Paese che, nell’Europa orientale, aveva giocato (e per alcuni versi sembrava ancora giocare) un ruolo di grande potenza.
La democrazia nobiliare
Nel XVII secolo il processo espansivo che aveva assicurato l’incorporazione della Volinia, della Podlasia e di una parte cospicua dell’Ucraina si arresta; il meccanismo politico della “democrazia” nobiliare, con l’impoverimento morale di una parte importante del ceto che la praticava, si inceppa; il ruolo del porto di Danzica nel quadro del grande commercio granario del Baltico risulta indebolito, mentre l’economia complessiva del Paese si va disgregando; la diffusione della cultura sarmatica nelle terre rutene appartenenti all’area bizantina subisce un forte rallentamento e resta solo la penetrazione della Chiesa cattolica nell’ortodossia come testa d’ariete per entrare in Moscovia; città quali Cracovia e Leopoli avviano un processo di “provincializzazione”, perdendo il legame con i grandi commerci internazionali e rinunciando in modo definitivo a fare affiorare una classe borghese. L’umanesimo già radicato nell’Università jagellonica, e che, anche con il contributo di una notevole emigrazione intellettuale, aveva impregnato tutte le discipline (dalla teologia e filosofia alla giurisprudenza e letteratura), risulta estenuato a causa delle pratiche della Controriforma; le formazioni protestanti, da quella luterana a quella calvinista, e le sperimentazioni “ereticali”, prima di tutte quella legata all’antitrinitarismo in procinto di trasformarsi in unitarianismo, entrano così nella spirale della repressione.
Con Sigismondo III Vasa, figlio di Caterina Jagellone e di Giovanni III re di Svezia, si afferma definitivamente (annullando quanto fatto da Bona Sforza e Sigismondo Augusto per passare all’ereditarietà) il principio del sovrano eletto da tutta la nobiltà del Paese, convenuta in massa a Varsavia, che esige il giuramento agli articoli contenenti la sostanza costituzionale del Paese (pacta conventa). Il sovrano eletto accetta che il potere legislativo sia prerogativa della Dieta ordinaria, convocata ogni due anni per sei settimane, dalla quale viene indicato come vincolante l’indirizzo politico dello Stato; accetta inoltre che il potere esecutivo, formalmente nelle sue mani, sia in realtà controllato e di continuo limitato dall’azione dei funzionari nominati a vita. Esiste anche un Senato, evoluzione dell’antico Consiglio del re, in cui siedono i magnati laici ed ecclesiastici. Ma il Senato e il sovrano, senza il consenso delle Diete provinciali della nobiltà (la cui proiezione centrale sarà la Dieta generale), non governano. Alla base di questo rapporto tra la corona (insieme al Senato) e la nobiltà sta l’idea di avere una sorta di equilibrio dei poteri ovvero la democrazia nobiliare, poiché che la Dieta limita con le sue iniziative gli sconfinamenti della più alta aristocrazia. Inoltre, la nobiltà intende anche limitare i diritti del ceto intermedio bloccandone l’evoluzione. La Dieta, infatti, in un momento particolarmente critico, è riuscita ad approvare una norma di legge per la quale alla borghesia viene interdetto l’accesso alla proprietà fondiaria.
Però, con Sigismondo, succeduto al transilvano Stefano Batory e rimasto sul trono dal 1587 al 1632, il modello polacco, che sembrava avere avuto la possibilità di creare una grande potenza senza introdurre le idee di accentramento del potere nello Stato moderno, non pare essere in grado di resistere alla forza degli eventi politici e militari del “secolo di ferro”. Quel modello si fondava sul principio di una Repubblica nobiliare, la szlachta (dall’antico alto tedesco slahta, “stirpe”), termine con il quale s’intende l’originale struttura della nobiltà polacca, nata e consolidatasi in una particolare forma di Stato all’epoca della divisione della Polonia in singoli territori (XI-XIV sec.). Essa era contraddistinta da un forte senso di solidarietà e dall’assenza di una gerarchia prestabilita di tipo feudale, la qual cosa le offriva l’opportunità di godere di ampi diritti e privilegi senza una chiara differenziazione interna. Ne era conseguita la debolezza, da un lato, del potere reale, dall’altro, della borghesia, riuscendo la szlachta ad accentrare in sé quasi tutto il potere legislativo. Tanto più che alcune norme, come per esempio quella del nemine contradicente, esigevano l’unanimità nelle decisioni. Inoltre restava sempre valida l’altra norma fondamentale, denominata de non praestanda obedientia, che consentiva di sottrarsi all’obbedienza al sovrano quando si riteneva che questi avesse violato le leggi. Tale norma non fu mai applicata, ma aveva una funzione intimidatoria. Così come aveva valore ricattatorio il dispositivo delle “confederazioni” di membri della Dieta i quali, nel caso in cui coprissero la totalità dell’assemblea, acquisivano il potere di essere al di sopra dell’autorità del sovrano.
Sigismondo III Vasa e le cause della sua politica
Il primo effetto della politica di Sigismondo è quello della separazione d’intenti con il cancelliere Jan Zamojski che, uomo tra i più potenti e capaci della grande nobiltà feudale, era stato il promotore della sua elezione in opposizione a quella di un Asburgo, sostenuta dagli Zborowski, e che aveva fatto addirittura prigioniero l’arciduca Massimiliano. Il fatto è che Sigismondo era interessato sopra ogni cosa al trono svedese, sul quale rimase dal 1592 (anno della morte di Giovanni III Vasa), fino alla sua detronizzazione (1599) ad opera di Carlo IX, e coinvolse la Polonia in una lunga guerra (1600-1611) senza risultati. Dal padre aveva ereditato la volontà di restaurazione del cattolicesimo e quindi si fece paladino della Controriforma in Polonia aprendo tutte le porte alla Chiesa romana, cui offrì anche, al sinodo di Brzesc (1596), l’unione con gli ortodossi ruteni che venivano in questo modo sottratti all’ingerenza religiosa moscovita.
La politica di riconquista della Polonia e della Lituania protestante fu sistematica e tesa a fare della Polonia uno Stato cattolico esemplare sia in funzione di antemurale che di penetrazione verso oriente. Ma, come ha scritto uno storico polacco, rimase “uno Stato senza roghi” non essendovi stata l’introduzione dell’Inquisizione, ma vigendo quella che si potrebbe chiamare un’applicazione al signore feudale del principio del cuius regio eius religio stabilito ad Augusta nel 1555. Il più importante esperimento religioso dell’età moderna – che prenderà poi il nome di socinianesimo – sarebbe stato però non solo oggetto della controffensiva cattolica come accadde alle confessioni protestanti. Esso aveva visto, uniti in una sorta d’improbabile alleanza politica che agiva a livello internazionale con un’immensa produzione teologica, l’impegno controversistico delle Chiese evangeliche e quello delle Chiese riformate che, nello stesso tempo, si erano trovate a dover contenere lo sviluppo delle comunità anabattiste. L’esperimento era stato iniziato da Fausto Sozzini il quale aveva denunciato, facendo ricorso al metodo filologico dell’umanesimo italiano, la costruzione, proveniente dal di fuori del Testo Sacro, del dogma fondamentale del Cristianesimo: l’incarnazione di Dio nel figlio dell’uomo (Gesù di Nazaret). Il socinianesimo, con la critica del sistema trinitario, aveva aperto la strada a un’interpretazione etica della religione che si sarebbe espansa nella cultura europea indipendentemente dall’appartenenza confessionale.
Obiettivo Russia
Quando Sigismondo entra nell’affare del falso Demetrio, un evento che mette in discussione la stessa possibilità di sopravvivenza dello Stato creato da Ivan il Terribile, risulta chiaro che le sue ambizioni superano di molto la volontà di allargamento a oriente tramite la conquista militare di alcuni territori limitrofi e mirano direttamente al trono russo. Dopo il ripiegamento dovuto alla liberazione di Mosca e alla risoluzione delle questioni di successione con l’incoronazione di Michele I della casata Romanov (1613), i Polacchi si trovano coinvolti non solo in una serie di conflitti d’area, ma anche in un complesso di guerre con la Turchia, in alleanza con l’imperatore che, lasciando sguarnita la parte settentrionale del Paese, provoca la perdita di importanti territori recuperati da Russi e Svedesi. Sotto il regno di Sigismondo si apre una questione destinata ad avere importanti ripercussioni nel futuro: Prussia orientale e Brandeburgo si fondono in un solo Stato, ma devono restare separati territorialmente dall’enclave polacca. Il figlio di Sigismondo viene incoronato come Vladislao IV. Nel 1610, nel quadro delle azioni condotte dai falsi Dmitrij, egli aveva costretto lo zar Šujskij, nel Cremlino occupato militarmente, ad abdicare per lasciargli il trono. Negli anni del suo regno in Polonia (1632-1648), Vladislao conduce una serie di operazioni militari contro i Russi con un certo successo.
Alla vigilia della morte, proprio mentre gli succede il fratello Casimiro, si verifica uno dei più importanti avvenimenti della storia polacca del Seicento. Il 1648 è infatti per la Polonia l’inizio del periodo del “diluvio” (potop) a causa della grande rivolta dei cosacchi guidata da Bohdan Chmiel’nic’kij (1596-1657), un militare d’origine nobiliare diventato atamano. I territori dei cosacchi erano da tempo sottoposti a una pressante iniziativa della nobiltà polacca che, con la sottomissione fisica dei “liberi” contadini, voleva introdurvi la servitù della gleba e, con la sottomissione delle bande armate dei diversi atamani, voleva liquidarvi l’“anarchia” politica. La sollevazione, che issa le parole d’ordine dell’indipendenza, è devastante. Partita dalle zone orientali dell’attuale Ucraina, nell’avanzata verso il centro della Polonia mette a ferro e fuoco le proprietà fondiarie dei nobili e i loro villaggi, travolgendo nella furia “contadina” gli ebrei che vi esercitano mestieri artigianali, funzioni esattoriali e d’intermediazione mercantile. Gli ebrei si erano insediati nel Regno di Polonia e nel Granducato di Lituania fin dal Medioevo insieme a una complessa rete di “nazioni” europee chiamate a fungere da borghesia cittadina (destinata a rimanere “straniera” rispetto a nobili e contadini). Ma progressivamente vengono inglobati nei feudi della nobiltà e lentamente degradati a strato sottoborghese. L’insurrezione di Chmiel’nic’kij si traduce in uno sterminio di massa delle popolazioni ebraiche di Polonia, particolarmente invise al capo cosacco. Dall’esperienza del massacro, che sopravviene dopo un periodo relativamente prospero per gli ebrei polacchi, e dalla rinnovata percezione del destino tragico di un popolo, nasce una nuova speranza messianica che s’incarna, nel 1666, in Sabbatai Zevi, il “liberatore”.
La debole struttura militare dell’esercito cosacco, che pure aveva reclutato un numero considerevole di tatari e di popolazioni che abitavano sulle due rive del Dniepr, non regge, dopo una serie di successi in battaglia, di fronte ai Polacchi e fa prendere a Chmiel’nic’kij una decisione storicamente strategica: la richiesta alla Russia di dare il suo protettorato agli Ucraini, aprendo le porte all’incorporamento del territorio nello Stato moscovita nonostante i patti avessero stabilito un’ampia autonomia. Frattanto a settentrione lo zar Alessio s’impossessa di vasti territori e s’insedia a Vilnius. In questa drammatica situazione di debolezza entra Carlo Gustavo re di Svezia, il quale si avvale anche della collaborazione di un partito polacco di “traditori” e accoglie l’invito a mettere il suo protettorato sulla Grande Polonia e la Lituania che, in realtà, vengono unite alla Svezia. Carlo Gustavo, allestita una campagna militare che attraversa tutto il territorio impoverendolo ulteriormente dopo le scorrerie dei cosacchi, riesce addirittura a fare riparare Casimiro in Slesia. La ripresa della Polonia risulta l’effetto di fattori concomitanti; primo tra tutti il mancato intervento a mezzogiorno del principe di Transilvania in alleanza con Carlo Gustavo, che avrebbe stretto il Paese in una morsa, e l’indecisione di Alessio sul confine occidentale.
Il regno di Jan Sobiecki
Gli armistizi, le paci e gli accordi che si susseguono tra il 1657 e il 1667 sono meno pesanti del previsto: cessione della Livonia alla Svezia e dell’Ucraina oltre il Dnepr alla Russia, che recupera la città di Kiev; sovranità brandeburghese sulla Prussia orientale. Nel frattempo intervengono all’interno alcune modificazioni del “modello” che sono state già messe in evidenza come struttura originale della forma polacca di governo. Dalla Repubblica nobiliare emergono dei magnati che, in forza del loro potere, si arrogano addirittura il diritto di esercitare la politica estera, portando avanti con alcuni sovrani stranieri trattative che intendono bloccare l’eventuale candidatura della szlachta all’elezione del re. La szlachta, dal canto suo, decide di inasprire il ricorso al liberum veto che, in base al diritto “costituzionale” polacco, deve garantire l’unanimità delle decisioni. In questo modo il sistema smette di funzionare e sembra arrivare la fase di una paralisi, risolta dal successo militare contro le forze dell’Impero turco che continua a premere dal sud-est europeo.
Ne è artefice, nel 1673, Jan Sobiecki che viene messo sul trono l’anno successivo e regna fino al 1696. Il suo nome è legato all’assedio con cui gli Ottomani stavano cingendo la capitale dell’Impero asburgico. Sobiecki, infatti, alla testa di una coalizione di forze accorse in aiuto di Vienna, il 12 settembre 1683 ottiene una spettacolare vittoria militare che entra subito a far parte dell’immaginario europeo, ma non impedisce a Prussia, Austria e Russia di mettere le mani sulla Repubblica nobiliare. Agli inizi del Settecento essa è assimilabile a uno Stato vassallo dei suoi ben più potenti vicini che, alla morte del sovrano, impongono un loro candidato al trono: Federico Augusto elettore di Sassonia, incoronato nel 1697. Se Sobiecki si mostra un grande condottiero, sapiente nell’arte militare, non altrettanto si può dire delle sue capacità di governo dello Stato, tanto più che non è capace di frenare le forze disgregatrici della szlachta. Si assiste dunque alla progressiva decadenza della Polonia in ogni campo. La vita economica sembra ridursi alla produzione agricola assicurata da una massa di servi della gleba, mentre le città perdono i loro centri commerciali di transito e la componente ebraica si va sempre più impoverendo (insieme ad altre “nazioni”), perdendo le sue funzioni propulsive. La vita culturale sfiorisce mentre l’egemonia della Chiesa cattolica riduce al silenzio ogni forma di dissenso religioso. Del resto, dal 1658 era scomparsa anche la presenza sociniana che legava la Polonia all’evoluzione del pensiero nell’Europa occidentale. Non per nulla gli esuli sociniani sceglieranno come approdo Amsterdam, cioè la città della libertà (Eleuteropoli), dove si congiungeranno con le correnti più avanzate della filosofia e arriveranno a influenzare, tramite mediazioni complesse e non solo sotterranee, Baruch Spinoza. I nomi dei sociniani polacchi nei Paesi Bassi (Jan Crell, Andrzej Wyszowaty, Samuel Przypkowski, con i loro trattati sulla pace, il pluralismo religioso, la tolleranza) entreranno in una storia dalla quale la Polonia cattolica resterà esclusa.